Antologia - Terzo Anno - 1^ Lezione
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NATURALISMO
FALUBERT: MADAME BOVARY - ZOLA: ASSOMMOIR - IBSEN: CASA DI BAMBOLA
Siamo qui, sempre il professore Sacchetti e Barbara Petti. E’ il terzo anno del nostro corso di Antologia, l’ultimo di un istituto superiore e il programma prevede una partenza con l’età del positivismo e con il naturalismo, che ne è l’espressione letteraria, per arrivare a toccare argomenti fino quasi ai nostri giorni.
Siamo alla metà dell’Ottocento. Dall’epoca romantica, in cui venivano affermati i sentimenti e le passioni, ci muoviamo verso un’altra che prenderà il nome di età del positivismo da un’espressione di Comte, che immaginò che fosse arrivato il momento di occuparsi del positivo, inteso come reale, concreto. Dopo che ci si era persi un po’ dietro i sogni, le fantasie, qualche volta anche le fumisterie del romanticismo, occorreva forse mettere i piedi per terra ed aderire alla base razionale e a un nuovo trionfo della scienza nell’organizzazione della società. La sociologia sarà la scienza della società.
Questo indirizzo più scientifico e più tecnico è conseguenza di una nuova rivoluzione industriale, un’affermazione della tecnica, dello sviluppo in tutti i campi della produzione, con le nuove macchine e le nuove tecnologie. E questo porta anche Herbert Spencer a dire che tutto l’universo è in evoluzione, dal semplice al complesso. E la complessità è segno di modernità. Infatti Herbert Spencer ci dice, nei “Primi principi”, esattamente questo:
SPENCER, PRIMI PRINCIPI
L’avanzamento dal semplice al complesso, per via di successive modificazioni sopra modificazioni, si vede tanto nei più remoti cambiamenti dei Cieli a cui la ragione ci può ricondurre quanto nei più remoti cambiamenti che noi possiamo induttivamente stabilire; si vede nella evoluzione geologica e climatica della Terra; in quella di ogni organismo individuale che vive sulla superficie, e del complesso degli organismi; si vede nella evoluzione dell’Umanità, considerata sia nell’uomo incivilito, sia nell’insieme delle razze; si vede nella evoluzione della società rispetto alla sua organizzazione politica, religiosa, ed economica del pari; e si vede nella evoluzione di quegli innumerevoli prodotti concreti ed astratti dell’attività umana, che costituiscono l’ambiente della nostra vita di ogni giorno. Dal più remoto passato cui la Scienza può scandagliare, fino alle novità di ieri, un carattere essenziale della Evoluzione è stata la trasformazione dell’omogeneo nell’eterogeneo.
Spencer riprende ovviamente la teoria darwiniana. E’ importante poi stabilire che cosa ci dice nello stesso tempo Hippolyte Taine nella sua “Storia della letteratura inglese”, per capire che cosa è il naturalismo, collegato all’affermazione della scienza portata avanti dal positivismo….
TAINE, STORIA DELLA LETTERATURA INGLESE
Sono tre i differenti fattori che producono lo stato morale elementare: la razza, l’ambiente e il periodo storico. Si definiscono razza le disposizioni innate ed ereditarie che l’uomo porta con sé venendo al mondo e che sono solitamente unite a marca te differenze nell’indole e nella struttura corporea.
(…) Una volta così appurata la struttura interna di una razza, va considerato l’ambiente nel quale vive. L’uomo non è infatti solo al mondo; vive all’interno della natura e tra gli altri uomini e all’abito primitivo e permanente vengono sovrapponendosi abiti accidentali e secondari, e le circostanze fisiche e sociali alterano o completano la natura che incontrano.
(…)Vi è tuttavia un terzo ordine di cause. Per un popolo come per una pianta, alla stessa temperatura e sullo stesso terreno la stessa linfa produce nei diversi gradi della sua elaborazione successiva delle formazioni diverse, germogli, fiori, frutti, semi, in modo tale che la formazione seguente ha sempre per condizione la precedente e nasce dalla sua morte.
Quindi Taine stabilisce i tre cardini dell’analisi naturalista, la “race”, il “moment” e il “milieu”, fondando quello che viene detto il “determinismo sociale”, cioè l’idea che il comportamento degli individui sia determinato da questi fattori.
E’ chiaro che questa trasformazione, questo spostamento dal romanticismo al positivismo è un processo molto graduale e, come sempre avviene e come abbiamo sempre sottolineato, si passa da una sensibilità all’altra solo nel momento in cui diventa prevalente quella che prima era soccombente, cioè nasceva dentro l’altra e ancora non si affermava; ma quando prevaleva si poteva dire che si era passati da una sensibilità ad un’altra.
Entrati in questo nuovo indirizzo, ci ritroviamo con la nascita del naturalismo, un movimento culturale che si codifica e si rafforza in Francia. I protagonisti sono Flaubert, Zola, i fratelli Goncourt; Maupassant sarà un epigono. Poi questa esperienza si trasferisce in altri paesi europei. In Russia si chiamerà realismo, da noi verismo, ma l’indirizzo comune è quello di richiamarsi alla natura e alla realtà.
Sempre individuando le tematiche e le poetiche che sono alla base di questa nuova sensibilità, dobbiamo richiamare il canone della impersonalità, che si aggiunge alle conclusioni sul determinismo sociale di Taine, che viene stabilito da Gustave Flaubert, con l’idea che l’opera non debba più risentire della soggettività, ma debba essere oggettiva, mentre l’intervento dell’autore deve rimanere nascosto, perché così il romanzo ha il carattere di un esperimento non condizionato dall’eccessiva personalizzazione della realtà da parte del soggetto narrante.
Veramente la riflessione sul carattere sperimentale del romanzo sarà di Emile Zola, che pubblicherà uno scritto intitolato appunto al “Romanzo sperimentale”, intendendo con questo che il romanzo è come una pratica di laboratorio sulla società stessa. Infatti il narratore ha questa pretesa di essere un analista della società e di individuarne i problemi perché poi chi governa possa intervenire sulla realtà descritta per curarla.
Basterebbe, per concludere sulla poetica generale del naturalismo, ma farei un ultimo cenno ai fratelli Goncourt, che, pubblicando il romanzo “Germinie Lacerteux”, che parla delle fantasie erotiche di una cameriera, stabiliscono che il contenuto dell’opera letteraria deve superare i vecchi confini, deve poter parlare anche di quello che per la società perbenista è scandaloso: in questo caso fare protagonista una cameriera già è abbastanza forte per quei tempi, poi parlare delle sue fantasie erotiche è più portato a creare sensazione. Ma loro hanno questo intento di scandalizzare la società per abituarla al fatto che la realtà è in fondo così complessa e così articolata che comprende anche questi aspetti. Non bisogna escludere niente nell’analisi: come in un esperimento scientifico non si creano barriere, così nell’analisi sociale bisogna trattare tutto.
E con questo il quadro è completo sulle poetiche. E possiamo cominciare a entrare nella lettura di questi romanzi. Il primo che ci si presenta è quello di Falubert: “Madame Bovary”. Diceva l’autore: Madame Bovary c’est moi, sono io stesso, perché Emma rappresenta il suo essere ancora romantico che viene scalzato, superato e affondato dal nuovo intervento della realtà. E’ come se l’autore si dichiarasse nostalgico del passato ma avesse la consapevolezza che ormai i tempi erano maturi per superarlo.
La figura di Emma Bovary è appunto quella di una donna che a tutti i costi vuole essere romantica in un periodo che non consente eccessivo spazio alla sentimentalità. E’ la storia di un’adultera, di una donna che vive in campagna, scopre la vita che ha sempre desiderato con un medico senza grandi qualità, che comunque all’inizio l’affascina come se fosse il principe azzurro che aveva immaginato nei romanzi che aveva letto da ragazza. Così se lo era raffigurato e così cerca di idealizzare questo povero Charles Bovary, che non ha quelle doti e puntualmente, presto, la deluderà. Quando la porta in una cittadina di provincia che non corrisponde ai suoi ideali (perché lei pensava di vivere in una grande città), in una casa che non è adatta alle sue pretese, lei cerca anche di arredarsela in maniera che si avvicini a certe sue fantasie. Insomma si sforza, si accanisce a trasformare questa realtà che non corrisponde ai suoi sogni e quando non ci riesce finisce per portarsi verso la relazione adulterina, che per lei è una sorta di ricerca di quel principe azzurro, di quell’uomo dei sogni, che comunque pure, puntualmente, in ciascuno di questi amanti che si avvicenderanno, la deluderà. Per farvi intendere bene la sofferenza, l’insofferenza di Emma, vi leggo questa parte del romanzo, quando si descrive la sua noia e la sua difficoltà di sopportare la vita in questa casa…
FLAUBERT, MADAME BOVARY (Parte I, Capitolo IX)
Soprattutto all'ora dei pasti sentiva di non poterne più: in quella stanzetta al pianterreno, dove la stufa faceva fumo, la porta cigolava, i muri trasudavano e i pavimenti erano sempre umidi, le sembrava che tutta l'amarezza della sua esistenza le venisse servita nel piatto e, come il fumo del bollito, salivano dal fondo dell'anima sua altrettante zaffate di tedio insulso. Charles mangiava con lentezza, Emma sgranocchiava qualche nocciolina o si divertiva, appoggiata a un gomito, a disegnare linee con la punta del coltello, sulla tela cerata.
Immaginate questo gesto per capire come lei sopportasse quella realtà ma non riuscisse a digerirla…
Adesso trascurava del tutto l'andamento della casa e la suocera, quando andò a Tostes a trascorrere una parte della quaresima, si stupì molto di questo cambiamento. (…) Emma divenne capricciosa e difficile. Ordinava per sé pietanze che poi non toccava nemmeno, un giorno beveva soltanto latte e il giorno dopo dozzine di tazze di tè. (…) Impallidiva e soffriva di palpitazioni. Charles le somministrò valeriana e le faceva fare bagni alla canfora. Qualsiasi cosa si tentasse, serviva soltanto ad aumentare il suo nervosismo. V'erano giorni in cui parlava con un'irruenza febbrile; a tali esaltazioni facevano seguito d'improvviso torpori duranti i quali rimaneva muta e immobile. Allora soltanto in un modo riusciva a rianimarsi, versandosi sulle braccia il contenuto di un flacone di acqua di Colonia.
“Madame Bovary” tenterà anche di cambiare la vita di suo marito, incoraggiandolo a fare un’operazione chirurgica che puntualmente fallirà perché lui non ha queste qualità, penserà che con questa fama lui possa andare a Parigi e lei possa seguirlo. L’altro momento di grande illusione è quando vengono invitati a una festa da un nobile del posto e il marito fa una figuraccia perché si mette a bere e la costringe a mortificarsi, sentirsi piccola, per essere la moglie di quell’uomo. Infine, dopo l’ennesima delusione, rifiutata anche dalla figlia, che è stata allevata sempre da un’altra donna, si uccide.
Ma ricordiamo che Flaubert è messo sotto processo per questo romanzo, perché ha osato rendere protagonista un’adultera senza accusarla apertamente di questa colpa. E’ stato troppo impersonale, come si proponeva appunto di essere. In realtà Flaubert non giustifica, ma spiega il comportamento di Emma applicando i canoni del determinismo di Taine, dicendo che se Emma si è comportata così è perché così ha reagito con quei caratteri ereditari, in quell’ambiente in cui è vissuta e in quel momento storico. Rivisitando la prima parte della vita di Emma, spiega che se lei rimane delusa e ricorre all’adulterio è perché da ragazza si è illusa di potere vivere con un uomo eccezionale, impossibile nella realtà. Anche Charles ha le sue pecche, perché è un po’ modesto, anche se è ben disposto nei confronti della moglie.
Ma passiamo ora a Zola. Dall’”Assommoir”, entriamo nella stireria di Gervasia, la padrona, che ha vicino a sé altre donne, tutte intente al lavoro. Barbara cercherà di introdurci in questa atmosfera leggendoci una pagina…
ZOLA, ASSOMMOIR (Capitolo V)
«Questa cesta è per voi, signora Putois», riprese. «Farete il più in fretta possibile, vero? Altrimenti si asciuga subito, e fra un'ora dovremo ricominciare tutto da capo».
La signora Putois, una donna sui quarantacinque anni piccola e magra, tutta stretta in una vecchia casacchina marrone, stava stirando senza cacciar fuori una sola goccia di sudore. Non si era nemmeno tolta la cuffia, una cuffia nera dai nastri verdi ormai tendenti al giallo. Era tutta impettita davanti al tavolo da lavoro, troppo alto per lei, con i gomiti in fuori, e spingeva il ferro con gesti bruschi da marionetta. D'un tratto esclamò:
«Ah! no, signorina Clémence, rimettetevi subito il corpetto. Lo sapete, certe indecenze proprio non mi piacciono. Già che ci siete, mostrate pure tutta la vostra mercanzia! Guardate, già si son fermati tre uomini sul marciapiede».
Clémence la trattò a denti stretti da vecchia rimbecillita. Soffocava, aveva tutto il diritto di mettersi a proprio agio, non tutti avevano la pellaccia dura dell'altra. Come se poi si vedesse davvero qualcosa! Sollevò le braccia: il suo petto prosperoso da giovane donna in fiore esplose nella camicia, le spalle fecero quasi scoppiare le maniche troppo corte. Clémence rischiava di sfiancarsi nel vizio ancor prima dei trent'anni. Dopo aver passato tutta una notte a folleggiare, il giorno dopo non si reggeva quasi i in piedi, crollava dal sonno sul lavoro, si sentiva il cervello e lo stomaco come se fossero imbottiti di stracci. Ma non la mandavano via: nessuna operaia poteva vantarsi di stirare una camicia da uomo con tanta accuratezza. Le camicie da uomo erano la sua vera specialità.
«È roba mia, oppure no?», finì per ribattere battendosi il petto con le mani. «Non morde, non fa del male a nessuno!».
«Clémence, rimettetevi il corpetto», disse Gervaise. «La signora Putois ha ragione, è una cosa sconveniente... Prenderebbero la mia bottega per quello che non è».
Gervasia, la protagonista, è una donna separata dal marito, che convive con un ubriacone, uno scarto della società che la costringe a mille espedienti per tirare avanti. Comunque sia, lei mantiene la famiglia con questa attività, anche se poi, nella seconda parte del romanzo, finirà per darsi alla prostituzione.
I personaggi respirano proprio l’ambiente della stireria e ne sono condizionati perché vi vivono tutti i giorni. Zola registra il valore del fenomeno ambiente nella determinazione del comportamento sociale dei suoi protagonisti. Il suo è un ciclo di romanzi che raccontano le vicende dei “Rougon Macquart”. Infatti i figli di Gervase saranno protagonisti di altri romanzi, di cui vi ricordo i più importanti, come “Nana” e “Germinal”, nei quali si passa a parlare di operai, di questo mondo emarginato dalla società, che diventa più sviluppata, anche più ricca, ma lo fa sfruttando altre classi sociali. Comincia a crescere questo problema più che nel passato.
In fondo in questa pittura d’ambiente da parte di Zola c’è anche una ripresa di qualcosa che ha già fatto Balzac, l’altro grande narratore della generazione precedente, nella sua “Comédie Humaine”. C’è una sua descrizione della pensione della signora Vauquer, in “Père Goriot”, un esempio, già un modello della capacità di descrivere nell’ambiente il personaggio che vive, respira come quell’ambito in cui si ritrova.
Ma dobbiamo rapidamente passare all’ultima parte di questa lezione, con un esempio di teatro naturalista, quello di Ibsen, di “Casa di bambola”, che però è già un’anticipazione dello sviluppo successivo che prenderà il nome di decadentismo. Ibsen è un autore norvegese che ha voluto trattare in quest’opera il dramma che si sviluppa all’interno di una famiglia borghese. Al di là delle apparenze di una società moderna, quel progresso che viene esaltato nel campo scientifico, nel campo industriale, nel campo anche del lavoro di questi borghesi all’esterno, nell’intimo della famiglia diventa invece una situazione ancora retrograda, nei rapporti tra uomo e donna. Tu, Barbara, sei Nora e io il marito Torvald…
IBSEN, CASA DI BAMBOLA
NORA (gettandogli le braccia al collo). Torvald... buona notte! Buona notte!
HELMER (la bacia in fronte). Buona notte, mio piccolo uccellino canoro. Dormi bene, Nora. Adesso darò una scorsa alle lettere. (Entra col pacco della posta nel suo studio e richiude la porta).
NORA (Va su e giù barcollando, col terrore negli occhi. Afferra il domino di Helmer, se lo avvolge intorno al corpo e sussurra rapida, con voce roca e ansimante). Non vederlo mai più. Mai più. Mai più. Mai più. (Si butta sul capo lo scialle). Non vedere mai più nemmeno i bambini. Mai più. Mai più... Oh, quell'acqua ghiaccia, nerastra. E senza fondo... quella... Oh se tutto fosse finito... Adesso l'ha nelle mani; adesso la legge. Oh no, no, non ancora... Addio Torvald, addio bambini...
Devo spiegare una cosa: la lettera di cui si parla qui è quella che Nora teme faccia scoppiare lo scandalo perché emergerebbe che lei si è indebitata, anche se per la salute del marito. Ha paura del disonore suscitato da qualcuno che pretende la restituzione della somma…
(Mentre sta per precipitarsi fuori nell'ingresso Helmer spalanca violentemente la porta del suo studio e appare con la lettera aperta in mano).
HELMER. Nora !
NORA (con un grido). Ah...!
HELMER. Che vuol dire questo ? Sai cosa c'è scritto in questa lettera?
NORA. Sì, lo so. Lasciami andare! Lasciami andar via!
HELMER (trattenendola). Dove vuoi andare?
NORA (tenta di divincolarsi). Non devi salvarmi, Torvald!
HELMER (indietreggia barcollando). E' vero? E' vero quello che scrive? Spaventoso! No, no, è impossibile che sia vero!
NORA. É vero. Ti ho amato più di qualsiasi altra cosa su questa terra.
HELMER. Non cominciare con delle scuse stupide.
NORA (facendo un passo verso di lui). Torvald!
HELMER. Disgraziata!... Che cosa mai hai fatto!
NORA. Lasciami partire. Non dovrai sopportare le conseguenze della mia colpa. Non dovrai addossartela tu.
HELMER. Non fare la commedia. (Chiude la porta dell'ingresso). Adesso rimani qui e mi rendi conto di tutto. Capisci che cosa hai fatto? Rispondimi! Lo capisci?
NORA (lo fissa e dichiara irrigidendosi). Sì, adesso comincio a capirlo fino in fondo.
HELMER (andando attorno per la camera). Ah, che terribile risveglio! In tutti questi otto anni... quella che è stata la mia luce e il mio orgoglio... era una ipocrita, una bugiarda... peggio peggio, una criminale... Quanta bruttura, senza fondo, in tutto questo! Vergogna! Vergogna!
NORA (tace, guardandolo sempre fissamente).
HELMER (le si ferma davanti). Avrei dovuto immaginarmelo che sarebbe successo qualcosa di simile. Avrei dovuto prevederlo! Tutta la fondamentale leggerezza di tuo padre. Taci... Hai ereditato tutta la fondamentale leggerezza di tuo padre. Niente religione, niente morale, niente senso del dovere... Oh, come sono stato punito di aver usato indulgenza nei suoi riguardi! Io lo feci per amor tuo, e tu mi ricompensi in questo modo.
NORA. Già, in questo modo.
HELMER. Adesso hai distrutto tutta la mia felicità. Hai compromesso tutto il mio avvenire.: terribile a pensarci. Sono nelle mani di una persona senza scrupoli: può fare di me quello che vuole, pretendere qualsiasi cosa, comandarmi e ordinarmi quello che gli viene in mente... senza che io abbia il coraggio di dire una parola. Dovrò affondare così miseramente e andare in rovina per colpa di una donna senza testa!
NORA. Quando non ci sarò più sarai libero.
HELMER. Non fare storie. Anche tuo padre aveva sempre pronte frasi del genere. Che vantaggio ne avrei quando tu non fossi più in questo mondo, come dici tu? Non ne avrei proprio nessun vantaggio! Lui può rendere ugualmente nota la faccenda, e allora potrebbe darsi che io venissi sospettato di esser stato a conoscenza della tua azione criminale. Si potrà forse credere che ne sia stato complice... che sia stato io ad istigarti! E di tutto questo devo ringraziar te, te, che ho portato in palma di mano per tutto il tempo del nostro matrimonio. Capisci adesso che cosa mi hai fatto?
NORA (con fredda calma). Sì.
HELMER. È talmente incredibile che non posso persuadermene. Ma dobbiamo cercare di uscirne fuori. Togliti lo scialle. Toglitelo, ti dico! Dovrò vedere di accontentarlo, in un modo o in un altro. La cosa deve essere messa a tacere, ad ogni costo... E per quello che riguarda noi due, tutto dovrà sembrare come prima. Ma naturalmente solo per il mondo. Tu rimarrai dunque qui in casa, si intende. Ma non ti sarà permesso di educare i bambini; quelli non ho il coraggio di affidarteli... Dover dire una cosa del genere alla donna che si è tanto amato e che ancora... Ma questo deve finire. Da oggi in poi non conta più la felicità, quello che conta è salvare quello che resta, i frammenti, l'apparenza... (Si sente suonare alla porta di ingresso).
HELMER (trasale). Che cosa è? Così tardi! Che sia venuto il momento del peggio? Che quello... Nasconditi, Nora! Di' che sei malata. (Nora rimane immobile, ritta in piedi. Helmer va ad aprire).
CAMERIERA (mezza spogliata, nell'ingresso). C'è una lettera per la signora.
HELMER. Dammela! (Afferra la lettera e chiude la porta). Sì, è di lui. Non te la do. Voglio leggerla io.
NORA. Leggila.
HELMER (vicino alla lampada). Quasi non ho il coraggio. Forse siamo perduti tutti e due, tu ed io. No; devo saperlo.
(apre la lettera con precipitazione, la scorre, guarda un foglio unito alla lettera; grido di gioia): Nora!
NORA (lo guarda con aria interrogativa).
HELMER. Nora! devo leggere ancora una volta... Ma sì, è proprio così. Sono salvo, Nora, sono salvo!
NORA. E io?
HELMER. Anche tu, naturalmente; siamo salvi tutti e due, sia tu che io. Guarda qua. Ti restituisce l'atto di obbligazione. Scrive di essere spiacente e pentito... che una svolta fortunata della sua vita... oh, non importa quello che scrive. Siamo salvi, Nora! Nessuno può farti nulla. Oh, Nora, Nora... no, prima eliminiamo tutte queste cose orribili. Fammi vedere... (Getta uno sguardo sull'obbligazione). No, non voglio vederla, per me tutto deve rimanere come un sogno. (Straccia la ricevuta e le due lettere, getta tutto nella stufa e le guarda bruciare). Ecco, ora non c'è più nulla. Scrive che dalla vigilia di Natale tu... Oh, devono esser stati tre giorni terribili per te, Nora!
NORA. In questi tre giorni ho combattuto una dura battaglia.
HELMER. E ti sei disperata, e non hai visto nessun'altra via di uscita fuorché... No, non voglio ricordare tutte queste brutture. Vogliamo solo giubilare e ripetere: è passata, è passata! Stammi a sentire Nora, sembra che tu non capisca: è passata. Ma che cosa vuol dire... quel viso duro? Ah, povera piccola Nora, capisco bene, sembra che tu non possa credere che io ti ho perdonato. Ma è così Nora, te lo giuro: ti ho perdonato tutto. Lo so bene che quello che hai fatto lo hai fatto per amor mio.
NORA. Questo è vero.
HELMER. Tu mi hai amato come la sposa deve amare suo marito. Solo non sei stata capace di valutare con il discernimento necessario la scelta dei mezzi. Ma credi di essermi meno cara perché non sei capace di regolarti da sola? No, no, basta che ti appoggi a me. Ti consiglierò io, ti guiderò io. Non sarei un uomo se la tua debolezza femminile non ti rendesse doppiamente attraente ai miei occhi. Non dar peso alle dure parole che ti ho detto nel primo momento di timore, quando mi sembrava che tutto mi dovesse crollare addosso. Ti ho perdonato, Nora, ti giuro che ti ho perdonato.
NORA. Ti ringrazio del tuo perdono. (Esce dalla porta di destra).
HELMER. No, resta... (Guardando dalla porta). Cosa intendi fare lì nell'alcova?
NORA (da dentro). Gettar via il costume da maschera.
HELMER (vicino alla porta). Sì, brava, cerca di riposare e di ritrovare il tuo equilibrio, mio piccolo uccellino canoro spaventato. Riposa tranquilla, le mie ali sono sufficientemente larghe per proteggerti. (Va su e giù vicino alla porta). Oh, come è piacevole e grazioso il nostro nido, Nora. Qui tu sei al coperto, ti terrò con me come una colomba spaventata che io sia riuscito a salvare dagli artigli dell'avvoltoio; riuscirò ben io a tranquillizzare il tuo povero cuoricino palpitante. A poco a poco sarà così Nora, credimi. Domani tutto ti sembrerà diverso, ben presto tutto sarà come prima, non ci sarà più bisogno che io ti ripeta che ti ho perdonato: sentirai tu stessa, senza possibilità di errore, che è così. Come puoi pensare che avrebbe potuto venirmi in mente di scacciarti, o solamente di rimproverarti? Tu non conosci il cuore di un vero uomo, Nora. Per un uomo, c'è tanta indescrivibile dolcezza e soddisfazione nel sapere di aver perdonato alla propria sposa... di averle perdonato di tutto cuore e con tutta sincerità. Essa è così diventata sua proprietà in due modi; il marito l'ha quasi messa al mondo di nuovo, così la donna è nello stesso tempo la sua sposa e la sua creatura. Così sarà d'ora in poi per me, povero esserino sperduto e senza forza che non sei altro. Non aver paura di nulla, Nora, basta che tu sia sincera con me, sarò io la tua volontà e la tua coscienza... Cosa vuol dire? Non vai a letto? Ti sei cambiata?
NORA (con il suo abito di tutti i giorni). Sì, Torvald, adesso mi sono cambiata.
HELMER. Ma perché adesso, così tardi...?
NORA. Stanotte non dormo.
HELMER. Ma cara Nora...
NORA (guardando il suo orologio). Non è poi ancora tanto tardi. Siediti Torvald, noi due abbiamo molte cose da dirci. (Si siede a un lato del tavolo).
HELMER. Nora, ...ma che cosa vuol dire? Quel viso così duro...
NORA. Siedi... Ci vorrà diverso tempo. Ho molte cose di cui parlarti.
HELMER (si siede al tavolo, di fronte a Nora). Mi fai paura, Nora. E io non ti capisco.
NORA. Proprio questo. Tu non mi capisci. E io non ho mai capito te... prima di stasera. No, non interrompermi. Dovrai solo stare a sentirmi... è venuta l'ora della resa dei conti, Torvald.
HELMER. Che intenzioni hai ?
NORA (dopo un breve silenzio). Non ti sorprende vederci seduti qui, uno di fronte all'altro?
HELMER. Come sarebbe a dire?
NORA. Siamo sposati da otto anni. Non ti viene in mente che questa è la prima volta che noi due. marito e moglie. Parliamo seriamente insieme?
HELMER. Già, seriamente... cosa vuoi dire?
NORA. Per otto lunghi anni... e anche di più... subito da quando ci siamo conosciuti, non abbiamo mai scambiato fra noi una parola seria su un argomento serio.
HELMER. Avrei dunque sempre dovuto metterti ogni volta al corrente di difficoltà che non avresti potuto lo stesso aiutarmi a superare ?
NORA. Non parlo di difficoltà. Dico che non abbiamo mai parlato seriamente insieme per cercare di risolvere a fondo un problema.
HELMER. Ma, Nora carissima, ti sarebbe piaciuto farlo?
NORA. Eccoci arrivati al punto. Tu non mi hai mai capito... Siete stati molto ingiusti nei miei riguardi, Torvald. Prima il babbo e poi tu.
HELMER. Come! Noi due... noi due che ti abbiamo amato più di qualsiasi altro?
NORA (scuotendo il capo). Non mi avete mai amato. Vi sembrò solo piacevole volermi bene.
HELMER. Ma Nora, che parole adoperi?
NORA. Sì, è proprio così, Torvald. Quando ero a casa da papà, lui mi diceva sempre le sue opinioni, e io allora le condividevo, e se ne avevo delle mie le nascondevo, perché altrimenti gli sarebbe dispiaciuto. Mi chiamava la sua bambolina e giocava con me come io facevo con le mie bambole. Poi venni a casa tua.
HELMER. Parli così del nostro matrimonio?
NORA (impassibile). Intendo dire che dalle mani di mio padre passai nelle tue: tu sistemavi tutto a tuo gusto, e così ebbi anch'io i tuoi stessi gusti, oppure feci finta di averli, non so bene... Credo tutte e due le cose insieme, ora l'una e ora l'altra. Se ora ci penso, mi sembra di avere vissuto qui come una poveretta... alla giornata. Scopo della mia vita era quello di far la buffona per te. Ma sei stato tu a volere così. Tu e papà avete commesso un grosso peccato nei miei riguardi. É colpa vostra se son diventata quella che sono.
HELMER. Nora, come sei ingiusta e ingrata! Non sei stata felice qui ?.
NORA. No, non lo sono mai stata. Lo credevo, ma non lo sono mai stata.
HELMER. Non sei stata... felice!
NORA. No, solo allegra. E tu sei sempre stato così gentile verso di me. Ma la nostra casa non era altro che una stanza di giuochi. Qui, io sono stata la tua sposa-bambola come a casa ero la bambola-bambina di mio padre. E i piccoli sono stati, a loro volta, i miei bambolotti. Ero tanto contenta quando tu ti mettevi a giocare con me, come i bambini erano contenti quando io mi mettevo a giuocare con loro. Ecco che cosa è stato il nostro matrimonio, Torvald.
HELMER. C'è qualcosa di vero in quello che dici... per esagerato ed esasperato che sia. Ma d'ora in poi sarà un'altra cosa. Il tempo dei giuochi è passato, ora viene quello dell'educazione.
NORA. Quale educazione? La mia o quella dei bambini?
HELMER. Tanto la tua quanto quella dei bambini, Nora amatissima.
NORA. Oh Torvald, non sei tu l'uomo capace di insegnarmi a essere la moglie che ci vuole per te.
HELMER. E sei tu a dirlo ?
NORA. E io... come potrei essere in grado di educare i bambini?
HELMER. Nora !
NORA. Non l'hai detto tu stesso poco fa... è un compito che non hai il coraggio di affidarmi.
HELMER. L'ho detto nell'impeto della collera! Come puoi darci peso ?
NORA. E invece avevi perfettamente ragione. E un compito superiore alle mie forze. C'è un altro compito che mi aspetta prima di quello. Dovrò pensare a educare me stessa. Tu non sei l'uomo capace di aiutarmi. Devo pensarci da sola. E per questo me ne vado.
HELMER (con un sobbalzo). Cosa dici ?
NORA. Sarà necessario che rimanga sola se voglio rendermi conto di me stessa e di tutte le cose fuori di me. Non posso quindi rimanere più qui.
HELMER. Nora, Nora !
Inutile ogni commento. Questo marito è stato abbandonato dalla moglie. Non riesce a capirlo. E questa è la situazione di tanti mariti di tante mogli in quell’epoca borghese che abbiamo tentato di descrivervi nell’età del positivismo anche attraverso le parole di Henrik Ibsen. Chiudiamo qui la nostra lezione. Arrivederci.
IL NATURALISMO: FLAUBERT: M.me Bovary – ZOLA: Assommoir – IBSEN: Casa di bambola
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