Da Campobasso e la sua toponomastica di Barbara Bertolini
ANTONIO CARDARELLI
Ogni giorno centinaia e centinaia di persone pronunciano il suo nome senza sapere di chi si tratta. Ma Antonio Cardarelli è il molisano più conosciuto in Italia perché alla sua memoria sono intitolati ben due ospedali importanti, quello di Napoli e quello di Campobasso e varie strade, tra cui, oltre a Campobasso e Napoli quelle di Ragusa, Modena, Arzano, Andria, Matera, ecc... L’Ospedale di Napoli venne costruito nel 1927, solo nel 1943 venne intitolato ad Antonio Cardarelli, clinico ricercatissimo, maestro venerato, senatore del Regno ̶così dice l’insegna ̶. Mentre, inaugurato nel 1927, l’Ospedale di Campobasso, per volontà del Prof. Montalbò, suo discepolo, venne intitolato giustamente al sommo clinico. Nato sotto il segno dell’ariete, a Civitanova del Sannio, il 29 marzo del 1831 dal medico Urbano e dalla baronessa di Belmonte del Sannio, Clementina Lemme, Antonio Cardarelli è stato uno dei più geniali e longevi clinici della storia italiana. Longevo perché insegna fino alla veneranda età di 92 anni. E sentite cosa succede quando è costretto, da una legge, a lasciare l’insegnamento universitario: «In un lontano giorno del 1923 un corteo numeroso di giovani allievi della Facoltà di Medicina di Napoli, proveniente dall’edificio centrale dell’Università in Corso Umberto, sfilò in via Santa Maria di Costantinopoli trainando a mano una carrozza a cui erano stati tolti i cavalli; il corteo era seguito da una folla di professori universitari, medici e gente del popolo ed era accompagnato da lancio di fiori e da scroscianti applausi dei passanti. In quella carrozza sedeva un vecchio signore, piccolo, distinto ed elegante, che sorrideva dietro i suoi candidi baffi bianchi: era Antonio Cardarelli, il geniale clinico che a novantadue anni era stato costretto dalla nuova legislazione dell’epoca a ritirarsi dall’insegnamento.» (Andrea Jelardi) Questa è la conclusione di una brillante carriera di un uomo divenuto ormai una leggenda. Ma ripercorriamo tutta la vita di questo arguto clinico, di sicuro il più famoso che Napoli abbia mai ospitato. Come i giovani benestanti del suo tempo, da ragazzetto frequenta, con successo, insieme ai fratelli, il Seminario di Trivento. Scelto di seguire le orme paterne, a 17 anni, dopo la maturità, va a Napoli. A Napoli vi capita proprio nel famoso ’48, (il detto “è successo un quarantotto” è proprio di quel periodo 1848), l’anno dei moti carbonari che miravano ad ottenere la Costituzione da Re Ferdinando II° di Borbone. Lui che ha acquisito in famiglia idee liberali, partecipa ai moti, attirandosi vari problemi. Infatti viene sorvegliato discretamente e la polizia borbonica si insospettisce quando scopre che molti studenti vanno e vengono dal suo alloggio universitario. E’ subito fermato ed interrogato: i suoi professori e gli studenti dovranno andare in commissariato a spiegare che i giovani vanno nel suo alloggio non per tramare ma solo per farsi seguire da lui o spiegare le lezioni perché Antonio Cardarelli, malgrado la giovane età, ha una capacità innata di rendere facile concetti difficili. Si laurea a 22 anni e, l’anno dopo, si sposa con la figlia di un medico napoletano, Annunziata Giannuzzi. Il loro è stato un matrimonio lunghissimo durato ben 73 anni, non allietato, però, dall’arrivo di figli. La moglie gli è sopravvissuta. Nel 1859 si presenta al concorso per assistente presso l’Ospedale degli Incurabili, pare per un colpo di fortuna, perché qualcuno con il cognome simile al suo non risponde all’appello e lui ne approfitta superando poi brillantemente la selezione. In quell'occasione, infatti, nella sua acuta dissertazione sulla scabbia, sostiene per primo l'origine parassitaria della malattia. Nell’ospedale lo incaricano anche di insegnare la semiotica di cui era divenuto espertissimo, insegnamento che già aveva iniziato privatamente nel suo studio e nel collegio medico nel quale era stato studente. Successivamente gli fu permesso di insegnare patologia e clinica medica. Agli Incurabili vi rimarrà per 31 anni, percorrendovi tutta la carriera ospedaliera: assistente, aiuto, direttore di sala, primario e consulente.. Nel 1890 vince la Cattedra di Patologia speciale medica alla Regia Università napoletana, passando successivamente a quella di Clinica medica. In questo passaggio il suo prestigio è tale da rendere il concorso una pura formalità. L’insegnamento universitario, come già detto, durerà fino al 1923, ben oltre i limi di età per i suoi straordinari meriti, e questo grazie ad una apposita legge. Quello che ha fatto “grande” quest’uomo è stato il suo infallibile “occhio clinico”, la spiccata capacità di armonizzare il fatto con la teoria. Infatti Cardarelli è ben presto stimato come il più eccezionale clinico del suo tempo per il singolare intuito di cui dà prova e la prontezza quasi miracolosa delle sue diagnosi. Il suo motto è “observatio et ratio” (osserva e ragiona) e la sua scuola pone a base di ogni giudizio i dettami dell’osservazione diretta. Ma anche le sue ricerche sono fondamentali come quella di aver portato in primo piano la semiotica perfezionandone il metodo. Ha pubblicato studi nei più svariati campi della medicina. Tra i più interessanti sono da ricordare quelli sugli aneurismi, sui tumori, sulle malattie funzionali e nervose del cuore e sulle pseudo leucemie dei bambini. Studi questi, che sebbene datati sono ancora utili al medico moderno. Il dottor Italo Testa ha raccolto proprio ultimamente le sue lezioni che non ho potuto consultare perché la Biblioteca Albino è ancora chiusa. Il popolino parlava di Cardarelli come di un medico infallibile, ma egli rifiutava questa definizione perché diceva che il bravo medico è quello che sbaglia il meno possibile. Il medico diagnostica non divina e la diagnosi si fa per segni e non per ispirazione, perché era l’attenta osservazione del paziente a permettergli di diagnosticare la sua malattia. Questa era una delle prime lezioni che teneva ai suoi allievi. Infatti, l’attività alla quale Cardarelli si è dedicato con maggior passione è stata senz’altro quella dell’insegnamento perché aveva una dote naturale nel trasmettere la sua esperienza con acutezza e chiarezza. Come racconta il molisano Luigi Montalbò, che fu suo discepolo, le lezioni del Cardarelli, sempre affollatissime, cominciavano con l'accuratissima storia clinica del malato, sempre presente in aula, poi la puntigliosa ricerca di segni obiettivi e poi il ragionamento clinico, serrato, preciso, logico, che portava alla diagnosi. Quando il paziente passava a miglior vita, tutti gli studenti si recavano in anatomia dove l’allora professor Otto Von Schron eseguiva l'autopsia e, quando la diagnosi difficile era esatta, anche il rigido anatomo-patologo esclamava: "Questa diagnosi la poteva fare solo il Padre Eterno". Ma quando la diagnosi non era confermata il Maestro ne faceva oggetto di altra lezione nella quale riesaminava tutti i punti per far comprendere dove era stato commesso l'errore perché, diceva, “quando si sbaglia è necessario parlare dell'errore commesso perché in tal modo si evita di ricadervi e si aiutano gli altri a non commetterlo". All’epoca non esistevano strumenti diagnostici, tutto era affidato all’acume, all’occhio clinico aggiunti ad un illuminato sapere. E gli aneddoti sulla capacità del Cardarelli di cogliere i segni precoci di malattie si sprecano. Per esempio, fu l’unico a diagnosticare, attraverso la sola lettura dei bollettini medici, un cancro alla pleura a papa Leone XIII (e su questo pubblica nel 1903 un articolo). Infatti all’Università si seguivano e si commentavano i bollettini medici che venivano emessi ogni giorno dai sanitari del Vaticano. E un discepolo chiese al Cardarelli cosa ne pensasse della diagnosi. E lui, che non si tirava mai indietro proprio perché in quel momento stava trattando in aula il tumore pleurico, spiegò che si doveva trattare proprio di questo e non di pleurite essudativa come diagnosticavano i medici al capezzale del Papa. Lo studente, che era anche giornalista, pubblicò un articolo avanzando la tesi del Cardarelli creando un putiferio. Ma alla fine ad aver ragione fu il clinico molisano. Fece diagnosi di tubercolosi laringea ad un cantante ascoltando la sua voce durante un concerto e diagnosticò un aneurisma dell'aorta ad un pescivendolo semplicemente ascoltando le sue grida. Si racconta anche di un famoso scherzo che gli fu fatto: alcuni colleghi invidiosi gli fecero visitare un altro collega che si finse ammalato. Egli, dopo un attento esame, diagnosticò una nefrite cronica e prognosticò pochi giorni di vita al paziente. Quando i colleghi gli rivelarono la burla, Cardarelli non si scompose minimamente: meno di due settimane dopo il finto paziente morì davvero di nefrite cronica. La sua fama ormai correva per tutta l’Italia ed ecco perché si sono affidati alle sue cure eminenti personaggi dell’epoca come Giuseppe Verdi, Arrigo Boito, Benedetto Croce, Vittorio Emanuele II e Giuseppe Garibaldi il quale, per essere accorso al suo capezzale a Caprera, si sdebitò regalandogli il suo orologio d’oro Cardarelli visitava anche tanta gente umile dei bassi napoletani o nei paesi, specialmente quando veniva nel Molise. «Gente che lo chiamava, lo invocava, gli tendeva le mani chiedendo aiuto, assediando il portone e le scale con la pazienza e la rassegnazione di chi aspetta un salvatore», come narra la scrittrice Matilde Serao in un suo libro. Si racconta che quando si spostava in carrozza per raggiungere paesi lontani, al suo arrivo pretendesse di bere subito brodo di gallina, che i contadini non gli facevano mai mancare. L’ultima diagnosi azzeccata, Cardarelli l’ha fatta su se stesso. Arrivato ormai all’età di 96 anni, circondato dai medici suoi discepoli che si affannavano al suo capezzale, Antonio Cardarelli disse loro: «E’ inutile, questa è la mia ultima diagnosi e la mia ultima prognosi: non posso fallire». Morì, infatti, dopo poche ore e, anche questa, come tutte le altre, non era una diagnosi intuitiva ma basata sul ragionamento clinico. Cardarelli, nella sua lunga vita, ha svolto anche un’intesa attività politica. Liberale convinto, nel 1880 è stato eletto deputato nel collegio di Isernia per cinque legislature fino al 1894. Nel 1896 il ministro Rudinì gli concesse il laticlavio, ovvero senatore a vita. Come politico Cardarelli si è occupato soprattutto di sanità, in particolare campana perché nel Molise, fino alla sua morte, c’era carenza di ospedali. Si preoccupa anche di interventi vari a favore delle popolazioni molisane. Ma sarà soprattutto il suo paese di origine a ricevere da lui la massima attenzione. Antonio Cardarelli chiese espressamente nel suo testamento di essere seppellito nella sua terra, vicino ai suoi cari. Il giorno del funerale una folla immensa accompagnò il feretro fino alla stazione di Napoli, prima di essere caricato sul treno che l’avrebbe accompagnato per il suo ultimo viaggio in Molise. Barbara Bertolini
ANTONIO CARDARELLI
Ogni giorno centinaia e centinaia di persone pronunciano il suo nome senza sapere di chi si tratta. Ma Antonio Cardarelli è il molisano più conosciuto in Italia perché alla sua memoria sono intitolati ben due ospedali importanti, quello di Napoli e quello di Campobasso e varie strade, tra cui, oltre a Campobasso e Napoli quelle di Ragusa, Modena, Arzano, Andria, Matera, ecc... L’Ospedale di Napoli venne costruito nel 1927, solo nel 1943 venne intitolato ad Antonio Cardarelli, clinico ricercatissimo, maestro venerato, senatore del Regno ̶così dice l’insegna ̶. Mentre, inaugurato nel 1927, l’Ospedale di Campobasso, per volontà del Prof. Montalbò, suo discepolo, venne intitolato giustamente al sommo clinico. Nato sotto il segno dell’ariete, a Civitanova del Sannio, il 29 marzo del 1831 dal medico Urbano e dalla baronessa di Belmonte del Sannio, Clementina Lemme, Antonio Cardarelli è stato uno dei più geniali e longevi clinici della storia italiana. Longevo perché insegna fino alla veneranda età di 92 anni. E sentite cosa succede quando è costretto, da una legge, a lasciare l’insegnamento universitario: «In un lontano giorno del 1923 un corteo numeroso di giovani allievi della Facoltà di Medicina di Napoli, proveniente dall’edificio centrale dell’Università in Corso Umberto, sfilò in via Santa Maria di Costantinopoli trainando a mano una carrozza a cui erano stati tolti i cavalli; il corteo era seguito da una folla di professori universitari, medici e gente del popolo ed era accompagnato da lancio di fiori e da scroscianti applausi dei passanti. In quella carrozza sedeva un vecchio signore, piccolo, distinto ed elegante, che sorrideva dietro i suoi candidi baffi bianchi: era Antonio Cardarelli, il geniale clinico che a novantadue anni era stato costretto dalla nuova legislazione dell’epoca a ritirarsi dall’insegnamento.» (Andrea Jelardi) Questa è la conclusione di una brillante carriera di un uomo divenuto ormai una leggenda. Ma ripercorriamo tutta la vita di questo arguto clinico, di sicuro il più famoso che Napoli abbia mai ospitato. Come i giovani benestanti del suo tempo, da ragazzetto frequenta, con successo, insieme ai fratelli, il Seminario di Trivento. Scelto di seguire le orme paterne, a 17 anni, dopo la maturità, va a Napoli. A Napoli vi capita proprio nel famoso ’48, (il detto “è successo un quarantotto” è proprio di quel periodo 1848), l’anno dei moti carbonari che miravano ad ottenere la Costituzione da Re Ferdinando II° di Borbone. Lui che ha acquisito in famiglia idee liberali, partecipa ai moti, attirandosi vari problemi. Infatti viene sorvegliato discretamente e la polizia borbonica si insospettisce quando scopre che molti studenti vanno e vengono dal suo alloggio universitario. E’ subito fermato ed interrogato: i suoi professori e gli studenti dovranno andare in commissariato a spiegare che i giovani vanno nel suo alloggio non per tramare ma solo per farsi seguire da lui o spiegare le lezioni perché Antonio Cardarelli, malgrado la giovane età, ha una capacità innata di rendere facile concetti difficili. Si laurea a 22 anni e, l’anno dopo, si sposa con la figlia di un medico napoletano, Annunziata Giannuzzi. Il loro è stato un matrimonio lunghissimo durato ben 73 anni, non allietato, però, dall’arrivo di figli. La moglie gli è sopravvissuta. Nel 1859 si presenta al concorso per assistente presso l’Ospedale degli Incurabili, pare per un colpo di fortuna, perché qualcuno con il cognome simile al suo non risponde all’appello e lui ne approfitta superando poi brillantemente la selezione. In quell'occasione, infatti, nella sua acuta dissertazione sulla scabbia, sostiene per primo l'origine parassitaria della malattia. Nell’ospedale lo incaricano anche di insegnare la semiotica di cui era divenuto espertissimo, insegnamento che già aveva iniziato privatamente nel suo studio e nel collegio medico nel quale era stato studente. Successivamente gli fu permesso di insegnare patologia e clinica medica. Agli Incurabili vi rimarrà per 31 anni, percorrendovi tutta la carriera ospedaliera: assistente, aiuto, direttore di sala, primario e consulente.. Nel 1890 vince la Cattedra di Patologia speciale medica alla Regia Università napoletana, passando successivamente a quella di Clinica medica. In questo passaggio il suo prestigio è tale da rendere il concorso una pura formalità. L’insegnamento universitario, come già detto, durerà fino al 1923, ben oltre i limi di età per i suoi straordinari meriti, e questo grazie ad una apposita legge. Quello che ha fatto “grande” quest’uomo è stato il suo infallibile “occhio clinico”, la spiccata capacità di armonizzare il fatto con la teoria. Infatti Cardarelli è ben presto stimato come il più eccezionale clinico del suo tempo per il singolare intuito di cui dà prova e la prontezza quasi miracolosa delle sue diagnosi. Il suo motto è “observatio et ratio” (osserva e ragiona) e la sua scuola pone a base di ogni giudizio i dettami dell’osservazione diretta. Ma anche le sue ricerche sono fondamentali come quella di aver portato in primo piano la semiotica perfezionandone il metodo. Ha pubblicato studi nei più svariati campi della medicina. Tra i più interessanti sono da ricordare quelli sugli aneurismi, sui tumori, sulle malattie funzionali e nervose del cuore e sulle pseudo leucemie dei bambini. Studi questi, che sebbene datati sono ancora utili al medico moderno. Il dottor Italo Testa ha raccolto proprio ultimamente le sue lezioni che non ho potuto consultare perché la Biblioteca Albino è ancora chiusa. Il popolino parlava di Cardarelli come di un medico infallibile, ma egli rifiutava questa definizione perché diceva che il bravo medico è quello che sbaglia il meno possibile. Il medico diagnostica non divina e la diagnosi si fa per segni e non per ispirazione, perché era l’attenta osservazione del paziente a permettergli di diagnosticare la sua malattia. Questa era una delle prime lezioni che teneva ai suoi allievi. Infatti, l’attività alla quale Cardarelli si è dedicato con maggior passione è stata senz’altro quella dell’insegnamento perché aveva una dote naturale nel trasmettere la sua esperienza con acutezza e chiarezza. Come racconta il molisano Luigi Montalbò, che fu suo discepolo, le lezioni del Cardarelli, sempre affollatissime, cominciavano con l'accuratissima storia clinica del malato, sempre presente in aula, poi la puntigliosa ricerca di segni obiettivi e poi il ragionamento clinico, serrato, preciso, logico, che portava alla diagnosi. Quando il paziente passava a miglior vita, tutti gli studenti si recavano in anatomia dove l’allora professor Otto Von Schron eseguiva l'autopsia e, quando la diagnosi difficile era esatta, anche il rigido anatomo-patologo esclamava: "Questa diagnosi la poteva fare solo il Padre Eterno". Ma quando la diagnosi non era confermata il Maestro ne faceva oggetto di altra lezione nella quale riesaminava tutti i punti per far comprendere dove era stato commesso l'errore perché, diceva, “quando si sbaglia è necessario parlare dell'errore commesso perché in tal modo si evita di ricadervi e si aiutano gli altri a non commetterlo". All’epoca non esistevano strumenti diagnostici, tutto era affidato all’acume, all’occhio clinico aggiunti ad un illuminato sapere. E gli aneddoti sulla capacità del Cardarelli di cogliere i segni precoci di malattie si sprecano. Per esempio, fu l’unico a diagnosticare, attraverso la sola lettura dei bollettini medici, un cancro alla pleura a papa Leone XIII (e su questo pubblica nel 1903 un articolo). Infatti all’Università si seguivano e si commentavano i bollettini medici che venivano emessi ogni giorno dai sanitari del Vaticano. E un discepolo chiese al Cardarelli cosa ne pensasse della diagnosi. E lui, che non si tirava mai indietro proprio perché in quel momento stava trattando in aula il tumore pleurico, spiegò che si doveva trattare proprio di questo e non di pleurite essudativa come diagnosticavano i medici al capezzale del Papa. Lo studente, che era anche giornalista, pubblicò un articolo avanzando la tesi del Cardarelli creando un putiferio. Ma alla fine ad aver ragione fu il clinico molisano. Fece diagnosi di tubercolosi laringea ad un cantante ascoltando la sua voce durante un concerto e diagnosticò un aneurisma dell'aorta ad un pescivendolo semplicemente ascoltando le sue grida. Si racconta anche di un famoso scherzo che gli fu fatto: alcuni colleghi invidiosi gli fecero visitare un altro collega che si finse ammalato. Egli, dopo un attento esame, diagnosticò una nefrite cronica e prognosticò pochi giorni di vita al paziente. Quando i colleghi gli rivelarono la burla, Cardarelli non si scompose minimamente: meno di due settimane dopo il finto paziente morì davvero di nefrite cronica. La sua fama ormai correva per tutta l’Italia ed ecco perché si sono affidati alle sue cure eminenti personaggi dell’epoca come Giuseppe Verdi, Arrigo Boito, Benedetto Croce, Vittorio Emanuele II e Giuseppe Garibaldi il quale, per essere accorso al suo capezzale a Caprera, si sdebitò regalandogli il suo orologio d’oro Cardarelli visitava anche tanta gente umile dei bassi napoletani o nei paesi, specialmente quando veniva nel Molise. «Gente che lo chiamava, lo invocava, gli tendeva le mani chiedendo aiuto, assediando il portone e le scale con la pazienza e la rassegnazione di chi aspetta un salvatore», come narra la scrittrice Matilde Serao in un suo libro. Si racconta che quando si spostava in carrozza per raggiungere paesi lontani, al suo arrivo pretendesse di bere subito brodo di gallina, che i contadini non gli facevano mai mancare. L’ultima diagnosi azzeccata, Cardarelli l’ha fatta su se stesso. Arrivato ormai all’età di 96 anni, circondato dai medici suoi discepoli che si affannavano al suo capezzale, Antonio Cardarelli disse loro: «E’ inutile, questa è la mia ultima diagnosi e la mia ultima prognosi: non posso fallire». Morì, infatti, dopo poche ore e, anche questa, come tutte le altre, non era una diagnosi intuitiva ma basata sul ragionamento clinico. Cardarelli, nella sua lunga vita, ha svolto anche un’intesa attività politica. Liberale convinto, nel 1880 è stato eletto deputato nel collegio di Isernia per cinque legislature fino al 1894. Nel 1896 il ministro Rudinì gli concesse il laticlavio, ovvero senatore a vita. Come politico Cardarelli si è occupato soprattutto di sanità, in particolare campana perché nel Molise, fino alla sua morte, c’era carenza di ospedali. Si preoccupa anche di interventi vari a favore delle popolazioni molisane. Ma sarà soprattutto il suo paese di origine a ricevere da lui la massima attenzione. Antonio Cardarelli chiese espressamente nel suo testamento di essere seppellito nella sua terra, vicino ai suoi cari. Il giorno del funerale una folla immensa accompagnò il feretro fino alla stazione di Napoli, prima di essere caricato sul treno che l’avrebbe accompagnato per il suo ultimo viaggio in Molise. Barbara Bertolini