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SVEVO: La coscienza di Zeno



 Antologia - TERZO ANNO - 17^ Lezione
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Approfondimenti letterari
SVEVO: LA COSCIENZA DI ZENO
 Diciassettesima lezione, seconda dedicata a Italo Svevo. Con me Barbara. Il nostro Ettore Schmitz passa sotto silenzio con “Una vita” e “Senilità”. Da quest’ultimo, che è del 1898, trascorreranno venticinque anni di silenzio fino al 1923, quando pubblica “La coscienza di Zeno”. James Joyce, che insegnava inglese a Trieste in quel periodo, colse l’importanza di questo straordinario romanzo e lo segnalò nel panorama culturale italiano del tempo, che era asfittico, chiuso. E da allora, anche perché nel frattempo Montale apprezzava pubblicamente “Senilità”, cominciò il successo, negli ultimi anni della vita del povero Svevo, che nel 1928 sarebbe morto per un incidente d’automobile. Strana conclusione della vita di Ettore Schmitz, che era ebreo, oltre che triestino, quindi oggetto di una doppia emarginazione, dal resto d’Italia (anche se Trieste era ben inserita nel contesto del centro Europa) e dalla società, perché allora l’antisemitismo già si manifestava: alla fine dell’Ottocento, in occasione di un famoso processo, l’affaire Dreyfuss, Emile Zola, protagonista della vita culturale e politica, in grandi campagne d’opinione, da radicale, con il suo “J’Accuse”, un articolo comparso su “L’Aurore”, contestava alla società francese tutta di avere, per atteggiamento razzista, creduto nella colpevolezza di questo ebreo, che soltanto molti anni dopo sarebbe stato scagionato dall’accusa di tradimento. Di questo affare c’è un eco nella “Ricerca del tempo perduto”, in cui Proust registra la creazione di due veri e propri partiti, dreyfusisti e antidreyfusisti, dichiarandosi personalmente dalla parte dei primi.
Svevo scrive per terapia, si vanta di essere un dilettante e nella “Coscienza di Zeno” utilizza Freud e la psicanalisi, in una maniera particolare. Vediamo in proposito l’inizio dell’opera, in cui compare una prefazione del dottor S., che sarebbe Sigmund (Freud), a cui Zeno Cosini (da notare il nome che inizia con l’ultima lettera dell’alfabeto e il cognome che indica irrilevanza) risponde con questo Preambolo…
LACOSCIENZA DI ZENO, Capitolo II
Vedere la mia infanzia? Più di dieci lustri me ne separano e i miei occhi presbiti forse potrebbero arrivarci se la luce che ancora ne riverbera non fosse tagliata da ostacoli d'ogni genere, vere alte montagne: i miei anni e qualche mia ora.
Il dottore mi raccomandò di non ostinarmi a guardare tanto lontano. Anche le cose recenti sono preziose per essi e sopra tutto le immaginazioni e i sogni della notte prima.

 
Perché il dottore lo aveva steso sul lettino e lo aveva invitato a ricordare il passato, per superare i suoi traumi, e i sogni, per interpretarli. Freud aveva già pubblicato da tempo la sua “Interpretazione dei sogni”. Zeno è andato dallo psicanalista perché non riesce a togliersi il vizio del fumo, di cui parleremo tra poco. In realtà è solo un pretesto, è rappresentativo di un altro vizio, che è il vivere stesso…
 
(…)Dopo pranzato, sdraiato comodamente su una poltrona Club, ho la matita e un pezzo di carta in mano. La mia fronte è spianata perché dalla mia mente eliminai ogni sforzo. Il mio pensiero mi appare isolato da me. Io lo vedo. S'alza, s'abbassa... ma è la sua sola attività.
 
Sta scherzando su Freud: il pensiero mio sta lì, lo vedo…
 
Per ricordargli ch'esso è il pensiero e che sarebbe suo compito di manifestarsi, afferro la matita. Ecco che la mia fronte si corruga perché ogni parola è composta di tante lettere e il presente imperioso risorge ed offusca il passato.
 
Come se dicesse: caro dottor S., io mi sforzo di ricordare, ma non ci riesco; questo pensiero è proprio ostinato, non vuole venire da me. Svevo prenderà in giro Freud per tutto il romanzo…
 
Ieri avevo tentato il massimo abbandono. L'esperimento finì nel sonno più profondo e non ne ebbi altro risultato che un grande ristoro e la curiosa sensazione di aver visto durante quel sonno qualche cosa d'importante. Ma era dimenticata, perduta per sempre.

 
Sul letto dello psicanalista Zeno però trova il pretesto per  ricordare un po’ tutta la sua vita. E ripensa a come aveva cominciato a fumare. Per Proust parte tutto dalla “madeleine”, per Zeno dal dottor S. e dal vizio del fumo, per riaggregare la memoria. Perché scherzando,  comunque, Zeno ricorda la sua vita. A qualcosa è servito il dottore, a qualcosa è servito il fumo, che è la sua “madeleine”.
 
Il dottore al quale ne parlai mi disse d’iniziare il mio lavoro con un’analisi storica della mia propensione al fumo: - Scriva! Scriva! Vedrà come arriverà a vedersi intero. Credo che del fumo posso scrivere qui al mio tavolo senz’andar a sognare su quella poltrona. Non so come cominciare e invoco l’assistenza delle sigarette tutte tanto somiglianti a quella che ho in mano.
 
Già il fatto di non andare alla poltrona è straordinario, è un prendere in giro il dottore. Non ce n’è bisogno, perché su questo argomento è preparatissimo. Poi Il fumatore incallito, che deve parlare del fumo per eliminarlo, per ricordare deve accendere una sigaretta!
 
Oggi scopro subito qualche cosa che più non ricordavo. Le prime sigarette ch’io fumai non esistono più in commercio. Intorno al ’70 se ne avevano in Austria di quelle che venivano vendute in scatoline di cartone munite del marchio dell’aquila bicipite. Ecco: attorno a una di quelle scatole s’aggruppano subito varie persone con qualche loro tratto, sufficiente per suggerirmene il nome, non bastevole però a commovermi per l’impensato incontro.
 

Come vediamo, è lo stesso procedimento di Proust con la “madeleine”, è “l’edificio dei ricordi” che si ricostruisce. Del resto La “Ricerca” era stata pubblicata sei anni prima, nel 1917, e Svevo doveva averla letta.
 
Tento di ottenere di più e vado alla poltrona: le persone sbiadiscono e al loro posto si mettono dei buffoni che mi deridono. Ritorno sconfortato al tavolo.  Una delle figure, dalla voce un po’ roca, era Giuseppe, un giovinetto della stessa mia età, e l’altra, mio fratello, di un anno di me più giovine e morto tanti anni or sono. Pare che Giuseppe ricevesse molto denaro dal padre suo e ci regalasse di quelle sigarette. Ma sono certo che ne offriva di più a mio fratello che a me.
 

E qui c’è il rapporto con il padre, che comincia ad affacciarsi. Ricorda di aver cominciato a fumare rubando soldi nel suo taschino…
 
LA COSCIENZA DI ZENO, Capitolo III
(…)Poi ricordo che un giorno mio padre mi sorprese col suo panciotto in mano. Io, con una sfacciataggine che ora non avrei e che ancora adesso mi disgusta (chissà che tale disgusto non abbia una grande importanza nella mia cura) gli dissi che m’era venuta la curiosità di contarne i bottoni. Mio padre rise delle mie disposizioni alla matematica o alla sartoria e non s’avvide che avevo le dita nel taschino del suo panciotto. A mio onore posso dire che bastò quel riso rivolto alla mia innocenza quand’essa non esisteva piú, per impedirmi per sempre di rubare. Cioè... rubai ancora, ma senza saperlo. Mio padre lasciava per la casa dei sigari virginia fumati a mezzo, in bilico su tavoli e armadi. Io credevo fosse il suo modo di gettarli via e credevo anche di sapere che la nostra vecchia fantesca, Catina, li buttasse via.
 
Il padre allora ha dei dubbi sulla propria memoria, sulla propria facoltà mentale. Il senso di colpa di Zeno nei suoi confronti è aggravato anche da questo. Infatti più avanti il genitore si lamenta con la moglie…
 
(…)- Maria!(…) Io credo di diventar matto. Sono quasi sicuro di aver lasciato mezz’ora fa su quell’armadio un mezzo sigaro ed ora non lo trovo più. Sto peggio del solito. Le cose mi sfuggono.
Pure a voce bassa, ma che tradiva un’ilarità trattenuta solo dalla paura di destarmi, mia madre rispose:
- Eppure nessuno dopo il pranzo è stato in quella stanza.
Mio padre mormorò:
- È perché lo so anch’io, che mi pare di diventar matto!

 
Poi c’è il famosissimo passo in cui ricorda che ogni tanto sceglieva di fumare “l’ultima sigaretta”. Ve lo facciamo rivivere con le immagini di uno spettacolo del laboratorio teatrale del liceo “Galanti” al teatro Savoia, “Dune”, di cui qui riportiamo il testo …
 
Penso che la sigaretta abbia un gusto più intenso quand’è l’ultima. Anche le altre hanno un loro gusto speciale, ma meno intenso. L’ultima acquista il suo sapore dal sentimento della vittoria su sé stesso (…)Le date sulle pareti della mia stanza erano impresse coi colori più varii ed anche ad olio. (…)Ricordo una data che mi parve dovesse sigillare per sempre la bara in cui volevo mettere il mio vizio: “Nono giorno del nono mese del 1899”. Significativa nevvero? Il secolo nuovo m’apportò delle date ben altrimenti musicali: “Primo giorno del primo mese del 1901”. (…) L’anno 1913 mi diede un momento d’esitazione. Mancava il tredicesimo mese per accordarlo con l’anno. (…)Molti avvenimenti, anzi tutti, dalla morte di Pio IX alla nascita di mio figlio, mi parvero degni di essere festeggiati dal solito ferreo proposito.
 
Dopo il filmato, riprendiamo la lettura di altri luoghi, che precedono e seguono…
 
Le mie giornate finirono coll’essere piene di sigarette e di propositi di non fumare più e, per dire subito tutto, di tempo in tempo sono ancora tali. La ridda delle ultime sigarette, formatasi a vent’anni, si muove tuttavia. Meno violento è il proposito e la mia debolezza trova nel mio vecchio animo maggior indulgenza. Da vecchi si sorride della vita e di ogni suo contenuto. Posso anzi dire, che da qualche tempo io fumo molte sigarette... che non sono le ultime.
Sul frontispizio di un vocabolario trovo questa mia registrazione fatta con bella scrittura e qualche ornato:
“Oggi, 2 Febbraio 1886, passo dagli studii di legge a quelli di chimica. Ultima sigaretta!!”. Era un’ultima sigaretta molto importante. Ricordo tutte le speranze che l’accompagnarono. M’ero arrabbiato col diritto canonico che mi pareva tanto lontano dalla vita e correvo alla scienza ch’è la vita stessa benché ridotta in un matraccio. Quell’ultima sigaretta significava proprio il desiderio di attività (anche manuale) e di sereno pensiero sobrio e sodo.

 
A questo proposito ricordiamo che lui cambiò studi, ebbe due o tre ripensamenti sulle sue scelte, e il padre subiva e soffriva di questa inettitudine del figlio, della sua incostanza e incapacità di concentrarsi in un impegno. Zeno lo scopre diventando vecchio: ricordando quanto gli è successo, matura e capisce quanto fosse giustificata la critica del padre nei suoi confronti. Perché ha speso diversi anni per diventare meno superficiale, meno trascurato e distratto di quanto lo fosse all’inizio. Ora ricordo la ridda di date scelte per la U.S….
 
“Nono giorno del nono mese del 1899”. Significativa nevvero? Il secolo nuovo m’apportò delle date ben altrimenti musicali: “Primo giorno del primo mese del 1901”. Terzo giorno del sesto mese del 1912 ore 24”. Suona come se ogni cifra raddoppiasse la posta. L’anno 1913 mi diede un momento d’esitazione. Mancava il tredicesimo mese per accordarlo con l’anno. Per esempio il terzo giorno del secondo mese del 1905 ore sei!
 
Ancora, sulle U.S, riprendiamo il passo che ci consente di accennare a un altro argomento importante nel romanzo….
 
Penso che la sigaretta abbia un gusto più intenso quand’è l’ultima. Anche le altre hanno un loro gusto speciale, ma meno intenso. L’ultima acquista il suo sapore dal sentimento della vittoria su sé stesso e la speranza di un prossimo futuro di forza e di salute. Le altre hanno la loro importanza perché accendendole si protesta la propria libertà e il futuro di forza e di salute permane, ma va un po’ più lontano.
Qui si affaccia appunto l’altro tema del romanzo, quello della “salute”. Ma prima presentiamo l’episodio dello schiaffo, relativo alla morte del padre. Questo genitore che abbiamo descritto prima come colui che gli rimproverava la sua inettitudine, la sua distrazione e incostanza, costituisce per lui un senso di colpa, perché ricorda di non aver fatto abbastanza per soddisfarlo. Addirittura  il padre diventa quasi demente, prima di morire, per una grave malattia, e Zeno lo deve bloccare, perché rischia di farsi del male, è costretto a frenarlo e prova sensi di colpa anche per dovere assolvere a questo compito ingrato, dettato dall’amore nei suoi confronti. Senonché, proprio perché il genitore non accetta queste sue costrizioni, che pure sono motivate, a un certo punto gli molla uno schiaffo, poco prima di morire. E Zeno ricorderà sempre questo schiaffo che è il segno della incapacità di comunicare autenticamente con questo padre. Ritorna il tema kafkiano dell’incomunicabilità, uno dei drammi della società contemporanea.
Passiamo ora alla riflessione che avevamo anticipato, sul tema della salute. Zeno sceglie, di quattro sorelle, le figlie di Malfenti, un signore che gioca in borsa, la più brutta, dopo avere tentato con altre due; la terza non l’ha considerata perché è una bambina, se avesse avuto appena qualche anno di più, come Zeno ci fa capire, avrebbe fatto la proposta anche a lei! Aveva deciso che comunque si doveva fidanzare e in quello stesso giorno, dopo avere fallito con Ada e Alberta, si trova davanti Augusta e lo fa con lei. Arriva anche a sposarla, sempre così distrattamente e anche per caso. Dopodiché si rende conto che forse è la donna giusta per lui, perché è l’immagine della salute, è pacata, è olimpica, è il suo contrario. Lui è sempre agitato, insofferente e ama di Augusta questa sicurezza che lui chiama “salute”. Leggi Barbara…

 
LA COSCIENZA DI ZENO, Capitolo VI
Nella mia vita ci furono varii periodi in cui credetti di essere avviato alla salute e alla felicità. Mai però tale fede fu tanto forte come nel tempo in cui durò il mio viaggio di nozze eppoi qualche settimana dopo il nostro ritorno a casa. Cominciò con una scoperta che mi stupì: io amavo Augusta com’essa amava me. Dapprima diffidente, godevo intanto di una giornata e m’aspettavo che la seguente fosse tutt’altra cosa. Ma una seguiva e somigliava all’altra, luminosa, tutta gentilezza di Augusta ed anche - ciò ch’era la sorpresa - mia. Ogni mattina ritrovavo in lei lo stesso commosso affetto e in me la stessa riconoscenza che, se non era amore, vi somigliava molto. Chi avrebbe potuto prevederlo quando avevo zoppicato da Ada ad Alberta per arrivare ad Augusta? Scoprivo di essere stato non un bestione cieco diretto da altri, ma un uomo abilissimo. E vedendomi stupito, Augusta mi diceva: - Ma perché ti sorprendi? Non sapevi che il matrimonio è fatto così? Lo sapevo pur io che sono tanto più ignorante di te!
 
Zeno era uno che somatizzava le sue incertezze, le sue tensioni e zoppicava. Aveva cominciato a farlo quando un amico gli aveva fatto notare che quando camminiamo si impegnano cinquanta muscoli. Allora, al solo riflettere che ogni volta che dava un passo si dovevano muovere contemporaneamente tutti quei muscoli, cominciò a zoppicare. Questa cosa si manifestava soprattutto nei momenti di difficoltà emotiva o psicologica. Quindi, quando va a fare la prima proposta ad Ada, zoppica, perché è teso, è preoccupato della sua risposta. Quando gli dice di no, zoppica perché gli ha detto di no, come quando va da Alberta e infine da Augusta.
Tra l’altro ha un rivale che poi sposerà Ada, Guido Speier, che è il suo opposto, come Stefano Balli per Emilio Brentani, un piacione, uno che suona il violino perfettamente mentre lui lo strimpella. Lo odia, ingelosito, pazzamente scatenato contro di lui, ma deve soffrire. Addirittura c’è nel romanzo un episodio godibilissimo, in cui fanno una seduta spiritica guidata da Speier; e Zeno si diverte a prendere in giro tutti, facendo muovere questo tavolo fino a comporre il nome di un parente di Guido, che a quel punto crede veramente di avere incontrato lo spirito; allora Zeno solleva per aria il tavolo, lo lancia verso di lui e dice di finirla con quelle fesserie. Insomma si prende la sua rivincita. Ma quella fondamentale se la prenderà nella seconda parte del romanzo, perché Ada si renderà conto di quanto fosse meschino Guido e comincerà ad apprezzare lui, quando il marito la tradirà e si rivelerà quello sprecone inaffidabile che è.
Della salute di Augusta non leggiamo altro. Dico semplicemente che nel corso del romanzo Zeno appurerà che quella che a lui appariva come la salute di Augusta in realtà era la sua malattia, quella di essere perfettamente integrata in una società senza senso. Perché era olimpica, pacificata con se stessa, in quanto viveva con tutte le comodità particolari di una comunità organizzata, e però non si domandava mai il perché della sua esistenza e delle sue scelte. Era una ebete, bovina adesione alla vita quella di Augusta, che già nel nome denotava di essere pacifica, equilibrata, armonica. Mentre Zeno, che appare il malato, capisce, dopo tanti anni, che era la vita stessa che lo rendeva tale, anzi la sua era una coscienza, una consapevolezza, perché si analizzava, perciò era così fatto. E questa sua consapevolezza era la sua salvezza, rispetto agli altri che, inseriti acriticamente nella società, erano destinati a rimanere sconfitti. E vi presentiamo ora un filmato di quella ricostruzione del rapporto fra Zeno e Augusta che abbiamo operato in un altro spettacolo del liceo “Galanti”, “Diamante”, sempre al teatro Savoia. Riproduciamo qui il dialogato corrispondente…
 
ZENO:  Chi avrebbe potuto prevederlo quando avevo zoppicato da Ada ad Alberta per arrivare ad Augusta? Scoprivo di essere stato non un bestione cieco diretto da altri, ma un uomo abilissimo. E vedendomi stupito, Augusta mi diceva:
AUGUSTA:  Ma perché ti sorprendi? Non sapevi che il matrimonio è fatto così? Lo sapevo pur io che sono tanto più ignorante di te!
ZENO: Nel mio animo si formò la grande speranza di somigliare ad Augusta ch'era la salute personificata. Io amavo, io adoravo quella sicurezza. Però mi sbalordiva; da ogni sua parola, da ogni suo atto risultava che in fondo essa credeva la vita eterna.
AUGUSTA: Oramai che siamo sposati, staremo sempre insieme.
ZENO: Essa dunque ignorava che quando a questo mondo ci si univa, ciò avveniva per un periodo tanto breve, breve, breve…Compresi finalmente che cosa fosse la perfetta salute umana quando indovinai che il presente per lei era una verità tangibile in cui si poteva segregarsi e starci caldi. Essa sapeva tutte le cose che fanno disperare, ma in mano sua queste cose cambiavano di natura.
AUGUSTA: Se anche la terra gira non occorre mica avere il mal di mare!
ZENO: C'erano un mondo di autorità anche quaggiù che la rassicuravano. Intanto quella austriaca o italiana che provvedeva alla sicurezza sulle vie e nelle case. Poi v'erano i medici
AUGUSTA: Quelli che hanno fatto tutti gli studi regolari per salvarci quando - Dio non voglia - ci avesse a toccare qualche malattia.
ZENO: Io sto analizzando la sua salute, ma non ci riesco perché m'accorgo che, analizzandola, la converto in malattia. E, scrivendone, comincio a dubitare se quella salute non avesse avuto bisogno di cura o d'istruzione per guarire. Ma vivendole accanto per tanti anni, mai ebbi tale dubbio. Ritornato dal viaggio di nozze, ebbi la sorpresa di non aver mai abitata una casa tanto comoda e calda. Augusta v'introdusse tutte le comodità che aveva avute nella propria, ma anche molte altre ch'essa stessa inventò.
AUGUSTA: Guarda, ti dispongo le luci in modo che puoi leggere seduto al tavolo, sdraiato sulla poltrona o coricato sul sofà. Anche per il violino ecco qui un leggio con la sua brava lampadina che ti illumina la musica senza ferire gli occhi.  

 
Ora leggiamo un passo del finale del romanzo, in cui si compie un’analisi decisiva…
 
LA COSCIENZA DI ZENO, Capitolo VIII
La vita attuale è inquinata alle radici. L'uomo s'è messo al posto degli alberi e delle bestie ed ha inquinata l'aria, ha impedito il libero spazio. Può avvenire di peggio. Il triste e attivo animale potrebbe scoprire e mettere al proprio servizio delle altre forze. V'è una minaccia di questo genere in aria. Ne seguirà una grande chiarezza... nel numero degli uomini. Ogni metro quadrato sarà occupato da un uomo. Chi ci guarirà dalla mancanza di aria e di spazio? Solamente a pensarci soffoco! Ma non è questo, non è questo soltanto.
Qualunque sforzo di darci la salute è vano. Questa non può appartenere che alla bestia che conosce un solo progresso, quello del proprio organismo. Allorché la rondinella comprese che per essa non c'era altra possibile vita fuorché dell'emigrazione, essa ingrossò il muscolo che muove le sue ali e che divenne la parte più considerevole del suo organismo. La talpa s'interrò e tutto il suo corpo si conformò al suo bisogno. Il cavallo s'ingrandì e trasformò il suo piede. Di alcuni animali non sappiamo il progresso, ma ci sarà stato e non avrà mai leso la loro salute. Ma l'occhialuto uomo, invece, inventa ordigni fuori del suo corpo e se c'è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa.

 
E’ un processo darwiniano quindi. Se l’uomo avesse utilizzato solo le sue realtà fisiche, vi sarebbe stato un certo tipo di progresso. Ma poiché si è servito anche degli ingegni, delle macchine, ha moltiplicato le sue forze, ma questo, oltre che dargli per un momento un vantaggio, poi provoca uno svantaggio, perché ha cambiato l’evoluzione naturale. Ecco perché va verso la guerra. Questa riflessione è dettata infatti dalle grandi stranezze della vita dell’uomo, fra cui denuncia proprio la guerra mondiale del tempo…
 
Gli ordigni si comperano, si vendono e si rubano e l'uomo diventa sempre più furbo e più debole. Anzi si capisce che la sua furbizia cresce in proporzione della sua debolezza. I primi suoi ordigni parevano prolungazioni del suo braccio e non potevano essere efficaci che per la forza dello stesso, ma, oramai, l'ordigno non ha più alcuna relazione con l'arto.

 
Poiché non c’è relazione con l’arto che lo muove, l’ordigno diventa protagonista e l’uomo compie le peggiori nefandezze.  Zeno conclude che forse la soluzione sarà mettere una bomba al centro della terra e…
 
(…)ci sarà un'esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e malattie.
 
Si conclude così questa denuncia straordinaria di questo grandissimo autore che è Italo Svevo, valorizzato negli ultimi trent’anni nella nostra scuola superiore. Prima non lo si studiava nemmeno. Arrivederci.
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