Antologia - TERZO ANNO - 23^ Lezione
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TEATRO MOLISANO: TONINO ARMAGNO
Ventitreesima lezione, dedicata anche questa a un autore molisano, Tonino Armagno, nato a Campobasso nel 1924 e morto pochi anni fa. Di lui voglio ricordare prima di tutto l’esperienza di poeta e da “Le paneccasce”, la raccolta pubblicata pochi mesi prima di morire, vi faccio ascoltare “La chièina”, con la registrazione della voce dell’autore. Naturalmente trascrivo il testo:
LA CHIEINA
So’ quatte case,
l’arche, la funtana,
la torre a lu Carnare,
qull’albere, le scale
e chiù sotte la chiesa’e Sant’Antuone.
Tamiente chella casa:
sta ‘na funestra propie sott’a titte
rempette a sole
che nu cippe de vite aggira attuorne
a fa giurlanda
e nu rieste ‘e vasiliche profuma:
i’ là so’ nate.
Avria puté parlà la funistrella!
Là m’affacciave a tanemente ‘nciele
‘ncantateda l uvole de le rénnene;
là penseruse
remaneva a cuntà
le ‘ndille de campane;
là me fermave
a sentì vatte la creta au ppignatare,
a duserà ‘u viente
che alluterava prete pe’ le Munte,
a sentì le lutanie
tra lume e lustre de le pellegrine,
a stregne l’uocchie
au luccechià che fanne le cutine
quann’u sole a picche
sbatte ‘ent’all’acqua
a core ‘e mezijuorne.
Là me crisceva mamma
E ‘n’ addore de lievete
Me torna a la memoria
Addore ‘e pane frische mo’ sfurnate,
addore buone
de chella casa che m’ha viste nasce.
La Chèina: so’ queste case una ‘nfila ‘n’auta
Che ‘n’arche antiche,
‘na funtanella e ‘n’albere, une sule,
ma gruosse e belle,
‘na torre a lu Carnare,
scale e scalelle
e la chiesa ‘e Sant’Antuone.
‘Nso’ popia niente, ze sa,
ma pe’ me che so’ nate propia là
e o ‘nci stenghe chiù
la Chièina è tutte ‘nu munne,
munne de suonne sunnate
che nen me sonne chiù.
Dei tanti vi propongo solo questo componimento, per far sentire l’attaccamento alle sue radici di un poeta che vediamo ora presentato in un percorso nel borgo antico di Campobasso, da un giovane attore che lo impersona mentre annuncia passi di sue commedie…
Tonino Armagno (esce dal Teatro Savoia)
Il mio teatro. Quanti ricordi…Lu deputate…La cambiale…Buonappetito…La gazosa…e tante altre…tutte in dialetto, come le mie poesie, le canzoni, le trasmissioni alla radio.
Me ne sono andato in estate, senza quasi far rumore, poco dopo avere pubblicato Le paneccasce: più che poesie, cose in dialetto campobassano, sgorgate di getto nei diversi periodi della mia vita, nei momenti in cui ritenevo di essere in stato di grazia e in condizioni di spirito tali da poterle fissare sulle paginette di un quaderno che avevo tenuto sepolto in un cassetto; alcune di esse le avevo scritte quando avevo smesso da poco i pantaloni corti: perciò primule, “paneccasce”, umili fiori, i primi a sbocciare in primavera ai margini dei viottoli di campagna.
Pensate che i soliti ignoranti della nostra lingua, e qui ce ne sono tanti, pensavano: ma Tonino Armagno ha sbagliato! Pane e formaggio si dice diversamente! Figuratevi! Fiori, fiori dei campi, altro che formaggio! Ma qui non si conosce più la lingua dei padri!
Nella mia infanzia e nella mia adolescenza, in casa mia come del resto nella massima parte di questo luogo chiamato Campobasso, non si parlava altro che il dialetto. In questo piccolo mondo popolato da figurine ritagliate nel quotidiano, si viveva a Sant’Antonio, il rione-villaggio dove sono nato. Ho sempre amato il suono di questa “lingua”, di questo dialetto che penso non sia secondo a nessuno dei dialetti della nostra bella Italia. Possiede una sua musicalità, un colore, un ritmo, una insospettata gentilezza di accenti nelle più intime espressioni.
Il dialetto è come il latino una lingua morta, che però a molti di noi piace usare come vivo lessico familiare quando ci rivolgiamo a persone di una certa età, a quelle che sembra portino stampata in fronte una certa campobassanità.
Seguitemi, voglio farvi vedere la mia città…e farvi qualche lieta sorpresa. Di qui, per via degli orefici…
VIA DEGLI OREFICI Pub Birreria Ludvig – Trattoria da Nonno Cecchino
GUIDA - Ci stiamo incamminando per Via Orefici, una delle strade più antiche del centro storico, che fa parte della quarta cinta muraria costruita agli inizi del 1500, quando i signori Gonzaga diventano feudatari di Campobasso. A loro infatti si deve la zonizzazione urbana della cittadina; le singole strade sono indicate con il nome delle attività lavorative prevalenti, come ad esempio scarparie, ferrarie, oreficerie (l’attuale Via degli Orefici, ricca ancor oggi di botteghe e negozi di orafi).
ARMAGNO - Eccoci in un piccolo largo…mi sembra il luogo adatto per mettere su una scena…fate spazio, prego… (Armagno diventa “Mammuccia”)
“Natale di Mammuccia”
CARMELINA – E adesso come sta? Come ha passato la notte?
NATUCCIA – E come può stare; sempre lo stesso
CARMELINA – Ma non sarebbe meglio che il Signore se la prendesse? Che ci fa più su questo mondo a novantasette anni?
MAMMUCCIA – Natuccia, mamma, chi è questa che sta con te?
NATUCCIA – Ma come, non la riconosci? E’ Carmelina, mia cognata
MAMMUCCIA – Eh, credevo che fosse la morte ch’era venuta a prendermi. Così brutta, con quel naso appeso e quei denti storti…Brrr che paura!
CARMELINA– Ma come, tiene il capo nella fossa e ancora insulta la gente?
NATUCCIA – Ma che vuoi , quella non vede tanto bene e ti ha scambiato per la morte
CARMELINA – E brava!
MAMMUCCIA– La morte…la morte!
NATUCCIA – Quella t’ha visto con quel fazzoletto in testa…e poi tu ce l’hai il naso appeso e i denti storti…
CARMELINA – Natuccia, pure tu…Ero venuta per dirti una cosa ma non te la dico più! Statti bene tu e questa… mammuccia che sono tre mesi che non si regge e ancora non si decide ad andarsene!
MAMMUCCIA– La morte…la moooorte!
NATUCCIA – Ma che te la sei presa? Vieni qua
CARMELINA – Va bene…volevo dirti di passare il Natale insieme. Mancano quattro giorni
NATUCCIA – E che Natale, con la vecchia che sta più di là che di qua
CARMELINA – Speriamo che tenga per cinque sei giorni
SARTA – E’ permesso? Signora Natuccia, il vestito per mammuccia è fatto
NATUCCIA- Ah, finalmente
CARMELINA – Adesso può proprio andarsene, è pronta anche la veste
SARTA – Le ho comprato pure le scarpe
NATUCCIA- Sì, gliel’ho detto io: quando finirete il vestito provvederete pure per le scarpe…e anche per il velo
CARMELINA – Insomma hai pensato proprio a tutto
MAMMUCCIA – Natuccia, mamma…cos’è quest’ombra che mi è passata davanti? Ah Adesso è proprio vero. Ah…la morte…la mooorte!
CARMELINA – Ma quale morte e morte! E’ la sarta, mammuccia, non vedi?
NATUCCIA – Ti ha portato la veste nuova
MAMMUCCIA – Ah la veste nuova. E va bene, la indosserò quando andrò a messa
SARTA – Ho portato anche le scarpe e il velo
MAMMUCCIA – E hai portato per caso anche qualche caramella, qualche cioccolatino? A questa vecchia non la pensa nessuno
CARMELINA – Sentitela. Eh, la vecchiaia che scherzi che fa…S’è proprio infradiciato il cervello
MAMMUCCIA–Carmelina!A me il cervello mi si è infradiciato perché ce l’ho ancora!Ma tu non ce l’hai per niente!
C ARMELINA – Basta così…la vecchiaia è carogna
NATUCCIA – Beh, signora quanto vi debbo?
SARTA – Per pagare c’è sempre tempo… e poi c’è anche l’altro conticino, quello di mio marito falegname
CARMELINA – E cos’è questa storia del falegname?
NATUCCIA – (le parla all’orecchio) E allora, giacché ci siamo, prendiamo le misure e facciamo un conto solo
SARTA – Certo. Signora Carmelina, volete scrivere voi le misure?
CARMELINA- Adesso devo fare pure la scrivana?! Non ho gli occhiali con me e la matita l’ho lasciata a casa
MAMMUCCIA –E dillo che non sai né leggere né scrivere! Che, ti vergogni di dire che sei analfabeta?
CARMELINA (stizzita)
SARTA - Un metro e cinquantotto. Scrivete, signora Natuccia
NATUCCIA – Questa è la lunghezza, vero?
SARTA – Ora la larghezza
MAMMUCCIA – Ma levami una curiosità…mi stai prendendo le misure per un altro abito?
SARTA – Larghezza ottantacinque…
MAMMUCCIA – Che misure mi stai prendendo? Dimmi la verità…
SARTA – Altezza…la facciamo fare piuttosto alta, signora, è vero? Quarantotto centimetri vanno bene? Per il legname lo direte a mio marito
MAMMUCCIA – Adesso ho capito…Assassini, assassini, mi vogliono ammazzare. Madonna…la morte…la bara…la moooorte!
SARTA – Beh, è meglio andare
NATUCCIA –Vai via che è meglio
CARMELINA – Il malanno che ti colga
ARMAGNO – Un allegro esempio di cinismo familiare, come vedete. E ora andiamo a trovare l’amico Michele, da Nonno Cecchino…anche qui possiamo concederci una macchietta… (Armagno diventa “’U Giargianese”)
‘U Giargianese”
Ehi, ragazzi, non toccato l’auto! Questa è una Buik, stato attenti! Chi rompe paga! Sono zio Maichino Prosciutto, l’Americano. Sono venuto dall’America in Italia con un viaggio turistico, per rivedere i parenti miei tutti felici e contenti e ho portato molti dollari…un momento! Un momento! Quando sbarcai in America io ero un morto di fame, povero! Ho fatto cento mestieri. Lo spazzino, lo stagnino, il fornaio e il ciabattino. Poi aprii un caffè e poi una specie di cantina dove venivano tutti gli italiani. Ah, quanti ne ho sfamati! Quando ci fu la crisi del Ventinove io avevo un ristorante dove lavoravano diciassette camerieri e due cuochi. Una sera entra il “paesano”: Al Capone, e dietro a lui tre squadre di poliziotti. Avvenne il tafferuglio! Chi sparava di qua e chi sparava di là. Mi distrussero il locale e il governo mi rimborsò il denaro…e io aprii un ristorante più grande con venticinque camerieri e tre cuochi. Però il vino, i liquori…non potevo venderli. Allora l’italiano che pensò di fare? Fuori del ristorante affissi un’insegna dov’era scritto “Trippa all’italiana” e dentro la cucina intanto i cuochi – che poi erano un tale di Boiano, l’altro di Agnone e il terzo campobassano – preparavano gli “allùllere”.Voi sapete che cosa sono gli “allùllere”? Quelle palle di interiora saporite che una volta le vendeva la “trippaia”, la chiamavano così…E all’interno degli “allùlleri” infilavo una bella bottiglietta piena di vino rosso o di liquore. E avessi visto quanti clienti! Facevano a pugni! E fu allora che divenni ricco!
Sono scene riprese dal “Trekking urbano”, una passeggiata nel centro antico animata con attori del laboratorio del liceo “Galanti”, rivolta a illustrare, con i maggiori monumenti storici, anche le vite e le presenze della tradizione culturale del luogo. Tra gli interventi abbiamo già citato in un’altra lezione il personaggio di Vincenzo Cuoco, interpretato da un mio allievo, Mauro Genovese.
Avete visto, in questa singolare presentazione, merito dell’altro mio caro allievo del laboratorio teatrale, Domenico Florio, già ricordato in altre lezioni e ora impegnato al “Piccolo” di Milano, anche due squarci del teatro di Tonino Armagno. La prima è “’U Natale de mammuccia”, in cui si parla del cinismo di una famiglia nella quale una bisavola, mammuccia appunto, sta per morire, ma sotto Natale, rischiando di rovinare la festa. Sembra di rivedere certe situazioni del teatro di Eduardo: non c’è spazio per i sentimenti quando siamo presi dal nostro consumismo o dal modo consumistico con cui affrontiamo la vita anche nelle sue occasioni più sostanziali, importanti, come quella del Natale.
“’U giargianese” invece è la storia di un’emigrazione, di uno zio d’America che viene conteso fra due famiglie. Il monologo che avete visto parla dell’arte di arrangiarsi in America per arricchire, approfittando del proibizionismo. Ma sono tante le commedie di Armagno. Si possono citare “La gazosa”, “Abbasce ‘u monte mie”, “La cambiale”, “Buon appetite”, “Lu deputate” e tante altre. Ricordiamo intanto il suo attaccamento alla radice linguistica. Per lui era importante fare teatro dialettale, che riproducesse la lingua parlata nel borgo antico di Campobasso. Ci teneva particolarmente a che fosse la rappresentazione di una comunità. Si era parlato finora, dice nei suoi scritti, di un teatro dialettale collegato quasi esclusivamente al mondo della campagna, e lui voleva fare un teatro dialettale cittadino, urbano. E così è stato. Ha ritratto la comunità della parte vecchia di Campobasso.
Lo ricordiamo anche come autore di canzoni. Ha scritto “La fiera di Cerrito”, inserita in uno spettacolo del liceo “Galanti”, che vi facciamo subito vedere…
Filmato con la canzone “La fiera di Cerrito”, tratto da “DVD”, in scena presso il teatro Savoia di Campobasso.
Ricordiamo anche altri testi, come “Molise terra cara”, composta con la collaborazione di Tabasso. E’ poi stato esecutore, con Benito Faraone, di “Canzone d’atre tiempe” del poeta Eugenio Cirese, altro illustre uomo di cultura del piccolo Molise, che è l’autore anche di una ricostruzione della leggenda di “Bella Fata”. Ma prima vediamo “Canzone d’atre tiempe”, sull’esperienza dolorosa di chi partiva “per una terra assai lontana”…
Filmato con “Canzone d’atre tiempe”, tratto sempre da “DVD”.
Le due canzoni erano eseguite alla tastiera da Pierluigi Armagno, con la voce di Vito Battista, in teatro, in una rappresentazione per studenti, in cui avevamo inserito tutte quelle riportate ed altre pagine della letteratura molisana.
Ed ora vi facciamo rivedere la leggenda di “Bella Fata”, che introduce l’altra di “Delicata Civerra”. Come sentiremo sulle note della canzone, proposta con parole mie, dalla voce di Francesca Valente e dalla chitarra di Nicola Cordisco, la prima è la storia di una giovane contadina che respinge le pretese del feudatario del luogo e alla fine si uccide, buttandosi da una rupe, detta appunto “Ru cantone de la Fata”.
GUIDA - Siamo nel 1500, quando la vita cittadina è animata da confraternite, due delle quali, quelle dei Crociati e Trinitari, in forte contrasto fra loro, dovuto alla volontà di affermare la supremazia di una classe sociale sull’altra. Diversi e violenti furono gli scontri fra queste fazioni che insanguinarono le strade della città. In queste drammatiche vicende si inserisce la tragica storia di Delicata Civerra, crociata e Fonzo Mastrangelo, trinitario. Il loro matrimonio, come nel famoso “Romeo e Giulietta” di William Shakespeare, viene impedito dalle rispettive famiglie. Fonzo fugge e si arruola nella milizia. Delicata Civerra per il dolore si ammala e muore proprio nel giorno in cui le parti avverse fanno pace. Il Mastrangelo, ricevuta la triste notizia della morte dell’amata, abbandona tutto ed entra nell’ordine francescano.
“Ru cantone de la fata” (leggenda curata da Eugenio Cirese e rivista da Roberto Sacchetti)
DELICATA - Chi sei laggiù?
BELLA FATA – Bella Fata. E tu?
DELICATA– Delicata. Ma…sei solo un’ombra
BELLA FATA – Veramente anche tu…
DELICATA – Cosa ti è successo? Perché non ti avvicini?
BELLA FATA – Non posso. Devo rimanere quaggiù, dove mi sono buttata
DELICATA – Buttata? Da dove?
BELLA FATA – Da ru cantone de la fata! Scusa: dalla rupe della fata.
DELICATA – Racconta…
BELLA FATA – E’ una storia molto amara…
VOCE FUORI CAMPO - E’ la storia di una fanciulla molto bella, detta Bella Fata, innamorata di Antonio, che viene insidiata dal feudatario del luogo. Quando i suoi vassalli vennero a prelevarla con la forza, lei, per sfuggire alla cattura, si buttò dalla rupe dove ora si aggira la sua ombra mentre il fiume mormora una canzone d’amore.
Canzone: BELLA FATA (testo di Roberto Sacchetti, musica dei Medioevalia)
Una volta in un castello tutto dirupato
un maligno gran signore
circondato d’assassini
rubava terre e onore.
Quel signore vecchio e infame
un dì sentì cantare
...una vocina…
-Sento una canzone là, chi è voglio sapere
- Vive sola in tuo contado
bella fata a tutti è nota
bella come una fata.
-Se è un incanto come dice il nome
portala domani o muori!
Recitato:
-Riverita signorina venite con noi
il duca vi vuole con lui al castello
e vi manda a regalare quest’anello.
-Sono sola e poverella ma sono onesta
andate via che il mio cuore
è già del mio amato Antonio.
-Prendi allora quest’Antonio e portalo in catene!
Quando Fata seppe il fatto
corse disperata fuori
in quella notte scura.
-Presto, afferra, la donna è nostra
su quella rupe là!
Ma Bella Fata si inginocchiò
si segnò la croce e giù
nel buio si buttò.
Ora se la notte è calma
Bella Fata appare a noi
l’ombra di Fata e là.
Sotto il fiume scorre chiaro
e mormora una canzone,
questa sua canzon d’amore:
RU CANTONE DE LA FATA.
DELICATA – Allora non sono sola nella mia sventura…
BELLA FATA – Che vuoi dire? A te cosa è successo?
DELICATA – Anche la mia è una vicenda triste…una storia d’amore come la tua
BELLA FATA – Dimmi! Come si chiamava? Era bello, era dolce come il mio?
DELICATA – Bello…dolce…pazzo d’amore e poi di dolore…Fonzo …e io ridotta a un’ombra qui, in questa torre, perché l’ho perduto quando era pazzo d’amore e l’ho ritrovato quando era pazzo di dolore…
BELLA FATA – Non capisco…
DELICATA – Vieni con me e saprai tutto
BELLA FATA – Non posso salire lì
DELICATA – E scendere? Puoi?
BELLA FATA – Sì! Posso solo andare giù!
DELICATA – E allora vieni! Dobbiamo scendere laggiù verso la mia casa!
(corrono giù verso la casa di Delicata, mentre il gruppo scende al largo Iapoce)
Ed ora vi presentiamo un’altra canzone scritta da Tonino Armagno in collaborazione con Benito Faraone, “La ballata di Delicata Civerra”, qui riproposta dalla voce di Irene Barone, con la chitarra di Nicola Cordisco, due splendidi esecutori di questa ballata, che ci introduce nel cuore della storia di Delicata, la ragazza che secondo la tradizione non ha potuto sposare il suo Fonzo perché appartenevano a due comunità, i Crociati e i Trinitari, che si combattevano. Soltanto la pace stabilita da padre Geronimo porrà fine a queste diatribe, però troppo tardi, quando ormai Delicata sarà morta e Fonzo si sarà reso frate, dopo aver attraversato un momento di pazzia. Ma vediamo la nostra ricostruzione, sempre nel seguito di quel percorso nel borgo antico…
Canzone: LA BALLATA DI DELICATA CIVERRA (Tonino Armagno - Benito Faraone)
DELICATA CIVERRA (Pasquale Albino)
DELICATA - Oh, Fiorella, è meraviglioso!
FIORELLA - Cosa, Delicata?
DELICATA - Ricordi quel giovane che incontrammo in quel mattino luminoso?...E’ lui!
FIORELLA: - Lui cosa?
DELICATA - L’amore, che si è impossessato di me!
FIORELLA - (cambiando voce) Lui!?
FIORELLA - Delicata, lui è un nobile Trinitario! Della famiglia dei Mastrangelo, accanito rivale della nostra famiglia e della nostra confraternita!
DELICATA - Maledette confraternite...ma noi non siamo partecipi di tutto questo...noi amiamo, abbiamo diritto ad amare!
FIORELLA - Non esiste più nessun diritto, l’unica legge è l’odio! La ricorderai l’ultima processione, quando le due confraternite sono venute alle mani per una semplice precedenza nella sfilata! Sono proibiti matrimoni, fidanzamenti, sguardi tra le fazioni!
GUIDA - Ma Delicata non si arrende e incontra il suo amato Fonzo Mastrangelo. Quando il padre se ne accorge...
PADRE - Sciagurata! Il nome dei Civerra infangato da un cane dei Trinitari che osa insidiare mia figlia...una donna dei Crociati...e tu...maledetta...hai ceduto a lui!
DELICATA - Padre...padre!
PADRE - Tu! Al buio di una cella vedrai più chiare le tue follie...dimenticherai quello che è accaduto...sposa di quello...mai! Mai!
GUIDA - Passeranno lunghi giorni...da impazzire...
PADRE - Allora, sono svaniti i fumi della follia? Ti propongo una possibilità.
DELICATA - Quale? Parlate!
PADRE - Puoi sposare un altro, un Crociato...altrimenti andrai in un monastero.
DELICATA - Amo Alfonso! E’ lui la mia vita! Se non posso stare con lui c’è una terza soluzione...la morte.
ZIO - Delicata, ma che dici? Sei giovane...sei bella...ci sono tanti giovani Crociati!
DELICATA - Fonzo non è un giovane...è l’amore, l’amore, l’amore...(sviene)
GUIDA - Intanto arrivano tempi di pace…
PADRE GERONIMO – Voi, antichi Crociati, discendenti di quella pia confraternita dei flagellati che col proprio sangue espiava le colpe dei padri non pensate che solo battendovi possiate guadagnarvi la gloria del regno di Dio…e voi nobili Trinitari, che con l’assidua partecipazione alle processioni di Santa Madre Chiesa cercate di guadagnare un posto nel cielo…abbandonate i vostri rancori perché unico merito dinanzi a Dio è l’amore, la concordia, la Pace…E per tutti voi…quando uscirà la compagnia di S.Maria non uscirà la compagnia della SS.Trinità et così e contra, eccetto che nel Venerdì Santo, quando, come per antico, si uscirà insieme con la compagnia di S:Antonio Abate… e che si dismettano gli odi tra di voi e ancora si celebrino feste e matrimoni in suggello di questa pace…
GUIDA - Scene di gioia!...
FIORELLA – E’ meraviglioso…debbo andare da Delicata, questa notizia la farà rinascere dalla sua tremenda malattia (corre da Delicata) Delicata, vengo a darti una grande gioia
DELICATA – Dimmi!
FIORELLA - …le tue disgrazie saranno spazzate via da un vento di pace
DELICATA – Pace?
FIORELLA – Sì Delicata…un padre cappuccino…crociati e trinitari sono di nuovo uniti…e tanti sposi possono essere felici…come te
DELICATA – Fiorella, presto! Cerca Fonzo, portami il mio amore, ti prego, fa presto!
FIORELLA – Adesso riposa…andrò a cercarlo, vedrai, lo troverò…
DELICATA – Subito! Il mio cuore lo desidera!
FIORELLA – Proverò…vedi…dopo quello che è successo…
DELICATA – Cosa è successo? C’è qualcosa che mi nascondi…Fiorella…
FIORELLA – Da quando tuo padre ti ha chiusa nella torre Fonzo…non è stato più lo stesso…come se…
DELICATA – Come se?
FIORELLA – Pazzo! Girava come un forsennato per le colline, le strade, cercando te…lo vedono apparire nella notte come un cieco in cerca di una guida…
DELICATA – Pazzo! Il mio amore! Fonzo! (scoppia in lacrime)
GIUDA - Passano lunghi giorni in cui Delicata si riduce in fin di vita…
FONZO – Delicata, amore amato invano, amore perduto, dove posi il tuo capo con i tuoi capelli incantati? (scorge il padre) Maledetto! Maledetto per sempre!
PADRE – Ammazzami pure, finisci questa vita colpevole, ma io ho già finito di esistere…per colpa mia…Delicata…corri da lei…corri!
(Fonzo corre impazzito da Delicata morente)
FONZO – Amore…sono qui…la mia vita è tua
DELICATA – Fonzo mio, ti attendo in cielo…(spira)
Concludiamo su Tonino Armagno. E’ il rappresentante di una cultura locale, che però, nella sua ricostruzione puntuale, precisa, determinata e appassionata, è la testimonianza di un ambiente vivo, che cresce ai margini magari della vita nazionale, ma che è l’humus della grande cultura, anche quella europea. L’Europa è fatta di realtà locali che si costituiscono, si determinano e si sviluppano creando quel terreno nel quale poi pescano le più grandi personalità della letteratura, ma non dobbiamo trascurare questi autori che, pur avendo una notevole profondità, hanno voluto legare la loro esperienza e la loro manifestazione culturale al luogo di origine, senza proporsi al grande pubblico nazionale. Arrivederci.
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