Antologia - TERZO ANNO - 25^ Lezione
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TEATRO EUROPEO: GARCIA LORCA
Venticinquesima lezione, con Mariateresa, dedicata sempre al teatro europeo, in particolare a Federico Garcia Lorca. Presenteremo tanto del suo teatro. Non è una vasta drammaturgia, però sono molti i riferimenti e i passi riproducibili, perché tutti estremamente significativi, e diverse sono le parti femminili, per cui, Mariateresa, ti ritroverai meglio ambientata in queste interpretazioni.
Il teatro di Lorca è stato spesso centrato su figure femminili, non a caso. Non cito il banale motivo della sua omosessualità, ma la ragione che sapeva che la donna era l’elemento debole della società e su di lei si concentravano o si riverberavano tutte le ingiustizie di un comportamento che spesso le metteva ai margini. Basti partire per esempio da un’opera di cui riproduciamo qualche immagine registrata, la prima con cui ho avuto un contatto nella mia esperienza di teatro con gli studenti nel mio liceo, “La casa di Bernarda Alba”, alla quale sono poi legati tanti ricordi, incluso il regista, da poco scomparso.
Era appunto la storia di una casa, quella di Bernarda Alba, una donna che ossessionava e controllava le figlie, impedendo loro di uscire per cercare l’amore e aveva stabilito che una sola di loro doveva sposarsi, mentre le altre dovevano aspettare o rinunciare. Tragedia, quindi, della privazione, tragedia della prevaricazione sulla donna, ancora più cruda perché operata da un’altra donna. Infatti ideammo una scenografia particolare: i muri della casa erano lenzuoli, bianchi naturalmente, a richiamare il grande appuntamento, la grande esigenza erotica di queste ragazze che non potevano trovare l’amore fuori da questa casa nella quale vivevano rinchiuse; poi mettemmo i colori di Mirò, sul proscenio, a indicare la vita, verso la quale volevano andare e che era loro negata. Finiscono per innamorarsi dell’unico uomo che si presenta intorno a questa casa, che è il promesso sposo di una di loro. Tutto si sviluppa fino a un evento tragico, che una di queste ragazze si uccide. Vi presentiamo una sintesi dello sppettacolo:
(Segue il video della rappresentazione, presso il teatro Savoia di Campobasso, ad opera del primo laboratorio del liceo “Principessa Elena”, prima che cambiasse il suo nome in “Galanti”. Trascriviamo le parti relative)
BERNARDA: Escano da dove sono entrati. Non voglio che passino di qui.
RAGAZZA: (ad Angustias) C’era Pepe il Romano fra gli uomini delle visite.
ANGUSTIAS: Sì, c’era.
BERNARDA: C’era sua madre. Lei ha visto sua madre. Pepe non l’abbiamo veduto né lei né io.
RAGAZZA: M’era sembrato…
BERNARDA: Chi c’era, era il vedovo di Durajalì. Stava molto vicino a tua zia. Quello l’abbiamo visto tutte.
2°DONNA: (tra sé, sottovoce) Serpe maledetta!
3°DONNA: (tra sé, sottovoce) Lingua tagliente!
BERNARDA: Le donne in chiesa non devono guardare altro uomo che il prete dell’ufficio, solo quello, perché porta la sottana. Se una volta la testa, è perché va cercando il calore dei pantaloni.
1°DONNA: (tra sé, sottovoce) Vecchia dannata!
LA PONZIA: (fra i denti) Tizzone d’inferno!
BERNARDA: Sia lodato Iddio!
TUTTE: (segnandosi) Sia per sempre benedetto e lodato.
BERNARDA: Riposa in pace coi santi custodi del capezzale!
TUTTE: Riposa in pace!
BERNARDA: Con l’angelo San Michele e la sua spada giustiziera.
TUTTE: Riposa in pace!
BERNARDA: Con la chiave che tutto apre e con la mano che tutto rinserra.
TUTTE: Riposa in pace!
BERNARDA: Con l’anime beate e le fiammelle dei campi.
TUTTE: Riposa in pace!
BERNARDA: Con la santa carità e l’anime del cielo e del mare.
TUUE: Riposa in pace!
BERNARDA: Concedi il riposo al tuo servo Antonio Maria Benavides e porgigli la corona della tua santa gloria.
TUTTE: Amen.
BERNARDA: (si leva in piedi e canta) Requiem aeternam dona eis Domine.
TUTTE: (in piedi e cantando al modo gregoriano) Et lux perpetua luceat eis.
(…)BERNARDA: (infuriata) Angustias! Angustias!
ANGUSTIAS: (entrando) Cosa comanda?
BERNARDA: Cosa stavi guardando? Chi guardavi?
Pausa
ANGUSTIAS: Nessuno.
BERNARDA: Ti pare decenza che una donna della tua condizione vada gettando l’esca dietro a un uomo, lo stesso giorno della messa funebre di suo padre? R: Tu!
ANGUSTIAS: Nessuno!
BERNARDA: (andando verso di lei e battendola) Smorfiosa! Sdolcinata!
LA PONZIA: (accorrendo) Calmati, Bernarda! (La trattiene)
Angustias piange
BERNARDA: Fuori di qui! Tutte quante!
Escono
LA PONZIA: Lei l’ha fatto senza dare importanza a ciò che faceva, chè effettivamente sta male. Io son rimasta, quando l’ho vista sgattaiolare verso il patio! Lì si è messa dietro una finestra, a sentire quello che dicevano gli uomini, che come al solito erano discorsi che non si possono sentire.
BERNARDA: Per questo vengono ai funerali. (con curiosità) Di che parlavano?
LA PONZIA: Parlavano di Paca la Colabrodo. Stanotte hanno legato suo marito a una mangiatoia e lei se la son portata in groppa al cavallo fin sull’alto dell’uliveto.
BERNARDA: E lei?
LA PONZIA: Contenta come una pasqua. Dicono che andava coi seni di fuori e Massimiliano la portava in braccio come se stesse suonando la chitarra. Che schifo!
BERNARDA: E poi che è successo?
LA PONZIA: Quello che doveva succedere. Tornarono che era quasi giorno. Paca aveva i capelli sciolti e una corona di fiori in testa.
BERNARDA: E’ l’unica malafemmina che abbiamo in paese.
LA PONZIA: E non è di qua. E’ di molto lontano. E anche quelli che sono andati con lei son figli di forestieri. Gli uomini di qua non sono capaci di farle certe cose.
BERNARDA: No, ma gli piace vederle e commentarle, e si succhiano le dita ogni volta che ne càpita una.
LA PONZIA: E raccontavano dell’altro.
BERNARDA: (guardando da una parte e dall’altra con un po’ di timore) Che cosa?
LA PONZIA: Ho vergogna a dirlo.
BERNARDA: E mia figlia è stata lì a sentire!
LA PONZIA: Come no?
BERNARDA: Quella è tutta le sue zie. Così bianche e untuose, e poi facevano gli occhi di bue al più piccolo complimento di un barbierucolo. Quanto bisogna soffrire e lottare perché le persone siano oneste e non sgarrino strada!
LA PONZIA: E’ che le tue figlie sono ormai in età di concludere! Anzi, poco fastidio, ti danno! Angustias deve avere molto più di trent’anni.
BERNARDA: Trentanove giusti.
LA PONZIA: Figurarsi! E non ha mai avuto un fidanzato…
BERNARDA: (infuriata) Non l’ha avuto nessuna e non ne hanno bisogno. Possono farne benissimo a meno.
LA PONZIA: Non volevo offenderti.
BERNARDA: Per cento leghe all’intorno non c’è chi sia degno di avvicinarle. Gli uomini di qui non sono della loro condizione. O vorresti che le dessi a un bracciante?
(…)ANGUSTIAS: Madre, mi lasci uscire.
BERNARDA: Uscire? Dopo che ti sarai tolta quella cipria dalla faccia. Tale e quale alle tue zie! Civetta! Svenevole! (le toglie con furia la cipria dal viso con un fazzoletto) E ora vattene!
LA PONZIA: Non essere così tirannica!
BERNARDA: Benché mia madre sia pazza, io ho i sensi a posto e so perfettamente quello che faccio.
(…)ATTO SECONDO
Le figlie di Bernarda cuciono. Maddalena ricama. E’ con loro la Ponzia.
(…) LA PONZIA: (…) Evaristo cominciò ad avvicinarsi, ad avvicinarsi, pareva che volesse penetrare nell’inferriata, finché disse a voce bassissima: Lascia che ti tocchi.
(Ridono tutte. Amelia si alza correndo e spia da una delle porte)
AMELIA: Ssss…Che non ci sentano!
LA PONZIA: Poi si portò bene. Avrebbero potuto venirgli altre manie, invece si mise ad allevare canarini finché non morì. A voi che siete zitelle vi conviene sapere, comunque, che dopo quindici giorni di matrimonio l’uomo abbandona il letto per la tavola, e poi la tavola per l’osteria; e la moglie che non si rassegna marcisce piangendo in un angolo.
AMELIA: Tu ti rassegnasti?
LA PONZIA: Io l’ho fatto filare.
MARTIRIO: E’ vero che gliele hai suonate diverse volte?
LA PONZIA: S, è vero. E una volta per poco non lo lascio guercio.
MADDALENA: Così dovrebbero essere tutte le donne.
LA PONZIA: Io sono della scuola di vostra madre. Un giorno non so che mi disse, e io gli ammazzai tutti i canarini col pestello del mortaio.
Ridono
MADDALENA: Adele, che cosa ti stai perdendo!
AMELIA: Adele!
Pausa
MADDALENA: Vado a vedere (Esce)
LA PONZIA: Quella ragazza non sta bene.
MARTIRIO: Per forza, dorme pochissimo.
LA PONZIA: E che fa?
MARTIRIO: Che so io di quello che fa lei!
LA PONZIA: Tu dovresti saperlo meglio di me, perché dormite separate da una parete.
ANGUSTIAS: E’ l’invidia che se la mangia.
AMELIA: Non esagerare.
ANGUSTIAS: Gliela leggo negli occhi. Sta facendo uno sguardo da pazza.
MARTIRIO: Non parlate di pazzi. Questo è l’unico posto dove non si deve pronunziare questa parola.
Maddalena entra con Adele
MADDALENA: Dunque non dormivi?
ADELE: Non mi sento bene.
MARTIRIO: (con intenzione) Non hai dormito bene stanotte?
ADELE: Sì.
MARTIRIO: E allora?
ADELE: (con forza) Lasciami in pace! Se dormo o veglio, non devi impicciarti dei fatti miei. Del mio corpo ne faccio quel che mi pare!
MARTIRIO: Era solo interessamento verso di te.
ADELE: Interessamento o spirito d’inquisizione? Non stavate cucendo? Continuate a cucire…
(…)MARTIRIO: Amelia!
AMELIA: (sulla porta) Che?
Pausa
MARTIRIO: No. Nulla.
Pausa
AMELIA: Perché mi hai chiamata?
Pausa
MARTIRIO: M’è sfuggito. Senza rendersene conto.
Pausa
AMELIA: Còricati un poco.
ANGUSTIAS: (entrando furibonda in scena, e in modo che vi sia un forte contrasto con i clienti di prima) Dov’è il ritratto di Pepe che tenevo sotto il cuscino? Chi ce l’ha di voi?
MARTIRIO: Nessuno.
AMELIA: Neanche se Pepe fosse un san Bartolomeo d’argento!
ANGUSTIAS: Dove sta il ritratto?
Entrano la Ponzia, Maddalena e Adele
ADELE: Che ritratto?
ANGUSTIA: E’ una di voi che me l’ha nascosto.
MADDALENA: E hai il coraggio di dire una cosa simile?
ANGUSTIAS: Stava in camera mia e ora non c’è più.
MARTIRIO: Se ne sarà scappato in cortile a mezzanotte. A Pepe piace camminare con la luna.
ANGUSTIAS: Non scherzare! Quando viene Pepe glielo dico.
LA PONZIA: No. Uscirà fuori prima! (guardando Adele)
ANGUSTIAS: Mi piacerebbe sapere chi è di voi che ce l’ha.
ADELE: (guardando Martirio) Chiunque, meno io!
MARTIRIO: (con intenzione) Si capisce!
BERNARDA: (entrando) Che scandalo è questo nelle mia casa e proprio nel silenzio della calura! Le vicine staranno con gli orecchi attaccati ai muri.
ANGUSTIAS: Mi hanno tolto il ritratto del mio fidanzato.
BERNARDA: (feroce) Chi? Chi?
ANGUSTIAS: Queste qua.
BERNARDA: Chi è stata di voialtre? (silenzio) Rispondete! (silenzio, a Ponzia) Rovista le camere, guarda mei letti. Ecco che cosa vuol dire non tenervi più strette. Mi dovrete sognare anche la notte! (ad Angustias) Ne sei sicura?
ANGUSTIAS: Sì.
BERNARDA: Lo hai cercato bene?
ANGUSTIAS: Sì, madre.
Stanno tutte in piedi in un silenzio imbarazzato
BERNARDA: Proprio alla fine della mia vita mi state facendo bere il più amaro veleno che può soffrire una madre. (a Ponzia) Non lo trovi?
LA PONZIA: (rientrando) Eccolo.
BERNARDA: Dove l’hai trovato?
LA PONZIA: Era…
BERNARDA: Dillo pure, non aver paura.
LA PONZIA: (stupitissima) Fra le lenzuola del letto di Martirio.
BERNARDA: (a Martirio) E’ vero?
MARTIRIO E’ vero!
BERNARDA: (avvicinandosi a lei e colpendola) Che tu possa morire accoltellata. Mosca morta! Scheggia di vetro!
MARTIRIO: (con fierezza) Madre, non mi batta!
BERNARDA: Ti batterò quanto mi pare.
MARTIRIO: Se io la lascio! Ha capito? Si faccia indietro!
LA PONZIA: Non mancare di rispetto a tua madre.
ANGUSTIAS: (trattenendo Bernarda) Lasciala, ti prego!
BERNARDA: Non ci hai più neanche lagrime negli occhi.
MARTIRIO: Non mi metterò certamente a piangere per farle piacere.
BERNARDA: Perché hai preso il ritratto?
MARTIRIO: Non posso fare uno scherzo a mia sorella? Perché avrei dovuto volerlo?
ADELE: (saltando su, piena di gelosia) Non è stato uno scherzo, no! A te non sono mai piaciuti gli scherzi. E’ stato ben altro che ti scoppiava in petto per venir fuori. Dillo, dillo chiaramente!
MARTIRIO: Zitta, non mi far parlare, che se parlo io s’uniranno l’uno coll’altro questi muri dalla vergogna!
ADELE: La malignità non ha limiti quando deve inventare.
BERNARDA: Adele!
MADDALENA: Siete pazze.
AMELIA: Ci state lapidando coi vostri cattivi pensieri.
MARTIRIO: ‘è chi fa cose ben più cattive.
ADELE: Fino a quando non si spoglieranno nude una volta per sempre e se le porterà il fiume.
BERNARDA: Perfida!
ANGUSTIAS: Io non ho nessuna colpa se Pepe il Romano ha messo gli occhi su di me.
ADELE: Sui tuoi danari!
ANGUSTIAS: Madre!
BERNARDA: Silenzio!
MARTIRIO: Sui tuoi terreni e i tuoi alberi.
MADDALENA: Proprio così!
BERNARDA: Silenzio, ho detto!...
(…)LA PONZIA: Adele! Quella sarebbe la sposa giusta per il Romano!
BERNARDA: Le cose non sono mai come le vorremmo.
LA PONZIA: Ma durano fatica a sviarsi dalla loro vera inclinazione. Che Pepe si unisca con Angustias non sembra male soltanto a me, lo malvedono tutti, anche l’aria. Chi lo sa se la spunteranno.
BERNARDA: E ricominciamo di nuovo!...Non fai che insinuare per riempirmi di incubi. E io non voglio capirti, perché se arrivassi a capire fin dove vuoi giungere, dovrei graffiarti la faccia.
LA PONZIA: Non scorrerebbe il sangue per un graffio!
BERNARDA: Per fortuna le figlie mie mi rispettano e non hanno mai deviato dalla mia volontà.
LA PONZIA: Sì, è vero. Ma basta che le lasci un momento libere e ti scapperanno sui tetti.
BERNARDA: Le farò discendere io a sassate!
(…)
ATTO TERZO
(…) LA PONZIA: Io non ci posso far nulla. Ho cercato di fermare gli eventi, ma ormai mi fanno troppa paura. Senti questo silenzio? Ebbene, c’è una tempesta in ogni camera. Il giorno che scoppieranno, saremo tutte travolte. Io quello che avevo da dire l’ho detto.
SERVA: Bernarda crede che non ci sia nessuno capace di fargliela, e non sa che forza ha un uomo fra tante donne.
LA PONZIA: La colpa non è tutta di Pepe il Romano. E’ vero che l’anno scorso venne dietro ad Adele e che questa ha perso la testa per lui., ma lei doveva stare al suo posto e non provocarlo. Un uomo è sempre un uomo.
(…) MARTIRIO: (a bassa voce) Adele. (pausa, arriva sino alla porta, a voce alta) Adele!
Appare Adele: è un po’ spettinata
ADELE: Perché mi cerchi?
MARTIRIO: Lascia quell’uomo!
ADELE: Chi sei tu per ordinarmelo?
MARTIRIO: non è quello il posto di una donna onesta.
ADELE: Che voglia hai di occuparlo tu!
MARTIRIO: (a voce alta) E’ venuto il momento che io ti parli. Questo non può continuare!
ADELE: Questo non è che il principio. Ho avuto la forza di farmi avanti. Ho avuto il coraggio e le capacità che tu non hai. Ho visto la morte sotto questo tetto e sono uscita a cercare ciò che era mio, ciò che mi apparteneva.
MARTIRIO: ma quell’uomo senz’anima è venuto per un’altra. Tu ti sei messa in mezzo.
ADELE: E’ venuto per il danaro, ma ha sempre tenuto gli occhi su di me.
MARTIRIO: Io non permetterò che tu travolga la casa. Egli sposerà Angustias.
ADELE: Lo sai meglio di me che non l’ama.
MARTIRIO: Lo so.
ADELE: E sai che ama me. L’hai visto tu stessa.
MARTIRO: (avvilita) Sì.
ADELE: (avvicinandosi) mi ama. Mi ama.
MARTIRIO: Conficcami un coltello nella carne, se vuoi, ma non dirlo più.
ADELE: Per questo vuoi impedirmi di andare con lui. Che baci la donna che non ama, a te non importa, e a me nemmeno. Con Angustias può stare cento anni, ma che baci me, è una cosa terribile, perché lo ami anche tu. Lo ami.
MARTIRIO: (drammatica) Sì. Lascia che lo dica con la testa fuori dalle coperte. E che mi si rompa il petto come una melagrana piena di amarezza. Sì, lo amo!
ADELE: (in uno slancio, e abbracciandola) Oh, Martirio, Martirio, io non ne ho colpa!
MARTIRIO: Non abbracciarmi. Non cercare di far piangere i miei occhi. Il mio sangue non è più il tuo. Vorrei guardarti come una sorella, ma non ti guardo più se non come una donna. (la respinge)
ADELE: Allora non c’è più niente da fare. Chi si deve affogare, affoghi. Pepe il Romano è mio. Lui mi porterà ai giunchi della riva.
MATIRIO: Questo non avverrà.
(…) Si ode un tonfo
BERNARDA: Adele, Adele!
LA PONZIA: (alla porta) Apri!
BERNARDA: Apri. Non credere che le pareti riparino dalla vergogna.
SERVA: (entrando) Si sono alzati i vicini.
BERNARDA: (a bassa voce, come ruggendo) Apri o getterò giù la porta! (pausa, tutto resta in silenzio) Adele! (si allontana dalla porta) Porta un martello!
La Ponzia dà uno spintone ed entra, Come entra, dà un grido e si ritrae
BERNADA: Che c’è?
LA PONZIA: (si mette le mani al collo) Dio ci guardi da una simile fine!
Adele si uccide per la vergogna e per la paura di aver perso il suo Pepe. “La casa di Bernarda Alba” è la metafora del sistema autoritario vigente, non soltanto delle imposizioni che gravano sulla donna nella società, ma in generale della dittatura che impone i suoi meccanismi alla nazione spagnola. Garcia Lorca fu protagonista, infatti, della lotta contro Franco e agli inizi della guerra civile, nel 1936, fu ucciso. Era nato nel 1898, apparteneva a quella famosa generazione che legava diversi grandi interpreti e che era diventata poi anche la “generazione del ‘27”, di autori che si erano incontrati a Parigi, svolgendo diverse attività nel campo artistico, citati, come abbiamo già ricordato, in un recente film di Woody Allen che dà una ricostruzione di quella capitale piena di vitalità. E la sua fine, oltre che apparire come una grandissima ingiustizia, ha segnato un grande confine tra dittatura e rivendicazioni sociali nella Spagna del tempo, cioè Lorca è diventato il simbolo delle vittime che fa la tirannia.
Ma Lorca, oltre che scrivere poesie molto efficaci, suggestive e piene di pathos, oltre che amare moltissimo la musica che accompagna i suoi versi, oltre che essere interprete di un teatro popolare, con la sua “Barraca”, il suo progetto di portare il teatro appunto al popolo, girando, come facevano i comici dell’arte, come aveva fatto lo stesso Cervantes con il suo “Don Chisciotte” e con altre commedie da lui scritte, è anche autore di alcuni testi fondamentali. Tra questi c’è “Bodas de sangre”, “Nozze di sangue”, da cui riportiamo e leggiamo il dialogo tra la Novia (la sposa) e la Criada (la serva). Io sarò la vecchia serva, tu invece la novia, la promessa sposa. E’ protagonista il solito triangolo, una promessa sposa, un promesso sposo e un altro uomo…
CRIADA: Muoio dalla voglia di vedere i regali
NOVIA: Non ti riguarda
CRIADA: Dài, lasciameli vedere…
NOVIA : Ho detto che non voglio!
CRIADA: Almeno le calze, dicono che sono tutte corte!
NOVIA: Certo che no!
CRIADA: E va bene…Oh Dio, sembra che tu non abbia voglia di sposarti!
NOVIA: Ah…(mordendosi la mano con rabbia)
CRIADA: Dài, che ti succede? Ti dispiace abbandonare la tua vita da regina? Non pensare a queste cose tristi. Ne hai motivo? Nessuno. Dài, andiamo a vedere i regali. (prendendo un pacco)
NOVIA: (Prendendole i polsi con forza) Ti ho già detto di lasciar perdere!
CRIADA: Ahi…lasciami!
NOVIA: Lascia i regali!
CRIADA: Hai più forza di un uomo.
NOVIA: Perché, non ho mai fatto dei lavori da uomo io? Magari lo fossi!
CRIADA: Non parlare così!
NOVIA: Stai zitta ho detto! Parliamo di altro.
(La luce scompare dalla scena. Lunga pausa)
CRIADA: Hai sentito il rumore di un cavallo stanotte?
NOVIA: A che ora?
CRIADA: Dovevano essere le tre.
NOVIA: Sarà stato un cavallo fuggito dalla mandria.
CRIADA: No, c’era anche un cavaliere.
NOVIA: Come fai a saperlo?
CRIADA: Perché l’ho visto. Ero in piedi vicino alla finestra.
NOVIA: Sicuramente sarà stato il mio fidanzato, spesso è passato di qui a quell’ora.
CRIADA: No.
NOVIA: Perché? Hai visto chi era?
CRIADA: Sì.
NOVIA: Chi era?
CRIADA: Era Leonardo.
NOVIA: Tu menti, bugiarda! Per quale motivo doveva venire qui?
CRIADA: Eppure ti dico che è venuto.
NOVIA: Stai zitta! Che la tua lingua sia maledetta! (si sente il rumore di un cavallo)
CRIADA: (dalla finestra) Guarda, affacciati. E’ lui?
NOVIA: E’ lui!
E la novia deve confessare che c’è un altro. Sarà la causa della tragedia. Poi abbiamo “Dona Rosita soltera”, “Donna Rosita nubile”. In spagnolo chiamano solitarie, sole, le donne che non si sposano. Ora tu sarai Rosita, in un suo famoso monologo, mentre dietro di te scorreranno le immagini di un’altra interpretazione dello stesso passo, inserita nella rappresentazione della “Casa di Bernarda Alba”, sempre del liceo “Galanti”, con l’idea che le storie di Rosita e, come vedremo, Yerma, potessero integrare il quadro della situazione femminile, da chi non può trovare l’amore per imposizione, a chi non può per sfortuna, a chi non può avere la gioia di un figlio. Sempre ricordando che la condizione femminile nel teatro di Lorca è metafora della condizione di tutti gli oppressi...
ROSITA: Mi sono abituata a vivere molti anni fuori di me, pensando a cose che stavano molto lontano, e ora che queste cose non esistono più continuo a girare per un luogo freddo, cercando un’uscita che non troverò mai. Io sapevo tutto. Sapevo che si era sposato. Si incaricò di dirmelo un’anima caritatevole, e ho ricevuto le sue lettere con un’illusione piena di lacrime che mai mi era capitata. Ma lo sapevano tutti e mi sentivo mostrata a dito in un modo che metteva in ridicolo la mia modestia di fidanzata e dava un’aria grottesca al mio ventaglio di zitella.
Ogni anno che passava era come un indumento intimo che strappavano dal mio corpo. E oggi si sposa un’amica e domani un’altra e un’altra e domani ha un figlio e cresce e viene a mostrarmi i suoi voti nei compiti in classe e si fanno case nuove e canzoni nuove e io uguale, con la stessa angoscia, uguale; io, la stessa di prima, che taglio lo stesso garofano, che vedo le stesse nubi e un giorno scendo al passeggio e mi rendo conto che non conosco più nessuno, ragazzi e ragazze mi lasciano indietro perché mi stanco e uno dice: “Ecco la zitellona!” E un altro bello, con i capelli ricci, che commenta: “A quella non c’è più chi l’addenta!” E io lo sento e non posso gridare e vado avanti, con la bocca piena di veleno e con una voglia enorme di fuggire, di togliermi le scarpe, di riposare e non muovermi più dal mio angolino.
Ormai sono vecchia. Ieri ho sentito dire la governante che ancora potrei sposarmi. In nessun modo. Non pensarci nemmeno. Ormai ho perso la speranza di farlo con chi volevo…e con chi voglio. tutto è finito. E tuttavia, pur avendo perduto ogni illusione, mi addormento e mi sveglio con la più terribile delle sensazioni, che è la sensazione di avere la speranza morta…Voglio fuggire, non vedere, voglio rimanere serena, vuota (non ha il diritto una povera donna di respirare liberamente?). Eppure la speranza mi perseguita, mi gira intorno, mi morde, come un lupo moribondo che serra i suoi denti per l’ultima volta.
Ecco ora la donna che non può avere figli, Yerma, che sarai ancora tu, Mariateresa, mentre io sarò Maria, l’amica che la incontra con il suo bambino. Anche in questo caso recitiamo davanti alle immagini di quella rappresentazione del teatro Savoia…
YERMA: Ahi, che prato di dolore, ahi, che porta chiusa alla bellezza. Chiedo un figlio per non soffrire e il vento mi offre dalie di luna addormentata. Ho due fonti di latte e di tepore nel mio cuore che come zoccoli di furioso cavallo fanno sbattere i rami della mia angoscia. Ahi, seni ciechi sotto la mia veste, ahi, colombe senza occhi né candore! Un dolore prigioniero mi sta inchiodando vespe sulla nuca; ma tu devi venire, amore, mio bambino, perché l’acqua dà il sale, la terra frutta e il nostro ventre protegge teneri bambini come le nubi portano dolce pioggia. (passa Maria) Maria, perché passi tanto di fretta davanti alla mia porta?
MARIA: Quando vado con il bambino lo faccio, come sempre piangi!
YERMA: Hai ragione.
MARIA: Mi dà tristezza che tu abbia invidia.
YERMA: Non è invidia quella che ho, è miseria.
MARIA : Non lamentarti!
YERMA: Come potrei non lamentarmi quando vedo te e le altre donne piene dentro di fiori e vedendomi così inutile in mezzo a tanta bellezza!
MARIA: Però hai altre cose! Se mi ascoltassi potresti essere felice. (le dà il bambino)
YERMA: La donna del campo che non dà figli è inutile come un mazzo di spine ed è anche cattiva; perché anche io faccio parte di questa malattia, allontanata dalla mano di Dio. (le restituisce il bambino) Prendilo, con te sta meglio, le mie non devono essere mani di madre.
MARIA: Perché mi dici questo?
YERMA: Perché sono stanca, stanca di tenerle e non poterle usare per quello per cui sono state create; e perché sono offesa, offesa e umiliata all’estremo, vedendo che i fiori sbocciano, le fonti non cessano di dare acqua e sembra che tutta la campagna si alzi in piedi per mostrarmi le sue creature tenere e addormentate mentre io sento due colpi di martello qui, alla bocca del mio bambino.
MARIA: Non mi piace quello che dici!
YERMA: Le donne quando hanno figli non si preoccupano di noi che non ne abbiamo. Diventate ingenue, ignoranti, d’altronde chi nuota in acqua dolce non ha idea della sete.
MARIA: Non voglio dirti quello che ti dico sempre…
YERMA: Ogni volta ho meno desideri e meno speranze!
MARIA: Brutta cosa!
YERMA: Finirò col credere di essere io stessa il mio bambino. Molte notti scendo io a dare da mangiare ai buoi, cosa che prima non facevo perché nessuna donna lo fa; e quando entro, nel buio, sento risuonare i miei passi come quelli di un uomo.
MARIA : Ognuno ha il suo modo d’essere!
YERMA Così vado avanti. Vedi dunque come vivo…
E’ straordinario poter sovrapporre le interpretazioni di studenti diversi in tempi diversi. E’ il miracolo del teatro. Comunque queste lezioni sono l’occasione, per i nostri giovani attori, da Barbara a Diego alla qui presente Mariateresa, per dimostrare le loro doti nella lettura di testi tutti ripresi dalla grande letteratura.
Qui si chiude questa ricostruzione dei passi più importanti del teatro di Lorca, ma ricordiamo ancora che questa guerra di Spagna, la guerra civile tra il 1936 e il 1939, l’abbiamo richiamata anche per la narrativa nostra, quando parlavo di “Michele a Guadalajara”, il racconto di Jovine, in cui un barbiere molisano va a combattere laggiù per guadagnare qualche soldo e si ritrova, tra franchisti e antifranchisti, con i primi, cioè contro i contadini come lui. Nella stessa guerra si sono fatte le prove del conflitto mondiale, che scoppierà immediatamente dopo. Picasso si è ispirato a questo evento con “Guernica”, rappresentazione della distruzione non soltanto di questa località, ma dell’umanità, della democrazia, di ciò che dà un senso autentico al vivere in comunità.
Infatti proprio lì, in Spagna, prima ancora della seconda guerra mondiale, si sono date le prove sia dei problemi che viveva il contesto mondiale ed europeo in particolare, sia delle coscienze che si opponevano a questo processo che andava verso l’affermazione dei totalitarismi, con il fascismo in Italia, il franchismo in Spagna, un’altra forma di fascismo in Francia, il nazismo in Germania e lo stesso comunismo leninista-stalinista in Unione Sovietica. Con tutto quello che poi non funziona in questo contesto degli anni ’30, dopo la crisi del ’29, quando la fame si diffonde in Europa e si è pronti a mettere la propria libertà nelle mani del dittatore di turno pur di ottenere la felicità. E’ il famoso patto con il diavolo che avrebbe fatto la nazione tedesca secondo Thomas Mann, nel “Doctor Faustus”, quando immagina che il popolo tedesco si è comportato come Faust, che dà la sua anima a Mefistofele in cambio della felicità. Nel caso del popolo tedesco la felicità era riscattarsi da quella condizione di povertà, inflazione, indebitamento continuo in cui lo avevano messo le grandi potenze europee. Quando arriva Hitler, il terreno è pronto per lasciar fare quello che avrebbe fatto questo folle protagonista della storia del Novecento. E le stesse cose si sono verificate altrove. Con questa testimonianza di Lorca, segno di un’epoca, chiudiamo questa venticinquesima lezione. Arrivederci.
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