Organizzazione militare dei sanniti
Equipaggiamento militare
L'equipaggiamento dei Sanniti comprendeva scudi ellittici con un rinforzo nella parte centrale esterna e giavellotti pericolosissimi. Questi elementi, lo scudo ellittico e il giavellotto, che oggi associamo ai soldati romani, facevano parte dell'equipaggiamento sannitico. L'esercito romano, grazie all'ispirazione dei Sanniti, si è notevolmente evoluto, copiando ad esempio lo scudo ellittico, il giavellotto e altri elementi militari. I Romani imparano dai Sanniti, che sono grandi maestri per loro, e attraverso le umiliazioni subite, Roma è riuscita a migliorare e a evolversi militarmente. Dalla organizzazione militare e dalla potenza bellica dei Sanniti, una delle popolazioni italiche più temute e rispettate durante l'epoca repubblicana di Roma, appare il quadro di un popolo fortemente guerriero, dotato di un senso dell'onore e della bellezza anche nel contesto della guerra, evidenziato dall'uso di armi e scudi dorati e argentati, simboli non solo di ricchezza ma anche di una cultura che valorizzava l'estetica e la grandiosità.
Armi e Apparenza
I Sanniti non solo erano noti per la loro abilità in battaglia, ma anche per l'attenzione al dettaglio nella loro armatura. Gli elmi ornati di piume e i pennacchi colorati non erano solo funzionali, ma anche simboli di prestigio, probabilmente volti a incutere timore nei nemici e a esaltare l'identità guerriera sannitica. L'idea che i Sanniti possano essere stati i primi a introdurre l'uso di piume negli elmi, poi adottato da altre culture, riflette un'influenza culturale significativa.
Potenza Militare
I Romani riconobbero che la conformazione dell'esercito sannita era molto superiore ed efficace, imparando ad assimilarne le tattiche. Polibio ci dice testualmente che i Romani, più di chiunque altro, erano capaci di apprendere dai nemici e capire quando dovevano aggiornare il loro equipaggiamento.
La descrizione della loro forza militare, con un esercito di ottantamila fanti e ottomila cavalieri, sebbene probabilmente esagerata, sottolinea l'importanza che il popolo sannitico attribuiva alla guerra. La capacità dei Sanniti di sottomettere e influenzare altre popolazioni italiche, come i Vestini, i Marrucini e i Peligni, dimostra non solo la loro forza militare ma anche la loro influenza politica e culturale nella regione.
Cosa i Romani appresero dai Sanniti: l'esercito manipolare
Probabilmente i Romani impararono a combattere in maniera più fluida, ispirandosi all'ordinamento manipolare proprio nei teatri di operazione contro gli agili montanari sanniti sulle alture del Molise e dell'Abruzzo. Durante le guerre sannitiche, in particolare durante la seconda guerra sannitica, i Romani si trovarono di fronte all'esercito dei Sanniti. I Sanniti abitavano la zona appenninica, quindi territori collinari o montuosi, e avevano un esercito molto più adatto al terreno, diviso in manipoli, unità indipendenti che si muovevano velocemente e si adattavano al terreno. I Romani copiarono le idee dei Sanniti, le migliorarono e perfezionarono, arrivando nel corso delle guerre sannitiche a una nuova concezione di esercito: il cosiddetto esercito manipolare romano o legione polibiana, che prende il nome da Polibio, l'autore antico che descrisse la struttura di questo esercito. Da allora l'esercito romano è diviso in manipoli, copiando l'idea dei Sanniti, ed è organizzato nelle famose tre file.
Espansione e Conquiste
Le conquiste sannitiche, che si estendevano fino a territori lontani come il Lazio e città importanti come Capua, indicano un popolo in grado di estendere il proprio dominio ben oltre i confini del Sannio. L'invasione del Lazio e la conquista di città potenti dimostrano un'intraprendenza militare e una capacità strategica notevole. Tuttavia, questa espansione li portò inevitabilmente a scontrarsi con Roma, e come indicato nella citazione di Silla, i Sanniti rappresentarono una minaccia tale da giustificare, nella visione romana, una repressione brutale e sistematica.
Il Ver Sacrum e i Mamertini
La narrazione del Ver Sacrum, il sacrificio rituale che portò alla migrazione di giovani sanniti verso la Sicilia, aggiunge una dimensione religiosa e mitologica alla loro storia. Questo rito, destinato a placare gli dei in tempi di crisi, riflette la profonda spiritualità dei Sanniti e la loro convinzione che il destino della loro gente fosse strettamente legato alla volontà divina. La fondazione dei Mamertini in Sicilia, derivata da questo evento, mostra come le tradizioni religiose sannitiche abbiano avuto ripercussioni durature e concrete, influenzando persino la geografia politica e sociale del Mediterraneo.
Conclusioni
In sintesi, ne risulta che Sanniti erano un popolo fiero, ricco di tradizioni e dotato di un'organizzazione militare complessa e potente. Nonostante la loro eventuale sconfitta da parte dei Romani, la loro influenza culturale e militare si estese ben oltre i confini del Sannio, lasciando un'eredità che sarebbe stata ricordata e temuta anche secoli dopo la loro scomparsa.
La Milizia
I guerrieri italici (vedi statuette bronzee dei peligni e sanniti) per la protezione del cuore e dello stomaco indossavano corpetti su cui erano sistemati tre dischetti di bronzo, uno a destra e a sinistra per il cuore e uno verso la parte centrale dello sterno. Altri tre erano fissati sulla schiena, tutte fissate fra loro, attraverso una serie di fibbie di metallo che si intersecavano sulle spalle e sotto le ascelle.
Come tanti altri popoli italici, anche i Sanniti utilizzavano il classico scutum ellittico, diviso verticalmente da una nervatura con un umbone al centro, o uno scudo più largo nella parte superiore (a protezione del viso e del petto), più stretto nella parte inferiore (verso le gambe, spesso protette da schiniere, o almeno una). Lo scudo non era di metallo, ma di giunchi intrecciati, ricoperti esternamente da pelle di pecora.
L’elmo era spesso ornato da un pennacchio (soprattutto quello degli ufficiali o degli appartenenti alla legio linteata). A volte con aperture laterali dove venivano fissate penne d’aquila.
La tunica era di lino o pelle, copriva il torace fino ai fianchi, dove era spesso presente una cintura in pelle, munita di fibbie in bronzo. Aveva inoltre maniche corte.
Come armi utilizzavano lance, adatte più che altro al combattimento ravvicinato, un piccolo giavellotto, lunghi pugnali e, più raramente, spade a doppia lama. Questo significa che le armate sannite apparivano con armamenti non troppo pesanti, quindi adeguati al fatto di dover spesso combattere su di un territorio spesso montuoso, adeguati quindi ad una azione flessibile.
I successi dei Sanniti sul terreno montuoso fanno capire che essi usassero un ordine di battaglia flessibile e aperto, piuttosto di una falange serrata, e il fatto che usassero la cavalleria anche sulle alture presuppone avessero un allenamento superlativo per guidare gli animali in quei luoghi, tenendo conto poi che cavalcavano senza sella.
L'ottima cavalleria sannita verrà infatti utilizzata dai Romani come cavalleria alleata nelle successive campagne militari, fino alla guerra sociale (90-88 a.c.), quando a tutta l'Italia centro-meridionale verrà concessa la cittadinanza romana, diventando parte integrante dell'esercito romano.
Armi, che usavano in guerra
I Sanniti usavano armi eccellenti sia difensive che offensive. Livio così le definisce: “Bellum in Samnitibus erat, qui praeter coeteros belli apparatus, ut acies sua fulgeret novis armorum insignibus fecerunt. Duo exercitus erant: scuta alterius auro, alterius argento caelaverunt. Forma era scuti: summum latius, qua pectus, atque humeri teguntur, fastigio aequali: ad imum cuneatior mobilittis caussa. Spongia pectori tegumentum, et sinistrum crus Ocrea tectum Galeae Cristatae, quae speciem magnitudini corporum adderent. Tunicae armatis militibus versicolores, argenteis linteae candidae”.
Giusto Lipsio dice a riguardo, analogamente a Artemidoro, e Giovenale in questi versi: “Quale decus verum, si conjugis auctio fiat, Baltheum, et manicae, et cristae, crurisq. sinistri dimidiium tegmen, et.”. e aggiunge anche: “Nam ii versus plane apti de industria ad armaturam Samnitum, quam ut nobiliorem, foeminae -quoniam ita Veneri cum Marte visum- foeminae inquam, nobiles adfectabant”.
a parola -Spongia- Giovenale -Baltheum- è la cinta della spada dove si appendono le armi, secondo S. Isidoro, e non solo quella che si cinge, ma che pende anche dal petto. Alesandro d’Alesandro lo stesso conferma nel libro primo cap. 20 di Varrone: “Samnites cum pinnis muralibus digladiantur, in proelio vero cristatis galeis: sicut Lusitani, et Sacae Scytica gens, quibus nervatis, cristatisq. galeis in usu est”. E a proposito degli scudi nel 6° cap. 22: “Samnitibus lata, ad summum aequali fastigio, in imo vero cuneata. Marsis amplissima, quae Decumana dicta sunt. Lucanis quoque scuta ex vimine confecta, coreis tegebant”. Quello dei Marsi, e di Festo, che dice: “Albentia scuta dicebantur, quibus Albenses, qui sunt Marsi generis, usi sunt. Haec eadem Decumana vocabantur, quod essent amplissima, ut Decumani fluctus”. E questo de’ Lucani è di Alicarnasseo, e di Livio. Alesandro Severo Imperadore anche usò i scudi ornati d’oro, e d’argento ad imitazione de’ Sanniti, a parer dello stesso, dicendo con Elio Lampridio, da cui l’ha tratto: “Alexander severus Imperator Chrisoaspidas ab aureis nuncupasse: id quod a Samnitibus fuit usurpatum, ut argenteis, aureisq. scutis ornarentur”. Di modo che usarono i scudi in quella guisa, che Livio li descrive, per poterli destramente maneggiare, ed ornati d’oro, e d’argento, come anche altri fornimenti, ne’ quali manifesta pompa facevano delle loro ricchezze. Nella gamba sinistra portavano lo stivaletto, e negli elmi, alti, e coloriti pennacchi, per aggiungere vaghezza alla dsposizion de’ corpi; tutto ciò adoprarono non in questa occasione solo; ma in altre poi, come ne’ scrittorj si vede. Lpsio da questo argomenta essere i Sanniti stati i primi inventori di impiumarsi il capo, ed a loro imitazione essere stati poscia negli addobbamenti de’ soldati i pennacchi indotti, e posti in uso.
Tutte queste erano armi difensive, ma le offensive furono di gran lunga migliori, tanto che i Romani, non disdegnarono d’imitarle e servirsene. Cesare dice e Salustio ne riferisce: “Majores nostri (P.C.) neque consiliis, neq. audaciae numquam eguere, neque illi superbia obstabat, quominus aliena instituta, si modo proba erant, imitarentur. Arma atq. tela militaria ab Samnitibus, insignia Magistratuum ab Tuscis pleraque sumpsere”. E appresero lo scudo, come afferma Ateneo scrittore Greco, “A Samnitibus Romani didicere scuti usum, ab Hispanis gesorum”.
Le armi offensive erano per lo più armi in aste, come chiarir si può dallo stesso vocabolo - Saunia- il quale -confome come si è detto- arme in aste significa; che anco a diveder ne ‘l dà Virgilio in questo verso: “Et tenui pugnant mucrone, veruq. Sabello”. Ed è tutto questo ben ponderato da Lipsio in Poliorceticon, dove oltre all’altro questo si legge: “Qui velut propium Samnitium facit, imo Grammatici nomen eorum hinc petunt. Festus: Samnites ab hastis appellati sunt, quas Graeci Saunia appellant, hanc enim ferre assueti erant. Propriius Graecanicam dialectum tangit Etymon, qui Saunias dicunt, et scribunt. Et Saunia recte Veruta reddi, discamus e Dionisio, qui ubi livius in Classibus armandis Verutum scribit, ipse Saunias. Alibi etiam Saunio transfossus, quod hujus est teli”. Siché usando armi in aste, può rettamente dirsi, che usassero alabarde, lance, picche, dardi, strali, spuntoni, schiedi, e simili, conforme in gran numero scolpite si veggono ne’ marmi in diversi luoghi del Sannio, ne’ quali anche si scorgono varie foggie de’ scudi, di targhe, di elmi, di cimieri, e di altre sorti sì offensive, come difensive.
I Sanniti, nel guerreggiare, usavano armi eccellenti sia per la difesa sia per l'offesa, e si dilettavano in ricchi e belli apparati: portavano armi e scudi dorati e argentati, facendo così sfoggio della loro ricchezza, secondo Giusto Lipsio; l'imperatore Alessandro Severo volle imitarli in questo, come si rileva da Elio Lampridio. Nella gamba sinistra portavano uno stivaletto e negli elmi alti e colorati inserivano dei pennacchi per aggiungere grazia alla disposizione dei corpi.
Da ciò, Lipsio deduce che i Sanniti siano stati i primi a ideare l'uso di piume sul capo, un'usanza che poi si diffuse anche in altre nazioni. Quanto alle diverse armi che utilizzavano, queste comprendevano aste, alabarde, lance, picche, dardi, strali, puntoni, ecc., come si vedono scolpite nei marmi presenti in diversi luoghi del Sannio.
I Sanniti furono estremamente bellicosi e fortissimi sia per l'animo sia per la disposizione del loro territorio. La loro potenza era tale che sottoposero al proprio dominio non pochi popoli, e durante l'epoca della Repubblica Romana non vi fu in Italia altra gente che la tormentasse con continue guerre più di loro, come narrano numerosi storici. Perciò, quando al truce Silla fu chiesto perché usasse tanta crudeltà contro i Sanniti, egli rispose: «Perché un solo Sannita sarebbe stato capace di mantenere Roma inquieta» e li distrusse.
Strabone riferisce che i Sanniti, impegnati in battaglia contro i Possederiati e altri popoli che allora abitavano quella regione oggi chiamata Basilicata, li superarono valorosamente, e con il successo delle vittorie, divenuti signori del paese e delle loro città, scacciarono i Comi e gli Enotri che le possedevano, vi portarono delle colonie che poi furono chiamate Lucani e che ebbero origine dai Sanniti. Plinio conferma e aggiunge che tali colonie furono guidate da Lucio, capitano dei Sanniti. Ciò è confermato anche da Catone e altri, i quali dicono che il nome Lucani derivò proprio da Lucio. Non solo questi, ma anche i Capuani, come afferma in più luoghi Cluverio, ebbero origine dagli stessi Sanniti. Strabone aggiunge che molte città e luoghi della Basilicata furono dei Sanniti e che, divenuti molto potenti, estesero il loro dominio fino al Lazio, invadendo con grande ardore il territorio fino ad Ardea, città molto potente a circa 20 miglia da Roma.
Si impadronirono anche di molte altre città, tra le più potenti delle quali vi furono Capua, Sedicino, Palepoli, Cuma, Cassino, Sora, Fregelle e altre ancora. Strabone, seguito da Biondo, Sabellio e da autori moderni, riporta che i Sanniti avevano un'armata di ottantamila fanti e ottomila cavalieri. Tuttavia, è probabile che abbiano raggiunto tali numeri unendosi ad altri popoli con cui combattevano, come i Vestini, i Precutini, i Marrucini, i Peligni e i Frentani, ai quali, con la loro potenza, avevano dato il proprio nome. Né solo in queste parti i Sanniti mostrarono il loro valore. Festo, parlando dei Mamertini, narra che, trovandosi tutto il Sannio oppresso da una grave peste, su esortazione di Stennio Mezio, uomo di grande reputazione, fu proposto di sacrificare ad Apollo tutto ciò che sarebbe nato nella primavera successiva, affinché fossero liberati dalla calamità. Il voto fu fatto e la peste cessò. Ma venti anni dopo, la stessa calamità tornò, e perciò ricorsero nuovamente ad Apollo, che rispose loro che ciò era avvenuto perché non avevano soddisfatto il voto di sacrificare gli uomini nati in quella primavera. Se li avessero espulsi dal loro territorio, sarebbero stati pienamente contentati. Così, riunitili tutti insieme, li mandarono via, dirigendoli verso la Sicilia, dove giunti si fermarono nel territorio dei Tauroncini. Lì, vedendo che i Messinesi erano afflitti da una feroce guerra, di loro volontà e senza invito, andarono a dare loro soccorso e, grazie al loro valore, riportarono una completa vittoria. I Messinesi, non sapendo come meglio ricompensarli per un così grande favore, li ammisero alla loro cittadinanza, condividendo beni e campi, e decisero di chiamarsi tutti Mamertini, poiché nel sorteggio uscì dall'urna il nome di Marte, che era tra i dieci dèi posti in essa, e così si chiamarono da quel momento, abbandonando il proprio nome di Sanniti.