Antologia - 12^ Lezione
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ILLUMINISMO MERIDIONALE: GENOVESI, GALANTI
Siamo arrivati alla dodicesima lezione del secondo anno di Antologia. Accanto a me non Barbara, indisponibile, ma Francesca Rossodivita, un’alunna del nostro liceo. Francesca ci seguirà, con un’altra che le subentrerà, Rosa Cerrone, in questa esperienza ancora con l’illuminismo.
L’ultima volta abbiamo chiuso con un cenno al mito del “Buon selvaggio” nel Settecento, ricavato da Diderot, dopo aver trattato soprattutto Il “Caffè” e Cesare Beccaria. Con quest’ultimo eravamo all’interno dell’illuminismo italiano, e per questo facciamo un ulteriore passo. Ci spostiamo dal nord d’Italia, dalla Milano di Beccaria, al sud, dove c’è stato un grande movimento, l’illuminismo meridionale, con particolare riferimento al pilastro della nostra cultura, che era Giambattista Vico.
Tutto nasce a Napoli, nel regno di Carlo Terzo di Borbone, quando ad Antonio Genovesi viene affidata la cattedra di economia e suoi allievi sono vari intellettuali, tra cui Filangieri, Longano e Galanti, di cui leggeremo qualcosa tra poco. L’insegnamento del Genovesi a Napoli era quello di avviare le riforme alle quali si voleva dedicare il sovrano conoscendo prima il problema. Diceva Genovesi: “Conosci la tua casa” e solo allora potrai prospettare delle soluzioni. E questo indirizzo del loro maestro rispettarono i suoi discepoli, tra cui Giuseppe Maria Galanti, nativo di Santa Croce del Sannio, allora facente parte del contado di Molise, che compie appunto un viaggio alle origini e ricava dalla sua osservazione del territorio la “Descrizione dello stato antico ed attuale del Contado di Molise”. Ma facciamo subito parlare il nostro Galanti. Leggi Francesca…
GIUSEPPE MARIA GALANTI, DESCRIZIONE DELLO STATO ANTICO ED ATTUALE DEL CONTADO DI MOLISE
Oltre le decime feudali, deve il contadino pagare le decime ecclesiastiche, cosicché appena per lui rimane la metà del suo ricolto. Qui non finiscono gli aggravi: altri ve ne sono che interamente l’assorbiscono. Egli deve pagare i pesi dello Stato, con tasse arbitrarie sopra i beni e sopra la persona. Deve alimentare i monaci mendicanti, che anch’essi partecipano di quel pane che dee somministrare a’ suoi figli. Deve alimentare un medico, e quell’altro genere di persone bisognose, che diconsi governatori. I piccioli reati, che in Napoli meritano l’indulgenza, in provincia si espiano col denaro. Si fa quasi sempre della giustizia un abuso orribile. Per ogni menomo trascorso, e talvolta supposto, un povero contadino è imprigionato, e per le cause più ingiuste gli si sequestrano e vendono i beni, fino un asino che talvolta è tutto il suo patrimonio, fino gli strumenti del suo lavoro. Egli dee dar da vivere a molti esseri che non lavorano, al governatore, all’assessore, all’agente del fondo, al suo dottore. Il suo destino è di essere sempre oppresso ed ingannato. Sono frequenti i casi che straziano il cuore dell’uomo sensibile. Come si tratta d’implorare il soccorso del magistrato superiore, il contadino si spaventa, e soffre in pace qualunque vessazione.
Come vedete, il contadino lavora per tutti, paga le tasse e subisce ingiustizie. E la legge in questo stato non funziona, perché il più debole sempre soccombe. E il contadino, quando immagina di dover essere sottoposto a un giudizio per avere ragione, già è convinto di rimanere nel torto, perché c’è qualche prepotente che paga e riesce ad avere la meglio su di lui in una contesa in tribunale. Avete visto poi quante gabelle debba pagare e quali siano le sue condizioni economiche veramente disastrate. Questo è l’impianto di tutta la “Descrizione” di Galanti. Ma facciamo proseguire il nostro autore…
Io poi lascio altrui considerare i disordini che, per difetto di un proprio tribunale, deggiono necessariamente risultare. Infatti non vi è paese dove gli omicidi e i delitti siano più impuniti. Questa provincia è soggetta alle scorrerie dei ladroni, i quali visitano tutte le popolazioni con la tranquillità medesima che farebbe una squadra sotto gli ordini del governo.
Vedete quindi una provincia soggetta alle scorrerie dei ladroni, dove non c’è ordine pubblico. E questo, Galanti lo dimostrerà, non è bene per lo sviluppo dell’economia, sia nella produzione agricola che nel commercio. Siamo in un periodo in cui si crede molto nell’agricoltura come base dello sviluppo economico. Siamo in piena affermazione della fisiocrazia, quella teoria che riteneva che l’agricoltura fosse la principale delle attività degli uomini. Però non si negava importanza al commercio, secondo lo spirito del mercantilismo, che aveva preceduto questa nuova teoria economica. Continuiamo…
E’ appena credibile che un masnadiere nel 1779 e nel 1780 vi sia impunemente sostenuto quindici mesi, commettendo eccessi orribili. A questo disordine è l’uso antico riparare coi subalterni, i quali, mettendo a contribuzione l’unità ed i particolari, sono rimedi che riescono più perniciosi dei mali medesimi. Essi il più delle volte li favoriscono e li sostengono. Le province sono intanto a disposizione di questi subalterni. Le rapine ed i ladronecci delle squadre degli arrendamenti sono continui. Si rovinano le famiglie con la stessa indifferenza con la quale si distruggono nella Puglia i bruchi.
Sono delle specie di governatori locali mandati lì a mettere ordine, che però sono più ladri degli altri e si mettono d’accordo con gli stessi delinquenti. Sembra di rivedere le situazioni di oggi nelle campagne della Campania…
Questo non si chiama estirpare gli abusi, ma sterminare lo Stato. Le comunità che sono tassate per ducati cinquecento di pesi fiscali deggiono pagare altrettanto per vessazioni sempre aborrite dalle leggi e sempre praticate.
Questi arrendatori, questi governanti locali che riscuotono anche le tasse, per conto del re, non sono uomini d’ordine, non sono persone di cui fidarsi. Questa melassa di società caotica, confusa, la si paga in termini economici, per le risorse del regno…
In questa provincia si potavano le viti in marzo e in aprile, per la bella ragione che essendo soggetti alle congelazioni così dovevano tardi entrare in azione. Quindi il raccolto doveva essere di necessità scarso. L’abate Genovesi impresse in Napoli nel 1760 “L’agricoltor sperimentato”, di Cosimo Trinci. E come si cominciò a divulgare quest’opera cominciarono alcuni, non senza scandalo dei contadini, a potare più anticipatamente che era possibile. Con questo metodo le raccolte sono diventate copiose dove è stato adottato.
Vedete l’importanza della cultura per lo sviluppo dell’attività agricola. Genovesi, il maestro di cui abbiamo parlato prima, pubblica un’opera sull’agricoltura e la fa conoscere ai produttori, in maniera da consigliare loro di potare prima…
Poche sono le contrade ove le ulive siano coltivate, per che l’olio che se ne trae non è bastevole ai bisogni della provincia. Vi sono intanto in gran numero delle basse colline difese da tramontana assai opportune per queste nobili piante, ma non ve ne sono solo perché di piantarle non vi è l’uso.
Dice che vi sono dei luoghi più adatti per la coltura di queste piante, ad esempio le colline che hanno un versante protetto dalla tramontana. Dunque, bisogna stare molto attenti, il contadino non deve essere abbandonato a se stesso, ma deve essere seguito dall’illuminato intellettuale, conoscitore, scienziato della natura, che può aiutarlo. Oggi questi concetti ci sembrano scontati, ma in quel tempo non lo erano…
Morcone fra l’altro, e Trivento, hanno un territorio immenso adatto a questa coltivazione, ma il basso popolo, per una certa natural rozzezza, non conosce altra industria che quella delle biade, delle vigne e delle ghiande.
Quindi non capiscono che invece dovrebbero diversificare, dovrebbero coltivare qualcosa di più producente, come l’olivo…
Dove le olive sono coltivate, gli alberi non sono molto grandi, ma perché niuna diligenza e governo si pratica per averne di più belli. In molti luoghi si ignora l’uso di innestarli e di potarli finanche. Intanto gli ulivi di questa provincia danno un olio eccellente e delicato. Come sono raccolte le olive, invece di metterle all’aperto per qualche giorno, al fine di asciugarle bene, per indi frangerle incontanente (subito), si usa in alcune parti di ammassarle in luoghi umidi e chiusi e farle così ammuffire e riscaldare. Le olive si raccolgono in novembre e l’olio si ricava a marzo. Viene di necessità brutto e di cattivo odore e così guasto e rancido che non lo soffre il palato. Mi sono io doluto di questo metodo, ma mi si è risposto che un olio bello, odorifero e delicato, che si ricava sicuramente col frangere le olive come sono raccolte ed asciugate, non può al proprietario convenire, perché la bassa gente ha il palato così grosso che lo desidera forte ed impetuoso.
Vedete, addirittura: l’olio per il gusto della gente viene prodotto così rancido, quando invece sarebbe bene farlo raffinato e tra l’altro potrebbe essere esportato, con questa qualità…
Si crede ancora, ciò che è ben pazzo e dalla speranza è smentito, che con questo metodo si crea quantità di olio maggiore.
L’ignoranza è il freno dello sviluppo, secondo Galanti. Si crede a cose così, per fede, ma poi razionalmente tutto cade. E’ la ragione illuminista che si afferma…
Moltissime sono le contrade capaci di un’abbondante coltivazione di gelsi. Intanto si raccoglie pochissima seta nelle terre di Macchiagodena e di Campochiaro, e di eccellente qualità. In altri luoghi se ne raccolgono tanto pochi che non meritano d’esser mentovati. In Oratino la seta di gelso rosso è preziosa, ma non se ne fa industria alcuna. In Campobasso nel secolo passato della seta si faceva grande industria, ma fu dismessa a cagione delle vessazioni che i contadini ricevevano dagli appaltatori del diritto proibitivo. Lo stesso è accaduto in altri luoghi…
Sempre la responsabilità di questi appaltatori, che sono dannosi e hanno ostacolato anche la coltivazione del gelso, che produceva poi la filatura della seta. Andiamo ai pedaggi…
Ma se il commercio esterno dei grani può soffrire qualche restrizione, quello interno poi non ne soffre di alcuna sorte. Intanto questo commercio tra di noi è arrestato da mille ostacoli ed oppresso dalle cattive strade e dai pedaggi.
Ecco, comincia ad indicare due grandi piste di analisi. Una è quella delle strade, per cui per potere avere commercio bisogna avere delle strade in buono stato, e questo non c’è nel regno di Napoli. L’altro grande e importante elemento per lo sviluppo del commercio è la riduzione dei pedaggi; e invece, ci dice Galanti, i pedaggi in che condizione sono?
I pedaggi da Campobasso fino a Napoli, per la strada di Morcone, sono otto nello spazio di cinquanta miglia, otto sono ancora per la strada d’Isernia. Per questa ultima via, se qualcuno ignora in alcuni luoghi che si deve pagare e cammina oltre, non gli si dice niente, ma appena egli si è di due passi discostato gli si arrestano le vetture e si esigono pene arbitrarie.
Si lasciano anche passare a tradimento, per poi chiedere di più di pagamento: arbitrario, non regolare, questo sistema…
Questi dazi turbano non solo la libertà del commercio, ma disgustano la gente dal traffico e sono di mille oppressioni cagioni. Gli esattori o appaltatori di questi dazi sono le persone le più cattive dello Stato. Esigono ordinariamente quello che non si deve e più che non si deve. Niente vale che le condizioni siano scritte in marmi. Se volete ad esse richiamarvi sarete esposti ad un’insolenza.
Non c’è difesa contro le ingiustizie praticate da questi appaltatori, che riscuotono le tasse per conto dello Stato incassando più di quanto dovrebbero…
Se vi richiamate ai tribunali, sarete poco savio e cattivo calcolatore. Le leggi parziali della capitale e le sue costumanze favoriscono da un’altra parte il monopolio e sono ingiuste e stravaganti. Pretendono la bassezza del prezzo del grano mentre è accresciuto in tutti gli altri generi. Una buona accademia di agricoltura sarà dunque un tribunale non solo occupato a migliorare le cose dell’arte ma a riconoscere esclusivamente e senza alcuna formalità le cause degli agricoltori. Non deggiono costoro essere distratti dai loro mestieri. Non gli si deggiono per niun caso sequestrare beni ed istrumenti del loro lavoro. Essi formano la classe più utile e la più virtuosa dello Stato, la sola che meriti privilegi e protezione.
Quindi Galanti parla espressamente di una vera e propria accademia, che dovrebbe istruire gli agricoltori, però rispettare il loro lavoro. Ed ora vediamo cosa dice sulla religione…
Gli antichi popoli d’Italia, riguardando l’agricoltura come la comune nutrice, non trascuravano di animarla per mezzo della religione. Quasi tutte l’opre delle campagne erano allora pratiche di religione. Fino i bovi destinati all’aratro erano sacri e in quei tempi, che sono imputati barbari dai nostri, le principali feste si istituivano in onore dell’agricoltura.
Ed ora introduciamo il discorso della religione con Rosa, che prende il posto di Francesca, sua compagna di classe, per leggerci un passo interessante su un parroco di Montagano…
Montagano è una bella terra sei miglia lontana da Campobasso. Quando io vi giunsi trovai una terra tutta coperta di alberi e di frutti e di un genere più squisito. Io ne restai sorpreso e fui istruito che di beneficio così singolare per questo paese è stato opera un suo arciprete chiamato Damiano Petrone. Ei non dava altra penitenza ai peccatori che di piantare un numero determinato di certi albori nei fondi loro propri e, quando non ne avevano, negli altri. E le piantagioni erano in proporzione al numero e qualità dei peccati. Era obbligato talvolta portarsi in regioni lontane a farne l’acquisto. Quando i peccatori si scusavano di essere poveri e di non avere istrumenti né modo, il nostro parroco era colui che di denaro l’uno e l’altro somministrava. Egli faceva servire la religione al bene della patria.
Quindi, i peccatori erano costretti a piantare un albero, come penitenza per quello che avevano commesso. Poi Damiano Petrone, ci dice Galanti, cerca di diffondere quest’uso nella regione intorno a Montagano…
Io fui curioso di sapere se il nostro Petrone era stato uomo di dottrina. Egli era ignorante e felicemente non consultava che il suo buon senso naturale. Se egli studiava, il suo spirito sarebbe stato facilmente pervertito da una falsa sapienza.
Quindi era un uomo soltanto dotato di quel buon senso di cui parlava anche Goldoni. Non aveva una grande istruzione. Continuiamo sempre con Galanti…qui si sta parlando del foro, dello stato della giustizia a Napoli. Figuriamoci che descrizione…
Tutto il nostro foro è incertezza, contraddizione, arbitrio. La nostra miseria è tale che non possiamo possedere facoltà senza dipendere dai tribunali, né essere cittadini senza avere bisogno di avvocati. Io parlo del mio mestiero, ma in questo esame sono obbligato ad osservare l’imparzialità dell’uomo che non ha altro scopo che la verità, non altro interesse che il bene della sua patria. Quando vogliamo essere di buona fede, diremo che noi medesimi delle leggi ne comprendiamo molto poco e le cause non sono che strumenti di fortuna per una certa classe dello Stato. Noi ci abbiamo fatto un certo gergo che tiene luogo di giurisprudenza, ma non facciamo che servire alle circostanze del disordine nella costituzione o, per meglio dire, del difetto nella costituzione. Questa è quella che tra di noi assicura la impunità a tutti i rei di malafede e che rende la condizione del debitore preferibile a quella del creditore.
Cioè è meglio essere debitore che creditore in questo Stato in cui non funziona la giustizia. Insomma è meglio essere dalla parte del torto, perché questi avvocati non fanno bene il loro dovere. Prima ha parlato del suo senso della patria invece…
Questi errori sconosciuti ai popoli barbari sono propri dei popoli colti d’Europa. Ben si può dire che la giurisprudenza è divenuta tra noi simile alla Scolastica e gli avvocati sono tanti sofisti il cui mestiero non sembra essere altro che di opporre al diritto ciò che le particolari passioni richeggiano.
Gli avvocati sono grandi parlatori, elocutori, ma non rispettano il diritto. Sono come dei filosofi che vanno divergendo dalla realtà del dibattimento per avere ragione…
Non si studia che l’uso del foro e in questo impera l’arte di difendere tutte le opinioni. Non vi è diritto che non possa essere combattuto, non vi è proprietà che non possa essere distrutta, non vi è titolo cui non si possa opporre un’eccezione capace di trionfare.
Gli avvocati sono allenatissimi a sfruttare tutte le possibilità per dimostrare che è vero quello che invece non è vero. Sembra di vedere quello che succede oggi nel nostro paese, che la legge non sia veramente garanzia di chi ha subito un torto, perché spesso, non me ne vogliano gli avvocati, l’eccessiva difesa della parte con tutti i cavilli possibili e immaginabili finisce per non stabilire il vero…
Si vede bene perché l’iniquo sia divenuto tanto necessario. Si consultano gli avvocati e si impiegano per eludere le leggi.
L’avvocato è quello a cui si ricorre per eludere la legge, non per rispettarla. E’ il lestofante che ricorre all’avvocato. Chi si comporta bene, abbiamo detto prima, non si rivolge nemmeno al legale, perché già in partenza si sente sconfitto, sa che il giusto sarà sconfitto…
La bassezza, l’adulazione, l’impostura, l’inciviltà sono divenute le qualità nostre. Si usano più furberie, più intrighi per guadagnare una causa che non bisognerebbero stratagemmi per vincere una battaglia. Perlopiù gli eventi felici sono dovuti meno alle leggi che a quell’arte che chiamiamo di condotta.
Il foro napoletano va riformato completamente…
Gli intriganti fabbricano la loro fortuna sulla rovina di mille famiglie ed i loro successi obbligano gli altri ad imitarli. Gli intriganti non si danno alcuna pena di aver mentito di spirito o di cuore. Un capitale di sfrontatezza imperturbabile, un amor proprio indifferente a tutte le umiliazioni e a tutti gli oltraggi.
Quindi non è il diritto romano responsabile delle lungaggini e dei gravi ritardi, ma l’uso che se ne fa. Semmai è l’influenza del diritto canonico e l’uso che la Chiesa ha fatto del diritto romano che si ripercuote nell’uso del diritto romano nel campo laico, quindi nel regno dei Borboni…
Le funzioni dei giudizi non sembrano quelle di esaminare e verificare il fatto, ma tutto si copre del velo del mistero. Un buon avvocato non pare esser d’altro sollecito che di tener segreti all’avversario i fatti e le leggi che adduce in sua difesa. Una causa civile è perlopiù un arcano di cui il commissario e lo scrivano sono i soli depositari…
La causa civile è una specie di mistero, un ufficio misterioso del quale nessuno viene a capo, se non gli addetti ai lavori. Proprio sembra di descrivere il foro di oggi…vediamo quanto si afferma sui testimoni…
Essi sono perlopiù della feccia del popolo ed una persona ben nata disdegna di fare il testimonio. Si ricevono le loro deposizioni e in caso di ritrattazione, o di affermare di aver diversamente deposto, si imprigionano e, se bisogna, si torturano. Siccome tutto lo zelo consiste di far reo colui che tale si suppone o di rendere servizio alla libertà del querelante, avviene che, in atti così segreti, si scrivano o si abbelliscano circostanze che possano favorire questo disegno, come si lasciano da parte quelle altre che potrebbero riuscire di contrario effetto. Fabbricata l’informazione di questo gusto, si procede alla citazione dell’accusato…
Sembra proprio di parlare di cose dei nostri giorni, in certi casi. Non voglio dire che tutta la giustizia si regoli così, però spesso vengono costruiti dei teoremi di accusa. E avviene anche nel Settecento, come vedete, con i testimoni giusti che dicono il falso perché ben coltivati da chi il falso vuol far loro riferire…
Tali le imperfezioni della nostra costituzione che Napoli, la prima città d’Italia, non ha cambio diretto con le piazze mercantili d’Europa, come li ha Roma, Genova, Messina e si sono fatti inutili sforzi a stabilirlo. Le cagioni per le quali ciò avviene sono tanto difficili a togliere che non dipendono da circostanze locali (…) perché lo spirito dei commerci tra di noi avesse luogo sarebbe ancora necessario avere un codice invariabile, che le lettere di cambio fossero protette dalle leggi senza averci mai luogo all’arbitrio del giudice.
Questo sta dicendo di importante Galanti. Che dove non c’è il rispetto del diritto, dove non c’è legalità, c’è anche qualche problema per lo sviluppo del commercio. Anche noi oggi nel nostro paese diciamo che la presenza di mafia, camorra, ‘ndrangheta e altre organizzazioni, insomma la diffusione dell’illegalità, sono un freno all’economia. E Galanti però è d’accordo anche su un altro punto, che il freno all’economia è nell’eccessiva litigiosità e conflittualità dei tribunali e nel fatto che le lungaggini nei procedimenti prima di tutto non si risolvono spesso a favore dei giusti, ma a favore degli ingiusti o dei menzogneri; e spesso anche però accade che distolgano gli imprenditori, parlo del nostro paese oggi, dagli investimenti, perché temono di incorrere nelle difficoltà, lungaggini e anche ingiustizie del nostro sistema giudiziario. Con questo chiudiamo, ringraziando Francesca e Rosa. Arrivederci alla prossima lezione.
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