Architettura molisana contemporanea



Le forme dello spazio: figure e temi dell'architettura molisana contemporanea

(da appunti di Emilio Natarelli)
       
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Il materiale raccolto è il frutto di una ricerca promossa dall'IRRSAE Molise che ha interessato il settore dell'architettura e dell'urbanistica nel Molise dal 1945 ad oggi, con un'indagine, a cura dell’architetto Emilio Natarelli, tesa a far conoscere le opere ed i progetti realizzati nella regione da architetti indigeni e allogeni ovvero, fuori regione, da architetti molisani. Tutta questa documentazione resta a disposizione di chiunque ne vorrà prendere visione ed è stato riportata, anche se in forma più sintetica e in versione digitale, in questo portale Web del Molise.
L'iniziativa, che mette in relazione modi di espressione visiva differenti, ma comunque dialoganti, risulta particolarmente importante per il settore architettura, poiché viene effettuata nella regione una ricognizione sulla produzione architettonica contemporanea.



La catalogazione di opere che altrimenti risulterebbero introvabili o neglette, perse nel dedalo del territorio, risulta operazione meritoria per l'Istituto che l'ha promossa, perché permette di fare emergere quella parte della cultura architettonica ed urbanistica italiana che, pur applicandosi ad una ricerca e diffusione delle peculiarità del costruire, rimane occultata nelle pieghe della provincia, non trova spazi, proiezione esterna, momenti di dibattito: la conoscenza dell'architettura, pertanto, anche come momento specifico, ma significativo, della conoscenza della città e del territorio, intesi come strutture fisiche espressive e tangibili della storia di una comunità.
Una realtà, quella molisana, che, al di là di insulse ed inopportune esaltazioni provinciali, è stata testimonianza, anche se con contraddizioni, di una ricerca architettonica che comunque ha influito sul territorio e sulla sua immagine e che per questo va divulgata per cercare di comprendere meglio le potenzialità culturali del Mezzogiorno.


L.Lalla, G.Spina, L.G.Abbamonti, Concorso Museo arte moderna, Campobasso, 1981

Conoscenza e presentazione di una produzione particolare che, più o meno influenzata dalle grandi personalità, ha comunque costruito una concretezza architettonica che, fatta emergere, può portare, come sostenuto da M. Fabbri, ad un "approfondimento sul tema della diffusione di una densità culturale che non va più inseguita come irradiazione dai grandi centri creativi, ma che si manifesta come attuale identità di luoghi e personaggi, polarizzazione di intrecci, influenze, conoscenze e appartenenze in una società sempre più informata".


A.Carlomagno, Museo ecologico, Pescolanciano, 1991

La conoscenza di architetture è anche appropriazione di una "arte del costruire" che coinvolge il singolo manufatto, ma anche la città, ed è testimonianza di committenze, di tecniche e culture manovali che sempre intervengono contemporaneamente per creare una buona architettura, in quanto essa non sempre è solo espressione di buoni architetti. La grande competenza delle maestranze locali, che fino agli anni sessanta hanno operato nei cantieri molisani, è stata anche garanzia di un buon edificare ed è stata sempre apprezzata dagli architetti che hanno operato nella regione: molto spesso, infatti, il decadimento "dell'arte del costruire" è conseguenza di uno scadimento della committenza e delle maestranze, oltre che della incapacità culturale dell'architetto.


Portoghesi,  Banca Popolare del Molise - Progetto, Campobasso, 

La qualità di una città o di un'architettura non dipende solo ed esclusivamente dagli architetti, ma anche, come storicamente dimostrato, da un Principe, da una figura che nella storia ha manifestato chiaramente una volontà di rappresentare e lasciare, anche e soprattutto attraverso l'architettura, un segno visibile e tangibile di permanenza; occorre recuperare. democraticamente, questa capacità delle società moderne di rappresentarsi nel modo migliore, bisogna riguadagnare quella visione gramsciana di un moderno Principe che, non tanto come partito politico, ma come volontà collettiva tenda "verso il compimento di una forma superiore e totale di civiltà".
Solo in questo modo si riuscirà a ricostruire un'unità di intenti che potrebbe favorire quella temperie singolare da cui nasce l'evento artistico.


P.Martellotti, A.Di Renzo, P.Pascalino, Progetto Poliambulatorio, Riccia

La divulgazione della ricerca promossa a suo tempo dall'IRRSAE Molise permette di fare conoscere agli "addetti ai lavori" una realtà che potrà essere valutata con maggiore cognizione di causa, anche nei suoi aspetti eventualmente negativi, al fine di verificare se "l'ineguale distribuzione geografica di una astrazione come la qualità architettonica in Italia" sia più o meno reale e se "aree ad alta intensità di architettura, talvolta piccoli centri al sud come al nord, si alternano all'assenza di intere province".


P.Cavicchioni, R.De Vito, Fabbr.Appartamenti e negozi, Campobasso, 1989

D'altra parte non ci sono stati veri momenti di conoscenza globale di una realtà complessa quale quella del territorio italiano e del sud in particolare, anche per la presenza nelle riviste di architettura dei grandi nomi che, se giustamente e indiscutibilmente citati, molto spesso hanno compresso lo spazio delle nuove generazioni e delle realtà più deboli; in questo modo si è consolidata quella "mafia delle riviste" come fu definita da Ludovico Quaroni che ha permesso ad alcuni personaggi di gestire la comunicazione dell'architettura come un fatto certamente non disinteressato.


R.Franchitti, Casa - Disegno, Filignano, 1992

Cosicché la realizzazione di alcune guide all'architettura italiana è certamente momento importante di conoscenza, anche se si sconta, nel processo di formazione delle stesse, un'indagine non diretta, ma mediata attraverso le riviste, riconfermando così un circolo vizioso che può essere spezzato solo con iniziative locali come queste, che, facendo emergere e mettendo in circolazione la produzione architettonica dell'ultimo secolo, possano favorire un confronto più approfondito.


A.Di Virgilio, Casa - 1975

Conoscenza di architetture realizzate, ma anche di progetti inattuati, momenti di architetture interrotte che non sono riuscite a vivere di concreta materialità ed ad esprimersi attraverso questa nella forma e nella sostanza più compiuta.
Certamente importanti le une, perché presenti e visibili a testimoniare una storia ed una civiltà, ma altrettanto e forse ancora più importanti le altre che disegnano un percorso di ricerca e di sensibilità che deve essere rivelato per diventare epifania di cultura.


A.Di Virgilio - 1975

Quale migliore occasione per fare questo di una ricerca da parte di un Istituto quale l'IRRSAE Molise che ha assolto, come finalità istituzionale, alla funzione di educazione e quindi di conoscenza e comunicazione della propria identità territoriale? Le architetture interrotte, nella storia, sono state sempre più numerose di quelle realizzate ed, in molti casi, hanno segnato in modo significativo intere epoche influenzandone i gusti e la cultura, forse ancora di più di quelle edificate.
Il loro fascino deriva proprio dalla intrinseca immaterialità che, esaltando il messaggio ideale che esse emanano, contribuisce a costruire quasi un percorso parallelo di cultura e storia che ritrova poi, volutamente o casualmente, contatti con il reale in un processo continuo di interferenze e condizionamenti.



Anche per questo il primo progetto con cui si apre la ricerca del settore architettura è quello di Giuseppe Samonà, uno dei maestri dell'architettura italiana di questo secolo che, con "l'architettura interrotta" del progetto concorso per il tribunale di Campobasso ha rappresentato le contraddizioni dell'architettura italiana tra le due guerre.
La presentazione mostra, pertanto, anche immagini inedite di città, di una città possibile, diversa, non analoga a quella realizzata; immagini che devono tendere a fare rivivere, anche se solo parzialmente come pura rappresentazione, idee di progetto che, se realizzate, avrebbero potuto meglio identificare un luogo, un momento storico, un modello di città.



Il metodo della ricerca è stato innanzitutto impostato sulla schedatura delle opere (progetti e realizzazioni) e degli autori, con la compilazione, nel settore architettura, di circa 230 schede di opere e 50 di autori.
Per ogni opera, in un'apposita scheda, sono state individuate la localizzazione, la data, gli autori, le eventuali pubblicazioni, le altre citazioni bibliografiche ed è stato steso un sintetico giudizio critico; per ogni autore, invece, è stata realizzata una scheda con il repertorio delle opere, le notizie bibliografiche e biografiche fondamentali.
Per quanto riguarda la valutazione critica della produzione architettonica molisana, si è cercato di definire un percorso espositivo che privilegiasse più la valutazione dell'opera in relazione al contesto storico molisano e nazionale che non una descrizione della stessa dal punto di vista formale e linguistico.


 Bilioteca provinciale

Questi ultimi aspetti, infatti, sono stati trattati, come detto, anche se in modo sintetico, nel giudizio critico espresso nelle schede riferite alle singole opere. In buona sostanza si è cercato di tratteggiare una storia degli eventi che hanno influenzato e condizionato la nascita di un'architettura; eventi individuabili nelle politiche, nelle condizioni economiche oggettive di una comunità, nei linguaggi, nelle strutture ambientali, nel clima complessivo di un momento storico particolare e quindi nel grado di civiltà conseguito da una comunità; tutti fattori che, in definitiva, hanno inciso ed incidono nella realizzazione di un'opera di architettura.
Così, si definisce e si recupera la propria identità, la si confronta con la storia, se ne misurano le incongruenze ed i ritardi, le affinità o le specificità.
In questo modo si è scoperto che la storia dell'architettura contemporanea molisana è anche un piccolissimo, ma significativo segmento della storia dell'architettura italiana, per le opere progettate e per i personaggi coinvolti, come nel caso citato di Samonà, ma anche e soprattutto degli architetti Piccinato ed Antonelli che con il Piano Regolatore di Campobasso del 1942 hanno segnato un momento significato della storia urbanistica italiana.



Nel periodo più recente la stessa presenza dell'arch. Portoghesi ha rappresentato, con il progetto della sede della Banca Popolare Molisana, un evento emblematico di connessione tra una realtà periferica come quella regionale e una particolare espressione dell'architettura internazionale degli anni ottanta qual è stato il postmoderno.


Portoghesi,  Banca Popolare del Molise - Plastico, Campobasso, 

Si scopre la presenza dell'ambiente romano che certamente negli anni trenta, quaranta ed in parte cinquanta ha contraddistinto l'immagine della città di Campobasso con opere significative a testimonianza di un'attenzione che comunque questa città aveva riservato, anche se forse non direttamente, per la buona architettura e la buona urbanistica. E' in questo contesto che si forma ed emerge una figura come quella dell'architetto Cesare Antonelli che ha rappresentato negli anni quaranta e cinquanta un punto di riferimento certo, riconoscibile nel panorama dell'architettura molisana.



Architetti come Pacanowskj, Filippone, lo stesso Antonelli, Ridolfi, Frankl, Mandolesi, Ciarlini, hanno definito il primo periodo dell'architettura molisana contemporanea, hanno determinato l'immagine della città di Campobasso, ne hanno specificato le caratteristiche; attraverso le loro architetture, il territorio ha acquistato una propria identità visibile e riconoscibile per chi la sappia e la voglia leggere.



Lo stesso decadimento della qualità architettonica ed urbanistica degli anni sessanta e settanta è solo parzialmente dovuto ad una insufficienza di energie locali, ma è stato causato da una generale crisi involutiva dell'architettura italiana e da una sua perdita di riferimenti e di identità, dispersi nella ricerca di "nuovi ruoli" che certo non si sarebbero ritrovati nelle concezioni urbanistiche quantitative e dello zoning che avrebbero portato, invece, al dissolvimento di ogni parvenza della "forma urbis".


Museo Sannitico - Campobasso

Nonostante questo, però, anche in quegli anni si costruirono buone architetture scaturite più dalle capacità dei singoli che non da un clima complessivamente favorevole.


M.Bourelly, 1987

Certamente la ricerca non può considerarsi esaustiva di tutte le posizioni e di tutta la produzione architettonica contemporanea del Molise, anche perché pensiamo che alcune realizzazioni sono rimaste ancora nascoste, non per nostra negligenza, nelle pieghe del territorio e molti progetti sono rimasti chiusi ad ingiallire negli scaffali degli studi: di questo ce ne scusiamo, ma non è dipeso evidentemente dalla nostra volontà, ma da una pigrizia, quando non da una supponenza di alcuni architetti. Quello che però era visibile e conosciuto è stato segnalato. Infatti la catalogazione dei progetti negli archivi dei singoli architetti è importante e prioritaria per ogni opera di svelamento della produzione architettonica; ed in questo abbiamo notato molte negligenze e ritardi, oltre che, a volte, incomprensione e diffidenza verso iniziative come queste.


A.Di Virgilio, Edificio per Uffici e abitazioni, Campobasso, 1985

Nel settore urbanistico la produzione migliore certamente si è verificata negli anni quaranta e cinquanta, a testimonianza di una disattenzione negli ultimi decenni verso i problemi della città e del territorio, tanto più grave, in quanto quello molisano ha una sua peculiarità che attende di essere svelata, anche e soprattutto attraverso dei buoni progetti urbanistici che ne sappiano cogliere gli elementi significativi.
Infatti gli studi dell'architetto Luigi Piccinato sul centro antico di Campobasso o quelli di Caniggia per il centro storico di Isernia sono nati proprio in occasione di incarichi urbanistici.


R.Di Lallo, Bocciodromo  comunale -  Campobasso, 1984

Un altro aspetto positivo della ricerca promossa dall'IRRSAE consiste nell'avere cercato di fornire un panorama dell'arte contemporanea nel Molise che coinvolgesse le espressioni più significative dell'arte visiva compreso l'architettura, al fine di ricercare e stimolare un'unità espressiva che in altri periodi storici era insita e quasi connaturale in ciascun artista. Nell'uomo rinascimentale le tre arti si trovavano molto spesso condensate in un unico spirito; questo ora forse non è più possibile, è più difficile e complesso, ma bisogna tendere a ricostruire se non un'unicità fisica, almeno una di intenti, di finalità. Il problema esiste e va affrontato specificatamente in rapporto con l'evento urbano che è la manifestazione più chiara e tangibile dell'arte come costruzione collettiva.


A.Lalla, G.Spina, L.G.Abbamonti, Edificio per abitazioni, Campobasso, 1989

"Le arti sono costitutive della città" come sostenne G.C. Argan "il solo luogo a cui tutti convergono e in cui fanno sintesi è la città": nella città, ma anche nel territorio, luogo urbano oramai più vasto e totalizzante, spazio di conoscenza e di progetto, campo di confronto tra identità e culture diverse.


Univesità del Molise - Giurisprudenza, Campobasso, 

Attraverso il territorio si potrà riconoscere l'uomo nella sua entità e potenzialità "senza una nozione del territorio, cioè di una oggettività reale, nessuna scienza è possibile, ma anche nessuna psicologia, nessuna filosofia e nessuna vita".?
Non si può prescindere, nel presentare la produzione architettonica molisana del dopoguerra, da quanto realizzato nell'immediato anteguerra, anche perché molto significativo e determinante per la comprensione degli sviluppi successivi.
Nel Molise, negli anni trenta, l'unico centro che riuscì a segnare una presenza significativa nella produzione architettonica fu Campobasso che, per il ruolo di capoluogo provinciale, venne interessato da alcuni interventi statali per la realizzazione di opere pubbliche.


Univesità del Molise - Agraria, Campobasso

Sono di questo periodo quelle poche, ma significative realizzazioni direttamente programmate dal regime che, pur se in misura minore rispetto a realtà come L'Aquila, comunque segnarono un momento significativo nella storia architettonica ed urbanistica della città.


M.L.Benevento e D.Dolce, Edificio per Uffici e abitazioni, Campobasso, 1986

Inoltre, parallelamente ad un rafforzamento del ruolo istituzionale della città, sicuramente esaltato dalla politica fascista, si svilupparono alcune iniziative private che riuscirono ad imprimere un segno di modernità all'ambiente urbano. I personaggi che calcarono la scena molisana furono pochissimi e quasi tutti provenienti dall'area romana; l'unico architetto autoctono che riuscì ad emergere fu Cesare Antonelli che, con alcune opere, sempre di elevato livello qualitativo, anche se contraddittorie nella loro espressione linguistica, segnò questo breve periodo.


ASL, Campobasso, 

Forse fu proprio attraverso l'architettura ed alcuni suoi personaggi che l'ambiente campobassano riuscì ad emendarsi da una condizione altrimenti emarginata, chiusa e negletta.
Le poche opere di un certo rilievo realizzate rappresentano ancora oggi la testimonianza di un periodo e lo specchio di un dibattito sull'architettura che comunque investiva anche le aree più periferiche.
Certamente emblematico di un'epoca è il progetto per il concorso del palazzo di giustizia di Campobasso di G. Samonà che con la sua proposta testimoniava "l'assimilazione della lezione piacentiniana e lasciava intravvedere molto velatamente alcuni motivi che poi diventeranno sue invarianti formali".


Tribunale, Campobasso, 

La riproposizione di moduli espressivi tradizionalisti, così come essi venivano intesi dallo stesso Samonà, in quanto momento di equilibrio che "si ricollega alla tradizione, non per imitarne sterilmente le forme, ma per cercarne in essa l'espressione", configura nel progetto un equivoco ed una difficile sintesi tra modelli linguistici diversi, non riuscendo ad eliminare aporie difficilmente occultabili.
Le contraddizioni dell'architettura italiana tra le due guerre sono così evidenti che non bastano nemmeno le grandissime capacità intellettuali di G. Samonà a sintetizzarle, anche se tenta una difficile simbiosi tra tradizionalismo e internazionalismo attraverso il razionalismo, considerato "l'incremento, il lievito capace di tradurre i fantasmi in forma concreta".


G.M.Spina, Complesso Santoro, Campobasso, 1991

Con questo progetto di Samonà si apre a Campobasso una stagione di pochi, ma emblematici interventi, che rispecchiano fedelmente, in una realtà territoriale periferica, un dibattito che coinvolgerà i grandi protagonisti dell'architettura italiana tra le due guerre.


GIL, Campobasso, 

Così il "monumentalismo", come tendenza che nel secolo ripercorre le esperienze classiche e neoclassiche con le relative varianti espressive tipiche dell'architettura del "novecento" italiana, ritrova nel progetto citato, nel monumento ai caduti purtroppo demolito, nella sede GIL. di D. Filippone e nel concorso per il palazzo del littorio di C. Antonelli a Campobasso, le migliori rappresentazioni significanti già le differenze e le costanti, oltre che le evoluzioni espressive e linguistiche.
Il concorso per il palazzo del littorio a Campobasso rappresentò in modo inequivocabile la politica del regime nei confronti dell'architettura, ma soprattutto fu testimonianza di un linguaggio che oramai si andava diffondendo ed uniformando rispetto alle varie realtà.


M.Scalabrino, Edificio per Uffici e negozi, Campobasso, 1990

Il luogo prescelto per l'opera non era certamente il più adatto in quanto risultava costretto in un lotto di non grandi dimensioni e per di più incluso in una piazza già fortemente caratterizzata per la presenza di altri edifici importanti; ma quello che più colpisce fu la quasi uniformità delle proposte presentate che dimostravano nella tipologia e nella espressività del linguaggio un appiattimento ai canoni tipici dell'architettura del regime.
Parallelamente, da questo clima, scaturiscono la ricerca espressiva monumentalista del pittore A.Trivisonno, che affrescò la cappella del Convitto Nazionale "M. Pagano" di Campobasso con un segno nitido, esaltato da plastiche volumetrie e riferimenti iconografici classici, e la testimonianza pittorica di M. Scarano caratterizzata da un impianto visivo tipicamente "littorio", dove i moduli espressivi, oltre ai soggetti ed ai tito- li delle opere, rappresentavano di per sè un'esaltazione dell'epoca."


Cappella Convitto "M.Pagano", Campobasso, 

In alcuni casi, però, il dibattito sulla nuova architettura fu presente e chiaramente evidente nelle impostazioni tipologiche e funzionali degli organismi architettonici che, soprattutto nel progetto della GIL, erano limpidamente denunciate nella loro rigorosa funzionalità.



Anche in questa circostanza un architetto romano venne nel Molise, incaricato ufficialmente della realizzazione di un edificio pubblico, e rimarcò la sua presenza con la realizzazione di un'altra opera come il palazzo Incis in via de Attellis, sicuramente meno significativo rispetto al palazzo della GIL e più conforme alla tipologia della edilizia residenziale ottocentesca a blocco.


Palazzo Di Penta, Campobasso, 

Fu proprio in questo periodo di lavoro a Campobasso che nasceva anche un sodalizio culturale tra l'architetto Pacanowski, autore del Palazzo Di Penta, l'architetto Filippone e l'architetto Antonelli. Purtroppo il palazzo di giustizia di G. Samonà non venne realizzato ed al suo posto ne fu eretto un altro classicheggiante, molto lontano dalle sottili e tormentate ambiguità stilistiche del primo. Lo stesso accentramento della politica culturale del fascismo, se da un lato toglie spazio alle manifestazioni autoctone, uniforma modelli di intervento sul territorio che sono tangibile testimonianza di un travagliato dibattito che, se vuole essere rigorosamente analizzato, non può prescindere da quanto accaduto in aree marginali.
Il progetto concorso per il palazzo del littorio di un architetto indigeno quale C. Antonelli, che sarà uno dei protagonisti dell'architettura postbellica a Campobasso, è testimonianza di questi iniziali rapporti tra architetti locali e romani e quindi del fluire di un dibattito dal centro verso la periferia che lascia tracce soprattutto nel capoluogo regionale.
I moduli espressivi sono tipici dell'architettura monumentale che di per sè, e questo progetto lo dimostra, era molto attenta alle relazioni con- testuali che, soprattutto in un centro come Campobasso, sono preminenti per la limpida impostazione urbanistica della città ottocentesca.



II "pluralismo formale", oltre a coinvolgere i diversi architetti, era insito nella stessa produzione dei singoli, come è rilevabile nel progetto di C. Antonelli per il padiglione della Mostra per l'Artigianato, realizzato nel '38 e purtroppo demolito, esempio dell'attenzione particolare dell'architetto per le espressioni più autentiche dell'architettura moderna, come è dimostrato anche dagli oggetti di arredo disegnati dallo stesso e realizzati dagli artigiani locali.
In questo progetto del 1938 è evidente, rispetto a quello per il palazzo del littorio, la diversità di atteggiamenti che gli architetti avevano nei confronti delle distinte committenze: tanto rigore formale ed accademico nel caso della commessa di regime quanta libertà di espressione e di valorizzazione delle intime convinzioni di ciascuno in altre situazioni.
C'è quasi uno sdoppiamento della personalità artistica che però manifesta in ambedue i casi una notevole capacità di padroneggiare il mestiere e una grande apertura culturale, tipica, d'altra parte, degli atteggiamenti di tanti architetti italiani dell'epoca.


Campitello Matese

Nel progetto per un rifugio alpino sul Matese dell'architetto Antonelli, pur nella riproposizione dei modelli tipici della edilizia di montagna, si intravedono le intime tensioni linguistiche dell'autore per un linguaggio moderno dell'architettura. L'edificio che, però, più di ogni altro testimonia il Movimento Moderno a Campobasso e nel Molise è la casa di abita- zioni ed uffici realizzata nel '35 da D. Pacanowski.
Il progetto e la realizzazione rivelano la grande cura dell'architetto per lo studio dei più minuti problemi funzionali a cui aveva corrisposto con tecnologie e forme molto pertinenti, con l'utilizzo di materiali tipici del Movimento Moderno, quali, ad esempio, il vetrocemento; ma è soprattutto nella ostentata riproposizione di alcuni elementi significativi del vocabolario linguistico e tipologico delle migliori architetture italiane dell'epoca che l'opera si realizza (tetto giardino, pergole, balconate continue quasi a ritagliare le finestre a nastro, inesistenti ma ricercate); inoltre le stessa disposizione dell'edificio, anche se in parte obbligata, è rispondente al contesto urbanistico confermandone e valorizzandone gli scorci visuali e le trame."



Con questi pochi, ma decisivi interventi si chiude un periodo dell'architettura a Campobasso molto fecondo ed interessante che conclude anche un discorso urbanistico che era stato iniziato nell'ottocento con la realizzazione dell'addizione murattiana; infatti il palazzo Di Penta, la Gil, l'Incis a via De Attellis, il Tribunale ed il Banco di Napoli, unitamente alla sede della Banca d'Italia (quest'ultima discutibile per il linguaggio utilizzato) definiscono l'immagine urbana della città e la rendono in alcuni casi più moderna, affrancandola, soprattutto nel caso del palazzo Di Penta, da un condizionamento tipologico e linguistico di origine ottocentesca.


Banco di Napoli, Campobasso, 

Come giustamente sostenuto da F. Jovine "Campobasso s'è costruita la sua fisionomia nell'ultimo secolo... La città non è stata consacrata capoluogo per antico splendore; si è venuta adeguando via via alla sua funzione". 10
Il momento conclusivo, ma anche di snodo, dell'architettura dell'anteguerra è rappresentato dal Piano di Ricostruzione (1942-50) per Campobasso redatto da L. Piccinato e C. Antonelli," cui seguì anche un piano particolareggiato della zona centrale.
Nel progetto si possono rileggere le teorie di Piccinato sull'urbanistica, anche se l'occasione di un piano di ricostruzione non era la migliore, in quanto lo stesso autore non lo riteneva adatto allo scopo, ma forse in questa proposta, purtroppo non realizzata, si possono ritrovare in nuce le conquiste culturali dell'urbanistica italiana, ma anche le sconfitte storiche scaturite dalla pratica attuazione.
Di quel piano non resta alcuna traccia nella città se non una delimitazione perimetrale e alcune indicazioni insediative per lo sviluppo nella zona est, a testimonianza di permanenze topologiche e progettuali per fortuna non eludibili.
Oltre alla grande attenzione per il centro edificato e per le possibilità di valorizzazione e salvaguardia dello stesso," il piano manifestava una chiara volontà di sviluppo per la zona est per la quale venne redatto un plano- volumetrico che, all'interno di un contesto dove erano riconosciuti e tute- lati i segni e le permanenze significanti del territorio, evidenziava l'attenzione degli autori per il dibattito sulle abitazioni e sull'urbanistica raziona- le, in quanto nella proposta era chiara e pianificata una classificazione di tipologie edilizie alte, medie, basse e isolate che erano state oggetto di un approfondito dibattito sui metodi costruttivi razionali al III CIAM.


Istituto Magistrale, Campobasso, 

L'architettura del primo dopoguerra continua ad essere rappresentata a Campobasso dall'architetto Cesare Antonelli che realizzò l'Istituto Magistrale e predispose alcuni progetti di chiese a Morrone, Matrice e Larino, la casa Chiodini al Corso ;ma fu soprattutto l'attenzione dell'architetto verso le problematiche agricole con il progetto per la Scuola Pratica di Agricoltura a Campobasso e con gli studi di case rurali nel Molise che rivelò l'interesse verso una realtà eco- nomica che nel Mezzogiorno, e soprattutto nel Molise, rappresentava una risorsa di primaria importanza.
Il tema della riforma agraria e degli insediamenti rurali fu molto dibattuto in Italia e coinvolse intellettuali e forze politiche; il territorio molisano fu interessato da questi tipi di progetti, derivati dalla riforma agraria, solo nella zona del Basso Molise dove il territorio fu investito da una serie di insediamenti rurali che mutò in modo significativo l'aspetto del paesaggio.
Infatti la localizzazione delle dimore rurali avvenne lungo gli antichi tracciati dei percorsi interpoderali e le case manifestavano una generale uniformità dovuta ad una precisa scelta progettuale che privilegiava le invarianti formali "per evitare confronti tra casa e casa e dissensi tra famiglia e famiglia"."
Ma Campobasso continuò ad essere, agli inizi degli anni cinquanta, il luogo centrale di elaborazione di nuove proposte, infatti in quel periodo si forma un nuovo piano regolatore che, purtroppo, non avrà migliore sorte del precedente nella pratica attuazione, anche se di alcune indicazioni rimane traccia nel piano del '68; questo piano segnerà, però, un'altra tappa importante nella evoluzione delle metodologie di formazione degli strumenti urbanistici.
L'occasione nasce da un concorso per la redazione del piano regolato- re generale della città che vide vincitore il gruppo formato dall'Arch. F. Bargiotti e dagli ingegneri E. Mandolesi e U. Sciarretta.
Il progetto scaturiva da una tempèrie particolare che coinvolgeva in quegli anni il dibattito architettonico ed urbanistico e che vedeva soprattutto nella rivista "Comunità" il centro ed "il fine unificante di una complessa strategia culturale" che investiva anche e soprattutto la realtà meridionale.
Realtà che, anche nel Molise, sull'onda degli avvenimenti letterari che ebbero come protagonisti F. Jovine, L. Incoronato e G. Rimanelli, influenzò, più che l'architettura, soprattutto la pittura con la ricerca neorealista e modernista di una parte dei giovani artisti molisani tra cui A. Pettinicchi, G. Marotta, W. Genua che avvertirono l'esigenza di fare emergere attraverso i dipinti un mondo diverso e più crudo.
La proposta urbanistica per il P.R.G. di Campobasso si basava su tre presupposti principali: il mantenimento del carattere storico della città vecchia; la conservazione del centro murattiano come luogo storico istituzionale ed amministrativo; l'organizzazione urbana conseguita attraverso nuclei residenziali indipendenti.
Il valore più interessante del progetto, basato su un'analisi puntuale della struttura urbana esistente, consisteva nella costruzione di un'immagine della città, indagata nei punti più significativi, attraverso verifiche visive puntuali, che ricostruivano, così, un paesaggio urbano ed una fisicità che altrimenti sarebbero risultati inespressi e negletti."
Tra gli autori del piano solo E. Mandolesi continuerà ad operare nel Molise, realizzando anche significative opere di architettura quali la chiesa di San Timoteo a Termoli) e, a Campobasso, il mercato coperto, il palazzo INA, il quartiere C.E.P. negli anni sessanta, alcune scuole e la chiesa di San Giuseppe all'interno dello stesso quartiere."


Palazzo INA, Campobasso, 

Per il palazzo INA a Campobasso ci fu un primo progetto, redatto nel 1951 da M. Ridolfi e W. Frankl, di cui purtroppo si è persa traccia, a testimonianza di un continuo rapporto che, almeno nel campo dell'architettura, la città di Campobasso continuava ad intrecciare con l'ambiente romano, anche se non direttamente, ma casualmente attraverso un Istituto cui va riconosciuto il merito di avere impegnato i migliori architetti e che, negli anni Cinquanta, in Italia programmò moltissimi interventi, anche se non sempre attuati con una "corretta" pianificazione urbanistica."
La formazione di Mandolesi, ma anche e soprattutto le norme, gli schemi e i suggerimenti per l'elaborazione dei progetti che l'Ina casa predisponeva, fanno rientrare il palazzo Ina di Campobasso nell'alveo di quegli atteggiamenti progettuali ricorrenti, anche in altre realtà italiane, che ricercavano nella "celebrazione dell'artigianato, del localismo, della manualità gli elementi fondamentali della formazione del progetto.
La presenza dell'ingegnere Mandolesi a Campobasso e nel Molise si protrasse per più di un decennio lasciando anche opere di un indubbio valore architettonico, soprattutto per le qualità artigianali di alcune soluzioni tecnologiche che, se opportunamente comprese e diffuse dagli altri architetti ed operatori del settore, avrebbero potuto salvaguardare dalla dispersione grandi capacità artigianali allora presenti nella produzione edilizia locale.


Chiesa S.Timoteo, Termoli, 

Nella chiesa di San Timoteo a Termoli, all'impianto dello spazio interno di tipo tradizionale, si contrappose una curata articolazione planimetrica del complesso. Successivamente molti elementi costruttivi originari furono sostituiti con altri non corrispondenti allo spirito ed al significato delle scelte tecnologiche fatte all'epoca della costruzione; anche la realizzazione di alcuni corpi di fabbrica complementari, avvenuta nell'ultimo periodo, non segue le primitive indicazioni progettuali.
Un episodio di architettura che, però, negli anni cinquanta susciterà a Campobasso molte polemiche, fu la costruzione del "grattacielo" in un ambito urbano già fortemente caratterizzato che si pensava venisse snaturato per l'inserimento di un organismo fuori scala, pure se studiato con un linguaggio e con soluzioni architettoniche abbastanza corretti.
L'edificio, attentamente calibrato nei suoi rapporti volumetrici, nitido nella sua razionale espressione linguistica, è riuscito, nel tempo, a diventare un simbolo visivo della città e, per fortuna, non ha innescato quei temuti processi di ristrutturazione edilizia a "tipologia conforme" che l'autore, e non solo lui, temeva.


Palazzo INAIL, Campobasso, 

Un altro progetto che rappresentò, negli anni cinquanta un punto di riferimento significativo per l'architettura della città di Campobasso fu la sede dell'INAIL progettata dall'architetto Ciarlini il quale impostò tipologicamente l'edificio su una galleria che unisce via Garibaldi con Corso Umberto, ma soprattutto dimostrò, con la disposizione dei corpi di fabbrica, con alcuni elementi tecnologici, quali l'uso del vetro cemento, e con un linguaggio modernista, una grande attenzione ai problemi funzionali e al rapporto con il contesto.
Con l'innesto di questi edifici moderni, realizzati negli anni quaranta e cinquanta all'interno del tessuto edilizio del centro storico murattiano, la città di Campobasso cominciò ad assumere un aspetto più attuale e singolare.
Così l'immagine urbana si completa, in un'area ad alta densità di episodi di architettura, tutti di buon livello, esaltati, tra l'altro, da un impianto urbanistico impeccabile, che ha permesso nel tempo una stratificazione di interventi organicamente inseriti in una logica di piano che aveva prefigurato un modello insediativo all'apparenza semplice, ma molto intricato nei rapporti tra spazi pubblici e privati, tra pieni e vuoti, tra assialità e punti focali.


Grattacielo, Campobasso, 

Con questi ultimi momenti di architettura si chiude anche un periodo di completamento e di riassetto urbanistico, iniziato nell'ottocento, dopodiché, però, si avvierà una nuova fase di grande espansione edilizia che condurrà, nel tempo, allo svilimento della "forma urbis" a favore di uno sviluppo edilizio incontrollato e vasto, basato esclusivamente su un'economia di mercato selvaggio e sulla speculazione fondiaria.


Quartiere CEP, Campobasso, 

Tra la fine degli anni cinquanta e gli inizi del decennio successivo si realizzò a Campobasso il quartiere CEP progettato da E. Mandolesi (coordinatore) F. Mezzetti e C. Migliorini, in attuazione dei programmi predi- sposti dal Ministero dei Lavori pubblici. Questi interventi, nati dalla necessità di coordinamento dei finanzia menti pubblici nell'edilizia residenziale, urbanisticamente erano l'espressione di una ricerca evolutiva del tipo insediativo che, partendo dall'esperienza del "quartiere autosufficiente" approdava a quella del "quartiere coordinato", inteso organicamente come momento di sintesi tra "l'ambiente e l'uomo" per realizzare "l'idea del vicinato e della comunità, la volontà verso un organismo urbano autosufficiente per i servizi e per la vita economica generale, nel tempo stesso parte integrante della maggiore costellazione urbana".
Pur essendo la localizzazione del CEP di Campobasso in parte periferica, tradendo in questo modo la filosofia da cui erano nati i quartieri CEP, il luogo prescelto era ben collegato con la città, rispondente alle previsioni di piano, oltre che storicamente destinato a questo scopo (vedi P.d.R. di L. Piccinato e C. Antonelli).


R.Ruggiero, Parrocchia S.Bartolomeo e San Paolo, Campobasso, 1981

Nel confronto tra le previsioni di espansione della zona est del piano del '42 ed il progetto CEP, si può rileggere l'evoluzione della cultura urbanistica italiana che, partendo dai modelli delle siedlungen, approdava, dopo le aperture culturali verso le esperienze inglesi e americane e l'assimilazione della filosofia della neighborhood unit, al "quartiere coordinato".
Attualmente il CEP conserva una sua indiscutibile riconoscibilità ed individualità attestata anche da una buona qualità tecnologica, realizzata con materiali locali e controllata attraverso un rigoroso impianto modula- re a maglia quadrata che abbassò notevolmente i costi di costruzione.


E.Coppola, Hotel "La Tequila", Plastico - Isernia

Con la costruzione di alcuni nuovi quartieri, ma soprattutto con il grande boom dell'edilizia della fine degli anni cinquanta, Campobasso cominciava a realizzarsi come città che, però, perdeva, a causa di un occasionale sviluppo urbano, accompagnato da una scadente qualità abitativa, le peculiarità e la fisionomia di città "disegnata", e quindi razionalmente pensata, per manifestarsi, nella fascia periferica, simile ad altre realtà urbane, con uno scadimento della propria immagine e della "forma urbis".


M.Ridolfi, W.Frankl, D.Malgricci, Ospedale Cardarelli, Campobasso, 1963

La grande richiesta di abitazioni, gli enormi investimenti nell'edilizia, i fenomeni di conurbazione derivanti da uno spopolamento delle aree interne, unitamente ad una perdita di qualità nel complessivo processo di costruzione edilizia comportarono una decadenza della fisionomia urbana, generata, anche da una carenza di proposte tipologiche, formali e linguistiche innovative, per cui è evidente in molti edifici il reiterato riproporsi di modelli espressivi scontati e molto spesso banali.


C.Antonelli, Chiesa - Prospettiva, Larino 1952

Inoltre il continuo abusivismo edilizio (tutti gli edifici risultano realizzati con almeno due piani in più), tollerato quanto non provocato da un lassismo amministrativo disarmante, accompagnato da un'assenza di cultura della città, riducono l'urbanistica a mero ed improvvisato soddisfacimento di bisogni abitativi, cosicché anche le funzioni del piano regolatore del 1952 risultano di fatto contraddette da una deleteria pratica edilizia.
F. Mezzetti e C. Migliorini, in attuazione dei programmi predi- sposti dal Ministero dei Lavori pubblici. Questi interventi, nati dalla necessità di coordinamento dei finanziamenti pubblici nell'edilizia residenziale, urbanisticamente erano l'espressione di una ricerca evolutiva del tipo insediativo che, partendo dall'esperienza del "quartiere autosufficiente" approdava a quella del "quartiere coordinato", inteso organicamente come momento di sintesi tra "l'ambiente e l'uomo" per realizzare "l'idea del vicinato e della comunità, la volontà verso un organismo urbano autosufficiente per i servizi e per la vita economica generale, nel tempo stesso parte integrante della maggiore costellazione urbana".
Pur essendo la localizzazione del CEP di Campobasso in parte periferica, tradendo in questo modo la filosofia da cui erano nati i quartieri CEP, il luogo prescelto era ben collegato con la città, rispondente alle previsioni di piano, oltre che storicamente destinato a questo scopo (vedi P.d.R. di L. Piccinato e C. Antonelli).


Progetto per la Casa Littoria, 1938

Nel confronto tra le previsioni di espansione della zona est del piano del '42 ed il progetto CEP, si può rileggere l'evoluzione della cultura urbanistica italiana che, partendo dai modelli delle siedlungen, approdava, dopo le aperture culturali verso le esperienze inglesi e americane e l'assimilazione della filosofia della neighborhood unit, al "quartiere coordinato".
Attualmente il CEP conserva una sua indiscutibile riconoscibilità ed individualità attestata anche da una buona qualità tecnologica, realizzata con materiali locali e controllata attraverso un rigoroso impianto modulare a maglia quadrata che abbassò notevolmente i costi di costruzione.

Con la costruzione di alcuni nuovi quartieri, ma soprattutto con il grande boom dell'edilizia della fine degli anni cinquanta, Campobasso cominciava a realizzarsi come città che, però, perdeva, a causa di un occasionale sviluppo urbano, accompagnato da una scadente qualità abitativa, le peculiarità e la fisionomia di città "disegnata", e quindi razionalmente pensata, per manifestarsi, nella fascia periferica, simile ad altre realtà urbane, con uno scadimento della propria immagine e della "forma urbis".
La grande richiesta di abitazioni, gli enormi investimenti nell'edilizia, i fenomeni di conurbazione derivanti da uno spopolamento delle aree interne, unitamente ad una perdita di qualità nel complessivo processo di costruzione edilizia comportarono una decadenza della fisionomia urbana, generata, anche da una carenza di proposte tipologiche, formali e linguistiche innovative, per cui è evidente in molti edifici il reiterato riproporsi di modelli espressivi scontati e molto spesso banali.
Inoltre il continuo abusivismo edilizio (tutti gli edifici risultano realizzati con almeno due piani in più), tollerato quanto non provocato da un lassismo amministrativo disarmante, accompagnato da un'assenza di cultura della città, riducono l'urbanistica a mero ed improvvisato soddisfacimento di bisogni abitativi, cosicché anche le funzioni del piano regolatore del 1952 risultano di fatto contraddette da una deleteria pratica edilizia.
Infatti l'iniziale progetto fu solo in parte eseguito secondo le indicazioni dei progettisti, poiché, in fase esecutiva, questi furono sostituiti da altri professionisti che modificarono in modo anche rimarchevole la primitiva impostazione.
E' ancora possibile, per fortuna, rileggere, in alcuni elementi, le accorte e calibrate volumetrie, anche se snaturate da tagli improvvisi; ma, soprattutto, è ancora chiara la raffinatezza tecnologica e costruttiva manifestata dalla meticolosa scelta dei materiali, tipica della ricerca di Ridolfi e Frankl, espressa dalle tessiture strutturali e dai pannelli prefabbricati con paramento di graniglia grossa.
Negli anni sessanta, pertanto, nel Molise, a parte qualche isolato episodio, si ha una caduta di tensione nella ricerca disciplinare, proprio nel momento in cui il boom edilizio cominciava ad alterare gli antichi assetti urbani.
La morte del pittore M. Scarano, avvenuta nel '62, se da una parte concluse un periodo quarantennale di fervida attività di questo artista, che aveva vissuto tutte le esperienze succedutesi nel tempo nel campo delle arti figurative, dall'altra pose anche termine ad un'epoca di relazioni culturali e di amicizia con gli architetti romani che operavano nel Molise; gli artisti molisani, però, nonostante questi rapporti, non riuscirono ad aprirsi appieno alle nuove esperienze artistiche ed in particolare, nel campo delle arti visive, all'informale.
L'isolamento culturale che l'ambiente molisano si trovò a vivere nel campo dell'architettura negli anni Sessanta, per la mancanza di questi fecondi rapporti con altre realtà, rinchiuse in se stesso un ambiente che già di per sè era restio al dialogo ed al confronto.
Come ha sostenuto G. Iovine "la cultura popolare nel sud ha dei precisi connotati, una sua autonomia e significazione storico-sociale. Non possiamo però non osservare che a questo tipo di cultura corrispondano un sottosviluppo economico e una dequalificazione professionale che pongono il problema del rapporto tra cultura popolare e cultura elitaria oltre che il problema della identificazione della politica culturale meridionale con la politica culturale nazionale.
In effetti per noi questo scarto è rilevabile anche nel campo dell'architettura, non tanto però per la dequalificazione professionale che comunque in molti casi c'è stata ed è stata notevole, quanto però per la incapacità da parte della politica di fare emergere e lievitare delle istanze culturali che comunque la società manifestava e che molto spesso venivano represse ed isolate; da qui, da parte di molti buoni architetti, un affannoso rincorrere le occasioni e le possibilità di espressione sempre negate e scoraggiate. L'ultimo episodio significativo di un fecondo rapporto in quel periodo tra architetti esterni e personaggi locali si ha con il Piano Territoriale del Molise del 1964.
Le proposte conclusive evidenziate nel piano Regionale del Molise del 1964 tendevano ad "individuare e circoscrivere i campi di azione per le successive fasi di studio e per interventi pilota, nonché di prospettare ai singoli comuni... quei provvedimenti urbanistici che meglio si adattavano alla situazione attuale del loro territorio e che, se pur attuati, non intralceranno il futuro lavoro di pianificazione regionale".
Pertanto la visione del piano era quella di un'urbanistica costruita "in progress" che verificasse le scelte generali in fasi successive di pianificazione e di progettazioni settoriali di dettaglio, secondo un processo a cascata di scelte di localizzazione in funzione delle previsioni insediative basate sulle reali vocazioni territoriali.
La stessa suddivisione del territorio in tre grandi zone, scaturita da un'attenta analisi delle caratteristiche dell'ambiente geografico e della polarizzazione urbanizzativa ormai in atto sui tre centri di Campobasso, Isernia e Termoli, generava una previsione che successivamente si è dimostrata realistica e mirata.
Infatti è degli anni ottanta un'idea di organizzazione territoriale per aree metropolitane che, nel caso del Molise, avrebbero potuto strutturarsi intorno ai suddetti centri di attrazione territoriale.
La suddivisione delle zone in comprensori e circondari tendeva ad individuare le "analogie di interessi" tra più comuni in modo da normalizzare l'economia locale e portare realtà altrimenti disperse e di piccole dimensioni ad organizzarsi, al fine di programmare lo sviluppo economico e territoriale secondo linee direttrici che coniugassero la massima produttività con l'economicità di intervento. Anche in questo caso nelle previsioni del piano si intravede un'ipotesi di riorganizzazione territoriale ed istituzionale di realtà comunali che la legislazione degli ultimi anni ha contribuito ad affermare. Nelle previsioni del piano erano anche individuate alcune ipotesi di viabilità primaria e secondaria che sono successivamente state in parte realizzate ed in parte superate.
I settori relativi all'agricoltura ed all'industria, ampiamente studiati, portavano a previsioni non molto diverse rispetto a quanto poi nella realtà si è concretizzato. Infatti per quanto riguarda la realizzazione di due zone industriali nelle aree di Termoli e Boiano le ipotesi fatte si sono rivelate giuste, mentre non era stata fatta alcuna previsione di localizzazione industriale per la zona di Venafro-Isernia.
Gli altri settori dell'attività economica relativi al Commercio, Artigianato e Turismo, analizzati in modo accurato, furono oggetto di previsioni abbastanza aderenti rispetto alle concrete vocazioni territoriali.
Il valore urbanistico del piano è però rintracciabile soprattutto nelle accurate analisi economiche e sociali, nella organizzazione territoriale per comprensori e circondari e nella definizione di interventi progettuali "pilota" o "sonda", come vennero definiti, che avrebbero dovuto verificare e suffragare le ipotesi di studio controllando e perfezionando gli strumenti operativi.
Mancava invece una valida analisi della struttura territoriale, indagata nelle sue qualità formali e paesistiche dell'ambiente e del sistema insediativo, che certo avrebbe consentito di prefigurare e condizionare ancora meglio lo sviluppo successivo; purtroppo quel piano restò sulla carta e non ebbe alcuna conseguenza sul concreto sviluppo del territorio e sulla attuazione degli interventi. Infatti il professor Mandolesi in una recente intervista ha sostenuto che tale piano più che sulla carta è rimasto chiuso in un cassetto anche se in esso "c'erano delle ipotesi abbastanza precise, c'era pure una tavola di prospezioni in cui si individuavano già i piani intercomunali; si vedeva già Isernia come un polo abbastanza importante".
Tra l'altro, in quel periodo, nell'ambito dell'architettura, agli enormi investimenti nell'edilizia privata non seguirono interventi consistenti nella realizzazione di edilizia pubblica, tranne che nel settore delle grandi infrastrutture."
Infatti tra la fine degli anni cinquanta e l'inizio degli anni sessanta si pose il problema degli allacciamenti interregionali con Roma, Napoli e le Puglie per togliere dall'isolamento la regione ed, inoltre, si cominciò ad avvertire l'esigenza della costruzione delle fondovalli che avrebbero dovuto costituire l'armatura territoriale su cui concentrare lo sviluppo.
Una fotografia della condizione del territorio molisano fu fatta con il primo schema di sviluppo regionale a lungo termine per l'Italia" che regi- strò in modo chiaro la situazione e propose soluzioni convincenti, dimostrando, tra l'altro, una grande chiaroveggenza sui fenomeni di degrado economico e sociale che avrebbero investito negli anni successivi la regione.
Infatti si sostenne che anche nel Molise come per altre regioni appenniniche lo "spostamento dei pesi demografici tende a superare i limiti di un fisiologico ridimensionamento e a provocare sia la congestione della esi- gua fascia costiera (con dilapidazione del territorio e arresto dello sviluppo) sia lo svuotamento delle zone interne (con inevitabile perdita, economica e sociale, dei valori urbani e territoriali degli insediamenti storici)".
D'altra parte anche la realizzazione delle infrastrutture lungo le fondovalli, se da un lato sicuramente abbreviò la percorrenza tra i centri di maggiore peso demografico, dall'altro favorì l'esodo delle popolazioni verso le zone di maggior frizione economica, lasciando in totale abbandono aree del territorio e piccoli centri di collina che avrebbero potuto, per le loro caratteristiche storiche e paesistiche, assolvere ad un ruolo più strategico per lo sviluppo economico della regione.
Questo al fine di preservare dal degrado sociale, ma anche paesistico, le ampie zone interne montane "nelle quali attualmente sono in atto l'abbandono dei seminativi e l'ulteriore disboscamento delle pendici, presentano una certa suscettibilità alla utilizzazione forestale e pascoliva. Gli interventi relativi, anche se non presentano una redditività immediata, sono urgenti ed indispensabili per la stabilità e la difesa del suolo per la regolazione dei corsi d'acqua, per la ricostruzione di riserve idriche che diminuiscono sempre di più".
Le ipotesi di assetto territoriale formulate in conseguenza di quello studio furono molto pertinenti e in linea con le aspettative, tanto da prefigurare uno scenario che, se attuato, avrebbe potuto di molto ridurre gli elementi di degrado avutisi negli ultimi trenta anni.
Nel campo dell'urbanistica più concretamente attuabile alla scala urbana, le leggi 167 e 765 introdussero nuove procedure per la programmazione degli interventi sul territorio, e il Decreto ministeriale sugli standards del 1968 compresse la cultura del piano ad una scontata previsione di localizzazione bidimensionale con verifiche quantitative che vedevano nell'esaltazione dello zoning uno sterile appiattirsi degli strumenti urbani- stici ad una dimensione non propria.
Si manifestò allora l'assurdità di molti piani, tra cui quello del '68 per la città di Campobasso e quelli più o meno coevi per le città di Termoli ed Isernia.
Con la perdita di significato del piano urbanistico e di una cultura della città, si ha anche la trasformazione di molti architetti da "intellettuali organici" a "tecnici organici"" abdicando, così, al loro ruolo di soggetti critici ed attenti alla realtà urbana per immergersi in uno scontato quanto appagante professionismo.


A.De Felice, Via Crucis al Cimitero, Termoli, 1969

Gli episodi più significativi da segnalare di questo periodo sono la Via Crucis del cimitero di Termoli dell'architetto A. De Felice, pensata in modo semplice, ma visivamente efficace, con il percorso sacro segnato da una serie di grandi cubi in cemento a vista sulle cui facce furono applicate alcune formelle di bronzo dello scultore N. Colfi, ma, soprattutto, l'ospedale civile di Larino ('69) degli architetti V. Pastor e R. Vitiello."
Quest'ultimo progetto, chiaramente ispirato ai modelli tipologici e linguistici lecorbuseriani di cui i due autori sono sempre stati attenti inter- preti, si impone nello storico paesaggio frentano per la sua dimensione, derivante da una struttura a piastra innalzata su alti pilastri, che specifica il luogo e soddisfa un'esigenza di organizzazione funzionale che altri- menti in quel sito non sarebbe stata permessa."
La complessità tipologica tra funzioni primarie (ospedaliere) e secondarie (percorsi e spazi pubblici) viene esaltata dalla rispondenza spaziale intricata ed originale. Gli anni settanta, segnati soprattutto dalla realizzazione di piani attuativi di iniziativa pubblica e privata," si sono contraddistinti per un ulteriore scadimento della "forma urbis", dispersa in una gestione di routine dei piani esecutivi, anche di grande dimensione, e per una scarsa attenzione dei progettisti verso i problemi dello sviluppo della periferia urbana.
Tranne rare eccezioni, anche nel Molise l'urbanistica si risolve unica- mente nello zoning e nelle verifiche degli standards mentre l'architettura si richiude in uno sterile professionismo che guarda più alla attenzione del grande, e non sempre qualificato, pubblico che non alle concrete possibilità di ricercare nuove soluzioni tipologiche, insediative e linguistiche.
Lo sviluppo edilizio degli anni sessanta-settanta portava, soprattutto nelle aree a più alta tensione abitativa, ad uno snaturamento delle strutture insediative storiche con conseguente degrado della immagine paesistica, anche se molte zone, soprattutto dell'alto Molise conservano gli antichi aspetti.
Infatti C. Brandi in una descrizione del paesaggio del Molise Alto evidenziava che "quando si comincia ad entrare nella valle del Volturno, finita l'autostrada a Cassino, ecco che comincia un paesaggio verde intenso, montuoso senza essere aggressivo, e con una bella strada senza la sconfortante e monotona rigidezza dell'autostrada. La campagna è intensa, i boschi bellissimi e oscuri di lecci e di cerri, il sole splendido: un paesaggio intatto... Così è il Molise, bellissimo e sereno. Qua e là paesi, ma senza essere disabitata, questa campagna è solitaria e intatta senza una coltivazione intensiva è peraltro coltivata... Già questi paesi svariano il paesaggio con garbo, senza le atroci villette che vi si potrebbe aspettare...". Purtroppo la conurbazione avvenuta lungo la statale tra Isernia e Venafro ha notevolmente nuociuto alle caratteristiche di quel paesaggio riproducendo, anche nella realtà molisana, l'insediamento lineare degli edifici produttivi che ha caratterizzato negli anni ottanta l'urbanizzazione di grandi aree geografiche, con una conseguente perdita di qualità dell'immagine del territorio causata, tra l'altro, da pessime architetture.
La pluralità delle ricerche e delle espressioni linguistiche degli anni settanta, oltre all'architettura, coinvolge anche le altre arti figurative, dove con il "Gruppo 70"," formato dagli artisti Walter Genua, Augusto Massa, Pasquale Mastropaolo e Antonio Pettinicchi, si cerca, utilizzando un linguaggio mutuato dalla pop art, di contestare la civiltà tecnologica ed il consumismo capitalista.
In architettura le esperienze locali sono vissute di ritorno, anche per la formazione di molti laureati che cominciano a segnare una presenza diffusa sul territorio, pur se non sempre testimoniata positivamente. Il ritorno di interesse verso il problema abitativo, manifestatosi anche a livello nazionale con molti interventi scritti e progettuali, condiziona in modo significativo le esperienze di questi anni, anche in ambito locale.
Quel dibattito, tutto teso a recuperare l'impegno degli architetti verso il problema della casa," segnò ancora di più un distacco rispetto al tema complessivo della costruzione della città, riducendo la questione, di per sè esaltante, in un ambito disciplinare ristretto e chiuso. "Il disagio abitativo che si rivela nella regione è attribuibile non tanto a motivi di carattere quantitativo quanto a motivi di carattere qualitativo"." dove per qualità si intende un'insoddisfacente dotazione funzionale generata da una notevole vetustà del patrimonio abitativo che indirizza, più che ad un recupero dello stesso, ad una richiesta di nuove abitazioni.
La cooperativa "Giustina" a Larino dell'architetto R. Vitiello dimostra l'attenzione del progettista per i problemi tipologici e del buon costruire oltre che una particolare cura nella impostazione dell'insediamento e della sua immagine che, purtroppo, sconta la separazione con la città storica.


M.L.Benevento, Edificio Abitazioni e negozi, Campobasso, 1970

A Campobasso l'edificio per abitazioni e negozi in via Leopardi di M.L. Benevento rivela un'attenta cura nell'uso del cemento a faccia vista martellinato e una ricerca di soluzioni linguistiche particolari con l'andamento delle travi marcapiano ad asse spezzato e l'alternanza nel prospetto di aperture finestrate e balconate.


Parrocchia S.Giuseppe, Campobasso

La stessa chiesa parrocchiale" al CEP di Campobasso dell'ingegnere. E. Mandolesi, pur nella commistione di citazioni linguistiche, è, per la sua rigorosa impostazione tipologica e per alcune raffinatezze tecnologiche e costruttive, tipiche della sensibilità dell'autore, una delle migliori costruzioni del periodo. E. Coppola fu ad Isernia l'unico architetto che riuscì ad emergere, segnando con le sue opere, ed in particolare con il palazzo del Tribunale, l'immagine della città.
Negli anni Settanta, all'interno delle previsioni di sviluppo industriale, indotte dagli insediamenti Fiat nel Mezzogiorno, si concretizzano degli interventi di edilizia abitativa, programmati direttamente dalla industria torinese, che interessarono anche alcuni comuni molisani.

M.L.Bemevento, D.Dolce,  Sede Impresa Falcione, Campobasso, 1984

Nelle realizzazioni, progettate dal gruppo composto da L. Quaroni, V. Passarelli, F. Karrer, si ritrovano tutti i limiti dei sistemi costruttivi basati sulla prefabbricazione, nonostante sia evidente la ricerca di presentare un organismo architettonico tipologicamente ed espressiva- mente meno scontato, attento al dettaglio ed ai problemi di esecuzione, anche se condizionato dalla ripetitività del sistema costruttivo.
Nel filone delle progettazioni residenziali, soprattutto come ricerca di nuove tipologie, si inseriscono limitate proposte, di cui alcune realizzate. di giovani architetti." Queste, nate dalla necessità di dare risposte alla richiesta di abitazioni, difettano in molti casi nel rapporto con la città e con il sistema insediativo esistente.
Le esperienze fatte nel campo dell'edilizia residenziale negli anni set- tanta non hanno corrisposto alle attese che pur un dibattito e le ricerche effettuate in quel periodo avevano suscitato. Le varie proposte tendevano più a ricercare soluzioni ammiccanti verso le richieste della committenza che non a sperimentare tipologie e modelli linguistici originali e diversi.
Inoltre, molto spesso, la riproposizione di motivi ed immagini architettoniche mutuati dalle esperienze internazionali, come ricerca di moduli espressivi accattivanti, impoveriva una pratica professionale che forse avrebbe potuto essere molto più audace ed impegnata.


Cassa di Risparmio, Campobasso, 

Nel campo dell'edilizia non abitativa sono da segnalare il progetto degli architetti M.L. Benevento e D. Dolce per il centro meccanografico della Cassa di Risparmio Molisana, nitido e rigoroso nella impostazione tecnologica e costruttiva quasi miesiana; la sistemazione della zona ex "Parco Dolce" a Termoli dell'architetto A. De Felice, che prosegue nella sua personale ricerca sulla complessa artificiosità della natura tipica delle opere di Burle Marx; il progetto per l'appalto concorso per la questura di Campobasso degli architetti D. Lagonigro e E. Natarelli, tipologicamente impostato con una forma chiusa a fortilizio, ma espressivamente esaltato da una articolazione volumetrica ammiccante verso la città; il progetto per il poliambulatorio di Trivento dell'architetto Ruggiero, chiaro nella sua impostazione tipologica e conforme alle esperienze ed alle espressioni linguistiche degli anni Settanta." D'altra parte le occasioni per la realizzazione di grandi opere pubbliche o di progetti concorso, comunque stimolanti per il dibattito sulla architettura, erano sempre più rare a causa di un rinchiudersi della cultura molisana e dei rappresentanti istituzionali in un ambito sempre più angusto e restio al dialogo ed al confronto dialettico con altre realtà; cosicché anche l'apporto degli architetti romani, che nei decenni precedenti c'era stato e comunque aveva rappresentato un momento significativo nella costruzione della città, venne a mancare mettendo a nudo, così, una realtà stagnante e poco incline ad una seria riflessione critica.


Parco Dolce - Termoli

Lo stesso perverso intreccio tra politica e gestione delle opere pubbliche cominciava a produrre ambigui rapporti tra una classe professionale e i rappresentanti delle istituzioni che tendevano ad emarginare anche le forme più vive della intellettualità locale a favore di un rapporto di clientela e di subalternità della cultura alla politica, causa di tanti guasti nel tessuto della città. Inoltre, per un lungo periodo, a partire dal PRG di Campobasso degli anni cinquanta fino ad oggi, l'urbanistica, intesa come "arte di costruire la città" è stata completamente rimossa dal dibattito culturale molisano, nonostante la formazione ed approvazione di moltissimi piani derivanti dagli obblighi della legge 765."
Non si sono verificati in questo ultimo ventennio esperienze significative di progetti urbanistici" che fossero più attenti ai problemi della qualità urbana e territoriale, tranne, ma solo in parte, il PRG di Petacciato di S. Rossi, il piano per l'utilizzazione della fascia costiera di Montenero di Bisaccia dell'architetto M. D'Intino ed il Piano Territoriale Paesistico.
La città, la sua identità ed i suoi elementi costitutivi più evidenti o nascosti sono stati nel Molise, nonostante pubblicazioni e ricerche che, però, non hanno colto i significati più profondi, anche ai fini operativi. della evoluzione urbana e del territorio, completamente dimenticati e rimossi per ragioni economiche e politiche, ma anche e, soprattutto, per la mancanza di "capacità culturale" di molti "tecnici organici".
La stessa classe politica, per quanto detto in precedenza, non è stata in grado di rappresentare le esigenze di una civiltà e quindi non ha assolto al compito di stimolo culturale, ma soprattutto non ha nemmeno ben compreso il ruolo che avrebbe dovuto assolvere: è mancato il Principe cosicché anche l'Architetto non è riuscito ad esprimersi al meglio.
Come sostenuto da Argan nel dibattito tenutosi a Termoli nell'ambito della mostra Anabasi del 1980 "Nella condizione presente appare assolutamente certo che l'istituto-città è destinato a sopravvivere, che per sopravvivere dovrà riformarsi e che a riformarlo dovrà essere l'architettura, sempre che riesca ad imporre la propria etica e la propria logica disciplinari ai gruppi che detengono di fatto il potere di decidere la sorte delle città. Bisogna dunque che si cerchi di considerare la architettura come una delle belle arti e si riconosca ch'essa è la prima delle tecniche urbane, a cui dunque spetta l'intera responsabilità della gestione della città e delle sue trasformazioni".
Nonostante questo difficile rapporto tra istituzione e cultura, l'architettura degli anni ottanta, invece, manifesta una rinnovata vitalità, in parte dovuta alla presenza delle giovani generazioni che comunque hanno comunicato il fervore degli interessi e delle "nuove tendenze" discusse nell'ambito delle facoltà di architettura, in parte perché anche la generazione degli architetti più anziani ha recuperato lo stimolo del confronto e della ricerca progettuale.
Ai nuovi temi proposti dal dibattito architettonico riferiti al luogo, al contesto, al rapporto con la storia e la struttura (tipo-morfologica) della città, al mestiere, come cultura materiale del fare architettura, alla trasformazione o modificabilità del territorio, si uniformano le proposte delle nuove e vecchie generazioni; da qui nascono nuovi ed interessanti episodi di architettura che si manifestano nelle forme e nelle località più disparate.
Sono da segnalare tra i progetti redatti nei primi anni ottanta il municipio ('80) di Petacciato dell'architetto R. Vitiello, che ripropone moduli espressivi e tecnologie tipiche dell'architettura di L. Kahn; il complesso parrocchiale (81) San Bartolomeo e San Paolo a Campobasso dell'architetto R. Ruggiero, planimetricamente e volumetricamente articolato e complicato, oltre che fortemente caratterizzato per l'uso del cemento a faccia vista; il progetto concorso ('81) degli architetti molisani S. Lalla e G. Spina per il museo di arte moderna di Montréal, dove con un linguaggio attento ed aderente alle ricerche espressive del tempo, si ricerca anche un dialogo spaziale e funzionale con le preesistenze; alcune realizzazioni di edilizia residenziale a Campobasso dell'architetto M.L. Benevento, attenta interprete delle evoluzioni del linguaggio architettonico; le case a schiera ('80) e la casa unifamiliare ('82) a via Monforte a Campobasso degli architetti D. Lagonigro e E. Natarelli," l'ampliamento del municipio di Campobasso dell'architetto D. Martino. Continua però a mancare nel Molise, come in Italia, anche in questa molteplicità di espressioni e ricerche, una politica per la città che riproponga i temi dell'architettura e dell'urbanistica come centrali per lo sviluppo del territorio; la committenza pubblica è latitante o attenta al problema edilizio solo per interessi di parte, mentre quella privata sconta una realtà territoriale ed un assoggettamento al mercato che ne annullano anche le potenziali aperture."


D.Martino, Ampliamento Municipio, Campobasso, 1978

Anche la modernizzazione, che ha investito molte realtà meridionali, solo in parte ha interessato la regione che continua a vivere grandi contraddizioni tra aree più sviluppate e aree interne, non annullate, peraltro. da grandi investimenti che pure vi sono stati, anche se non rispondenti ad un disegno di sviluppo territoriale omogeneo.
Le grandi ricerche strategiche relative alle infrastrutture primarie, alla riqualificazione produttiva ed ai servizi avanzati sono state subordinate ad interventi di corto respiro che cercavano di rispondere alle richieste localistiche solo per ricalcare in forma immediata un sistema di potere e di condizionamento del consenso, accantonando, tra l'altro, una visione più alta dell'organizzazione dell'economia e del territorio.
Anche lo studio per la realizzazione del Parco dell'Alto Molise effettuato dal gruppo diretto dal Prof. Lacava, se da una parte attesta l'attenzione verso i problemi ambientali e della salvaguardia dello stesso, dal- l'altra dimostra l'impossibilità di tradurre in termini operativi proposte di un certo rilievo.
Per cui anche nel Molise si verifica che "in nome di un astratto pluralismo, ognuno sembra lottare ciecamente per il proprio successo piuttosto che costruire solidarietà intorno alle questioni disciplinari ed impegno intorno ai problemi collettivi, dove l'architettura potrebbe avere un ruolo importante"
A tutto questo, ma solo in minima parte, fa eccezione nel settore delle arti visive un certo attivismo, pur se non sempre programmato, del Comune di Campobasso nei confronti delle nuove espressioni artistiche, con la predisposizione di numerose mostre.



In questo contesto di pluralismi linguistici, si inserisce la proposta di P. Portoghesi, commissionata dalla Banca Popolare del Molise, per la costruzione a Campobasso della propria sede e di quella della Giunta Regionale in un contesto urbanistico centrale ed altamente sensibile ad ogni trasformazione. Il progetto della Banca di indubbio rilievo, testimonianza e sintesi delle ricerche di P. Portoghesi, ma, soprattutto il piano urbanistico, comprendente anche la sede della Giunta Regionale, si inseriscono nel luogo, "visto non come un'isola ma piuttosto come l'acqua di un fiume, che passando lega tra loro (riflettendole) immagini diverse, legate da un rapporto di contiguità o almeno di vicinanza", manifestando una certa alterità rispetto alla struttura storica della città, senza nulla togliere, però, all'affascinate volume scavato dell'edificio bancario che, come uno "scrigno", raccoglie le "gioie" dell'architettura.


Agenzia delle Entrate - Campobasso

Molte proposte degli ultimi anni restano più esercitazioni progettuali di buon disegno, dove la qualità viene evocata attraverso immagini ripetitive di stilemi diffusi dalla pubblicistica, che non ricerche originali sul modo di costruirsi dell'architettura e sul suo rapporto con il sistema insediativo e con il territorio; in buona sostanza sulla buona costruzione intesa in senso classico come corrispondenza tra "firmitas", "utilitas" e "venustas".
Sono da segnalare il progetto per gli Uffici Finanziari a Campobasso, del Provveditorato alle OO.PP. e la sede della Banca d'Italia a Isernia dell'architetto P. Cercato.


Museo del Paleolitico - Isernia

Un progetto di grande rilevanza ('87) è stato redatto per il museo paleolitico di Isernia, commissionato dalla Soprintendenza alle AA.BB.AA. del Molise allo studio "Associati Associati" di Brescia, che con la proposta hanno teso a rendere lo spazio museografico come un momento significativo e particolare dello sviluppo del territorio e del paesaggio; per questo il piano diventa il pretesto per costruire un "sistema paesaggistico-scenico composto dalla successione di tre parchi che, partendo dalla città, in una sequenza di episodi architettonici, segna in modo peculiare il paesaggio, misurandone ed esaltandone gli aspetti più emblematici.
In questo progetto si può sicuramente ritrovare un'indicazione operati- va per gli interventi sul territorio regionale, in quanto, riconducendo il problema dell'architettura alla costruzione del paesaggio, si suggerisce, attraverso la dialettica tra natura e cultura, un metodo per la "identificazione" del luogo come momento centrale e condizionante ogni opera di modificazione.



La proposta per la struttura polifunzionale dell'Università degli studi del Molise a Campobasso, di cui è stato coordinatore l'architetto M. Pica Ciamarra ripropone, anche se con minore tensione espressiva, la ricerca di questo architetto per una spazialità complessa, contrapposta, in questo caso, al volume stereometrico dell'involucro esterno, segnato da una copertura inclinata percepibile dalla piccola corte e dall'atrio interno.
Il planovolumetrico dello stesso autore per la sede principale dell'università, localizzata in un'area centrale tra la struttura storica della città e la prima periferia, dimostra invece un'estraneità, rispetto alla struttura urbana complessiva, ed una leziosità nella ricerca di volumetrie particola- ri che contrasta anche con l'organizzazione complessiva interna di tutto il complesso.
Anche questa, purtroppo, è stata un'occasione mancata per la città di Campobasso che avrebbe potuto meglio esprimere proprio in questo luogo una continuità storica con una struttura insediativa fortemente identificata.
Proposte significative si ritrovano, anche, in alcuni progetti residenziali  realizzati con rigore professionale dall'architetto A. Di Virgilio a Campobasso; nella scuola materna a Portocannone e nella casa Piscitelli (86) a Campobasso dell'architetto E. Natarelli, testimonianti una ricerca di novità espressive; in alcuni complessi residenziali a Campobasso degli architetti S. Lalla e G. Spina, tipologicamente ricercati; in realizzazioni dell'architetto M.L. Benevento, attente ai problemi linguistici; nel fabbricato per appartamenti e negozi degli architetti De Vito in Via Monsignor Bologna a Campobasso, manifestazione di una ricerca aderente ai nuovi canoni espressivi del razionalismo degli anni ottanta; nella compostezza compositiva e nel rigore formale dell'architetto N. D'Addio, espressi nel progetto per la caserma dei carabinieri a Guardialfiera; nel progetto per la casa per anziani ('87) di San Giovanni in Galdo degli architetti M. Conte e R. Fratangelo.



Nelle proposte degli ultimi anni di alcuni giovani architetti, si rileva, anche se in parte, una maggiore attenzione per i problemi del cantiere, del "buon artigianato" e del "corretto costruire", a testimonianza di un cambiamento di direzione che si è avuto nel corso degli anni ottanta nella formazione degli architetti.
In questo contesto sono da evidenziare la sensibilità e la padronanza tecnica e costruttiva nell'uso del mattone a vista manifestate dall'architetto B. Fiacco nel progetto per la realizzazione di un edificio di abitazione (91) a Campobasso, ed alcune proposte realizzate nella provincia di Isernia dall'architetto R. Franchitti che, recuperando alcuni elementi della storia e delle tradizioni costruttive locali, cerca di superare, in un progressivo affrancamento linguistico, alcune impostazioni legate al postmoderno.
In altri casi le proposte progettuali sono più precise e dettagliate manifestando una grande attenzione verso i problemi di gestione del progetto che viene pensato in ogni dettaglio.
Su questo fronte si attestano la ricerca sulla razionalità compositiva e linguistica, oltre che sul rapporto con gli elementi costitutivi del contesto, dell'architetto A. Carlomagno con le proposte per un parco pubblico in Agnone ('90) e per il museo ecologico (91) del parco regionale del Molise a Pescolanciano e i progetti dell'architetto C. Antonelli per il Palazzetto dello sport di Campobasso e dell'architetto G. D'Uva per l'IACP a Termoli.
Le stesse tensioni e caratteristiche progettuali si ritrovano nel progetto di edificio per abitazioni a Larino, nell'ampliamento del cimitero di Campobasso, nella casa dello studente e dei servizi Esu sempre a Campobasso dell'architetto Vitiello. Sono da segnalare anche il progetto concorso per il "Completamento della Avenida Diagunal" di Barcellona dell'architetto M. Bourelly che si inserisce nei lotti di Cerdà con due torri gemelle, segnate dalle controventature a tutta altezza e da due piazze sistemate a livello intermedio ed alcune realizzazioni a Termoli degli architetti N. D'Errico e G. Zaccheo.
Un progetto certamente emblematico e sottilmente provocatorio, anche rispetto al modo in cui fino ad oggi si tutelano i rinvenimenti archeologici, è quello dell'architetto F. Pedacchia che, con la costruzione di una copertura (91) di una piccola area archeologica a Isernia, ha inteso effettuare un'acuta operazione di "decostruzione culturale" oltre che linguistica, testimoniata dalla complessità delle soluzioni tecnologiche e dalla varietà e molteplicità degli effetti percettivi e spaziali.
Non si sono mai avute nel Molise, tranne che per la mostra Anabasi, particolari manifestazioni riguardanti l'architettura; solo nel 1993 c'è stata un'esposizione laboratorio "Disegnare la tradizione" che riguardava però i mobili ed i complementi di arredo eseguiti da architetti, artigiani e da artisti molisani.
Solo pochi sono stati gli elementi di arredo significativi che si sono rapportati in modo emblematico al linguaggio ed alle forme dell'antica tradizione artigianale delle utensilerie, reinterpretandone i significati e gli aspetti con risultati talvolta anche originali.
In particolare sono da segnalare la poltrona "Pupilla" di Angela Bernardo che ripropone forme di antichi giocattoli; "Otella" di Patrizia ed Ornella Oriente le quali hanno disegnato una culla che attinge la propria forma dalle antiche botti di vino; il tavolino-bar "Aprosino" di G. Zampini, ispirato alle antiche forme dei bracieri e il tavolino con lampada "ù Pellicce" dell'artigiano G. Niro il quale ha reinterpretato la forma del crivello trasponendola in una lampada neoliberty.
Le intenzioni della mostra, peraltro buone, purtroppo si sono scontrate con una crisi nella produzione degli oggetti utensili che deriva oramai dal distacco tra il mondo dell'artigianato e la produzione intellettuale per cui, e non a caso, in molte proposte è stato proprio l'artigiano acculturato che è riuscito meglio ad esprimersi ed a creare forme meno scontate e ripetute.
Le nuove esperienze linguistiche, plurime e discordanti, verificatesi negli ultimi anni nel settore dell'architettura, con molte contraddizioni e solo in parte, si coniugano con le ricerche di alcuni artisti di avanguardia quali F. Battista, P. Borrelli, D.G. Lorusso, P. Mastropaolo, M. Peri che, nel campo delle arti visive, contestando uno scialbo figurativismo, tendo- no a ritrovare, attraverso un sofisticato astrattismo, le radici profonde delle espressioni artistiche molisane.
A testimonianza, questo, di un dialogo che ormai da tempo, e non solo nel Molise, si è interrotto tra le arti visive e l'architettura e che necessita di essere riattivato per il bene comune, ma soprattutto per ritrovare quella giusta tensione culturale che riproponga la città come luogo di arte ed "arte essa stessa" come ha sostenuto L. Mumford.