Antologia - 17^ Lezione
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ROMANTICISMO: KEATS, SHELLEY, SCHILLER
Diciassettesima lezione, con Barbara. L’ultima volta abbiamo trattato l’aspetto risorgimentale del romanticismo, con Vincenzo Cuoco, che porta l’attenzione sul sentimento nazionale. Adesso ci riannodiamo alla fase particolare di passaggio dal neoclassicismo al romanticismo che è quella preromantica. Recuperando un ragionamento che avevamo fatto a proposito di Goethe, che, prima di approdare ad una posizione più equilibrata, aveva attraversato lo Sturm und Drang, la fase dell’assalto, la tempesta e l’affidamento agli impulsi più violenti, dicemmo anche che in quel contesto una componente di questa maturazione del romanticismo era il neoclassicismo.
Partiamo da un autore che ha incarnato le due anime di questo movimento romantico, la neoclassica e la preromantica, John Keats. Inglese, contemporaneo di Shelley, Wordsworth, Coleridge, di cui parleremo tra poco, in un suo famoso testo, “Ode sopra un’urna greca”, ha codificato un’idea di perfezione definitiva. Ispirandosi a un’antica urna greca, che sarà il contenuto più interessante dei tuoi studi, penso, Barbara, la ceramica, soprattutto attica, scrive questo componimento, pubblicato nel 1820:
JOHN KEATS, ODE A UN’URNA GRECA
Tu, della quiete sposa ancora intatta,
tu, pupilla del silenzio e delle ore lente,
narratrice silvana, che sai così narrare
un fiorito racconto con più dolcezza della nostra rima:
qual leggenda incorniciata di foglie abita sopra la tua forma,
di numi, o di mortali, o di mortali e numi,
in Tempe o nelle valli dell'Arcadia?
Che uomini o dei son questi? Quali vergini schive?
Qual folle inseguimento? Qual lotta per fuggire?
Quali zampogne e cembali? Qual estasi selvaggia?
Dolci son le melodie udite, ma quelle non udite
sono più dolci; perciò, molli zampogne, suonate ancora;
non per l'orecchio dei sensi, ma, ben più preziosi,
suonate per lo spirito canti senza suono;
bel giovinetto, là, sotto le piante, tu non puoi lasciare
il tuo canto, né possono mai quelle piante essere nude;
audace amante, giammai, giammai tu puoi baciare,
pur se la meta quasi tocchi - eppure non averne affanno;
ella non può appassire, pur se la gioia tua non hai,
tu per sempre amerai, ed ella sarà bella!
Ah! beati, beati rami! Che spander non potete
le vostre foglie, né mai dire addio a Primavera;
e musico felice, che non sei mai stanco,
e sempre suoni canti sempre nuovi;
e più felice amore! Più felice, più felice amore!
Per sempre caldo, e ancora da godere,
per sempre palpitante, e per sempre giovane;
d'ogni spirante passione umana assai più in alto,
che lascia il cuore sazio e colmo d'alto affanno,
fronte che arde, e lingua disseccata.
Chi son costoro che vengono al sacrifizio?
A quale verde altare, o prete misterioso,
guidi quella giovenca mugghiante verso i cieli,
con i serici fianchi tutti di ghirlande adorni?
Qual piccola città, su un fiume o in riva al mare,
o costruita sui monti con pacifica acropoli,
si vuota di questo popolo, questa sacra mattina?
E tu, piccola città, le tue vie per sempre
saranno silenziose; e non un'anima che dica
perché deserta sei, potrà mai tornare.
O attica forma! Atteggiamento bello! Da una stirpe
di uomini e fanciulle di marmo ricoperta,
di rami di foresta e calpestata erba;
tu, forma silente, ci costringi a uscire dal pensiero
come l'eternità: o fredda ecloga!
Quando vecchiaia questa generazione avrà consunta,
tu rimarrai, in mezzo ad altro dolore
che non il nostro, amica all'uomo, a cui tu dici:
«Bellezza è verità, verità è bellezza» - e questo è tutto
ciò che al mondo sapete, e tutto ciò che occorre che sappiate.
Questa perfezione raggiunta una volta per sempre è appunto racchiusa in un’immagine che non può essere più modificata. E’ il famoso canone della bellezza di cui parlava anche Winckelmann.
Questo è anche il periodo in cui si sviluppa la poetica romantica. Sulla rivista “Athenaeum” nel 1798 si pubblicano in Germania le prime dissertazioni su questa nuova sensibilità, teorizzate dai fratelli Schlegel, dal poeta Novalis, da Tieck, Hoelderlin e tanti altri. Un accenno a questa fase romantica tedesca lo abbiamo già fatto. Poi questa poetica che parla di sentimento, di individualità, di istinto, di lotta contro le regole, di libertà contro le convenzioni sociali, cose già viste per lo Sturm un Drang, rappresentate attraverso il “giovane Werther” di Goethe, passa anche in Inghilterra. Nella loro “Preface” alle “Lyrical ballads”, i due poeti Wordsworth e Coleridge, uniti in questa avventura letteraria, determinano la loro adesione alla poetica romantica, pochissimo tempo dopo l’apparizione delle teorie dei fratelli Schlegel.
Ricordo che Coleridge è stato uno dei primi poeti che hanno attraversato il problema dell’uso di stupefacenti (ne vedremo un altro più avanti), è vissuto poco, è morto all’età di 25 anni, come 30 anni soltanto vive Shelley, l’altro grande romantico di questo periodo. Ha avuto anche una vita molto movimentata, rispetto all’altro, Wordsworth, che era un po’ più regolato e forse per questo è vissuto di più.
Vi voglio introdurre alla grande manifestazione della poesia romantica attraverso “Ode al vento occidentale” di Percy Bysshe Shelley, del 1819:
PERCY BYSSHE SHELLEY, ODE AL VENTO OCCIDENTALE
Oh tu selvaggio vento dell’Ovest, respiro dell’essenza dell’autunno,
tu, dalla cui invisibile presenza le foglie morte
sono trascinate, come spettri in fuga da un incantatore.
Gialle e nere e pallide e febbrilmente rosse,
moltitudini colpite dalla pestilenza: oh tu
che sospingi ai loro oscuri letti dell’inverno
i semi alati, dove giacciono freddi e profondi,
ognuno come cadavere nella sua tomba, finché
la tua azzurra sorella della primavera soffierà
nel suo corno sulla sognante terra, e colmerà
(guidando i dolci germogli come greggi a pascolare nell’aria)
di vivaci colori e profumi pianura e collina:
oh Spirito selvaggio, che spiri per ogni dove;
distruttore e preservatore; ascolta, oh ascolta!
Tu nella cui corrente, in mezzo al tumulto dell’alto cielo,
nuvole sciolte come foglie cadenti della terra sono sparse,
scosse dai rami aggrovigliati di Cielo e Oceano,
messaggeri di pioggia e lampi: là sono disperse
sull'azzurra superficie del tuo aereo ondeggiare,
come i lucenti capelli sollevati dalla testa
d'una feroce Menade, perfino dal fosco margine
dell'orizzonte fino all’altezza dello zenit,
le serrature della tempesta in arrivo. Tu, canto funebre
dell'anno morente, al quale questa notte che sta finendo
sarà la cupola di un sepolcro immenso,
cui fa da volta da tutta la potenza concentrata
di vapori, dalla cui densa atmosfera
esploderanno nera pioggia e fuoco e grandine: oh, ascolta!
Tu che svegliasti dai suoi sogni estivi
l’azzurro Mediterraneo, dove giaceva
cullato dal gorgoglio dei suoi flutti cristallini,
accanto a un'isola di pomice nella baia di Baia,
e vedesti nel sonno antichi palazzi e torri
tremolanti nella luce più intensa dell'onda
tutti sommersi da muschio azzurro e fiori
così dolci, che nel raffigurarli il senso viene meno! Tu
al cui passaggio la potente superficie d'Atlantico
si squarcia in abissi, mentre giù in profondità
le inflorescenze marine e i boschi fangosi, che indossano
le foglie avvizzite dell'oceano, conoscono
la tua voce, e si fanno all'improvviso grigi di paura,
e tremano e si spogliano: oh, ascolta!
Se io fossi una foglia appassita che tu potessi portare;
se fossi una veloce nuvola per volare con te;
un'onda che ansima sotto il tuo potere, e condivide
l'impulso della tua forza, soltanto meno libera
di te, oh tu che sei incontrollabile! Se anche
io fossi nella mia fanciullezza, e potessi essere
il compagno dei tuoi vagabondaggi nel cielo,
come allora, quando superare la tua celeste velocità
a mala pena sembrava una visione, io mai avrei gareggiato
così con te in preghiera nel mio estremo bisogno.
Ti prego, innalzami come un'onda, una foglia, una nuvola.
Cado sopra le spine della vita! Sanguino!
Un grave peso di ore ha incatenato, piegato
uno a te troppo simile: indomito, veloce e orgoglioso.
Fa di me la tua cetra, come lo è anche la foresta;
che cosa importa se le mie foglie cadono come le sue!
Il tumulto delle tue potenti armonie
acquisterà da entrambi un profondo canto autunnale
dolce nella sua tristezza. Che tu sia, o spirito fiero,
il mio spirito! Che tu sia me, spirito impetuoso!
Guida i miei morti pensieri per l'universo
come foglie ingiallite per affrettarmi una nascita nuova;
e con l'incanto di questi miei versi,
spargi, come da un focolare non ancora spento
ceneri e faville, le mie parole fra il genere umano!
Che tu sia attraverso le mie labbra, per una terra non ancora desta
la tromba d'una profezia! Oh, vento,
se viene l'Inverno, può essere lontana la primavera?
Vedete l’idea dell’energia che il vento dà al mondo e che il poeta vorrebbe desse a lui, attraverso quegli elementi che sono nominati qui: la foglia, l’onda e la nuvola. Tra l’altro le traduzioni non sono tutte perfette. Qualcosa ho cambiato, mentre leggevo, del testo che avevo sotto mano. In questa trascrizione ho potuto riprodurre una versione più fedele all’originale, come, per esempio, nella traduzione dell’ultimo verso: If winter comes, can spring be far? Se viene l’inverno può la primavera essere lontana? Invece nella registrazione avevo sotto gli occhi, sul libro, questa poco concepibile “meraviglia”: può la primavera essere indietro d’assai?
Shelley ci ha detto tutto con questo testo. Ci ha detto dell’empito, della potenza, della forza vitale, della soggettività, anche dell’incarico del vate, del poeta che sente di essere il depositario di una missione: trasfondere la sua energia al popolo.
E ora vi voglio presentare un altro esempio della poetica romantica nel teatro. Per questo ci aiuteranno Barbara e Silvia Di Lella, che ora ci raggiunge. E’ la “Maria Stuarda” di Schiller. C’è qualche battuta maschile e poi ci sono i due personaggi femminili, Elisabetta, la regina d’Inghilterra figlia di Anna Bolena e di Enrico VIII, e Maria Stuarda, che è la vittima di Elisabetta, colei che si è ribellata e adesso rischia la morte. L’incontro di questi due personaggi permette a Schiller di stabilire il contrasto fra sentimento e idea politica, sentimento e ragione, passione e organizzazione sociale…
(Silvia nei panni di Elisabetta, Barbara in quelli di Maria Stuarda)
SCHILLER, MARIA STUART, ATTO III, SCENA IV
ELISABETTA Chi è questa signora? (Silenzio generale)
LEICESTER Maestà, sei a Fotheringhay.
ELISABETTA (si finge sorpresa e getta a Leicester uno sguardo di rimprovero) Chi mi ha fatto venir qui? Lord Leicester!
LEICESTER Ormai sei qui, Maestà. E poiché il cielo ha guidato i tuoi passi, dai ascolto alla pietà e alla generosità del tuo cuore!
SHREWSBURY Maestà, degnati di accogliere la nostra supplica e volgi gli occhi a un'infelice che qui, davanti a te, sta per venir meno!
(Maria si fa coraggio e, dominandosi, fa qualche passo verso Elisabetta ma, a metà strada, si ferma tremante. I suoi gesti esprimono un dissidio violento e irrefrenabile)
ELISABETTA Cosa mi avete raccontato, signori? Chi mi ha parlato di un'infelice umiliata e vinta! Io vedo un'orgogliosa che non si è lasciata abbattere dalle avversità!
MARIA E sia! Sopporterò anche questo. Addio, sterile orgoglio di un animo nobile! Voglio dimenticare chi sono e le mie spaventose sofferenze, e gettarmi ai piedi di chi è stata la causa della mia rovina. (Rivolgendosi ad Elisabetta) Il cielo, sorella, si è schierato dalla tua parte, e il tuo capo è cinto dall'aureola della vittoria. Ed io venero il Dio che ti ha fatto salire così in alto! (Si inginocchia davanti a lei) Ma ora, sorella, dimostrate anche voi generosità e misericordia! Non lasciatemi affondare nell'umiliazione e nella polvere! Porgetemi la vostra mano regale perché possa sollevarmi dalla vergogna che mi ha spinto così in basso!
ELISABETTA (indietreggiando) Voi, Lady Maria, siete al posto che vi spetta ed io ringrazio Dio che non ha voluto che fossi qua ai vostri piedi come voi, ora, siete qui davanti a me.
MARIA (accalorandosi) Pensate all'eterno avvicendarsi delle cose umane! Riflettete che gli dèi puniscono il peccato d'orgoglio! Adorate e temete quella tremenda maestà che mi ha costretta a gettarmi ai vostri piedi. E, per considerazione nei confronti di chi ci osserva e ci circonda, rispettate voi stessa nella mia persona e non profanate il sangue dei Tudor che scorre nelle mie e nelle vostre vene... Dio del cielo! Non restate gelida e inaccessibile come lo scoglio che il naufrago cerca ad ogni costo, nella sua disperazione, di accostare! Tutto, la mia vita e la sorte che mi attende, dipendono dal potere di persuasione delle mie parole, e dall'eloquenza del mio pianto! Alleviate il mio cuore, fate che si doni al vostro e vi commuova! Quando mi penetrate col gelo dei vostri occhi, il cuore tremando si chiude in se stesso, le lacrime si seccano e un atroce orrore mi impedisce di rivolgervi la supplica che ero pronta a sottoscrivere!
ELISABETTA (con severità e durezza) Lady Stuarda, cosa volete dirmi? Avete chiesto di parlarmi. Voglio mettere da parte la regina, che è stata gravemente offesa, e comportarmi come una sorella misericordiosa: perciò ho deciso di accordarvi la mia presenza. Cedo alla generosità dell'impulso, consapevole di espormi a delle critiche per aver osato abbassarmi fino a questo punto... voi sapete che avete cercato di uccidermi.
MARIA Da dove cominciare? Come collocare una accanto all'altra le parole perché vi commuovano e non vi offendano? Dio mio, conferite forza e persuasione alle mie parole, e privatele di qualsiasi appiglio che possa ferire! Ma non posso perorare la mia causa senza accusarvi, e non voglio farlo! Siete stata crudele con me. Sono una sovrana, come voi, e voi mi avete gettata in un carcere. Vi ho chiesto umilmente aiuto, come una supplice, e voi disprezzando il diritto delle genti e le sacre leggi dell'ospitalità, mi avete rinchiuso tra queste mura; gli amici, i servi vengono allontanati, sono ridotta a una spaventosa miseria e, per finire, sono costretta a subire le deliberazioni di un tribunale ignobile... Non voglio dire altro! L'oblio ricopra per sempre le sofferenze del mio passato... Questo, in fondo, è il gioco prediletto del destino. Né voi né io siamo colpevoli. Uno spirito maligno scaturito dal profondo è sorto ad alimentare in noi la fiamma dell'odio che ci aveva già divise nella giovinezza. È cresciuto nell'intimo di noi stesse, e i malvagi ne hanno attizzato la fiamma mentre i fanatici, nella loro follia, hanno messo in mano agli innocenti la spada e il pugnale... Questa è la maledizione dei sovrani che, nei loro conflitti, coinvolgono i popoli e dalla loro rivalità alimentano spaventosi furori. Ma adesso nessun estraneo si è messo tra noi due (le si avvicina confidenzialmente, in tono insinuante) e siamo una di fronte all'altra. Parlate, sorella! Dite di cosa sono colpevole, e vi confesserò semplicemente la verità. Oh, se mi aveste ascoltato quando tentavo ad ogni costo di incontrarvi! Non saremmo finite a questo punto, e questo doloroso incontro non sarebbe avvenuto in un luogo così triste!
ELISABETTA La mia buona stella ha vegliato su di me e non ha permesso che mi allevassi una serpe in seno! Non incolpate il destino, ma il vostro cuore, e l'ambizione spaventosa della vostra casata. Non c'era la minima ostilità tra noi quando vostro zio, quel prete arrogante avido di potere, che allunga la mano audace verso tutti i troni disponibili, mi dichiarò guerra e vi convinse a pretendere la mia corona, ad adottare il mio stemma, e a sfidarmi ad una contesa mortale. A cosa non è ricorso per combattermi? All'eloquenza dei sacerdoti, alla spada dei popoli, alle armi ingloriose del fanatismo e della esaltazione religiosa. Persino qua, nella pace del mio regno, ha tentato di appiccare la scintilla della sedizione. Ma Dio è dalla mia parte, e quel prete superbo deve cedere il campo. Il suo colpo era diretto contro la mia testa, ed è la vostra a cadere!
MARIA Sono nelle mani di Dio. Non vorrete abusare in modo così orribile del vostro potere.
ELISABETTA Chi me lo impedisce? Vostro zio ha fornito una lezione esemplare ai sovrani della terra su come concludere la pace col nemico! La mia scuola sia la notte di San Bartolomeo! I vincoli di parentela, e il diritto delle genti cosa sono in definitiva? La Chiesa stessa, santificando lo spergiuro e il regicidio, ci libera dai vincoli e ci assolve dai doveri! Io mi limito a praticare l'insegnamento dei vostri preti. Rispondete: se decidessi di rimettervi in libertà, se lo facessi spinta dal mio animo generoso, voi che garanzia mi dareste in cambio? Con quale serratura potrei rinchiudere la vostra lealtà? La chiave di San Pietro potrebbe sempre aprirla. L'unica garanzia di cui dispongo è la forza, e con un nido di vipere non si scende a patti.
MARIA Oh questa tetra diffidenza, ecco balenare di nuovo timori e sospetti! Mi avete sempre considerata un'estranea, una nemica: se mi aveste riconosciuta erede, come è mio diritto, l'affetto e la gratitudine mi avrebbero trasformata in un'amica e in una cara parente!
ELISABETTA I vostri amici, signora, non sono qui: i vostri fratelli sono i preti, e la vostra casa è il papato. Dite che avrei dovuto nominarvi erede? Ah, che insidia ben congegnata! Perché, mentre sono ancora in vita, voi lasciva Armida possiate sedurre in pace il mio popolo e far cadere nelle vostre reti voluttuose i nobili migliori del paese, perché tutti comincino ad adorare il nuovo sole, ed io...
MARIA Regnate in pace! Cedo a qualsiasi pretesa su questo regno. Ahimè, le ali del mio spirito sono spezzate, la grandezza non mi seduce più... Avete raggiunto il vostro scopo: non sono che l'ombra di Maria. Quell'ardente coraggio che possedevo un tempo è stato stroncato negli anni bui e nel disonore del carcere... Avete ottenuto ciò che era assolutamente imprevedibile: mi avete distrutta nel fiore degli anni! Ma adesso arrivate alla conclusione, sorella! Pronunciate quella parola! Quella che vi ha fatto venire fin qui! Ditemi: «Siete libera, Maria! Avete conosciuto il rigore inflessibile della mia forza, ed ora imparate a conoscere la mia generosità d'animo!». Dite queste parole, e allora vedrete che rinascerò per merito vostro alla libertà e alla vita... Una sola parola che annullerà per sempre il passato. Io sono qui ad attenderla, non fatemi aspettare ancora! Guai a voi se mi abbandonerete senza averla pronunciata, se non prenderete congedo da me come una dea benevola e pietosa. Oh, cara sorella, per tutte le ricchezze di quest'isola e di ogni terra circondata dalle acque del mare, non vorrei stare qui davanti a voi come voi siete ora davanti a me!
ELISABETTA Ammettete finalmente la sconfitta? Avete finito di tramare i vostri intrighi? Non c'è più nessun sicario che mi assalga a tradimento? E nessun avventuriero pronto ad essere assoldato per le vostre tristi imprese? Allora per voi non c'è più scampo, Lady Maria. Non sedurrete più nessuno, e il mondo si occuperà di ben altro. Nessuno si candiderà mai più al ruolo di vostro... quarto marito, dal momento che siete imparziale nell'eliminare sia mariti che spasimanti!
MARIA (trasalendo) Sorella! Sorella! Dio mio, fammi restare padrona di me stessa!
ELISABETTA (fissandola a lungo con aperto disprezzo) Sarebbero queste, Lord Leicester, le doti che nessun uomo può ammirare impunemente e che nessuna donna può mai sperare di uguagliare? Devo ammettere che la fama di cui gode è ampiamente sopravvalutata. Per diventare la bellezza universale basta diventare la bellezza di tutti!
MARIA Questo è troppo!
ELISABETTA (con una risata di scherno) Adesso mostrate il vostro vero volto, quello di prima era solo una maschera.
MARIA (con estrema dignità, fremente d'ira) Ho compiuto parecchi sbagli deplorevoli nella mia giovinezza, ed ognuno di noi può sbagliare. Ho adorato il potere apertamente, e con un regale orgoglio da cui non andava esente la lealtà non ho mai fatto mistero di ciò che ero. Il mondo è informato di me nei dettagli più intimi e atroci, ma posso affermare di essere migliore della fama che mi circonda. Guai a voi se un giorno vi strapperete quel manto d'ipocrisia col quale nascondete con tanta abilità le vostre ardenti e violente passioni! Da vostra madre non vi è certo stata trasmessa l'onestà: sappiamo tutti per quale eletta virtù Anna Bolena è salita sul patibolo!
SHREWSBURY (intromettendosi tra le due regine) Dio mio! A questo dovevamo arrivare! Dove sono l'umiltà e la condiscendenza che mi avevate promesso, Lady Maria?
MARIA Condiscendenza? Ho sopportato ciò che è umanamente sopportabile! Adesso ti abbandono per sempre, miserabile condiscendenza che si addice a una pecora! Vattene, vile pazienza, il mio cuore ti ripudia! Ira da troppo tempo repressa, spezza le tue catene ed esci dall'orrida voragine dove da troppo tempo ti eri inabissata! Tu che hai regalato al basilisco quello sguardo che è in grado di uccidere, fa' spuntare sulla mia lingua una freccia intinta di veleno (…) Il trono d'Inghilterra è profanato da una bastarda, e il nobile popolo britannico è ingannato da un'astuta istriona! Se regnasse il diritto, voi ora sareste qui, nella polvere, in mia presenza perché sono io la vostra regina.
Brave tutte e due. Grazie a Silvia, alias Elisabetta, per la sua collaborazione. Chiudiamo qui questa lettura di testi romantici, con Barbara, alias Maria Stuarda. Arrivederci.
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