Antologia - 24^ Lezione
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TASSO, GERUSALEMME LIBERATA: ERMINIA TRA I PASTORI
Ventiquattresima lezione di questa serie di Antologia dedicata al terzo anno di liceo. Ho vicino a me un’alunna della terza D di questo istituto, Silvia, che non è della mia classe, ma è un’attrice del mio laboratorio teatrale, impegnata nelle prove di “DREAM, La vera storia di Don Chisciotte”. Che parte dovrai impersonare?
SILVIA: Evita Peron.
Che includiamo in in una particolare visione del messaggio utopico del “Don Chisciotte” di Cervantes. In tema di utopia era anche la nostra conclusione sul Cinquecento. Affidata all’opera di Tommaso Moro, prima di entrare, nell’ultima lezione, nel personaggio di Torquato Tasso e nella sua opera, “La Gerusalemme liberata”. Riprendiamo il finale dell’episodio della morte di Clorinda…
GERUSALEMME LIBERATA, XII: MORTE DI CLORINDA
(…) Mentre egli il suon dè sacri detti sciolse,
colei di gioia trasmutossi, e rise;
e in atto di morir lieto e vivace,
dir parea: "S'apre il cielo; io vado in pace.
D'un bel pallore ha il bianco volto asperso,
come à gigli sarian miste viole,
e gli occhi al cielo affisa, e in lei converso
sembra per la pietate il cielo e 'l sole;
e la man nuda e fredda alzando verso
il cavaliero in vece di parole
gli dà pegno di pace. In questa forma
passa la bella donna, e par che dorma.
Come l’alma gentile uscita ei vede,
rallenta quel vigor ch’avea raccolto;
e l’imperio di sé libero cede
al duol già fatto impetuoso e stolto,
ch’al cor si stringe e, chiusa in breve sede
la vita, empie di morte i sensi e ’l volto.
Già simile a l’estinto il vivo langue
al colore, al silenzio, a gli atti, al sangue.
E’ la delicatissima immagine dedicata da Torquato Tasso alla morte di Clorinda. Ma c’è un’altra donna sofferente nella “Geursalemme liberata”, Erminia, che ama anche lei Tancredi e si è ritrovata, dopo una lunga fuga, in un mondo di pastori…
GERUSALEMME LIBERATA, VII: ERMINIA TRA I PASTORI
Intanto Erminia infra l’ombrose piante
d’antica selva dal cavallo è scòrta,
né piú governa il fren la man tremante,
e mezza quasi par tra viva e morta.
Per tante strade si raggira e tante
il corridor ch’in sua balia la porta,
ch’al fin da gli occhi altrui pur si dilegua,
ed è soverchio omai ch’altri la segua.
Dopo un’incursione nel campo cristiano per vedere Tancredi, sccoperta, è in fuga…
Fuggí tutta la notte, e tutto il giorno
errò senza consiglio e senza guida,
non udendo o vedendo altro d’intorno,
che le lagrime sue, che le sue strida.
Ma ne l’ora che ’l sol dal carro adorno
scioglie i corsieri e in grembo al mar s’annida,
giunse del bel Giordano a le chiare acque
e scese in riva al fiume, e qui si giacque.
Cibo non prende già, ché de’ suoi mali
solo si pasce e sol di pianto ha sete;
ma ’l sonno, che de’ miseri mortali
è co ’l suo dolce oblio posa e quiete,
sopí co’ sensi i suoi dolori, e l’ali
dispiegò sovra lei placide e chete;
né però cessa Amor con varie forme
la sua pace turbar mentre ella dorme.
E’ la pena di Erminia che soffre d’amore per Tancredi…
Non si destò fin che garrir gli augelli
non sentí lieti e salutar gli albori,
e mormorar il fiume e gli arboscelli,
e con l’onda scherzar l’aura e co i fiori.
Apre i languidi lumi e guarda quelli
alberghi solitari de’ pastori,
e parle voce udir tra l’acqua e i rami
ch’a i sospiri ed al pianto la richiami.
Ma son, mentr’ella piange, i suoi lamenti
rotti da un chiaro suon ch’a lei ne viene,
che sembra ed è di pastorali accenti
misto e di boscareccie inculte avene.
Sente un suono di strumenti musicali rudimentali e il canto dei pastori…
Risorge, e là s’indrizza a passi lenti,
e vede un uom canuto a l’ombre amene
tesser fiscelle (intrecciare canestri) a la sua greggia a canto
ed ascoltar di tre fanciulli il canto.
Vedendo quivi comparir repente
l’insolite arme, sbigottír costoro;
ma li saluta Erminia e dolcemente
gli affida, e gli occhi scopre e i bei crin d’oro:
(Silvia legge la parte di Erminia, il professore quella del pastore)
“Seguite," dice "aventurosa gente
al Ciel diletta, il bel vostro lavoro,
ché non portano già guerra quest’armi
a l’opre vostre, a i vostri dolci carmi."
Soggiunse poscia: "O padre, or che d’intorno
d’alto incendio di guerra arde il paese,
come qui state in placido soggiorno
senza temer le militari offese?"
"Figlio," ei rispose "d’ogni oltraggio e scorno
la mia famiglia e la mia greggia illese
sempre qui fur, né strepito di Marte
ancor turbò questa remota parte.
O sia grazia del Ciel che l’umiltade
d’innocente pastor salvi e sublime,
o che, sí come il folgore non cade
in basso pian ma su l’eccelse cime,
cosí il furor di peregrine spade
sol de’ gran re l’altere teste opprime,
né gli avidi soldati a preda alletta
la nostra povertà vile e negletta.”
Cioè, dice, forse nessuno si cura di noi perché siamo poveri, ci si cura soltanto dei re…
“Altrui vile e negletta, a me sí cara
che non bramo tesor né regal verga,
né cura o voglia ambiziosa o avara
mai nel tranquillo del mio petto alberga.
Spengo la sete mia ne l’acqua chiara,
che non tem’io che di venen s’asperga,
e questa greggia e l’orticel dispensa
cibi non compri a la mia parca mensa.
Ché poco è il desiderio, e poco è il nostro
bisogno onde la vita si conservi.
Son figli miei questi ch’addito e mostro,
custodi de la mandra, e non ho servi.
Cosí me ’n vivo in solitario chiostro,
saltar veggendo i capri snelli e i cervi,
ed i pesci guizzar di questo fiume
e spiegar gli augelletti al ciel le piume.
Tempo già fu, quando piú l’uom vaneggia
ne l’età prima, ch’ebbi altro desio
e disdegnai di pasturar la greggia;
e fuggii dal paese a me natio,
e vissi in Menfi un tempo, e ne la reggia
fra i ministri del re fui posto anch’io,
e benché fossi guardian de gli orti
vidi e conobbi pur l’inique corti.”
Dice il pastore di avere visitato le corti ingiuste, le corti dell’ipocrisia, dell’ambizione, dell’arroganza, perché desiderava vivere in maniera diversa…
“Pur lusingato da speranza ardita
soffrii lunga stagion ciò che piú spiace;
ma poi ch’insieme con l’età fiorita
mancò la speme e la baldanza audace,
piansi i riposi di quest’umil vita
e sospirai la mia perduta pace,
e dissi; `O corte, a Dio.’ Cosí, a gli amici
boschi tornando, ho tratto i dí felici."
Dopo il primo abbaglio ha visto la realtà sconfortante di questa condizione e ha preferito ritornare fra i suoi amici, fra i pastori e le pecore…
Mentre ei cosí ragiona, Erminia pende
da la soave bocca intenta e cheta;
e quel saggio parlar, ch’al cor le scende,
de’ sensi in parte le procelle acqueta.
Dopo molto pensar, consiglio prende
in quella solitudine secreta
insino a tanto almen farne soggiorno
ch’agevoli fortuna il suo ritorno.
Onde al buon vecchio dice: "O fortunato,
ch’un tempo conoscesti il male a prova,
se non t’invidii il Ciel sí dolce stato,
de le miserie mie pietà ti mova;
e me teco raccogli in cosí grato
albergo ch’abitar teco mi giova.
Forse fia che ’l mio core infra quest’ombre
del suo peso mortal parte disgombre.
Ché se di gemme e d’or, che ’l vulgo adora
sí come idoli suoi, tu fossi vago,
potresti ben, tante n’ho meco ancora,
renderne il tuo desio contento e pago."
Si chiude così questo episodio di Erminia tra i pastori, al quale Tasso affida il suo giudizio negativo sulla corte, il luogo della rivalità, dell’ambizione, della falsità. Eppure lui l’ha amata, ha tentato in tutti i modi di viverci, lo abbiamo spiegato nella lezione precedente.
Tasso comunque nei grandi personaggi femminili, come Erminia e Clorinda, o Sofronia anche, rappresenta la sensibilità particolare di questo genere, ma anche la precarietà della vita e una sospensione, una malinconia diffusa, generata dalla sua dura esperienza biografica, ma anche dai tempi. E’ il periodo della seconda metà del Cinquecento, in cui non ci sono più le certezze del rinascimento. Si chiude questa grandissima stagione in un’altra che ebbe il nome di manierismo. Tutto viene ridotto a maniera, a modello, di una realtà che si vuole conservare, di cui si teme che si perda, ma in fondo quello che prevale è proprio il senso della precarietà, di cui Tasso è la massima espressione con la sua poesia, proprio perché descrive amori che non si realizzano, che sono minacciati da continui ostacoli. Anche nello stesso motivo sensuale, erotico, che attraversa la “Gerusalemme liberata” c’è questa idea che sia difficile realizzare quanto si desidera, anche per la censura ecclesiastica e quei mille problemi che accampa la chiusura mentale di questa Chiesa della Controriforma.
Abbiamo ancora due grandi personaggi con i quali dobbiamo concludere la trattazione del Cinquecento. Michelangelo e Giordano Bruno. Con il primo ritorniamo un po’ indietro, ai primi anni del Cinquecento, ricordando la sua posizione nei confronti della corte rinascimentale. Ha avuto rapporti soprattutto con papa Giulio Secondo, con cui ha dovuto combattere per la commissione che gli affida, la decorazione della volta della Cappella sistina. In un primo momento il pontefice voleva che dipingesse i dodici apostoli con dei motivi floreali, ma l’artista reagisce a questa intenzione e crea la sua idea, quella delle Storie della Genesi. E poi dipingerà anche, su una parete della Cappella sistina, il Giudizio Universale. Ma nel lungo rapporto con Giulio Secondo ci sono già le premesse di quello che sarà poi manifestazione della crisi del rinascimento, del cosiddetto antirinascimento, perché è un artista ribelle, non ossequioso e allineato come lo stesso Raffaello. Paradossalmente lui, più anziano, è più anticipatore dei nuovi tempi dello stesso Raffaello, che è più integrato nella società. Michelangelo invece si scaglia contro certe cose che non accetta del pontefice, come il fatto che gli metta sempre davanti questo Bramante, l’architetto di San Pietro, geloso della sua capacità e del progetto di collocare la tomba di Giulio Secondo al centro della navata. E poi ancora continua a discutere con il papa nei nove anni che impiegherà per la decorazione della volta. Vediamo il vertice di questo immenso affresco…
MICHELANGELO BUONARROTI, STORIE DELLA GENESI: LA CREAZIONE DI ADAMO
Michelangelo, soprattutto nella Creazione di Adamo, dopo che è riuscito a superare la resistenza del papa, quando ha potuto finalmente realizzare il suo progetto, vuole indicarci un vero uomo del rinascimento, l’uomo sereno, tranquillo, non peccaminoso. E in quell’immagine che abbiamo del dito di Dio che sfiora il dito di Adamo, un Dio benevolo di aspetto, con un Adamo limpido nel suo sguardo, c’è proprio tutto il rinascimento nella sua fase migliore, con la fiducia nell’uomo, quella fiducia che poi si va pian piano sgretolando nel corso del secondo, terzo decennio del Cinquecento, fino alla personalità complessa di Benvenuto Cellini.
Passiamo infine, nella seconda metà del Cinquecento, a Giordano Bruno, la personalità che chiude questo secolo, perché nel 1600 esatto verrà ucciso sul rogo in Campo dei fiori, a Roma, essendosi opposto ai pregiudizi e alle pretese in campo culturale della Chiesa, la grande autorità politica del tempo. Lo ha fatto soprattutto sostenendo la grande novità della teoria copernicana. Tu nel laboratorio teatrale, infatti, interpreti, insieme con altri, questo momento in cui Giordano Bruno parla agli studenti dell’Università della Sorbona, che lo applaudono quando sta dicendo appunto…
SILVIA: Che la terra non è più al centro dell’universo, ma è il sole che è al centro dell’universo, fermo, mentre la terra gira intorno al sole.
Brava. Anche se non dice che il sole è al centro dell’universo, ma solo al centro del suo sistema. Poi aggiunge che la terra è uno dei tanti mondi. Nel “Dell’infinito universo et mondi” dirà che la terra è uno dei punti che sono sparsi nell’universo e che tutti i punti ne sono centro. Questa eliminazione della centralità dell’uomo è pericolosa per la Chiesa del tempo e produrrà la grande reazione nei confronti di Bruno, che è rappresentata in questi documenti che ora andiamo a leggere per voi. Sentite cosa si è costretti a dire di lui in un processo a Venezia. E’ Giovanni Mocenigo che parla. Venezia, 23 maggio 1592…
INQUISIZIONE VENEZIANA: DEPOSIZIONE DI GIOVANNI MOCENIGO CONTRO GIORDANO BRUNO
Io Zuane Mocenigo fo del cl.mo messer Marco Antonio dinunzio a Vostra Paternità Molto Reverenda per obligo della mia coscienza e per ordine del mio confesor, aver sentito a dire a Giordano Bruno nolano, alcune volte ch’ha ragionato meco in casa mia : che è biastemia grande quella de cattolici il dire che il pane si transustanzii in Carne ; che lui è nemico della Messa ; che niuna religione gli piace; che Cristo , e che se faceva opere triste di sedur populi , poteva molto ben predire di dover esser impiccato; che non vi è distinzione in Dio di persone , e che questo sarebbe imperfezion in Dio ; che il mondo è eterno , e che sono infiniti mondi , e che Dio ne fa infiniti continuamente , perché dice che vuole quanto che può ; che Cristo faceva miracoli apparenti e ch’era un mago , e così gli apostoli , a ch’a lui daria l’animo di far tanto , e più di loro , che Cristo mostrò di morir mal volentieri , e che la fuggì quanto che puotè ; che non vi è punizione di peccati , e che le anime create per opera della natura passano d’un animal in un altro ;
In realtà Mocenigo si vendicava anche di chi non gli aveva insegnato la magia per condurre meglio i suoi affari, replicando che la sua era solo magia naturale, cioè estro e capacità intellettuale. Da lì cominciano i guai che lo porteranno al rogo. Per quello che in questo documento si dice, effettivamente Giordano Bruno aveva parlato, in maniera molto più completa di questa semplificazione di Giovanni Mocenigo, del fatto che c’è una continuità nell’universo. Per spiegare al popolo, alla gente semplice, la sua teoria, la sua interpretazione della realtà, diceva che noi beviamo il latte, che è preso dalla mucca, che bruca l’erba, che è irrorata dalla pioggia, che viene dal cielo. Insomma, con questa rappresentazione riesce a far capire quanto siamo tutti collegati nell’universo. E Dio è nell’universo, per Giordano Bruno, è la materia stessa. Infatti è questo che dice Paolo, il tuo compagno di laboratorio, ricordi, quando impersona Bruno: Dio è la materia stessa! E voi studenti applaudite alla sua affermazione. Ancora dice poi Mocenigo…
ha detto che la Vergine non può aver parturito , e che la nostra fede cattolica è piena tutta di bestemie contra la maestà di Dio ;
Bruno aveva negato la verginità di Maria. Poi abbiamo, direttamente riportate, le parole di Giordano Bruno, il 2 giugno del 1592, dopo l’interrogatorio del tribunale di Venezia…
INQUISIZIONE VENEZIANA: DIFESA DI GIORDANO BRUNO
(...) Interrogatus se publicamente o privatamente nelle lettioni ch’egli ha fatto in diversi luochi, secondo ha detto di sopra nelli altri suoi costituti, ha mai insegnato, tenuto o disputato articulo contrario o repugnante alla fede catholica et secondo la termination della Santa Romana Chiesa.
Respondit :
Direttamente non ho insegnato cosa contra la religione catholica christiana, benché indirettamente, come è stato giudicato in Parisi ; dove pur me fu permesso trattare certe disputationi sotto il titolo de Centovinti articuli contra li Peripatetici et altri volgari filosofi, stampati con permissione de superiori, come fusse lecito trattarne secondo la via de ‘ principii naturali, non preiudicando alla verità secondo il lume della fede. Nel qual modo si possono leggere et insegnare li libri d’Aristotile ed di Platone, che nel medesmo modo indirettamente sono contrarii alla fede, anci molto più contrarii che gli articuli da me filosoficamente proposti et diffesi ; li quali tutti possono esser conosciuti da quel che è stampato in questi ultimi libri latini da Francoforte, intitolati De minimo, De monade, De immenso et innumerabilibus et in parte De compositione imaginum. Et in questi libri particularmente si può veder l’intention mnia et quel che ho tenuto ; la qual , in somma, è ch’io tengo un infinito universo, cioè effetto della infinita divina potentia, perché io stimavo cosa indegna della divina bontà et potentia, che possendo produr, oltra questo mondo un’altro et altri infiniti, producesse un mondo finito.
Cioè, io ho ritenuto impossibile che Dio, infinito, potesse produrre un mondo solo finito, quando ne poteva produrre infiniti…
Sì che io ho dechiarato infiniti mondi particulari simili a questo della terra ; la quale con Pittagora intendo uno astro, simile alla quale è la luna, altri pianeti et altre stelle, le qual sono infinite ; et che tutti questi corpi sono mondi et senza numero, li quali constituiscono poi la università infinita in uno spatio infinito ; et questo se chiama universo infinito, nel quale sono mondi innumerabili. Di sorte che è doppia sorte de infinitudine de grandezza dell’infinito et de moltitudine de mondi, onde indirettamente si intende essere repugnata la verità secondo la fede.
E con queste parole di Giordano Bruno siamo ormai verso la conclusione di queste lezioni sul Cinquecento. Ripercorriamo in grandi linee tutta la sua esperienza, che è esemplare. Nolano, domenicano, gira il mondo e vede che tutti i regnanti ai quali ha chesto pace e giustizia invece sono portati sempre al sangue. Infatti in quest’ultimo scorcio del Cinquecento è stata una strage. Le guerre di religione si sono sparse dappertutto e Giordano Bruno ha cercato di portare questo messaggio di pace, di conflitto intellettuale, ma di silenzio delle armi, ma non ha trovato da nessuna parte buone intenzioni. Anzi, dice in un suo famoso intervento che addirittura quello che dovrebbe essere il re della pace, il più grande regnante del mondo, cioè il papa, è il primo che organizza conflitti e stragi, che giustifica il sangue versato per la fede.
Giordano Bruno sarà sottoposto per ben otto anni alla tortura fisica e psicologica, prima di essere condannato al rogo nel 1600 in Campo dei Fiori. Il papa che lo condanna, Clemente Ottavo, non avrebbe voluto che questo accadesse, ma è costretto, dal giubileo del 1600 e dalla pressione degli alti prelati che ritengono che in quell’anno particolare bisogna dare il buon esempio a quelli che sono sospettati di eresia, a farlo bruciare in Campo dei Fiori. La tortura riservatagli è a tutti nota, la diatriba tra la Chiesa e Giordano Bruno è andata avanti per secoli e soltanto nell’ultimo periodo l’autorità ecclesiastica ha ritrattato, possiamo dire, e ha riabilitato, almeno in parte, la figura del grande nolano, riconoscendo i propri torti, anche se comunque molte delle convinzioni di Bruno risultano contrarie ai dogmi nei quali ancora la Chiesa crede.
Si chiude in questa maniera involuta il Cinquecento, che era stato un secolo di grande, massimo sviluppo delle idee, a causa della grande cappa di censura, di proibizioni, che la Chiesa ha organizzato sulla cultura. Parleremo, nella prossima serie di lezioni, della nuova società che si avvia con la scienza moderna a partire proprio da quell’anno, il 1600, nel quale, con il sacrificio di giordano Bruno, si è chiusa un’epoca.
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