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ALFIERI: Mirra, Saul




Antologia - 14^ Lezione
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ALFIERI: MIRRA, SAUL
 
Quattordicesima lezione. Vicino a me Mariateresa. Abbiamo in programma Alfieri. E’ un protoromantico, un preromantico, comincia a definirsi in lui la nuova sensibilità. E’ infatti un uomo passionale. Ha attraversato tutta la seconda metà del Settecento e ci ha lasciato l’impressione della sua forte sentimentalità nella ”Vita di Vittorio Alfieri, da Asti, scritta da esso”. Questo bisogno di esprimersi in un’autobiografia gli deriva anche da una lettura attenta delle “Vite parallele” di Plutarco, che fin da giovane ha scoperto.  Questo culto della personalità è espressione della nuova sensibilità romantica, mentre nell’illuminismo sappiamo che contava più la collettività. Era un movimento cosmopolita che coltivava la cittadinanza del mondo e a livello sociale considerava più la società che l’individuo. In Alfieri cominciano a venir fuori le pulsioni dell’individuo.
Nella “Vita” l’autore ci racconta della sua giovinezza, delle prime esperienze, in una scuola, in un’accademia nella quale dice di essere stato “asino tra asini sotto un asino”, intendendo come asino principale il suo precettore. Ha sempre odiato ogni atteggiamento puramente accademico, è stato intollerante anche nei confronti dell’autorità, un ribelle, insomma dopo un po’ se ne è anche andato da questa scuola. Ma tutta la sua vita è stata improntata a questo bisogno di evadere, di uscire dall’ambito puramente provinciale. Infatti è andato spesso all’estero, ha viaggiato un po’ in tutta l’Europa e il riflesso dei suoi viaggi è spesso una critica dell’autorità. Per esempio non ha mai accettato di fare, come dice lui stesso nella “Vita”, la “genuflessioncella” che si pretendeva da parte dell’imperatrice d’Austria, secondo il cerimoniale, cosa che ha visto fare invece a Metastasio, ospite della corte di Maria Teresa, la grande regnante che ha ispirato provvedimenti come la riforma del catasto: se abbiamo avuto un registro degli immobili e tutta una maggiore organizzazione nell’Italia settentrionale, lo dobbiamo anche al suo regno.
Alfieri ha scritto le “Rime”, si è appassionato anche alla Rivoluzione Francese, nei primi esiti, poi se ne è allontanato quando ha visto le esagerazioni contro la nobiltà, il bagno di sangue in cui è caduta; e ha espresso questo suo rifiuto nel “Misogallo”, per chiudere poi la sua vita alle soglie dell’Ottocento. E’ stato protagonista di diverse vicende d’amore, primo esempio di passionale romantico con un certo ascendente sulle donne. Dice di avere cominciato a scrivere tragedie proprio al capezzale di  una delle sue tante amanti, di avere ideato in quell’occasione la tragedia “Antonio e Cleopatra”, di cui si è poi pentito o vergognato, ripudiandola, che ha però avviato il grande percorso teatrale.
Voglio prima ricordarvi le sue posizioni sul rapporto fra intellettuale e potere. Nel trattato “Del Principe e delle Lettere” dice che il letterato deve essere autonomo dall’autorità, mantenere la sua indipendenza, come abbiamo visto affermare da Parini. E in un altro trattato, “Della Tirannide”, parla della necessità di abbattere la tirannia, al punto che chi vive sotto tirannia o si ribella fino ad uccidere il tiranno o, se non riesce, dovrebbe, a sua volta, uccidersi. Tema del suicidio per la libertà ripreso dal Foscolo.
Facciamo ora parlare i testi. E cominciamo dalla straordinaria, gravissima tragedia di “Mirra”. Protagonisti sono la stessa Mirra e Ciniro, il padre, che ha appena scoperto la morte del futuro genero, Pereo, che si è ucciso perché Mirra, arrivata al matrimonio, non ha voluto più celebrarlo. Pereo, subito dopo, è stato ritrovato morto. Io sono il padre, che, sconvolto da questo fatto, vengo a rimproverare te, Mirra, per quello che hai fatto. Vi dico subito che Mirra non si sposa perché ama me, il padre, ma non me lo ha mai confessato…
 
VITTORIO ALFIERI, MIRRA, ATTO V, SCENA II
CINIRO Mirra, che nulla tu il mio onor curassi,
creduto io mai, no, non l’avrei; convinto
me n’hai (pur troppo!) in questo dí fatale
a tutti noi: ma, che ai comandi espressi,
e replicati del tuo padre, or tarda
all’obbedir tu sii, più nuovo ancora
questo a me giunge.
MIRRA                        ... Del mio viver sei
signor, tu solo... Io de’ miei gravi,... e tanti
falli... la pena... a te chiedeva,... io stessa,...
or dianzi,... qui... - Presente era la madre;...
deh! perché allor... non mi uccidevi?...
CINIRO                                                        È tempo,
tempo ormai, sì, di cangiar modi, o Mirra.
Disperate parole indarno muovi;
e disperati, e in un tremanti, sguardi
al suolo affissi indarno. Assai ben chiara
in mezzo al dolor tuo traluce l’onta;
rea ti senti tu stessa. Il tuo più grave
fallo, è il tacer col padre tuo: lo sdegno
quindi appien tu ne merti; e che in me cessi
l’immenso amor, che all’unica mia figlia
io già portai. - Ma che? tu piangi? e tremi?
e inorridisci?... e taci? - A te fia dunque
l’ira del padre insopportabil pena?
MIRRA Ah!... peggior... d’ogni morte...
CINIRO                                                        Odimi. - Al mondo
favola hai fatto i genitori tuoi,
quanto te stessa, coll’infausto fine
che alle da te volute nozze hai posto.
Giá l’oltraggio tuo crudo i giorni ha tronchi
del misero Peréo...
MIRRA                      Che ascolto? Oh cielo!
CINIRO Peréo, sì, muore; e tu lo uccidi. Uscito
del nostro aspetto appena, alle sue stanze
solo, e sepolto in un muto dolore,
ei si ritrae: null’uomo osa seguirlo.
Io, (lasso me!) tardo pur troppo io giungo...
Dal proprio acciaro trafitto, ei giacea
entro un mare di sangue: a me gli sguardi
pregni di pianto e di morte inalzava;...
e, fra i singulti estremi, dal suo labro
usciva ancor di Mirra il nome. - Ingrata...
MIRRA Deh! più non dirmi... Io sola, io degna sono,
di morte... E ancor respiro?...
CINIRO                                     Il duolo orrendo
dell’infelice padre di Peréo,
io che son padre ed infelice, io solo
sentir lo posso: io ’l so, quanto esser debba
lo sdegno in lui, l’odio, il desio di farne
aspra su noi giusta vendetta. - Io quindi,
non dal terror dell’armi sue, ma mosso
dalla pietà del giovinetto estinto,
voglio, qual de’ padre ingannato e offeso,
da te sapere (e ad ogni costo io ’l voglio)
la cagion vera di sì orribil danno. -
Mirra, invan me l’ascondi: ah! ti tradisce
ogni tuo menom’atto. - Il parlar rotto;
lo impallidire, e l’arrossire; il muto
sospirar grave; il consumarsi a lento
fuoco il tuo corpo; e il sogguardar tremante;
e il confonderti incerta; e il vergognarti,
che mai da te non si scompagna:... ah! tutto,
sì tutto in te mel dice, e invan tu il nieghi;...
son figlie in te le furie tue... d’amore.
MIRRA Io?... d’amor?... Deh! nol credere... T’inganni.
CINIRO Più il nieghi tu, più ne son io convinto.
E certo in un son io (pur troppo!) omai,
ch’esser non puote altro che oscura fiamma,
quella cui tanto ascondi.
MIRRA                                Oimè!... che pensi?...
Non vuoi col brando uccidermi;... e coi detti...
mi uccidi intanto...
CINIRO                    E dirmi pur non l’osi,
che amor non senti? E dirmelo, e giurarlo
anco ardiresti, io ti terria spergiura. -
Ma, chi mai degno è del tuo cor, se averlo
non potea pur l’incomparabil, vero,
caldo amator, Peréo? - Ma, il turbamento
cotanto è in te;... tale il tremor; sí fera
la vergogna; e in terribile vicenda,
ti si scolpiscon sí forte sul volto;
che indarno il labro negheria...
MIRRA                                            Vuoi dunque...
farmi... al tuo aspetto... morir... di vergogna?...
E tu sei padre?
CINIRO               E avvelenar tu i giorni,
troncarli vuoi, di un genitor che t’ama
più che se stesso, con l’inutil, crudo,
ostinato silenzio? - Ancor son padre:
scaccia il timor; qual ch’ella sia tua fiamma,
(pur ch’io potessi vederti felice!)
capace io son d’ogni inaudito sforzo
per te, se la mi sveli. Ho visto, e veggo
tuttor, (misera figlia!) il generoso
contrasto orribil, che ti strazia il core
infra l’amore, e il dover tuo. Già troppo
festi, immolando al tuo dover te stessa:
ma, più di te possente, Amor nol volle.
La passíon puossi escusare; ha forza
più assai di noi; ma il non svelarla al padre,
che tel comanda, e ten scongiura, indegna
d’ogni scusa ti rende.
MIRRA                           O Morte, Morte,
cui tanto invoco, al mio dolor tu sorda
sempre sarai?...
CINIRO              Deh! figlia, acqueta alquanto,
l’animo acqueta: se non vuoi sdegnato
contra te più vedermi, io già nol sono
più quasi omai; purché tu a me favelli.
Parlami deh! come a fratello. Anch’io
conobbi amor per prova: il nome.
MIRRA                                                Oh cielo!...
Amo, sì; poiché a dirtelo mi sforzi;
io disperatamente amo, ed indarno.
Ma, qual ne sia l’oggetto, né tu mai,
né persona il saprà: lo ignora ei stesso...
ed a me quasi io ’l niego.
CINIRO                                Ed io saperlo
e deggio, e voglio. Né a te stessa cruda
esser tu puoi, che a un tempo assai nol sii
più ai genitori che ti adoran sola.
Deh! parla; deh! - Già, di crucciato padre,
vedi ch’io torno e supplice e piangente:
morir non puoi, senza pur trarci in tomba. -
Qual ch’ei sia colui ch’ami, io ’l vo’ far tuo.
Stolto orgoglio di re strappar non puote
il vero amor di padre dal mio petto.
Il tuo amor, la tua destra, il regno mio,
cangiar ben ponno ogni persona umíle
in alta e grande: e, ancor che umíl, son certo,
che indegno al tutto esser non può l’uom ch’ami.
Te ne scongiuro, parla: io ti vo’ salva,
ad ogni costo mio.
MIRRA                    Salva?... Che pensi?...
Questo stesso tuo dir mia morte affretta...
Lascia, deh! lascia, per pietà, ch’io tosto
da te... per sempre... il piè... ritragga...
CINIRO                                                       O figlia
unica amata; oh! che di’ tu? Deh! vieni
fra le paterne braccia. - Oh cielo! in atto
di forsennata or mi respingi? Il padre
dunque abborrisci? e di sí vile fiamma
ardi, che temi...
MIRRA               Ah! non è vile;... è iniqua
la mia fiamma; né mai...
CINIRO                            Che parli? iniqua,
ove primiero il genitor tuo stesso
non la condanna, ella non fia: la svela.
MIRRA Raccapricciar d’orror vedresti il padre,
se la sapesse... Ciniro...
CINIRO                            Che ascolto!
MIRRA Che dico?... ahi lassa!... non so quel ch’io dica...
Non provo amor... Non creder, no... Deh! lascia,
te ne scongiuro per l’ultima volta,
lasciami il piè ritrarre.
CINIRO                           Ingrata: omai
col disperarmi co’ tuoi modi, e farti
del mio dolore gioco, omai per sempre
perduto hai tu l’amor del padre.
MIRRA                                             Oh dura,
fera orribil minaccia!... Or, nel mio estremo
sospir, che già si appressa,... alle tante altre
furie mie l’odio crudo aggiungerassi
del genitor?... Da te morire io lungi?...
Oh madre mia felice!... almen concesso
a lei sarà... di morire... al tuo fianco...
CINIRO Che vuoi tu dirmi?... Oh! qual terribil lampo,
da questi accenti!... Empia, tu forse?...
MIRRA                                                      Oh cielo!
che dissi io mai?... Me misera!... Ove sono?
Ove mi ascondo?... Ove morir? - Ma il brando
tuo mi varrà...

 
E Mirra si ferisce a morte. La sua agonia durerà in un’altra scena, in cui dirà ad Euriclea di pentirsi per il fatto che non le abbia consentito di morire prima: sarebbe morta almeno da onesta, invece adesso si è uccisa da turpe, perché il padre conosce la sua vergogna. E così, Mariateresa, dopo avere attraversato la vergogna di una madre che si innamorava del figliastro (Fedra), in questo caso hai vissuto la vergogna e la tristezza di una figlia che si è innamorata del padre (Mirra). A questo proposito, per Alfieri appunto quello che conta è il particolare così tragico per cui un uomo o una donna perdano la loro tranquillità. Non ci sono agenti esterni, spesso. Il nemico è dentro di noi. E questa è la modernità di Alfieri. Stiamo entrando nella nuova età, quella romantica. Ma è anche un ritorno di modernità nel nostro teatro e nel teatro europeo, dopo Shakespeare, per le future generazioni, questo lavorare di scavo nei protagonisti, che aveva avuto sì la parentesi di  Moliére e di Goldoni, però viveva di parecchie esperienze superficiali.
Nel “Saul”, il protagonista lotta con se stesso e si sente circondato da nemici. E’ il re d’Israele, suocero di Davide, che gli succederà. Sua figlia è Micol, innamorata e promessa sposa di Davide. Saul in certi momenti addirittura è convinto che il genero gli voglia togliere il regno, teme tutti, il sacerdote, anche Abner, quello che si presenta come il suo fidato consigliere ma in realtà gli suggerisce l’odio per Davide, geloso dell’attenzione del re per il genero. Ma alla fine Saul capisce il vero problema… Vediamo il personaggio in qualche scena iniziale. Per esempio quando si sveglia al mattino con questo esordio…
 
SAUL, ATTO II, SCENA V
SAUL   Bell'alba è questa. In sanguinoso ammanto
         oggi non sorge il sole; un dì felice  
         prometter parmi. - Oh miei trascorsi tempi!
         Deh! dove siete or voi? Mai non si alzava                
         Saùl nel campo da' tappeti suoi,
         che vincitor la sera ricorcarsi ,
         certo non fosse.

 
Rimpiange il momento in cui era più giovane ed era più sicuro di sé; invece adesso si alza sempre con le incertezze, con i dubbi. E più avanti, rispondendo ad Abner…
 
ABNER  E chi siam noi? Senz'esso
         più non si vince or forse? Ah! non più mai
         snudar vorrei, s'io ciò credessi, il brando,
         che per trafigger me. David, ch'è prima,
         sola cagion d'ogni sventura tua ...
SAUL     Ah! no: deriva ogni sventura mia
         da più terribil fonte ... E che? Celarmi
         l'orror vorresti del mio stato? Ah! s'io
         padre non fossi, come il son, purtroppo                 
         di cari figli... or la vittoria, e il regno,
         e la vita vorrei? Precipitoso
         già mi sarei fra gl'inimici ferri
         scagliato io, da gran tempo: avrei già tronca
         così la vita orribile, ch'io vivo.
         Quanti anni or son, che sul mio labbro il riso
         non fu visto spuntare? (…)

 
Combatte anche con il suo rimorso nei confronti dei figli, che vede infelici intorno a sé, alterna questo odio e questo amore per Davide e alla fine, quando vedrà che i Filistei hanno sconfitto il suo popolo, si ucciderà, per sfuggire a loro ma anche a se stesso. Questa è la scena finale. Abner gli ha appena detto che i Filistei sono vicini, che hanno ucciso anche i suoi figli. Quella che sopravvive è Micol, che è accanto a lui…
 
(ll professore nei panni di Saul, Maria Teresa in quelli di Micol)
ATTO V, SCENA IV
SAUL      Ch'altro mi avanza?...
Tu sola omai, ma non a me, rimani.
Io da gran tempo in cor già tutto ho fermo:
E giunta è l'ora.  Abner, l'estremo è questo
De' miei comandi. Or la mia figlia scorgi
In securtà.
MICOL      No, padre; a te d'intorno
Mi avvinghierò: contro a donzella il ferro
Non vibrerà il nemico.
SAUL                               Oh figlia!... Or taci:
Non far ch'io pianga. Vinto re non piange.
Abner, salvala, va': ma, se pur mai
Ella cadesse infra nemiche mani,
Deh! non dir, no, che di Saulle è figlia;
Tosto di' lor, ch'ella è di David sposa;
Rispetteranla. Va'; vola...
ABNER                               S'io nulla
Valgo, fia salva, il giuro; ma ad un tempo
Te pur...
MICOL  Deh... padre... Io non ti vo', non voglio
Lasciarti...
SAUL      Io voglio; e ancora il re son io.
Ma già si appressan l'armi: Abner, deh! vola:
Teco, anco a forza, s'è mestier, la traggi.
MICOL  Padre!... E per sempre?...
ATTO V, SCENAV
SAUL - Oh figli miei... - Fui padre. -
Eccoti solo, o re; non un ti resta
Dei tanti amici, o servi tuoi. - Sei paga
D'inesorabil Dio terribil ira? -
Ma, tu mi resti, o brando: all'ultim'uopo,
Fido ministro, or vieni. - Ecco già gli urli
Dell'insolente vincitor: sul ciglio
Già lor fiaccole ardenti balenarmi
Veggo, e le spade a mille... - Empia Filiste,
Me troverai, ma almen da re, qui…morto.

(nell'atto ch'ei cade trafitto su la propria spada, soprarrivano in folla i Filistei vittoriosi con fiaccole incendiarie, e brandi insanguinati. Mentre costoro corrono con alte grida verso Saul, cade il sipario)
 
E Alfieri conclude la nostra riflessione di oggi. Con Mariateresa, alias Mirra e Micol, vi saluto.
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