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PRIMO LEVI, BASSANI, TABUCCHI, STEINBECK, HEMINGWAY



Antologia - TERZO ANNO - 29^ Lezione
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I grandi della letteratura italiana: Pier Paolo Pasolini
PRIMO LEVI, BASSANI, TABUCCHI, STEINBECK, HEMINGWAY
 Ventinovesima lezione, con Mariateresa. Oggi tratteremo autori che hanno avuto a che fare con la dittatura, il razzismo, problemi veramente gravi di questo secolo. Cominciamo da Primo Levi, con “Se questo è un uomo” e “La tregua”, le due testimonianze della sua esperienza ad Auschwitz. Perseguitato dalle leggi razziali del fascismo, riuscì a laurearsi in chimica, cosa che era consentita, nel 1941, quando già da tre anni erano in vigore le leggi razziali. Poi partecipò alla lotta partigiana, nel 1943, subito dopo l’armistizio, ma fu preso e deportato ad Auschwitz. Leggiamo le sue parole in questo testo tratto da “Se questo è un uomo”, che ci presenta Mariateresa… 
 
Abbiamo ben presto imparato che gli ospiti del Lager sono distinti in tre categorie: i criminali, i politici e gli ebrei. Tutti sono vestiti a righe, sono tutti Haftlinge, ma i criminali portano accanto al numero, cucito sulla giacca, un triangolo verde; i politici un triangolo rosso; gli ebrei, che costituiscono la grande maggioranza, portano la stella ebraica, rossa e gialla. Le SS ci sono si, ma poche, e fuori del campo, e si vedono relativamente di rado: i nostri padroni effettivi sono i triangoli verdi, i quali hanno mano libera su di noi, e inoltre quelli fra le due altre categorie che si prestano ad assecondarli: i quali non sono pochi. Ed altro ancora abbiamo imparato, più o meno rapidamente, a seconda del carattere di ciascuno; a rispondere "jawoll" , a non fare mai domande, a fingere sempre di avere capito. Abbiamo appreso il valore degli alimenti; ora anche noi raschiamo diligentemente il fondo della gamella dopo il rancio, e la teniamo sotto il mento quando mangiamo il pane per non disperderne le briciole. Anche noi adesso sappiamo che non è la stessa cosa ricevere il mestolo di zuppa prelevato dalla superficie o dal fondo del mastello, e siamo già in grado di calcolare, in base alla capacità dei vari mastelli, quale sia il posto più conveniente a cui aspirare quando ci si mette in coda.
Abbiamo imparato che tutto serve; il fil di ferro, per legarsi le scarpe; gli stracci, per ricavarne pezze da piedi; la carta, per imbottirsi (abusivamente) la giacca contro il freddo. Abbiamo imparato che d'altronde tutto può venire rubato, anzi, viene automaticamente rubato non appena l'attenzione si rilassa; e per evitarlo abbiamo dovuto apprendere l'arte di dormire col capo su un fagotto fatto con la giacca, e contenente tutto il nostro avere, dalla gamella alle scarpe.
Conosciamo già in buona parte il regolamento del campo, che è favolosamente complicato. Innumerevoli sono le proibizioni: avvicinarsi a meno di due metri dal filo spinato; dormire con la giacca, o senza mutande, o col cappello in testa; servirsi di particolari lavatoi e latrine che sono “nur fur Kapos” (solo per capi) o “nur fur Reichsdeutsche” (solo per i tedeschi dell’Impero); non andare alla doccia nei giorni prescritti, e andarvi nei giorni non prescritti; uscire di baracca con la giacca sbottonata, o col bavero rialzato; portare sotto gli abiti carta o paglia contro il freddo; lavarsi altrimenti che a torso nudo.
(…) Tale sarà la nostra vita. Ogni giorno, secondo il ritmo prestabilito, Ausrucken ed Einrucken, uscire e rientrare; lavorare, dormire e mangiare; ammalarsi, guarire o morire.
...E fino a quando? Ma gli anziani ridono a questa domanda: a questa domanda si riconoscono i nuovi arrivati. Ridono e non rispondono: per loro, da mesi, da anni, il problema del futuro remoto è impallidito, ha perso ogni acutezza, di fronte ai ben più urgenti e concreti problemi del futuro prossimo: quanto si mangerà oggi, se nevicherà, se ci sarà da scaricare carbone.
Se fossimo ragionevoli, dovremmo rassegnarci a questa evidenza, che il nostro destino è perfettamente inconoscibile, che ogni congettura è arbitraria ed esattamente priva di fondamento
reale. Ma ragionevoli gli uomini sono assai raramente, quando è in gioco il loro proprio destino; essi preferiscono in ogni caso le posizioni estreme; perciò, a seconda del loro carattere, fra di noi gli uni si sono convinti immediatamente che tutto è perduto, che qui non si può vivere e che la fine è certa e prossima; gli altri, che, per quanto dura sia la vita che ci attende, la salvezza è probabile e non lontana, e, se avremo fede e forza, rivedremo le nostre case e i nostri cari. Le due classi, dei pessimisti e degli ottimisti, non sono peraltro così ben distinte: non già perché gli agnostici siano molti, ma perché i più, senza memoria né coerenza, oscillano fra le due posizioni-limite, a seconda dell'interlocutore e del momento.
Eccomi dunque sul fondo. A dare un colpo di spugna al passato e al futuro, si impara assai presto, se il bisogno preme.

 
Chiudiamo qui la citazione dal romanzo “Se questo è un uomo”, che non richiede ulteriori commenti, tanto è evidente e chiaro il quadro di disumanità del lager, che costringe i suoi ospiti a una cruda lotta per sopravvivere. Primo Levi scriverà poi “La tregua”, sul suo ritorno da Auschwitz, e altri romanzi ispirati alla sua esperienza e competenza tecnico-scientifica, come “La chiave a stella” e “Il sistema periodico”.
Un altro grande testimone delle leggi razziali del fascismo è Giorgio Bassani. Il suo romanzo più noto, “Il giardino dei Finzi Contini”, che divenne uno straordinario film di De Sica, del 1970, narra la storia di una famiglia benestante e privilegiata, che nella Ferrara del tempo delle leggi razziali all’improvviso cominciò a dovere chiudersi e difendersi, isolarsi, fino al punto che i suoi componenti furono deportati, per poi morire lontano dall’Italia. I protagonisti della vicenda, Alberto e Micol, vivono prevalentemente in un campo da tennis, dove gestiscono il loro tempo libero, frequentato da altri, tra cui il narratore, lo stesso autore, e Giampiero Malnate. Si stabilirà un triangolo tra lui, Malnate e Micol. Esaminiamo qualche passo che ci fa intendere quali sono i sentimenti coinvolti in una vita affettiva sconvolta dal contesto al di sopra dei protagonisti, quello delle leggi razziali e della conseguente deportazione. Leggi Mariateresa…
 
Domandai [a Micòl] perché le sembrasse tanto impossibile [che loro due potessero fare l'amore].
Per infinite ragioni – rispose –: la prima delle quali era che a pensar di far l'amore con me le riusciva altrettanto imbarazzante che se avesse pensato di farlo con il fratello, toh, con Alberto. Era vero: da bambina, aveva avuto per me un piccolo striscio: e chissà, forse era proprio questo che adesso la bloccava talmente nei miei riguardi. Io... io le stavo di fianco, capivo?, non già di fronte: mentre l'amore – così, almeno, se lo immaginava lei – era roba per gente decisa a sopraffarsi a vicenda: uno sport crudele, feroce, ben più crudele e feroce del tennis!, da praticarsi senza esclusione di colpi e senza mai scomodare, per mitigarlo, bontà d'animo e onestà di propositi.
«Sono anche io come tutte le altre: bugiarda, traditora, infedele... Non molto diversa da un'Adriana Trentini qualsiasi, in fondo».
Aveva detto «infedele» spiccando le sillabe, con una specie di amaro orgoglio. Proseguendo, aggiunse che se io avevo avuto un torto era sempre stato quello di sopravalutarla un po' troppo. Con questo, non è che avesse la minima intenzione di scagionarsi, per carità. Tuttavia era un fatto: lei aveva sempre letto nei miei occhi tanto «idealismo» da sentirsi in qualche modo forzata ad apparire migliore di quanto non fosse in realtà.
(…)Ma Micòl non discese, per questo, dal piedistallo di purezza e di superiorità morale su cui, da quando ero partito per l'esilio, l'avevo collocata. Essa continuò a rimanerci, lassù. Io, per me, mi consideravo fortunato di essere stato riammesso ad ammirarne ogni tanto l'immagine lontana, bella di dentro non meno che di fuori.

 
E c’è sempre questo gioco dell’entrare e dell’uscire dalla casa dei Finzi Contini e dal loro campo da tennis, come da un confine…
 
Io, al contrario, sostenevo che l'amore giustifica e santifica tutto, perfino la pederastia; di più: che l'amore, quando è puro, cioè totalmente disinteressato, è sempre anormale, asociale, eccetera: proprio come l'arte – avevo aggiunto –, che quando è pura, dunque inutile, dispiace a tutti i preti di tutte le religioni, compresa quella socialista.
(…) Che cosa c'è stato, fra loro due? Niente? Chissà. Certo è che, quasi presaga della prossima morte, sua e di tutti i suoi, Micòl ripeteva di continuo anche a Malnate che a lei, del suo futuro democratico e sociale, non gliene importava nulla, che il suo futuro, in sé, lei lo abborriva, ad esso preferendo di gran lunga "le vierge, le vivace et le bel aujourd'hui", e il passato, ancora di più, il caro, il dolce, il pio passato. E siccome queste, lo so, non erano che parole, le solite parole ingannevoli e disperate che soltanto un vero bacio avrebbe potuto impedirle di proferire: di esse, appunto, e non di altre, sia suggellato qui quel poco che il cuore ha saputo ricordare.

 
Sembra, ma non è solo, una storia d’amore e viene trattato il dramma della coesistenza di una vicenda privata con quella pubblica della prevaricazione su una famiglia di ebrei. Poi Bassani scriverà  le “Storie Ferraresi” e tutto verrà raccolto nel “Romanzo di Ferrara”, ma il libro che gli darà la fama resterà “Il giardino dei Finzi Contini”.
Con Antonio Tabucchi non siamo più nel contesto del fascismo, delle leggi razziali e del nazismo, ma di un’altra dittatura. In “Sostiene Pereira” ci parla di un giornalista, flaccido, grasso, che difficilmente individuiamo nel Marcello Mastroianni, pure un po’ in carne, che ne interpretò il ruolo nel film di Roberto Faenza, del 1995, che vive tranquillo, nel suo limite, non si fa coinvolgere dal punto di vista politico, perché è duro vivere nel contesto della dittatura di Salazar, cura i necrologi, con quei pezzi che chiamano “coccodrilli”, già pronti per parlare di qualcuno nel caso dovesse morire. Nel passo che Mariateresa ci leggerà, si tratta del necrologio per uno che è già scomparso, niente meno che Garcia Lorca. Siamo nel 1938, due anni dopo la sua morte, a Lisbona...
 
Prese il tram fino alla Rua Alexandre Herculano e poi risalì faticosamente a piedi fino alla Rua Rodrigo da Fonseca. Quando arrivò davanti al portone era inzuppato di sudore, perché era una giornata torrida. Nell'atrio, come al solito, trovò la portiera che gli disse: buongiorno dottor Pereira. Pereira la salutò con un cenno del capo e salì le scale. Appena entrato in redazione si mise in maniche di camicia e accese il ventilatore. Non sapeva che fare e era quasi mezzogiorno. Pensò di mangiare il suo pane e frittata, ma era ancora presto. Allora si ricordò della rubrica "Ricorrenze" e si mise a scrivere. «Tre anni or sono scompariva il grande poeta Fernando Pessoa. Era di cultura inglese, ma aveva deciso di scrivere in portoghese perché sosteneva che la sua patria era la lingua portoghese. Ci ha lasciato bellissime poesie disperse su riviste e un poemetto, Messaggio, che è la storia del Portogallo visto da un grande artista che amava la sua patria.» Rilesse quello che aveva scritto e lo trovò ributtante, la parola è ributtante, sostiene Pereira. Allora gettò il foglio nel cestino e scrisse: «Fernando Pessoa ci ha lasciato da tre anni. Pochi si sono accorti di lui, quasi nessuno. Ha vissuto in Portogallo come uno straniero, forse perché era straniero dappertutto. Viveva solo, in modeste pensioni o camere d'affitto. Lo ricordano gli amici, i sodali, coloro che amano la poesia».
 
Ricorre l’espressione, “sostiene Pereira”, il titolo del romanzo, perché tutto il racconto si immagina trascritto in un verbale di polizia, quando Pereira, diversi mesi dopo, con lo sviluppo della vicenda, si ritroverà in Francia e presso la polizia del luogo testimonierà. Dunque, è un verbale di polizia su quello che Pereira sostiene che sia accaduto…
 
Allora gettò il foglio nel cestino e scrisse: «Fernando Pessoa ci ha lasciato da tre anni. Pochi si sono accorti di lui, quasi nessuno. Ha vissuto in Portogallo come uno straniero, forse perché era straniero dappertutto. Viveva solo, in modeste pensioni o camere d'affitto. Lo ricordano gli amici, i sodali, coloro che amano la poesia».
 
Poi c’è l’incontro con Monteiro Rossi, un rivoluzionario, che dà la svolta alla vicenda…
 
Pereira alzò la testa dal foglio e disse: caro Monteiro Rossi, lei è un perfetto romanziere, ma il mio giornale non è il luogo adatto per scrivere romanzi, sui giornali si scrivono cose che corrispondono alla verità o che assomigliano alla verità, di uno scrittore lei non deve dire come è morto, in quali circostanze e perché, deve dire semplicemente che è morto e poi deve parlare della sua opera, dei romanzi e delle poesie, e fare sì un necrologio, ma in fondo deve fare una critica, un ritratto dell'uomo e dell'opera, quello che lei ha scritto è perfettamente inutilizzabile, la morte di Garcia Lorca è ancora misteriosa, e se le cose non fossero andate così?
 
Garcia Lorca fu ucciso dai falangisti, i seguaci di Franco, e quindi parlare di come e per mano di chi fosse morto era pericoloso in un paese di dittatura come quella di Salazar…
 
Monteiro Rossi obiettò che Pereira non aveva finito di leggere l'articolo, più avanti parlava dell'opera, della figura, della statura dell'uomo e dell'artista. Pereira, pazientemente, andò avanti nella lettura. Pericoloso, sostiene, l'articolo era pericoloso. Parlava della profonda Spagna, della cattolicissima Spagna che Garcia Lorca aveva preso come obiettivo per i suoi strali nella Casa di Bernarda Alba, parlava della "Barraca", il teatro ambulante che Garcia Lorca aveva portato al popolo. E qui c'era tutto un elogio del popolo spagnolo, che aveva sete di cultura e di teatro, e che Garcia Lorca aveva portato al popolo. E qui c'era tutto un elogio del popolo spagnolo, che aveva sete di cultura e di teatro, e che Garcia Lorca aveva soddisfatto. Pereira alzò la testa dall'articolo, sostiene, si ravvio i capelli, si rimboccò le maniche della camicia e disse: caro Monteiro Rossi, mi permetta di essere franco con lei, il suo articolo è impubblicabile, davvero impubblicabile. Io non posso pubblicarlo, ma nessun giornale portoghese potrebbe pubblicarlo, e nemmeno un giornale italiano, visto che l'Italia è il suo paese di origine, ci sono due ipotesi: o lei è un incosciente o lei è un provocatore, e il giornalismo che si fa oggigiorno in Portogallo non prevede né incoscienti né provocatori, e questo è tutto.
 
Senonché poi questo renitente professore si fa coinvolgere. Quando vedrà lo spessore di questo ragazzo e anche della lotta che conducono gli altri suoi alleati contro la dittatura, avvertirà la missione che loro sentono, giudicherà immediatamente e istintivamente inutile la sua esistenza precedente e sentirà sempre più forte la responsabilità e per la sua vita il senso di operare per la causa. Monteiro muore e questo è l’elemento decisivo. Pereira, sentendosi scoperto o temendo di essere rintracciato, fuggirà in Francia, dove appunto farà redigere quel verbale di polizia da chi lo salva dalla vendetta di Salazar.
Bello il romanzo, soprattutto per l’ambientazione nelle vie di Lisbona. I tram che lui prende, che percorrono tutta la città vecchia su questi saliscendi, sono rimasti famosi, sono diventati un “topos”, una citazione continua e anche una moda per i turisti che hanno letto il romanzo. Tabucchi, ancora in vita quando ho registrato questa lezione, è morto proprio pochi  giorni dopo, nel marzo del 1912. Era nato nel 1943.
Ci portiamo ora su due autori stranieri che possiamo collegare per la tematica trattata. Uno di questi è John Steibeck, che ha scritto diversi romanzi di cui cito soprattutto “Furore” non soltanto perché parla della grande depressione dopo il crollo di Wall Street, ma anche perché è molto coinvolto dal punto di vista politico. Mentre gli altri autori americani cercavano di non schierarsi dalla parte di socialisti e comunisti, pur trattando i problemi gravissimi del momento, Steinbeck non ha avuto questi timori. Ha anche difeso il mondo operaio in lotta, in un periodo di gravissima avversione ai sindacati. Una delle vittime di questa atmosfera, già presente prima del ’29, è stato proprio quel molisano, Arturo Giovannitti, di cui abbiamo parlato con Diego Florio, negli anni intorno al primo conflitto mondiale. Poi arriverà la vicenda di Sacco e Vanzetti, con tanti altri episodi simili. E Steinbeck si dichiara dalla parte dei socialisti senza reticenze.
In “Furore” si analizza il drammatico trasferimento degli abitanti poveri dell’Oklahoma e dell’Arkansas verso la California, dove si pensa di trovare lavoro, magari nei campi, comunque umile, con mille mortificazioni. Sono chiamati spregiativamente Arkies quelli che vengono dall’Arkansas e Okies quelli dell’Oklahoma. E sono discriminati, maltrattati, guardati con sospetto. Il romanzo si sviluppa su due linee, alternando capitoli che raccontano la situazione generale e capitoli che raccontano la vicenda di questo gruppo di emigranti, ripresa poi in un famoso film di John Ford, con protagonista Henry Fonda.
Ernest Hemingway, che non ha le posizioni socialiste di Steinbeck, si è impegnato come inviato speciale nella guerra di Spagna. La sua frase emblematica è che “tutto quello che vive è sacro”. Non si può mai maltrattare un individuo al punto di fargli perdere la sua sacralità. “Il vecchio e il mare” inizia così…
 
 Era un vecchio che pescava da solo su una barca a vela nella Corrente del Golfo ed erano ottantaquattro giorni ormai che non prendeva un pesce. Nei primi quaranta giorni lo aveva accompagnato un ragazzo, ma dopo quaranta giorni passati senza che prendesse neanche un pesce, i genitori del ragazzo gli avevano detto che il vecchio ormai era decisamente e definitivamente salato, che è la peggior forma di sfortuna, e il ragazzo li aveva ubbiditi andando in un'altra barca che prese tre bei pesci nella prima settimana. Era triste per il ragazzo veder arrivare ogni giorno il vecchio con la barca vuota e scendeva sempre ad aiutarlo a trasportare o le lenze addugliate o la gaffa e la fiocina e la vela serrata all'albero. La vela era rattoppata con sacchi da farina e quand'era serrata pareva la bandiera di una sconfitta perenne.
Il vecchio era magro e scarno e aveva rughe profonde alla nuca. Sulle guance aveva le chiazze del cancro della pelle, provocato dai riflessi del sole sul mare tropicale. Le chiazze scendevano lungo i due lati del viso e le mani avevano cicatrici profonde che gli erano venute trattenendo con le lenze i pesci pesanti.

 
Cattura al largo un enorme pesce, scatenando una lotta, una resistenza di ore e ore, e ottiene una vittoria effimera, perché il pesce è divorato da altri pesci. Ma ha vinto la battaglia con la natura. Vediamo alcune affermazioni famose del racconto…
 
Non lo disse ad alta voce perché sapeva che a dirle le cose belle non succedono.
L’uomo non trionfa mai del tutto, ma anche quando la sconfitta è totale, quello che importa è lo sforzo per affrontare il destino. Soltanto nella misura di questo sforzo si può raggiungere la vittoria nella sconfitta.
E’ stupido non sperare, pensò, credo che sia peccato.
Pensa se ogni giorno un uomo dovesse cercare di uccidere la luna, pensò, la luna scappa, ma pensa se ogni giorno un uomo dovesse cercare di uccidere il sole, siamo nati fortunati, pensò.
Contentiamoci dell’inseguire la luna, visto che farlo con il sole sarebbe molto più difficile.
 

Ora l’ultima citazione di Hemingway, da “Per chi suona la campana”, un romanzo nel quale parla di un giornalista americano coinvolto nella guerra di Spagna, con il compito di minare un ponte contro i tedeschi. Deve appoggiarsi a un gruppo di popolani che sono poco meno che briganti, tra cui Pablo, che, geloso di lui, non gli vuole dare spazio. Jordan però riesce a inserirsi grazie a Pilar, la compagna di Pablo. Di Pilar si dice…
 
La zingara Pilar è una lettrice della mano. Quando Robert mette in discussione le sue capacità, risponde: ”Poiché l’arte del miracolo di sordità non è quell’arte stupida, l’arte è semplicemente sorda. Chi è sordo non può sentire la musica né può sentire la radio; dunque potrebbe dire, non avendo mai sentito, che tali cose non esistono.
 
Vedete dunque l’ambiente popolare in cui ci si muove. E poi c’è questo dialogo tra Jordan e Primitivo, che entra nei temi sociali. Jordan ha appena detto che anche nel suo paese si combatte contro il fascismo, per il lavoro…
 
PRIMITIVO: E’ possibile? Allora dovrete combattere nel vostro paese come combattiamo qui?
ROBERT: Sì, dovremo lottare.
PRIMITIVO: Ma non ci sono molti fascisti nel vostro paese?
ROBERT: Ce ne sono molti che non sappiamo che sono fascisti, ma lo scopriremo a suo tempo.

 
E secondo molti qui si allude a Gertrud Stein e Ezra Pound, che infatti si sarebbero schierati contro il socialismo e contro i valori della lotte operaie. Anche questo è un romanzo straordinario, che si conclude con un finale tragico, nel quale alcuni muoiono e altri attendono la morte. La morte è la protagonista del libro, nel quale “per chi suona la campana” vuole dire che è arrivata l’ultima ora. Per cui bisogna affidarsi fatalisticamente alla propria sorte e affrontare coraggiosamente gli avvenimenti, per combattere le ingiustizie del nostro mondo. E con questo ci salutiamo.
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