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Le guerre sannitiche


Le guerre sannitiche leadership romani
Le guerre sannitiche hanno decretato la leadership dei Romani in Italia.
 Solitamente i Romani davano dei nomignoli dispregiativi ai loro nemici, come "il Pigro", "l'Inconcludente", "il Traditore". Tuttavia, di fronte al valore dei Sanniti, li chiamavano "i Coraggiosi Sanniti".
Roma è nata come una città-stato, che ha rapidamente attratto a sé le popolazioni delle zone circostanti e si potrebbe definire una grande potenza in rapidissima espansione. Si è espansa nel Lazio, vincendo tutti i nemici che trovava di fronte, e verso nord ha conquistato la città etrusca di Veio, allargando la sua influenza verso la parte settentrionale rispetto al Lazio. Anche a meridione, i Romani si sono espansi nella Campania settentrionale. Allo stesso modo, anche i Sanniti erano una grande potenza in espansione. Il popolo dei Sanniti dominava sostanzialmente il resto della Campania, la zona che attualmente corrisponde al Molise, ed era in espansione soprattutto verso sud, tanto da minacciare gli affari delle città greche costiere del Sud Italia. Quindi, abbiamo queste due grandi potenze che, inizialmente, non volevano combattere l'una contro l'altra, ma l'espansione non poteva essere fermata né dai Romani né dai Sanniti, e inevitabilmente si arrivò allo scontro. Siamo a cavallo tra il quarto secolo e il terzo secolo a.C. Le guerre sannitiche cominciano nel 343 a.C. e finiscono nel 290 a.C.
C'è una cosa importante da sapere prima di descrivere le guerre sannitiche: è utile fare una premessa di carattere puramente militare. È interessante sapere la conformazione dell'esercito romano di quel tempo e dell'esercito dei Sanniti. L'esercito romano inizialmente risentiva della cultura militare greca, diffusa nelle città del Sud Italia, nella cosiddetta Magna Grecia. Quindi, i Romani avevano un esercito organizzato come una falange oplitica, una fila profonda di fanteria pesante, compatta, che si scagliava contro il nemico in maniera rudimentale. Anche l'equipaggiamento dei soldati romani assomigliava a quello dei Greci: scudi rotondi, chiamati oplon, e spade tipicamente greche, come il xiphos.
 
Durante le guerre sannitiche, in particolare durante la seconda guerra sannitica, i Romani si trovarono di fronte all'esercito dei Sanniti. I Sanniti abitavano la zona appenninica, quindi territori collinari o montuosi, e avevano un esercito molto più adatto al terreno, diviso in manipoli, unità indipendenti che si muovevano velocemente e si adattavano al terreno. L'equipaggiamento dei Sanniti comprendeva scudi ellittici con un rinforzo nella parte centrale esterna e giavellotti pericolosissimi. Questi elementi, lo scudo ellittico e il giavellotto, che oggi associamo ai soldati romani, facevano parte dell'equipaggiamento sannitico. Tito Livio parla frequentemente di manipoli sanniti.
Questa è la conformazione dell'esercito sannita, che i Romani riconobbero come molto superiore ed efficace, imparando ad assimilarne le tattiche. Polibio ci dice testualmente che i Romani, più di chiunque altro, erano capaci di apprendere dai nemici e capire quando dovevano aggiornare il loro equipaggiamento. Così, i Romani copiarono le idee dei Sanniti, le migliorarono e perfezionarono, arrivando nel corso delle guerre sannitiche a una nuova concezione di esercito: il cosiddetto esercito manipolare romano o legione polibiana, che prende il nome da Polibio, l'autore antico che descrisse la struttura di questo esercito. Da allora l'esercito romano è diviso in manipoli, copiando l'idea dei Sanniti, ed è organizzato nelle famose tre file.
La prima fila è composta dagli hastati, giovani nel fiore dei loro anni, probabilmente poco più che diciottenni. Dietro gli hastati ci sono i principes, soldati un po' più maturi. Nella terza e ultima fila ci sono i triarii, i soldati veterani e più esperti. Questo meccanismo funziona così: gli hastati assorbono il primo colpo dell'esercito nemico. Se dovessero indietreggiare, i principes prendono il loro posto, rinnovando le forze con soldati più preparati. Se anche i principes non riescono a resistere al nemico, hastati e principes si mettono ai fianchi dei triarii, che entrano in azione solo quando la battaglia è nei suoi momenti più critici. Vedete quindi come l'esercito romano, grazie all'ispirazione dei Sanniti, si è notevolmente evoluto, copiando anche lo scudo ellittico, il giavellotto e altri elementi militari. I Romani imparano dai Sanniti, che sono grandi maestri per loro, e attraverso le umiliazioni subite, Roma è riuscita a migliorare e a evolversi militarmente.

 

1^ Guerra sannitica (343 a.C.- 341 a.C.)
Inizia così la prima guerra sannitica. Le guerre sannitiche sono tre e il casus belli, lo scoppio della prima guerra sannitica, è un modello che si ripeterà. Roma, il territorio occupato dai Sanniti e la città di Capua erano coinvolti. I Sanniti decisero di assediare Capua per conquistarla, poiché era piena di ricchezze e un punto strategico fondamentale. I Capuani, assediati dai Sanniti, chiesero aiuto ai Romani, mandando ambasciatori disperati al Senato per chiedere l'intervento romano. Inizialmente, i Romani non volevano intervenire subito perché avevano patti di non belligeranza con i Sanniti e non volevano essere loro a scatenare la guerra. Tuttavia, gli ambasciatori capuani decisero di regalare la città ai Romani, dichiarando di diventare loro sudditi fedeli pur di essere salvati dai Sanniti. I Romani, vedendo un'occasione troppo ghiotta, decisero di intervenire, mandando ambasciatori ai Sanniti per chiedere di lasciare Capua e trovare una soluzione pacifica. I Sanniti, però, risposero arrogantemente, percependo l'ingerenza romana, e così si arrivò rapidamente alla guerra.
L'esercito romano fu affidato ai due consoli, Marco Valerio Corvo e Cornelio Arpino. Valerio Corvo, al comando della maggior parte dell'esercito romano, si mosse verso la Campania, in territorio sannita, portando al primo grande scontro: la battaglia del Monte Gauro. Fu una battaglia estremamente faticosa e sanguinosa, con esiti incerti per ore. Le fonti romane narrano atti eroici da parte del console, che a un certo punto si sarebbe messo alla testa di un reparto di fanteria, combattendo in prima linea contro il nemico. La battaglia del Monte Gauro fu vinta dai Romani, ottenendo il primo importante risultato contro i Sanniti, dimostrandosi subito vincitori e pericolosi.
Nel frattempo, Cornelio Arpino si trovava nel Sannio e lì ci fu la battaglia di Suessola, un'altra battaglia durissima. I Romani rischiarono di perdere perché rimasero intrappolati in una gola, ma la situazione fu risolta da Publio Decio Mure, tribuno militare, che con 1600 soldati occupò una parte fondamentale del campo di battaglia, impegnando i Sanniti per ore e permettendo al suo generale di disimpegnarsi su un'altura. Alla fine, i Romani ottennero la vittoria anche in questa battaglia. Questi primi scontri, violenti ma vittoriosi per i Romani, dimostrarono il loro crescente potere e determinazione.
Infatti, nel 341 a.C., il console Lucio Emilio Paolo cominciò a devastare le campagne dei Sanniti, che dopo due sconfitte subite decisero di mandare subito i loro ambasciatori a chiedere la pace, che fu firmata nello stesso anno. Finì così la prima guerra sannitica, della quale purtroppo abbiamo informazioni sommarie. Tuttavia, a livello di scontro, come se fosse un incontro di boxe, il punto andò sicuramente ai Romani.
 
2^ guerra sannitica (326 a.C.- 304 a.C.)
La seconda guerra sannitica fu in realtà la più grande e importante, quella che decise l'equilibrio dell'Italia. Lo scoppio della guerra avviene sempre con la stessa modalità: qualcuno attacca una città, la città chiede aiuto all'altro e si arriva al conflitto. Questa volta i Romani attaccarono la città di Napoli e cominciarono ad assediarla. All'interno di Napoli c'era una parte politica favorevole ai Sanniti, che chiese subito aiuto, e i Sanniti mandarono 4.000 soldati per difendere la città. A questo punto, secondo i Romani, tutti i trattati erano stati violati e le provocazioni continuavano, quindi la guerra riprese. Tutti si aspettavano una ripresa del conflitto.
I Romani cominciarono a ottenere una serie di vittorie e a conquistare molte piccole città: conquistarono Alife e alla fine anche Napoli, ottenendo così i primi risultati importantissimi. I Romani stavano vincendo su tutti i fronti e avanzavano sul territorio sannita.
A un certo punto, però, arrivò uno dei momenti più drammatici delle guerre sannitiche: una delle più grandi sconfitte per i Romani, le famigerate Forche Caudine, nel 321 a.C. L'esercito romano, guidato da Vitulio Calvino e da Albino Caudino, stava attraversando il territorio sannita durante le operazioni militari. Non sappiamo esattamente dove avvenne la battaglia; Tito Livio ne dà una descrizione generica, senza punti di riferimento precisi. Gli studiosi moderni individuano il punto tra Arienzo e Arpaia, ma la discussione sulla località esatta delle Forche Caudine è ancora aperta.
I due generali romani si trovarono intrappolati in una gola e bloccati dall'esercito sannita. Tentando di tornare indietro, si resero conto che anche quella via era bloccata. Si trovarono quindi completamente imbottigliati. Era un momento tragico: i Romani sapevano di non avere scampo, i rilievi collinari impedivano loro la fuga e i Sanniti erano ben posizionati. Non avevano possibilità né di vittoria né di fuga. Si tenne quindi un consiglio disperato tra i generali, che capirono la cruda realtà: non potevano essere tutti quanti annientati, altrimenti Roma sarebbe rimasta indifesa. Con enorme sofferenza e una terribile umiliazione, si chiese la resa al generale sannita Gaio Ponzio.
I Romani, tristi e sconfitti, si presentarono da Gaio Ponzio, offrirono le condizioni di resa, chiedendo di essere risparmiati e promettendo di non muovere più guerra ai Sanniti. Gaio Ponzio accettò, ma inflisse loro un'amara umiliazione: i Romani furono costretti a togliersi tutte le armature e rimanere con una semplice tunica, senza simboli militari né di potere, e a passare sotto il giogo, una costruzione composta da tre lance. I soldati romani, i generali e gli ufficiali furono costretti a inchinarsi e passare sotto il giogo, facendo atto di sottomissione davanti ai Sanniti, che li guardavano pieni di orgoglio.
Secondo alcune leggende, i Romani sarebbero stati costretti non solo a inchinarsi sotto il giogo, ma anche a subire violenze sessuali. Tuttavia, questa è una leggenda successiva, poiché nelle fonti antiche non c'è alcuna conferma di ciò. C'è stata, invece, una grande umiliazione dei soldati romani, come riportato dalle fonti antiche.
Tito Livio ci racconta che se qualcuno si permetteva di guardare male un Sannita o di non accettare l'umiliazione, veniva immediatamente ucciso sul posto, scuoiato e colpito dalle spade dei Sanniti. Questa situazione orribile portò i Romani a un'umiliazione che entrerà nella storia. Dopo essere stati umiliati, i Romani furono lasciati andare e si recarono inizialmente a Capua, dove i Capuani accorsero immediatamente per dare conforto ai soldati. Tuttavia, rimane nella storia l'immagine dei soldati Romani completamente muti, sopraffatti dalla vergogna e imbambolati, incapaci di rendersi conto di dove si trovassero. Queste migliaia di ex soldati gloriosi Romani, che non riuscivano nemmeno a parlare, costituivano uno spettacolo veramente terrificante.
Questa è la grande umiliazione che i Romani hanno dovuto subire per mano dei Sanniti. Tuttavia, vale il proverbio: "I Romani perdono le battaglie ma vincono le guerre." Infatti, i Romani non accettarono minimamente di perdere la guerra, ripresero le operazioni militari e ottennero una serie di graduali rivincite, riconquistando città dopo città il territorio dei Sanniti. I Romani ripresero i combattimenti, vincendo e prendendo la città di Lucera dopo un assedio faticosissimo, conquistando Canusio e anche Teano.
Ci fu poi un'altra battaglia, la battaglia di Lautulae, vicino all'odierna Terracina, in cui sostanzialmente i Romani persero di nuovo. Le fonti antiche romane sono un po' ambigue, ma analizzandole bene, e considerando che non ci sono ulteriori riscontri, è probabile che si sia trattato di un'altra pesante sconfitta, forse minimizzata dalle fonti per non ammettere di aver avuto una seconda Forca Caudina. Nonostante questi momenti di sofferenza, i Romani, con una pervicacia insostituibile, conquistarono nuove città: Sora, Minturno, Vescia e Lucera, fino a conquistare anche Nola nel 313 a.C., una città importante e strategica.
In un momento difficile della guerra, i Romani vennero attaccati dagli Etruschi, riprendendo a nord le guerre contro di loro e contemporaneamente a sud contro i Sanniti. Tuttavia, non si scoraggiarono: utilizzarono la loro straordinaria macchina militare, impegnarono tutte le energie dei cittadini, ottennero nuove vittorie contro gli Etruschi, che furono quasi subito costretti a chiedere la pace, e vinsero di nuovo i Sanniti, città per città, campagna per campagna, borgo per borgo.
Si arrivò alla grande battaglia finale della seconda guerra sannitica, la battaglia di Boviano. Le fonti antiche ci forniscono poche informazioni, solo alcuni frammenti. Sappiamo che i due generali, Lucio Augurino e Lucio Postumio Megello, condussero l'esercito romano in due colonne che si riunirono vicino a Boviano e combatterono aspramente contro l'esercito sannita guidato da Stazio Gellio. Fu una battaglia furiosa che infuriò per ore, ma alla fine i Romani vinsero, nonostante Augurino morisse pochi giorni dopo per le ferite. I Romani ottennero comunque una vittoria decisiva, e nel 304 a.C. i Sanniti chiesero per la seconda volta la pace ai Romani.
 
3^ guerra sannitica ((298 a.C.- 293 a.C.)
Terza e ultima guerra sannitica. I conti non erano ancora regolati: i Romani erano sempre efficaci, ma i Sanniti erano ancora molto pericolosi. Anche questa volta ci fu un casus belli: i Sanniti attaccarono i Lucani per conquistare i loro territori. I Lucani chiesero nuovamente aiuto ai Romani, che entrarono di nuovo in guerra contro i Sanniti. Questa volta, i Sanniti aggiornarono la loro strategia politica e militare, utilizzando un sistema di alleanze. Cercarono inizialmente di allearsi con gli Apuli, gli abitanti dell'antica Apulia. I Romani, però, si mossero con straordinaria efficacia e a Maleventum sconfissero gli Apuli, impedendo loro di unirsi ai Sanniti.
La strategia delle alleanze anti-romane, tuttavia, non terminò qui. I Sanniti divennero gli autori della più grande coalizione contro i Romani fino a quel momento: si allearono con gli Etruschi, gli Umbri e i Galli dell'Italia settentrionale, creando un'enorme coalizione con l'obiettivo di annientare completamente i Romani. Per Roma, questa coalizione era pericolosissima, rendendosi conto di essere circondata da ogni parte. Solo i Piceni erano alleati dei Romani in questa fase. Si arrivò così a una delle più grandi battaglie della storia antica, la battaglia del Sentino, chiamata anche "battaglia delle Nazioni" perché tutte le nazioni erano contro i Romani. Nel 295 a.C., si giocò tutto.
I Romani utilizzarono il loro esercito in modo guardingo, ottennero informazioni importanti e attuarono una strategia diversiva: mandarono una parte dell'esercito ad attaccare la città etrusca di Chiusi. Questo portò l'esercito etrusco a fare dietrofront per salvare la città, seguito dagli Umbri. Con questo diversivo, i Romani eliminarono due avversari, rimanendo solo con i Galli e i Sanniti contro di loro nella battaglia del Sentino. Il grande console Decio Mure pensava di utilizzare un misto di cavalleria e fanteria per sorprendere i Galli, ma questi tirarono fuori carri da guerra pericolosissimi che scompaginarono la tattica romana. I Romani iniziarono a indietreggiare, sconvolti da questo asso nella manica dei Galli.
Secondo la tradizione romana, Decio Mure compì la "devotio", sacrificando la sua vita agli Dei Mani in cambio di un concreto aiuto sul campo di battaglia. Fece un discorso poderoso e glorioso, poi si lanciò con il suo cavallo contro i Galli, morendo tra decine di frecce, dilaniato dai nemici. Tuttavia, il suo sacrificio servì: improvvisamente, i Galli sembrarono terrorizzati e incapaci di muoversi. La parte dell'esercito dei Galli iniziò a cedere e i Romani ottennero una grande vittoria definitiva presso il Sentino.
Dopo la battaglia del Sentino, nessuno fu più in grado di contenere militarmente i Romani, che erano militarmente superiori a tutti, sia perché non si arrendevano sia perché si muovevano efficacemente sul territorio. Quando perdevano, ritornavano alla carica più forti di prima. Ci furono solo alcuni scontri successivi, come l'assedio di Luceria, devastante ma vinto dai Romani, e l'ultimissima battaglia di Aquilonia, dove i Sanniti furono definitivamente sconfitti.
Nel 290 a.C., i Romani vinsero le ultime resistenze dei Sanniti, che, senza più forze e alleati, si dichiararono sconfitti. Finì così la terza guerra sannitica, con i Romani che divennero i maggiori padroni della penisola italica. Le conseguenze furono evidenti: i Romani si espansero nel centro-sud Italia, conquistarono territori immensi e stabilirono il loro controllo ovunque, decidendo la politica estera di molte città e territori. Nonostante questo, i Romani riuscirono ad assimilare efficacemente le popolazioni conquistate, lasciando libere e inalterate le realtà locali e regionali. Questa romanizzazione creò nuovi cittadini che convivevano pacificamente con i Romani.
I Romani arrivarono a toccare le città greche del sud Italia, portando a una nuova guerra, la guerra contro Pirro.