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La lingua sannita




I Sanniti parlavano l'osco, una lingua indoeuropea del gruppo osco-umbro diffusa tra numerosi popoli italici ad essi affini, come i loro vicini meridionali Osci, assorbiti dai Sanniti nel V secolo a.C. Tra graffiti rinvenuti negli scavi archeologici di Pompei sono state rinvenute iscrizioni in osco.
L'osco era una lingua indoeuropea (appartenente alla famiglia osco-umbra) in uso presso gli Osci, nome con cui si intendeva un insieme alquanto eterogeneo di popoli italici. L'area di diffusione della lingua osca comprendeva, in epoca preromana, una larga parte dell'Italia meridionale.


Documentazione epigrafica della lingua osca
Non esiste una vasta e diversificata documentazione epigrafica della lingua osca, che include, tra gli altri, il Cippo di Abella, la Tabula Agnonensis, le Iovile, le Fabulae Atellanae e le iscrizioni pubbliche di Pietrabbondante.


La lingua sannita
Le riflessioni di Aldo Luigi Prosdomici, uno dei più autorevoli linguisti delle lingue dell'antica Italia, sulla lingua sannita offrono un'analisi complessa e articolata che si muove su più livelli: linguistico, sociolinguistico e culturale.
Prosdomici definisce il sannita come una lingua di coinè, sviluppatasi nel Sannio nel V secolo a.C., che si differenzia dalle altre varietà indoeuropee coesistenti non tanto per differenze dialettali, ma per la sua connessione con una specifica identità etnico-culturale. Questa distinzione, secondo Prosdomici, non riguarda solo la lingua in sé, ma anche la sua relazione con la scrittura, che svolge un ruolo cruciale nel determinare e fissare la natura della coinè.
Uno degli aspetti più interessanti è la considerazione della variabilità linguistica all'interno del sannita. Sebbene la coinè sia, per sua definizione, priva di varietà interne, Prosdomici riconosce che la lingua sannita documentata presenta comunque variazioni, dovute sia all'evoluzione storica che alla stratificazione sociolinguistica. Queste variazioni non devono essere considerate "dialettali" in senso tradizionale, ma piuttosto come manifestazioni di una dinamica linguistica più complessa, dove la varietà può essere il risultato di evoluzioni interne o di influenze esterne che si sono integrate nel sistema linguistico sannita.
La riflessione di Prosdomici è inoltre significativa quando affronta il rapporto tra il sannita e altre lingue indoeuropee (italiche o non italiche) coesistenti o preesistenti. Egli suggerisce che la comprensione del sannita e delle sue varietà interne può offrire spunti importanti per delineare la posizione del sannita rispetto a queste altre lingue, contribuendo così a una visione più precisa della dinamica linguistica nell'antica Italia.
In sintesi, Prosdomici non solo riconosce la naturale varietà di ogni lingua, ma propone un approccio che considera il sannita all'interno di un contesto socioculturale più ampio, enfatizzando l'importanza della coinè come elemento di coesione e di evoluzione, e proponendo una riflessione sulla complessità della stratificazione linguistica che va oltre le semplici categorie dialettali. La sua analisi invita a una comprensione più sfumata della lingua sannita, riconoscendo l'importanza delle influenze culturali e storiche nel modellarne le varietà.

L’osco, questo strano conosciuto

I Sanniti utilizzavano un alfabeto diverso da quello romano e scrivevano da destra verso sinistra. A Monte Vairano sono stati rinvenuti oggetti che testimoniano l'esistenza di diversi scribi addetti alla scrittura, evidenziando la presenza di vari stili più o meno elaborati. Scrivevano su tavolette di legno (tabulae) coperte di cera, utilizzando uno strumento chiamato stylus, fatto generalmente d'osso. Lo stylus aveva una punta per scrivere e un'estremità tondeggiante per cancellare o levigare la cera, permettendo così di riscrivere sulla stessa tavoletta.


Quale attento studioso delle lingue indoeuropee ed in particolare quelle dell’Italia antica, Posdomici da una sua personale considerazione sulla formazione della lingua sannita sannita tenenedo conto che il confine meridionale dell’orizzonte sudpiceno non arriva al Sannio, né alla Campania. La Campania del VI-V secolo ha una propria cultura (alfabetica e in senso proprio), dominata dall’elemento etrusco. Resta a parte il Sannio, che avrà poi una propria cultura alfabetica, con un collegamente biunivoco alfabeto-cultura per una notevole area, così da dover parlare di una coinè. L’interpretazione mi pare obbligata: il Sannio matur ala sua identità culturale più tardi delle aree predette, ma la matura in modo più pregante e identificato, per cui è legittimo ritenere il termine”sannita” per definizione, in quanto questo sannita è definito su base di una coinè, come l’aretino o il lucchese trecentesco erano prossimi al fiorentino ma non erano l’italiano di base fiorentina della coinè di Dante, Tetrarca, Boccaccio; meglio: erano prossimi al fiorentino, ma il fiorentino stesso (in senso stretto), il lucchese, l’aretino non sono contrapponibili all’italiano perché l’italiano come coinè letteraria da una parte e dialetti dall’altra sono entità non omogenee. Questa impostazione elimina gli equivoci dell’italico osco, non osco, ecc. della Campania; equivoci nei moderni ma credo alla base di contraddizioni o confusioni già nelle fonti antiche. La fonte dell’equivoco e la chiave per identificarlo, se non per risolverlo, sta nella rigorosa precisazione di lingua come espressione culturale vs. lingua come parentela genealogica o di qualificazione dialettale intesa come trasparenza sincronica rispetto ad un altro dialetto prossimo. Tra il sannita e l’indeuropeo campano presannita c’era ovviamente parentela genealogica e, per contiguità areale, verosimilmente c’era anche identità o similarità di fenomeni di lingua e c’era, verosimilmente, trasparenza, cioè possibilità di riconoscere forme e strutture similari, al limite di capirsi e comunicare; ma ciò non comporta possibilità di identificazione tra il sannita di coinè di V secolo a.C. quale lingua prodotto della cultura sannita e i dialetti prossimi che non vi sono entrati: qui c’è lo iato rispetto alla realtà precedente e pertanto come i Sanniti ‘occupano”, così il sannita ‘si impone’; se poi i Sanniti occupanti sono simili e ‘parenti’ dei precedenti Campani e con questi si fondono naturalmente creando una nuova realtà, è altrettanto verosimile che il sannita ‘ufficiale’ che si impone su una realtà precedente contempli l’esistenza di varietà dell’italico preesistenti. Ciò che è a priori verosimilmente si può comprovare da alcuni affioramenti:

  1. differenze dello strato presannita (es.: iscrizioni di Nocera e Vico) dal sannita e al suo interno (es.: Nocera e Vico; Ve. 101);
  2. affinità dello strato precedente col sannita (es. Ve. 101 e italico delle iscrizioni a grafia etrusca);
  3. differenziazioni entro la fase sannita (es.: iscrizioni di Saticula),
  4. collegamento con altre aree italiche non sannite sia nella fase cronologica presannita, sia nella fase cronologia sannita.
Di conseguenza sarà da usare “sannita” o “osco-sannita” in senso restrittivo. Il termine “osco” potrebbe essere riservato a designare un italico presannita o non sannita dell’area, ove si dimostri la preesistenza di un italico e non di un generico indeuropeo presannita oppure dopo aver definito in qual termini un certo indeuropeo presannita è italico. Fino a quel momento “osco” dovrebbe essere sinonimo di presannita, di non sannita o di campano potenzialmente anche sannita ma senza sicurezza attributiva.
Abbiamo dato sopra una definizione restrittiva di sannita collegata alla coinè grafica che ne è il supporto: come tale abbiamo una notevole uniformità che collega Sannio e Campania per notevole spazio e tempo, il che conferma il carattere di coinè, cioè di una lingua che ha una costituzione (in corrispondenza della sua funzione) tale da non comportare in sé (e per noi nell’affiorare documentario) variegature dialettali.
Rispetto a questi materiali in alfabeto locale vi sono la sezione in alfabeto greco, che distinguerei nel corpus lucano e in quello mamertino, tenendo separata l’area bruzzia, la sezione nell’alfabeto latino della tavola bantina per cui, data la nostra definizione di sannita, basata anche sul fatto scrittorio, si pone il problema di qualificare questa realtà rispetto al sannita stesso.
Resta la questione della italicità del lucano che nella prospettiva mia (e di altri) si identifica con il sannita in area lucana. La lingua sannita-lucana presenta delle differenze rispetto al corpus in grafia sannitica propria, ma queste differenze non sono antisannite; si tratta di conservazioni che il sannita di VI-V secolo conosce (es.: di-, -fs) e di innovazioni (sonorizzanti di consonanti intervocaliche) che il sannita non conosce, o che conosce ma che la coinè linguistico scrittoria non fa affiorare, ma Lucania e Sannio-Campania sono due aree con storie diverse e quindi con storie linguistiche diverse: è un truismo ma è la chiave interpretativa. Il lucano da una parte e il Sannio-Campania dall’altra, avendo storie diverse, almeno a partire da un certo punto nel tempo, conservano o innovano in modi e tempi diversi. Il problema è: da quanto tempo le storie sono diverse? Quanto diverse sono le storie? Se si pone una matrice comune, la cronologia ha un ante quem alle prime manifestazioni di presenza sannita in Lucania; su questo punto ci sono delle divergenze (negli storici archeologi tra V e IV secolo a.C., forse componibili tra una penetrazione di V secolo a.C. concomitante con quella campana e un affiorare ‘politico’ di IV secolo a.C. In ogni caso sono comunque evidenti le implicazioni storiche, sia per quanto concerne la Lucania, qui nel rapporto tra i nuovi venuti e i precedenti, verosimilmente italici non Sanniti di tipo Bruzzio; sia per quanto concerne il parallelo con l’espansione in Campania. La questione del lucano si va configurando sempre più complessa archeologicamente e storicamente e, in ciò, l’aspetto linguistico e alfabetico ha e, prevedibilmente, avrà sempre più rilevanza: proprio per questo non è possibile in questa sede darne conto neppure in riassunto; mi limito a segnalare un  punto che appare sempre più evidente come problematico ma anche come fondato su indizi consistenti: si tratta del rapporto e comunicazione che continuava a persistere tra i Sanniti (ormai) stanziati in aree diverse anche diversamente polarizzate come economia, politica e/o cultura. Vi sono ragioni per pensare che i contatti linguistici e alfabetici (culturali) (che altrove ho definito “cerniere”) fossero più profondi di quanto faccia pensare una prima impressione tesa ad accentuare iati, che certamente esistono ma più nella superficie che in profondità.




The Samnites spoke Oscan, an Indo-European language of the Osco-Umbrian group, which was widespread among several related Italic peoples, including their southern neighbors, the Oscans, who were absorbed by the Samnites in the 5th century BC. Among the graffiti found in the archaeological excavations of Pompeii, inscriptions in Oscan have been discovered.
Oscan was an Indo-European language (belonging to the Osco-Umbrian family) used by the Oscans, a term that referred to a rather heterogeneous group of Italic peoples. In pre-Roman times, Oscan was spoken across a large part of southern Italy.