Antologia - TERZO ANNO - 10^ Lezione
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Approfondimenti letterari
PASCOLI
LAVANDARE, TEMPORALE, XAGOSTO, LA GRANDE PROLETARIA SI E’ MOSSA, IL GELSOMINO NOTTURNO
Decima lezione del terzo anno, con Diego. Sarà dedicata a Giovanni Pascoli, di cui abbiamo già parlato ricordando i miti del decadentismo di Salinari, contrapponendo il “fanciullino” al superuomo di D’Annunzio. Ora avviamo un discorso più organico.
Pascoli è vissuto nella seconda metà dell’Ottocento e nei primi anni del Novecento. E’ morto all’età di 67 anni, per un cancro. Ha avuto una vita molto travagliata. Il primo lutto importante fu la morte del padre, un amministratore dei Torlonia, ucciso sul percorso di ritorno verso casa. La famiglia, con tanti figli, ne rimase sconvolta. Presto morì anche la madre e dei fratelli chi si chiuse in convento chi sbandò da un’altra parte. Alla fine Giovanni rimase con le due sorelle Ida e Maria. Ma anche questo trio si sgretolerà, perché una delle due si sposerà; e il poeta la rimprovererà di avere rotto questo patto di non separarsi mai. Lui e la sorella non sposata faranno poi un gioco di ricatti e scorrettezze reciproci, per evitare rapporti duraturi con un eventuale partner.
Aveva 11 anni quando ha perso il padre, studia in collegio, studia Lettere all’Università, abbandona per darsi alla lotta politica, nelle file degli anarchici, viene anche arrestato e non ripeterà più questa esperienza. Torna allo studio e si laurea un po’ tardi, a 27 anni. Già allora si distingueva per la sua conoscenza della poesia latina in particolare: fu traduttore e autore di versi in latino, vinse anche molti concorsi di poesia, che lo segnaleranno prima per la docenza nei licei, poi per un incarico universitario temporaneo e infine per la sostituzione di Giosuè Carducci sulla cattedra di letteratura italiana, dopo la morte di quello che era stato il suo mito, il poeta vate di cui aveva cercato di essere all’altezza. E sicuramente lo ha superato, perché nell’insegnamento di oggi, se si deve sacrificare uno per ragioni di programma, è proprio Carducci.
Quando ebbe la cattedra, dovette subire qualche mortificazione, da chi notava che non aveva la stessa personalità del predecessore. Era magari un pregiudizio, perché la personalità non dice della cultura, anche se, dal punto di vista della conoscenza della letteratura, Carducci forse gli era superiore.
Ricordiamo di Pascoli l’adesione a un socialismo umanitario e pacifista. Era tolstoiano, francescano, non amava la lotta di classe, che proiettava in un contesto internazionale, nel contrasto fra potenze “imperiali” e “proletarie”. Credeva nella necessità di un’affermazione dell’Italia in un’Europa che la metteva ai margini, e lo vedremo in uno scritto che esamineremo dopo. Da un punto di vista strettamente psicologico, c’è poi il suo rifugiarsi nel mito del nido, dell’unità e protezione familiare. Abbiamo sottolineato come avesse paura della realtà e per questo retrocedesse all’infanzia, ma è proprio il nido familiare quello in cui cerca la maggiore difesa dai mali del mondo.
Intanto cominciamo a vedere qualcosa che ci dipinge lo stato d’animo e il carattere di Pascoli con le sue stesse parole, in una lettera a un amico riportata dalla sorella Maria…
Io sono solo solo…E così posso sfogarmi un poco, perché bisogna pur che nasconda a Maria i miei segreti dolori o presentimenti. Vedi: sarà “neurastenia”, sarà “autosuggestione”, sarà effetto della vita forzatamente casta e orribilmente mesta, ma io passo certe ore, meglio certi giorni, in cui mi pare di dover morire…, perché il cuore mi si frange all’improvviso. Batte, batte, mi pare di sentire da un momento all’altro l’ultimo scricchiolio e poi più nulla….Pensando e ripensando, ho ben deciso di dare e mantenere le dimissioni da qualunque posto…Dunque dimissioni! E prima della fine del mese saranno date. Ma io vorrei non perdere i miei quindici anni di servizio, quindi intendo dare alle dimissioni come principale motivo la mia “neurastenia”, di cui offrirei anche un certificato…Vedrai che campo lo stesso. Ma ci vuol coraggio. E a me il coraggio è tanto diminuito dal pensiero dell’avvenire del caro angelo Mariù!
Dunque, all’inizio della carriera universitaria, pensa di dare le dimissioni, ma non lo farà. E dipinge questa sua “neurastenia”, cioè questa sua incostanza e insicurezza d’animo. Vediamo cosa ci dice a proposito del suo socialismo, in un’altra lettera a un amico…
Io non sono né socialista né antisocialista, perché sono “libero” e modesto predicatore di una “nuova dottrina”. Spero d’essere sostanzialmente d’accordo; se non col da me odiato sempre, anche quando scontavo nelle patrie prigioni il mio ardente socialismo, credo Marxistico; col sentimento, almeno, che li anima, i socialisti veramente sinceri. Il fatto è che del socialismo io, “pro virili parte”, voglio fare, come praticamente faccio, una religione, la quale m’accorgo, nelle mie meditazioni, che è un fondamento molto più scientifico che il “plusvalore” dell’economista ebreo-tedesco. Qua a Messina mi hanno scomunicato perché io predico che l’Italia essendo la nazione “proletaria” ed essendo insediata dalle nazioni “borghesi” (oltre Francia, Inghilterra e “Deutschland”), i socialisti resterebbero socialisti anche diventando (come dovrebbero ed è “vergogna incredibile e pianto al cuor nostro” che non siano divenuti) patrioti…ma lasciamo lì…Anch’io li ho scomunicati. E siamo pari.
E’ il momento in cui ritiene che i socialisti non siano patrioti. Il suo è un socialismo nazionale, perché ritiene che vera proletaria non sia la popolazione di contadini e operai all’interno dell’Italia, ma l’Italia stessa tutta nei confronti di altre nazioni che sono capitaliste, con i loro imperi e le loro ricchezze. Infatti questo stesso concetto ritornerà diversi anni dopo, nel 1911, quando ci sarà la campagna per la conquista della Libia
Possiamo anche vedere subito questo aspetto, per collegarci bene alla tematica. Siamo pochi giorni dopo il completamento di questa conquista, che Giolitti ha voluto per accontentare la destra nazionalista italiana, dopo aver fatto dei provvedimenti che invece accontentavano la sinistra progressista, con la cosiddetta legislazione sociale, nel campo del lavoro, delle assicurazioni, che poi sarebbe stata seguita, nella stessa direzione, dall’istituzione del suffragio universale maschile. In questa fase, per compensare il momento in cui aveva offerto troppo spazio alle istanze della parte progressista del parlamento, Giolitti cerca di accontentare anche la Destra, con questa campagna per la conquista della Libia. Pascoli si ritrova perfettamente d’accordo con questa iniziativa e ci spiega il perché in un discorso tenuto al teatro di Barga, intitolato significativamente “La grande Proletaria si è mossa”…
LA GRANDE PROLETARIA SI È MOSSA.
Prima ella mandava altrove i suoi lavoratori che in patria erano troppi e dovevano lavorare per troppo poco. Li mandava oltre alpi e oltre mare a tagliare istmi, a forare monti, ad alzar terrapieni, a gettar moli, a scavar carbone, a scentar selve, a dissodare campi, a iniziare culture, a erigere edifizi, ad animare officine, a raccoglier sale, a scalpellar pietre; a fare tutto ciò che è più difficile e faticoso, e tutto ciò che è più umile e perciò più difficile ancora: ad aprire vie nell'inaccessibile, a costruire città, dove era la selva vergine, a piantar pometi, agrumeti, vigneti, dove era il deserto; e a pulire scarpe al canto della strada.
Il mondo li aveva presi a opra, i lavoratori d'Italia; e più ne aveva bisogno, meno mostrava di averne, e li pagava poco e li trattava male e li stranomava. Diceva Carcamanos! Gringos! Cincali! Degos!
Erano diventati un po' come i negri, in America, questi connazionali di colui che la scoprì; e come i negri ogni tanto erano messi fuori della legge e della umanità, si linciavano.
Come vedi, potresti trovare spunti di collegamento con il tuo lavoro sull’emigrazione…
DIEGO: Anche perché siamo proprio in quel periodo. Nel 1911 Giovannitti venne arrestato…
Lo stesso anno. E vedi come Pascoli ricordasse le mortificazioni che subivano gli italiani all’estero….
DIEGO: Ma poi parla appunto di come vengono paragonati ai neri e agli schiavi d’America. Cosa che persino Giovannitti cita nella sua “Autodifesa”, in cui dice che i cittadini bianchi sono schiavi come lo erano i neri solo quaranta, cinquanta anni prima.
E Pascoli fa riferimento a questo perché è arrivato il momento, con la conquista della Libia, lo dirà fra poco, per trovare lavoro in una terra propria, invece che altrove, dove si subiscono queste umiliazioni…
Lontani o vicini alla loro patria, alla patria nobilissima su tutte le altre, che aveva dato i più potenti conquistatori, i più sapienti civilizzatori, i più profondi pensatori, i più ispirati poeti, i più meravigliosi artisti, i più benefici indagatori, scopritori, inventori, del mondo, lontani o vicini che fossero, queste opre erano costrette a mutar patria, a rinnegare la nazione, a non essere più d'Italia.
(…)Ma la grande Proletaria ha trovato luogo per loro: una vasta regione bagnata dal nostro mare, verso la quale guardano, come sentinelle avanzate, piccole isole nostre; verso la quale si protende impaziente la nostra isola grande; una vasta regione che già per opera dei nostri progenitori fu abbondevole d'acque e di messi, e verdeggiante d'alberi e giardini; e ora, da un pezzo, per l'inerzia di popolazioni nomadi e neghittose, è per gran parte un deserto.
Là i lavoratori saranno, non l'opre, mal pagate mal pregiate mal nomate, degli stranieri, ma, nel senso più alto e forte delle parole, agricoltori sul suo, sul terreno della patria; non dovranno, il nome della patria, a forza, abiurarlo, ma apriranno vie, colteranno terre, deriveranno acque, costruiranno case, faranno porti, sempre vedendo in alto agitato dall'immenso palpito del mare nostro il nostro tricolore.
(…)Chi vuol conoscere quale ora ella è, guardi la sua armata e il suo esercito. Li guardi ora in azione. Terra, mare e cielo, alpi e pianura, penisola e isole, settentrione e mezzogiorno, vi sono perfettamente fusi. Il roseo e grave alpino combatte vicino al bruno e snello siciliano, l'alto granatiere lombardo s'affratella col piccolo e adusto fuciliere sardo; i bersaglieri (chi vorrà assegnare ai bersaglieri, fiore della gioventù panitalica, una particolare origine?), gli artiglieri della nostra madre terra piemontese dividono i rischi e le guardie coi marinai di Genova e di Venezia, di Napoli e d'Ancona, di Livorno, di Viareggio, di Bari. Scorrete le liste dei morti gloriosi, dei feriti felici della loro luminosa ferita: voi avrete agio di ricordare e ripassare la geografia di questa che appunto era tempo fa, una espressione geografica.
“Espressione geografica” era la famosa definizione dell’Italia da parte di Metternich. Pascoli vede nella conquista della Libia un’occasione di impegno della unità nazionale: vanno a combattere insieme gente del nord, del centro, del sud. Quella unità che non c’era, e che non c’è nemmeno oggi purtroppo, veniva rafforzata, rinsaldata invece dall’esperienza bellica. Poi c’è l’altro concetto dello spostamento della lotta di classe…
E vi sono le classi e le categorie anche là : ma la lotta non v'è o è lotta a chi giunge prima allo stendardo nemico, a chi prima lo afferra, a chi prima muore A questo modo là il popolo lotta con la nobiltà e con la borghesia. Così là muore, in questa lotta, l'artigiano e il campagnolo vicino al conte, al marchese, al duca.
Vuol dire che non c’è più lotta di classe, perché insieme anche diverse classi sociali combattono per la conquista di quel territorio. Quindi, ripeto, sposta la lotta dall’interno d’Italia al contesto internazionale: è la nazione proletaria che si è mossa contro le nazioni capitaliste, per ottenere il suo spazio vitale, un concetto che ha qualche risvolto negativo, lo possiamo intendere immediatamente. Infatti poco più avanti Pascoli parla di una bambina libica, alla quale rivolge la sua attenzione, immaginando che possa subire, in questo momento, i guasti portati dalla guerra, e la consola dicendole che deve sapere, pur in tanta distruzione, che vivrà e crescerà in un mondo migliore. Una sorta di inganno, per non dire altro. Nella realtà, al di là di queste considerazioni sulle aberrazioni del colonialismo, la Libia si rivelò un “flop”, non era quella terra piena di ricchezze o di possibilità di coltivazione che si immaginava.
Passiamo adesso ad esaminare la parte che riguarda la poesia di Pascoli. Cominciamo da un componimento che leggerò io, “Lavandare”, della raccolta “Myricae”:
LAVANDARE
Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi che pare
dimenticato, tra il vapor leggero.
E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene:
Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
quando partisti, come son rimasta!
come l’aratro in mezzo alla maggese.
In questo componimento il poeta ci parla in forma simbolica di un aratro senza buoi, abbandonato in un campo dissodato per metà. La parte arata è nera, l’altra grigia. E’ dimenticato in mezzo ala nebbia, “il vapor leggero”. Il senso è che quell’aratro è lui stesso. I buoi che mancano sono i suoi genitori. Il campo mezzo arato è la sua vita non completata, rimasta anch’essa a metà, proprio per la tragedia che ha subito. Naturalmente il “dimenticato” ritrae il senso di solitudine e di frustrazione e la nebbia riproduce la confusione del suo stato d’animo.
E poi c’è questa parte in cui si parla delle lavandaie alla fonte, a lavare i loro panni e a cantare. La prima metà dell’ultima strofa è il contenuto della canzone, di nostalgia, di lontananza, di amarezza. La seconda parte riferisce alle lavandaie la situazione psicologica propria. Per loro il concetto è che sono rimaste senza il loro innamorato, ma il tema principale riguarda il poeta, solo come un aratro dimenticato in un campo.
Un’altra poesia che ci dà un’indicazione sulla grandissima capacità descrittiva, simbolica e analogica di Pascoli è, sempre in Myricae”, “Temporale”:
TEMPORALE
Un bubbolìo lontano. . .
Rosseggia l’orizzonte,
come affocato, a mare:
nero di pece, a monte,
stracci di nubi chiare:
tra il nero un casolare:
un’ala di gabbiano.
Sta descrivendo un temporale, il cui effetto sonoro precede, è il “bubbolio”, un tuono lontano. Infatti anche il verso è staccato dagli altri, per riprodurre il fatto che tra il tuono e il lampo intercorre uno spazio di tempo. La parola è onomatopeica, con un suono che ricorda il rimbombo del tuono. Poi c’è il colore, l’orizzonte rosso sul mare, il nero sulla montagna, ma in mezzo al buio appare, dopo le “nubi chiare”, un casolare, bianco come un’ala di gabbiano. Se si vede questo casolare bianchissimo è perché c’è stato il lampo. Così descrive il fascio di luce che illumina una casa, nel buio della notte e del temporale. Ma il casolare illuminato all’improvviso dal lampo in veste simbolica è il nido, che significa tanto per Pascoli, visibile per un momento, in questa vita che è tempesta, che è male, che è insicurezza, che è dolore, il punto di riferimento, che si pensa di salvezza, dove andare a ripararsi, a rifugiarsi. E’ sempre la solita tematica dell’uomo insicuro di sé che cerca rifugio nella famiglia, nel nido.
E a proposito di famiglia ritorniamo a quella poesia, a tutti nota, che ricorda l’uccisione del padre, “X agosto”, scritta molto tempo dopo il fatto, nel 1896. La leggerai tu, Diego…
X AGOSTO
San Lorenzo , io lo so perché tanto
di stelle per l'aria tranquilla
arde e cade, perché si gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.
Ritornava una rondine al tetto :
l'uccisero: cadde tra spini;
ella aveva nel becco un insetto:
la cena dei suoi rondinini.
Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell'ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.
Anche un uomo tornava al suo nido:
l'uccisero: disse: Perdono ;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono.
Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.
E tu, Cielo, dall'alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d'un pianto di stelle lo inondi
quest'atomo opaco del Male!
Qui il dato simbolico è la rondine che porta il cibo ai rondinini. Un nido (i figlioli), la rondine che cade in croce (il padre), san Lorenzo e il pianto di stelle, perché con le stelle cadenti sembra che il cielo stesso voglia lamentare questa tragedia.
Poi c’è un altro componimento, anche questo molto famoso, che leggo io, “Il gelsomino notturno”, nei “Canti di Castelvecchio”:
IL GELSOMINO NOTTURNO
E s'aprono i fiori notturni,
nell'ora che penso a' miei cari.
Sono apparse in mezzo ai viburni
le farfalle crepuscolari.
Da un pezzo si tacquero i gridi:
là sola una casa bisbiglia.
Sotto l'ali dormono i nidi,
come gli occhi sotto le ciglia.
Dai calici aperti si esala
l'odore di fragole rosse.
Splende un lume là nella sala.
Nasce l'erba sopra le fosse.
Un'ape tardiva sussurra
trovando già prese le celle.
La Chioccetta per l'aia azzurra
va col suo pigolio di stelle.
Per tutta la notte s'esala
l'odore che passa col vento.
Passa il lume su per la scala;
brilla al primo piano: s'è spento . . .
È l'alba: si chiudono i petali
un poco gualciti; si cova,
dentro l'urna molle e segreta,
non so che felicità nuova.
Pascoli ha scritto questo testo per una coppia di amici che si è appena sposata. Immagina che quello che accade nella casa degli sposi, la procreazione, l’atto d’amore, si verifichi anche fuori di questa abitazione, nella natura, come tutte le notti. Quando dice che pensa ai suoi cari, non si riferisce solo ai suoi amici, ma sicuramente anche ai genitori, nell’ora in cui si sofferma di più a meditare sulla sua triste esistenza. Non c’è più rumore e mormora soltanto una casa. I nidi, gli uccellini, dormono sotto le ali dei loro genitori, che li proteggono quindi, come gli occhi dormono sotto le ciglia. I fiori si aprono per ricevere l’impollinazione in un odore di fragole rosse, chiaro richiamo all’organo genitale femminile. Mentre si accende un lume nella casa l’erba sta nascendo, nel buio. Anche quando non si vede, la vita sta continuando.
L’immagine della costellazione della Chiocciola con il suo pigolio di stelle è una sinestesia, un fondere diverse situazioni, per cui, se si chiama “chiocciola”, le stelle che la seguono sono pulcini e il loro pigolio ripete lo sfavillio, cioè l’intermittenza della luce paragonata a quella acustica del verso del pulcino.
Il profumo della notte diventa il simbolo della procreazione, perché al buio e nel silenzio l’unico senso che può percepire il riprodursi della vita è l’olfatto. Quando si spegne anche il lume della sala nella casa, i due protagonisti rinnoveranno la vita. I petali dei fiori gualciti dopo l’impollinazione richiamano sempre l’organo genitale della donna. E nell’ urna del grembo materno si sta covando una felicità da cui il poeta si sente escluso.
Vediamo alcuni giudizi della critica su Pascoli:
Edoardo Sanguineti: “Una sconvolta catena di terrori sottende l’intero cosmo poetico di Pascoli”.
Carlo Salinari: “La scoperta dell’infanzia nel Pascoli nasce anche da quella angosciosa aspettazione di eventi che ha travolto l’umanità, dal terrore per il movimento delle masse alla reazione borghese, dalla guerra spietata fra le nazioni, dal crudele destino degli emigranti. Questo mito è la prima scoperta decadente dell’infanzia nella nostra letteratura. (…)Decadente per il suo carattere di evasione dalla stretta dei problemi del mondo moderno, di fuga dall’alienazione dell’uomo, d’incapacità di opporsi alla realtà”.
Giorgio Barberi Squarotti: “La regressione nel Pascoli è verso uno stato prenatale(…)nella vera realtà diminuita di vita, di memoria, di azione. (…) L’ansia di annientamento che appare in tante poesie pascoliane esprime allora la stanchezza, lo scacco dell’uomo diviso, complicato, disperso, incapace di dominio, che è il tema del tempo iniziale della crisi della società borghese”.
Chiudiamo la nostra lezione. Arrivederci.
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