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Influenze arabe nella lingua italiana

♦ Parole straniere intraducibili in italiano
♦ Influenze arabe nella lingua italiana

Parole straniere intraducibili in italiano: cosa significano e quali sono
Ci sono parole straniere uniche che descrivono emozioni profonde ed esperienze umane che sono intraducibili in italiano o in altre lingue, ovvero termini che non hanno un equivalente in italiano Questi termini unici spesso catturano concetti complessi o esperienze umane che potrebbero non essere facilmente esprimibili con una singola parola. Sono come piccoli enigmi linguistici, ognuno con la sua storia e il suo significato profondo che spesso va oltre la semplice traduzione. Esploriamo alcune di queste parole intraducibili in italiano, che offrono uno sguardo affascinante su diverse culture e prospettive.

Schadenfreude (Tedesco):
Questa parola tedesca si riferisce alla sensazione di gioia o soddisfazione derivante dalla sfortuna o dalla disgrazia altrui. È un mix di emozioni negative come invidia e gioia, ed è un concetto complesso da tradurre in una sola parola.
 
Mångata (Svedese):
Mångata, termine svedese, descrive il riflesso della luna sull'acqua, creando un sentiero di luce scintillante. È un termine che evoca un'immagine poetica e suggestiva della natura.
 
Hikikomori (Giapponese):
La parola giapponese hikikomori si riferisce a persone che si ritirano dalla società e trascorrono la maggior parte del loro tempo in isolamento sociale, spesso confinati nelle proprie stanze. Questo fenomeno, tipicamente osservato in Giappone ma oggi sempre più diffuso, riflette un senso di disconnessione e alienazione dalla società moderna.
 
Tartle (Scozzese):
Il termine scozzese tartle si riferisce al momento di esitazione che si prova quando si sta per presentare qualcuno, ma si dimentica il suo nome. È una situazione imbarazzante e comune a tutti che non ha una parola precisa in molte altre lingue.
 
Tsundoku (Giapponese):
Tsundoku, parola giapponese, si riferisce all'atto di acquistare libri e lasciarli accumulare senza mai leggerli. È una parola che cattura il piacere di collezionare libri, anche se non si ha il tempo di leggerli tutti.
 
Saudade (Portoghese):
La parola portoghese saudade rappresenta un sentimento di malinconia profonda e nostalgia per qualcosa o qualcuno che è assente. Può evocare una sensazione di dolce tristezza per i ricordi del passato o per qualcosa che desideriamo ma non possiamo avere.
 
Gigil (Filippino):
Il termine filippino gigil descrive il desiderio irresistibile di stringere qualcosa o qualcuno in modo affettuoso, come un bambino adorabile o un animale domestico adorato. È un'emozione che spesso sfocia in un'azione fisica spontanea di abbracciare o stringere.
 
Wabi-sabi (Giapponese):
Wabi-sabi è un concetto giapponese che riflette un'apprezzamento per la bellezza delle cose imperfette. Si tratta di una filosofia estetica e spirituale che trova bellezza nell'asimmetria, nell'irregolarità e nel carattere naturale delle cose. Il termine "wabi" si riferisce alla semplicità e alla solitudine, mentre "sabi" si riferisce alla bellezza che deriva dal tempo e dal suo scorrere. Insieme, questi concetti celebrano la bellezza che si trova nella natura, nell'accettazione del cambiamento e dell'impermanenza.
 
Pihentagyú (Ungherese):
Pihentagyú è una parola ungherese che letteralmente significa "testa rilassata-riposata”. Il significato figurato è associabile a qualcuno che è calmo, tranquillo e perspicace. Si usa per descrivere una persona che è serena, pacifica o che ha una mente chiara e lucida.

Nel ricco intreccio storico-culturale, le parole italiane di origine araba narrano una storia di scambi e influenze, rendendo la lingua un riflesso dei secoli di connessioni tra il mondo arabo e l'Italia.
Nel periodo tra l'VIII e il IX secolo, l'Italia fu teatro di un capitolo unico della sua storia: il dominio arabo. Questa dominazione, principalmente radicata in Sicilia, ma con estensioni sulla Calabria e parti della Campania, portò con sé un'importante ondata di influenze culturali che si riflettono ancora oggi nella lingua e nella cultura italiana.
L'influenza araba sulla lingua italiana è evidente nella presenza di numerose parole che si sono infiltrate nei secoli, diventando parte integrante del vocabolario quotidiano. L'agricoltura fu rivoluzionata con l'introduzione di nuovi frutti, come gli agrumi, e di tecniche di irrigazione avanzate. La scienza e la matematica arabe arricchirono il sapere italiano, contribuendo al Rinascimento e al progresso scientifico. La cucina italiana fu trasformata dall'introduzione di spezie esotiche come lo zafferano, il cui nome stesso è di derivazione araba.
Scopriamo alcune delle parole italiane di uso comune che derivano direttamente dalla lingua araba.

Algebra
Il termine algebra, introdotto in Occidente dal grande matematico Leonardo Fibonacci, deriva dall’arabo al-ǧabr, che significa “il rimettere a posto”, a sua volta derivante dal verbo ǧabara, letteralmente “egli aggiustò”.
Indica quindi “la ricostruzione”, il collegamento di più parti separate. Storicamente, l’influenza della cultura arabo-islamica sulla matematica è stata fondamentale: gli storici ritengono, infatti, che a dare i natali all’algebra sia stato il matematico e astronomo, originario della Persia, Muḥammad Ibn Mūsā Al-Ḫwārizmī (anche traslitterato al-Khwarizmi o al-Khuwarizmi, nome da cui, tra l’altro, deriva la parola algoritmo).
Zero
I numeri che utilizziamo comunemente vengono definiti numeri arabi. Lo zero, che non esisteva in epoca romana, deriva dalla latinizzazione dell’arabo aṣ-ṣifr che significa “nulla”. Una piccola curiosità: da diverse traduzioni latine di questa stessa radice etimologica è derivato anche il termine cifra.
Taccuino
Sebbene con il digitale questo prezioso strumento stia entrando in disuso, capita ancora di dover mettere ordine nelle idee, nero su bianco. Taccuino deriva dall’arabo taqwīm e significa “«disposizione ordinata», ed era anticamente utilizzato per definire un calendario o un almanacco. La latinizzazione del termine, “tacuinum”, nel Medioevo fu largamente utilizzata per indicare una raccolta di prescrizioni mediche e igieniche di derivazione araba (il tacuinum sanitatis).
Ammiraglio
Oltre alla matematica, gli Arabi eccellevano in altri due settori: la navigazione e il commercio. Proprio in questi contesti nasce la parola ammiraglio, oggi utilizzata come titolo per indicare il massimo grado della Marina Militare. La sua etimologia è poetica ed evocativa: deriva dall’arabo amīr al-baḥr che letteralmente significa “comandante del mare” o “principe del mare”, carica diffusasi dapprima in Sicilia, alla corte normanna, e poi in tutte le altre marine, attraverso il greco-bizantino amerás prima e il latino medievale amiratus poi.
Meschino
Direttamente dall’arabo miskīn, “povero, misero”, esprime in genere commiserazione. Per estensione, indica ciò che rivela l’angustia intellettuale o la grettezza dello spirito.
Dogana/divano
Quando si pensa agli scambi commerciali con l’estero, le infinite attese alla dogana sono tra le prime immagini che saltano alla mente. Anche questa parola discende direttamente dall’arabo, nello specifico dal termine dīwān che significa “ufficio, registro”.
Da questa parola deriva anche divano: tradizionalmente, infatti, negli uffici amministrativi si lavorava seduti su panche coperte da cuscini. Non serviva, quindi, soltanto per riposarsi come viene utilizzato oggi, ma rappresentava soprattutto un simbolo di potere. Di conseguenza, il termine designava anche un ufficio, un’autorità nonché una riunione di Consiglio e i suoi membri. Più tardi, nel XVII secolo, il divano entrò a far parte anche dell’arredamento degli ambienti di rappresentanza delle case signorili.
Almanacco
Gli Arabi, è risaputo, erano anche sapienti astronomi. Il termine al-manāḫ, “il clima”, indicava uno specifico tipo di tavole astronomiche studiate in modo da poter ricavare, per qualsiasi giorno dell’anno, la posizione del sole e della luna nel firmamento. A oggi, questa parola ha esteso di molto il proprio significato: spesso è utilizzata per indicare diversi tipi di annuari, che generalmente contengono dati statistici di vario tipo.
Caffè
L'aroma del qahwa si diffuse nei caffè italiani dal turco kahve. Il caffè costituisce un legame fisico, quotidiano, alimentare tra Oriente e Occidente. Tentando di definire questa parola i lessicografi sono divisi tra diverse interpretazioni: da una parte c’è la parola qahiya, ovvero mancanza di appetito – il caffè è una sostanza detta anoressizzante – da un’altra c’è quwwa, cioè forza, potenza, per via degli effetti rinvigorenti della bevanda. Sicuro è che il porto yemenita di Mokha fu un centro di smercio molto importante, dal quale il caffè arabo partì per conquistare il mondo. Ecco perché la caffettiera si chiama moka.
Arancia
Durante il dominio arabo in Sicilia, gli agrumi nāranj arricchirono il suolo, plasmando paesaggi e introducendo una varietà di sapori ancora oggi distintivi. Se apriamo il dizionario di arabo, alla voce arancia si hanno due traduzioni: l’arancia amara è nāranj, e i linguisti sembrano essere d’accordo sul fatto che provenga da una parola persiana che significa ‘cibo preferito degli elefanti’, ma l’arancia dolce è burtuqāl. Numerosi dialetti italiani contemplano diverse varianti sul tema, come portajall, purtcagli, purtuall… ma anche il greco, il rumeno e l’albanese hanno tutte parole affini per indicare l’agrume.
Zafferano
Lo zafferano è originario dell’Asia Minore ed è utilizzato ad oggi in tantissime ricette della cucina mediterranea. Il termine è una derivazione diretta della parola araba zacfarān che indicava la pianta del croco, utilizzata proprio per la produzione di questa spezia pregiatissima.
Sciroppo
Il termine sciroppo deriva dall’arabo sharāb, che significa “bevanda”. L’associazione con lo “sciroppo per la tosse” e il mondo della medicina è quasi automatica, ma in realtà ancora oggi con questa parola si intende qualunque soluzione dolce di acqua, zucchero e frutta!
Limone
Limone deriva dal termine arabo-persiano laymūn. Le prime piante di limone erano raffigurate già in dipinti di epoca romana, ma è solo con l’avvento degli Arabi che, dal X secolo, abbiamo traccia delle prime descrizioni letterarie di questo frutto, la cui pianta era utilizzata anche come ornamento.
Alcol
Tra le parole arabe, alcol è sicuramente quella con l’etimologia più particolare: il termine deriva dall’arabo kuḥl, una particolare polvere che, mescolata con acqua, si utilizzava in Oriente per tingere di nero sopracciglia, ciglia e palpebre (pensiamo alla familiarità con il termine “kajal” usato tutt’oggi come cosmetico). Gli alchimisti europei estesero poi l’utilizzo di questa parola, indicando con “alcol” ogni tipo di sostanza impalpabile.
Il vero “autore” del vocabolo "alcol" fu però Teofrasto Paracelso, che per primo associò il termine allo spirito di vino, la parte più nobile della bevanda, chiamandolo questa nuova denominazione passò a poco a poco anche a chimici e medici, che la estesero e finirono con l’omettere la parola “vini”

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