Ita Eng Spa Fra Ger

Artigianato

♦ I mestieri di una volta
♦ Una tradizione quasi scomparsa: gli scalpellini
♦ Gli scalpellini (
Emilio Spensieri)
Nel Molise l’artigianato è ancora molto vitale
Immagini dell'artigianato nel Molise
 Rame
 Campane
 Ferro battuto
 Coltelli
 Tombolo
♦ Le aziende artigiane nel Molise


I mestieri di una volta
(Da appunti scritti da Mario Gramegna)
     Le scarse botteghe che vendevano un po' di tutto non erano in grado di soddisfare le richieste della popolazione, per cui i commercianti ambulanti e gli specialisti di vani mestieri frequentavano i paesi per vendere la loro merce o prestare in qualche modo la loro opera.
      Arriva il santarellaro per vendere immagini di santi, di ogni grandezza, santini da por are in tasca, a protezione della propria persona, immagine di santi ingrandita mettere sopra la testata del letto.
     Tra le più vendute c'erano quelle di Sant'Antonio Abate, che venivano collocate alle pareti delle stalle, affinchè il santo protegesse gli animali.
     Il santarellaro era un personaggio caratteristico, era un minuscolo negozio, perché, oltre alle immagini dei santi, in una cassetta di legno sostenuta al collo con una cinghia, esponeva cucine, crocifissi, libretti riguardanti soprattutto le vite dei santi e tutto quanto avesse a che fare con la devozione religiosa
     Da novembre a gennaio arrivavano i venditori di almanacchi, detti comunemente barbanera assai utile per conoscere le caratteristiche meteorologiche del nuovo anno, per seguire le lunazioni, e ancora nella predisposizione dei lavori nei campi, ma anche per essere informati dei giorni dello svolgimento delle fiere e dei mercati nei paesi vicini, sistematici luoghi di incontri, di acquisti e di vendite.
     E ancora gli ombrellai, per la riparazione dell'ombrello rotto o per l'acquisto di uno nuovo perché in paese nessuno vendeva ombrelli, i setacciai che sostituivano la rete fitta e sottile del setaccio e riparavano anche telai di legno, esemplari di diversa grandezze con reticolato di differente tessitura per cernere la farina e per confezionare pane. pizze, dolci e focacce.
     La “chitarra per maccheroni” era costruita dai maccaronari che provvedevano anche a renderla nuova ed efficiente: di solito era costruita con legno di faggio ed aveva una grandezza media di 50x25 cm, attraversata in lunghezza da sottilissimi fili di acciaio (oltre 100).
     Un altro personaggio caratteristico era il seggiaio ru’ mbagliasegge che portava con sé bastoni di faggio e paglia, oltre agli attrezzi del mestiere, come seghe, asce, martelli di legno e di ferro, tenaglie e chiodi.
     Sostava nelle case per riadattare le vecchie sedie oppure farne nuove e così passava da una casa all'altra. Per pettinare la lana c'erano gli scardassatori molto richiesti nel passato, quando nella economia della comunità era assai diffuso l'allevamento degli ovini e perciò la produzione della lana era abbondante.
     La lana serviva non soltanto per confezionare indumenti, ma anche per riempire, nelle famiglie più agiate i materassi in luogo delle foglie di granturco (u seccòne di fusce)
     Lo strumento usato dal scardassatori era semplice, ma funzionale: era costituito da un piccolo supporto di legno, su cui erano fissati tanti denti uncinati, sul quale un altro congegno disposto orizzontalmente e fornito ugualmente di denti uncinati azionava un movimento, che raffinava e pettinava la lana.
     Un altro mestiere di cui si è quasi perduta la memoria era quello dei diesillari, coloro che andavano per le case a recitare preghiere per i defunti, specialmente il cosiddetto dies irae, cioè l’inizio di una sequenza attribuita a Tommaso da Celano e contenente le parole “dies irae” e “dies illla” (giorno dell'ira, quel giorno); (resa dei conti).
     Era questo un modo meno umiliante che chiedere l'elemosina, perché recitando le preghiere per i defunti in compenso ricevevano qualche chilo di farina, un pezzo di pane, un po' d’olio oppure un piatto di minestra; raramente erano compensati con il denaro. Le preghiere venivano dette con un tono di cantilena, ma le parole quasi sempre storpiate diventavano incomprensibili perché i diesillari erano analfabeti e ripetevano a modo loro ciò che avevano appreso da altri. Per lo più erano uomini con qualche menomazione fisica oppure ciechi o vecchi bisognosi.
    Una figura singolare era la capellèra, ossia la pettinatrice a domicilio, che esercitava un guadagno e per diletto. Possiamo definirla l'antenata della parrucchiera di oggi, una donna che aveva la capacità di curare i capelli con la maestria di chi si appassionava a ciò che faceva, anche con lo spirito di sacrificio, perché a "quei tempi" non esistevano ancora shampoo profumati e i vaporosi complementi di oggi. Alla pulizia della testa la capellèra provvedeva con l’ausilio di più tipi di pettine e con l'esperienza delle sue mani anche a dare un tocco di grazia alle donne, specie alle giovanette che sognavano di diventare spose. Ma le sue frequentazioni le consentivano di venire a conoscenza anche di segreti familiari, che sapeva tenere per sé per la fiducia che la gente le accordava, ricorrendo spesso alla stessa per qualche consiglio. Non pochi erano i matrimoni che si combinavano con le "ambasciate" della capellèra, invitata quasi sempre alla cerimonia nuziale come personaggio di riguardo.
L' Artigianato nel Molise (Nicola Franco)
 Mi rivedo negli anni 1930, 1940, nei giorni di fiera, circolare tra le bancherelle, ammirando un sacco di prodotti dell'artigianato molisano che arrivavano alla fiera di Casacalenda dal lontano Agnone, da Frosolone, da Isernia o Venafro, oppure da paesi più vicini del Basso Molise.  Questa esposizione ambulante che era la fiera, fu il mio primo museo a l'aria aperta che mi permise d'esplorare, in un certo modo, la mia Regione.  E la scoperta fu ancora più grande quando potetti visitare i mercati di Campobasso. 
 Mi ricordo degli oggetti di rame che venivano da Campobasso e d'Agnone, patria dell'artigianato molisano e dove si trovavano numerosi mestieri artigianali, come i calderari, gli orafi, i ferrai e i ramai.  Altri oggetti d'artigianato erano oggetti decorativi personali o d'uso domestico, come i merletti d'Isernia, i cestini di San Massimo, i basti di Sant’Elia a Pianisi, le forbici di Frosolone, i coltelli di Campobasso, le pignate di Guardiaregia, i tessuti dei paesi slavi.
 Un secolo fa, il 34% della popolazione del Molise era dedita ad attività artigianali, tanto che in  quei tempi, fino agli anni che precedettero la seconda guerra mondiale, i prodotti artigianali del Molise non solo si vendevano nella Regione, ma pure all'estero. 
 Arrivó poi la guerra che rallentó l'attività artigianale; e arrivó pure l'ultima minaccia a l'artigianato, il modernismo, che come un torrente, straripó sui mercati proponendo ai consumatori Molisani di comprare oggetti molto attraenti e pratici e meno costosi per rimpiazzare gli oggetti locali utilizzati soprattutto dalle casalinghe.
 Finalmente, durante gli ultimi venti anni, gli Artigiani i Molisani  hanno riscoperto gli antichi mestieri e offrono di nuovo ai consumatori tanti oggetti del passato, pur utilizzando le tecniche moderne per fabbricarli e le tecniche del marketing per la vendita locale e estera. 
 Ma per permettere la sopravvivenza dell'artigianato e degli artigiani il Governo Centrale e Regionale, deve mettere a loro disposizione gli aiuti finanziari, tecnici e regolamentari necessari al loro sviluppo e alla concorrenza nazionale e estera. 
 Il primo aiuto, senza  alcun dubbio, deve  arrivare dai Comuni.  Ogni comune ha la responsabilità di fare la promozione dei prodotti fabbricati dai suoi artigiani.  Ogni Comune dovrebbe annunciare sul suo sito Web Ufficiale i prodotti artigianali fabbricati dai suoi cittadini.  Ancora meglio, se un Comune vuole attirare i turisti sul suo territorio, dovrebbe aiutare l'artigiano locale nella creazione di un sito Web Specifico à l'attività artigianale comunale. 
E, finalmente, ogni Comune dovrebbe far uso di tabelloni stradali per invitare e proporre i suoi prodotti artigianali ai turisti di passaggio.   É quasi per caso che il turista (qui mi riferisco alla mia esperienza personale visitando la regione), curiosando tra le viuzze delle città e paesi molisani, fa la scoperta di piccole imprese artigianali le quali offrono prodotti eccezionali.
 C'é da sperare che gli artigiani molisani s'uniscano per convincere i Governi locali a mantenere viva la fiamma per l'arte popolare.  Ma c'é da sperare pure che la gente della nostra regione riconosca la bellezza e l'utilità dell'artigianato e degli artigiani e che quando dovranno scegliere per comprare , sceglieranno i prodotti locali.  

La lavorazione della pietra in Molise ha radici antichissime; si pensa che strutture e oggetti in pietra venivano realizzati primariamente per garantire la sicurezza e la sopravvivenza delle popolazioni. In alcuni centri della regione si possono rinvenire interi centri abitati costruiti in pietra, così come è facile imbattersi in bellissimi esempi di elementi architettonici e decorativi quali capitelli e statue. Un tempo, quando le condizioni di trasporto erano ancora molto difficoltose a causa delle distanze territoriali, lo scalpellino andava alla ricerca della materia prima da lavorare e la scolpiva in loco, senza portarla presso la sua bottega, risparmiando così tempo e fatica. Lavorare la pietra è, oggi come allora, un’attività che richiede pazienza e attenzione, così come estro e fantasia.
La pietra di Oratino
https://artsandculture.google.com/exhibit/gQGYkEJe

Una tradizione quasi scomparsa: gli scalpellini
(Da appunti scritti da Mario Gramegna)
     Nel 1992, un oriundo di Civitacampomarano, Antonio De Marinis, ha pubblicato un bellissimo libro dal titolo “Il culto della pietra a Civitacampomarano”. È una giusta esaltazione dei valori artigianali, architettonici e paesaggistici, storicamente legati alla lavorazione della pietra, ma scarsamente considerati dalla pubblicistica, più interessata ad occuparsi di "monumenti". È dedicato agli scalpellini civitesi, veri protagonisti delle costruzioni nelle epoche passate, dotati di grande perizia, fantasia e inventiva per realizzare con arte raffinata archi, scalinate, facciate di palazzi, aie, vasche, mole, mensole, e soglie, nonché portali, cornicioni, stemmi, altari, colonne, capitelli e tanti altri manufatti.
     E’ anche un atto d'amore per riportare alla memoria chi ha lasciato tracce di un'arte, di cui assai spesso si avverte la mancanza, specie quando si presenta la necessità di un restauro.  Varrebbe la pena di fare una ricerca storica delle opere degli scalpellini nei diversi paesi della regione, perché se a Civitacampomarano alla fine del secolo scorso se ne contavano quaranta, non si e certamente perduta la memoria dei numerosissimi in alto Molise ed anche negli altri paesi, dove maestri-scalpellini tenevano scuola per preparare giovani artigiani nelle numerose “botteghe", il luogo adatto ad affinare un'esperienza che richiedeva anche gusto e fantasia.
     Per fare un po' di storia diciamo che le cose del nostro tempo sono milioni di anni lontane dalla preistoria; le invenzioni si susseguono a ritmo incessante e in breve si diffondono, portando a tutti rapidamente i loro benefici. Ma ben diversamente andavano le cose nei tempi preistorici.  I primi uomini impiegarono due o trecentomila anni per imparare a lavorate appena rozzamente la pietra. Seguirono poi centinaia di anni per perfezionare l'uso e inventare strumenti per una lavorazione raffinata.
     A mano a mano si raggiunse un nuovo importante progresso tecnico: s'imparò a fissare l’utensile di pietra in posizione perpendicolare al manico di legno, ottenendo zappe, scuri e picconi. Il falcetto era costruito con l'impugnatura di legno, in cui erano incastrate schegge di selce. Furono queste le ultime prodezze degli artigiani dell'età della pietra, poi si scoprirono i metalli ed ebbe inizio una nuova era e si arrivò, finalmente all'età del ferro.
     L'uomo divenuto più civile, più esperto, più intelligente, cominciò a concepire la sua dimora non più sulle palafitte o in capanne di rami, di foglie e fango; volle un rifugio stabile e duraturo e realizzò la casa in pietra che richiedeva la lavorazione di blocchi scalpellati per dare soprattutto stabilità all'edificio e successivamente, con un raffinamento del gusto, un migliore aspetto estetico. Nacque così il mestiere artigianale dello scalpellino, un tempo protagonista assoluto nella costruzione di piccole e grandi opere, ma anche di straordinari monumenti d'arte.
     Anche il Molise può vantare scalpellini tra i migliori, come quelli di Pescopennataro (i Lalli, i Litterio, i Del Corso, i Di Tullio, i Falcione e tanti altri), di Castellino del Biferno, Agnone, Guardialfiera, Petrella Tifernina, Lucito, Oratino ed altri. Sono comunità in cui piuttosto che di botteghe vere e proprie si può parlare di famiglie più o meno interdipendenti dove la distinzione tra le mansioni di singoli componenti non era particolarmente rigida, spesso erano contemporaneamente muratori e scalpellini, ai quali era affidata la costruzione di una casa di una chiesa e di un edificio pubblico.
     Ad esempio nel 1770 l'Amministrazione del Monte Frumentario di Campodipietra diede incarico di ricostruire la Chiesa di San Martino al maestro muratore scalpellino, Nunzio Margiotta di Pescopennataro, che vi lavorò otto anni con le maestranze.
    Nel 1933 una frana distrusse alcune abitazioni a Pagliarone nel comune di Castellino del Biferno. I lavori di recupero e ricostruzione furono appaltati alla ditta locale Luigi Vendittelli rinomato scalpellino, che nella circostanza si avvalse anche dell'opera di scalpellini forestieri, tra cui i già citati Lalli, Litterio e Del Corso di Pescopennataro, i locali annoveravano gli appartenenti alle famiglie Vendittelli, cinque della famiglia Fasano, tre di Fratangelo. Giuseppe e Giovanni Di Lisio e Ottorino Minicucci.
     In quella occasione i castellanesi animarono il lavoro con alcuni stornelli sul motivo di Zumbellariulera (a quel tempo in voga) con le parole del poeta dialettale Mario Saverio De Lisio].
Castellino / muratori e scalpellini /e zumbellariulera e zumbellariulà. /Come un colpo di cannone / siamo arrivati a Pagliarone. / Abbiamo cantato per tutta la strada / con Domenico Rosalia/Siamo arrivati / con l' impresa Vendittelli / coi ferri appuntiti e gli scalpelli/ con le mazzole e i martelli./ Sul lavoro facciamo a gara / con i maestri di Pescopennataro./ Che guaio abbiamo avuto quest'anno / con Ernesto con Giovanni./ L'acqua della paglia che abbiamo bruciato / lo sfogo della lama ha ritrovato”.  
     L’opera degli scalpellini è incisa sulla pietra, ma non il loro nome, perché essa è contrassegnata da quella dell'architetto e dell'artista geniale. Poche volte si trova il nome dello scalpellino. Ma crediamo davvero che Michelangelo e Bramante, Bernini e Palladio abbiano realizzato le loro opere da soli? Che cosa avrebbero potuto fare senza l'opera degli scalpellini? Sono gli interrogativi che gli studiosi di storia dell'arte hanno trascurato, perché agli scalpellini dev'essere riconosciuto il merito di essere stati veri protagonisti delle costruzioni delle epoche passate, dei vari monumenti, da veri artigiani-artisti, nella realizzazione di archi, scalinate, facciate di chiese, pozzi lavorati, vasche zampillanti, mole, mensole e soglie, nonché portali, cornicioni, stemmi, altari, colonne, capitelli e altri infiniti manufatti.
     Se osserviamo le facciate e i portali dei Duomi di Larino, di Termoli, le chiese di Sant’Emidio di Agnone, di San Giorgio Martire di Petrella Tifernina e di molte altre dei comuni molisani ne ricerchiamo inutilmente gli autori. E allora perché non pensare agli scalpellini? 
     E quesi frammenti di fregi inseriti nei muri esterni di Santa Maria Assunta a Guardialfiera: una scena di caccia e una figura umana, forse una allegoria suggerita, non potrebbero essere state realizzate da uno dei tanti scalpellini-artisti? E che dire dei corregionali scalpellini all'estero? Molti, quelli che avevano buona volontà e attitudini, anche se analfabeti, sapevano il mestiere e lo misdero a frutto, conseguendo risultati eccellenti in tutti i paesi del mondo, soprattutto negli Stati Uniti, nel Canada, in Argentina e Brasile.
     Non sono certamente prive d'interesse culturale anche le Croci Viarie che s'incontrano in numerose località del Molise, sono in pietra calcarea posta su base a colonna poligonale davanti alle chiese o in una piazza.       Rispondono sicuramente ad uno scopo devozionale. Fra le più antiche quella di S.Elia a Pianisi (1332) simile a quella di Civitanova del Sannio; a Campobasso davanti alla chiesa di San Bartolomeo; a Gambatesa davanti alla Chiesa abbandonata di San Nicola; ad Agnone davanti alla Chiesa di San Emidio; di scarsa entità la piccola croce, che un'iscrizione sulla Chiesa di San Giorgio a Campobasso dice di essere stata scolpita nel 1382 dal maestro scalpellino Paolo da Popoli (è uno dei pochi esempi di cui si cita il nome).
     Anche i non esperti, osservando i fregi architettonici e specialmente le sculture dei capitelli nelle varie chiese della regione, la diversità di scalpello, che appare evidente perfino tra un concio e l’altro dello stesso capitello, la cui linea di congiuntura non è sempre perfetta, così da far notare una lavorazione di mani diverse, che tuttavia non turba l'armonia del complesso. Ciò conferma che la maggior parte delle sculture sono opera collettiva di più maestri scalpellini, per cui è opinabile che la mancata firma di un solo autore fosse in relazione al lavoro collettivo effettuato.
     Una prova è offerta dalla Chiesa dei Santi Petro e Paolo di Cusano Mutri, il cui portale con la data del 1693 reca la firma dell'oratinese Domenico Grandillo, esponente allora assai noto di una numerosa schiera di maestri scalpellini, abilissimi nella lavorazione della pietra e nell’intarsio di portali e di elementi di arredo architettonico assai richiesti anche fuori regione. In questo caso l’opera individuale è provata dalla firma. A buon diritto dobbiamo ricordare la grande costruzione della Chiesa del Santuario di Castelpetroso, per la cui edificazione ha lavorato lo scalpellini di Oratino “Ze’ Pasquale Chiocchio", con i fratelli Gioffreda e Mario, dal 1946 al 1980. E’ un luminoso esempio di ciò che hanno potuto e possono i nostri scalpellini.
     Non viene fata la storia se ci soffermiamo su elementi e constatazioni inconfutabili, che potrebbero anche eccitare la fantasia per una riproposizione moderna dell'opera degli scalpellini dal momento che perfino il turismo si indirizza verso la conoscenza dei monumenti in pietra e non verso quella costruiti in cemento.
     E’ chiaro che a questo punto il discorso si potrebbe fare più ampio ed in altra sede, ma intanto soffermiamoci su un manufatto che è quotidianamente sotto gli occhi di tutti: la costruzione del portale di una casa.
     Il riferimento è preciso e stato fornito da Mario Saverio De Lisio di Castellino del Biferno, grazie al quale si è avuta la possibilità di leggere una relazione inedita dell'architetto Emilio Vendittelli dell'omonima famiglia di scalpellini. Pertanto le notizie che seguono sono state attinte dalla citata relazione. È la prova della realizzazione di una vera e propria opera d’arte di Pasquale Vendittelli, su commessa di un falegname di Vinchiaturo negli i 1928 el 1930, venduta poi a Ludovico Palombo di Carpinone, tuttora visibile all'entrata del paese isernino.
     Il manufatto ha il basamento parallelepipedo, pilastri di spalla a base quadrata con un bassorilievo a forma di rosone nella parte centrale, l'arco leggermente incavato tra un listello ed una normale gola rovescia di bordo. Ma l'elemento di maggiore rilevanza del manufatto, che lo rende molto particolare è la cimasa: il termine nel linguaggio architettonico riferito al caso specifico è improprio, ma gli scalpellini indicano con esso un parallelepipedo rifinito con un semplice stemma o sormontato appunto da "cimasa". Quindi la particolarità delle due imposte del portale è rappresentata dai bassorilievi, che non solo riproducono scene più o meno fantastiche, ma caratterizzate, come in questo caso, da vedute in prospettiva.
     Il primo a sinistra, guardando frontalmente il portale, presenta due facce; nella prima è rap presentato in prospettiva un paesaggio urbano (una scala di accesso ad una piazza antistante un palazzo). Sul lato destro troviamo una vista bidimensionale di tre riquadri sovrapposti; un timpano sorretto da due colonne, poi una balconata ed una finestra. Più interessante è l'imposta di destra, guardando il portale (frontale e laterale), dove è raffigurata la spedizione del generale Nobile al Polo Nord con il dirigibile Norge nel 1926 e ancora due anni dopo con il dirigibile Italia.
     Narra la cronaca che al ritorno il dirigibile si schiantò sulla banchisa spazzato via dai venti impetuosi; un radioamatore sovietico raccolse le richieste di aiuto e più tardi un pilota italiano avvistò la ormai famosa "tenda rossa”, sotto cui si erano rifugiati alcuni sopravvissuti. E solo un mese dopo un rompighiaccio russo riuscì a raggiungere la banchisa per trarre in salvo i superstiti l’eccezionalità e la drammaticità dell'evento all'epoca emozionarono un po' tutti e anche il nostro scalpellino, che sentì l'impulso di fissarlo nella pietra. Infatti, sulla parte laterale della seconda imposta è raffigurato un dirigibile che attraversa il Polo, immaginato come una paesaggio dai profili aguzzi
     Più complessa è la lettura delle figure rappresentate sulla parte frontale: un personaggio barbuto (forse un eschimese) e un piccolo albero d'abete e ancora un'altra figura umana voltata di spalle e al suo fianco un albero ormai secco e dei rami recisi; da sfondo una strada che sale lungo una montagna e conduce a un casolare (forse la famosa “tenda rossa?”) Notiamo così dell'autore un'esigenza dimostrativa di una rappresentazione prospettica da una parte ed un atteggiamento narrativo per fissare definitivamente un episodio e tramandarlo.
In conclusione, se la penna racconta, anche lo scalpello non è da meno, perciò la storia scritta dagli scalpellini è come un libro aperto che si legge tutti i giorni, una storia millenaria della nostra regione, che mostra sempre più i suoi aspetti caratteristici, segni scolpiti di un passato in lotta con il tempo, ma vivi nella memoria di quanti amano la nostra terra.


GLI SCALPELLINI
(da Emilio Spensieri: “Il vento dei vicoli”, Editrice Lampo, Campobasso, 1982)
 
     Andavano alla cava in ogni stagione, all'alba, quando avevano bisogno del blocco di pietra dal quale trarre il pezzo giusto. Dentro il tascapane, avvolto nella salvietta a quadri azzurri o rossi portavano quanto poteva bastare per la giornata: nella profonda fenditura operata al centro del "panello” la mamma, o la moglie, avevano infilato la ciambotta" di peperoni fritti, pomidoro, patate, cipolle, aglio: oppure la frittata o l'affettato di ventresca, o l’aringa con l'olio, secondo i giorni, le possibilità di ciascuno, la tradizione.
     Ed era intanto quel pane che, fino all'ora del pasto, predava quasi e faceva suoi gli aromi modesti, ma appetitosi e i succhi di cui s'era inzuppato; e tutto diventava buono, squisito con il condimento della fatica che, nel suo ansimare, aveva creato quel povero e ricco traguardo: il pasto. La ciotola di creta, con il collo strozzato nel quale si aprivano uno o cinque buchi, arricchiva con i suoi colori verde, verde pallido, giallo ocra e con gli informi bassorilievi che la decoravano, la pace di quel riposo dedicato al ristoro. Nella ciotola l'acqua o, per i più fortunati, il vinello asprigno, caldo o fresco secondo la clemenza del tempo. Intorno il paesaggio ricco di colori e di cinguettii, carico di silenzio e di tristezza, cosi com’era il volgere dei mesi, faceva da scenario alla fatica. Era questa la vicenda che fluttuava con la sua onda morbida l'introduzione all'opera dello scalpellino il quale, una volta padrone del blocco di pietra, d'estate sotto il sole e d'inverno nella baracca, iniziava la paziente sinfonia monodica che si spandeva con il tinnire compatto e sincopato della nota creata dal battito della mazzuola sul “puntillo” o sullo scalpello e che la varietà della pietra, cristallina, dolce, dura e faldata, spandeva in echi tremuli che si perdevano subitanei nell'aria.
     L’uomo, nel suolungo cammino della sua storia, ha avuto la pietra per compagna già prima che avesse una casa, perché di pietra furono i primi rudimentali attrezzi di cui si servì per la sopravvivenza. Scoprire una cava, trovare la pietra giusta, di qualità, con i massi o i filari adatti al taglio non è solo fatica, e spesso sacrificio, ma anche opera di intuito e di intelligenza. Abbozzare sul posto la massa informe e alleggerirla per facilitarne il trasporto, ridurla poi alle necessità d'impiego, lavorare di mazza con colpi istintivi e ben dosati, tracciare le modanature, rifinire, levigare con il silice a forza di volontà, di braccia, di perizia, soprattutto d’amore, ecco l'opera di quest'uomo particolare: lo scalpellino.
     Testimonianze di questo evento sono dovunque e balzano allo sguardo in ogni posto in cui c’è il silenzio della pietra lavorata che si esibisce nei secoli. Siano colonne, cimase, fregi, capitelli, archivolti, lesène, o più semplicemente, bugnati o conci. Nel vicoli dei paesi, nelle vie delle città, nelle piazze c è tutto un racconto senza parole che narra, dentro di noi, la vicenda della pietra e di chi la rese percettiva. Ora la nota ritmica della mazzuola e quella strisciante dello scalpello tacciono: si sono perdute nel tempo, un tempo che sembrava scaturire dalla mente dell'uomo vivificandosi poi attraverso la realizzazione dell'opera sua.
     Scalpellini valenti, nel passato, erano in tanti centri del Molise ove questa particolare attività, spesso, più che sollecitata dal bisogno di dover esercitare un mestiere per vivere, era una vocazione che esternava poi il segreto di un sogno d'arte, sia pure modesto.
     Quest’arte, adesso, è al limite del viale del tramonto: ma il protagonista, lo scalpellino - per chi lo ricorda - resta con il suo volto noto o anonimo scolpito in un bassorilievo ideale su una qualunque pietra di una qualunque via.
     E’ un medaglione senza nome, né data: ci viene dal tempo e resterà nel tempo.

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LE AZIENDE ARTIGIANE IN MOLISE

TOMBOLO E UNCINETTO
IL CHICCO - C.DA CONVENTO, 2 - 86025 RIPALIMOSANI (CB) TEL. 0874/39555 – 39508
ALBA 2 - VIA XXIV MAGGIO, 156 - 86100 CAMPOBASSO TEL. 0874/63935

OGGETTI IN CARTA DECORATA
ESSE - VIA IV NOVEMBRE, 59 - 86015 JELSI (CB) TEL. 0874/710379 - 0938/7549273

CERAMICA, TERRACOTTA DECORATA
GIELLE KERAMOS - DI LEO GIULIANO - LOC. PULSONE, 32 - 86021 BOJANO (CB) TEL. 0874/771098 ARTE CERAMICA -
C.DA CALVARIO - 86011 BARANELLO (CB) TEL. 0874/460812 SAMARCANDA - VIA GARIBALDI, 117 - 86100 CAMPOBASSO TEL. 0874/484412
CERAMICHE DI KATIA - VIA XXIV MAGGIO, 71 - 86100 CAMPOBASSO TEL. 0874/484442
LE MAOLICHE - C.da Calvario, 16 - 86011 Baranello (CB) Tel. 0874-460290
 
LAVORAZIONE IN LEGNO-OTTONE- BRONZO
L.L.2. - LUCARELLI ANGELA R. - VIA BARCELLONA 125 - 86021 BOJANO (CB) TEL. 0874/778722 /
BOTTIGLIA ANTONIO - C.DA S.G. DEI GELSI, 130/N - 86100 CAMPOBASSO - TEL. 0874/441761/
ARS BRONZO - MANUFATTI ARTISTICI IN BRONZO - VIA ARGENTIERI, 68 - 86036 MONTENERO DI BISACCIA - TEL. 0875/968555
IL MOSAICO COOP. SOCIALE - MOBILI RESTAURATI - C.SO VITT. EMANUELE III, 74 - 86043 CASACALENDA - TEL. 0874/841243
LO SCRIGNO - OGGETTISTICA IN LEGNO, INTARSIO - VIA ROMA - RIPABOTTONI - TEL. 0874/845026/

VETRERIA- CATEGORIA OGGETTI IN VETRO
LABORVETRO - C.DA MACCHIE, 21 - 86100 CAMPOBASSO TEL. 0874/311816 FAX 0874/317126
DIMENSIONE VETRO - OGGETTISTICA MURANENSE - VIA AMERICA, 26 - 86039 TERMOLI TEL. 0875/82244
VETRERIA MOLISANA - VIA XXIV MAGGIO, 101/E - 86100 CAMPOBASSO TEL. 0874/63030

ORAFO
MASTROGIORGIO NICO - C.SO BUCCI, 50 - 86100 CAMPOBASSO TEL. 0874/92884
NUOVA FONDERIA ELSICA - VIA MARCONI, 48 - 86100 CAMPOBASSO TEL. 0874/96935
QUARANTA GIOVANNI - VIA CANNAVINA, 14 - 86100 CAMPOBASSO TEL. 0874/91144

LAVORAZIONE PIETRA
FATTI IN PIETRA - C.DA CASALE - 86010 ORATINO - TEL. 0874/38111
KANON DI SPINA FIORATA - VIA CROCE, 20 - 860251 BOJANO - TEL. 0874/786301
RENATO CHIOCCHIO - VIA TRENTO E TRIESTE, 13 - ORATINO (CB) TEL. 0874/38265
 
FERRO BATTUTO
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