Antologia II Anno - 8^ Lezione (video)
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DAL TEATRO BAROCCO AL SETTECENTO: MOLIERE, SWIFT, MONTESQUIEU
Siamo nel Seicento ancora, nel teatro, ma ci sposteremo poi, oggi, nel Settecento. Per quanto riguarda il discorso che abbiamo fatto nella lezione precedente con Barbara, in alcuni di quei passi siamo ritornati su momenti addirittura del Cinquecento, e poi abbiamo parlato più direttamente, ma non in maniera completa, di Racine e di Moliére. Dire Racine e Moliére significa dire teatro della Francia di Luigi XIV. E’ la Francia del Re Sole, di Versailles, questa corte straordinaria che doveva appunto stupire e meravigliare, come nello spirito del barocco del tempo, i sudditi del regno, per attribuire al re tutto il potere. Siamo nel secolo del potere assoluto, che il sovrano utilizzava per la sua politica economica, affidata a un borghese, Colbert, ispiratore della linea mercantilistica, con la quale la Francia divenne il primo paese d’Europa.
Ma per altro verso Luigi XIV cercava di curare l’immagine della sua reggia, di Versailles, dove aveva posto tutta l’aristocrazia, a costituire una specie di grande scenografia umana. Il mondo dei nobili viveva lì soltanto per apparire, per colpire l’attenzione dei sudditi, in maniera che questi pensassero che, se aveva un seguito così ben vestito, luminoso e appariscente, questo re doveva contare molto. La stessa residenza di Versailles ha questi grandi saloni, i saloni degli specchi, che riproducono, abbiamo visto, nel metaforismo e metamorfismo del Seicento, questa capacità di riverberare immagini in diversi luoghi e situazioni. Era come se il Re Sole si specchiasse più volte nei vetri dei saloni della straordinaria reggia, che era curata anche all’esterno, con un grande giardino, che sarà completato nel secolo successivo.
In questo contesto, Luigi XIV invita a lavorare nella sua corte Jean Baptiste Poquelin, detto Moliére, che, ispirandosi alla commedia dell’arte, ne utilizza la vivacità per poi però incanalarla in un teatro più serio, che educhi sia quello stesso mondo di aristocratici che vive con lui nella reggia di Versailles sia il popolo intorno.
Ma è soprattutto sugli aristocratici che Moliére riversa i suoi strali, ideando delle commedie che diventano un po’ scomode. Scrive “La Scuola delle Mogli” e “La Scuola dei Mariti”. Quella che dava più fastidio nell’ambiente era la prima, perché insegnava alle mogli come trattare i mariti, cosa che in una società maschilista diventava un problema. E poi ha scritto “Il Tartufo”, in cui si parla dell’ipocrisia di un religioso, che sta ben inserito in questo mondo di interessi, di affari, di egoismi e ci ricorda un po’ quel fra’ Timoteo della “Mandragola”, che pure abbiamo rappresentato in una lezione dell’anno passato.
“Il Tartufo” è una commedia che suscitò molto scalpore e una polemica tale che Luigi XIV dovette consigliare a Moliére di andar via dalla corte, di eclissarsi per qualche tempo. Fu molto abile questo re, perché capì che era il momento di farlo sparire, aspettando tempi migliori, quando si sarebbero raffreddati gli animi nella corte e avrebbe potuto reinserire il commediografo, come puntualmente fece. Questo Luigi XIV di cui spesso i nostri professori antimonarchici parlano male in realtà si è dimostrato una persona molto capace. Anche i re talvolta, non spesso, hanno dimostrato delle qualità per regnare. Dunque, lo inserì di nuovo e Moliére poté continuare la sua opera e arrivare a quel capolavoro che è il “Malato immaginario”, di cui abbiamo già visto delle scene. L’idea che viene messa in berlina è quella della gente che si affida a medici ignoranti, che addirittura è eccessivamente preoccupata della propria salute e finisce per non essere più tranquilla, per essere maniacale nel suo ricorso alle cure.
Altra grande commedia di Moliére è “L’Avaro”, che parla di questo vizio, di questo problema, che pure rende la vita impossibile, con un personaggio, Arpagone, che comunque viene ripreso dalla tradizione antica. Si rifaceva alla vicina commedia dell’arte, ma risaliva anche all’antico teatro plautino. “Aulularia”, una commedia di Plauto, è appunto la storia di un avaro. E la commedia di Plauto, a sua volta, si riferiva all’antica farsa atellana. Di queste cose abbiamo già parlato a proposito della produzione del rinascimento; Moliére continua in questo percorso della commedia che è vita, rappresentazione della realtà, e nobilita questo mondo che invece era un po’ guastato in quel periodo dalla commedia dell’arte, che era sì vivace, e per questo lui la apprezzava, ma era anche volgare, in certi casi poco istruttiva. Il grande merito del nostro autore fu quindi di aver dato una spinta nella direzione giusta.
L’altro grande protagonista, nella tragedia, con Corneille, al quale non faremo riferimento per ragioni di tempo, è Racine. Abbiamo già detto che la caratteristica dei suoi personaggi è di essere fortemente passionali ma anche avere la lucidità per analizzarsi. E questo è il vero spirito del Seicento: la ragione che combatte con l’istinto. Anche in campo politico, storico, si sviluppa, in questo periodo, il giusnaturalismo, con Hobbes e Grozio, i due pilastri, i due punti fondamentali di questa riflessione. Uno, Grozio, che dice che è istinto dell’uomo vivere in società, l’altro, Hobbes, che dice che l’istinto degli uomini invece è quello di combattersi, di farsi del male: “Homo homini lupus”. Per motivi opposti secondo questi due grandi teorici, vanno verso la costituzione di una società. Mentre per Grozio ci arrivano perché quello è il loro istinto, di stare insieme e andare d’accordo, per Hobbes lo fanno proprio per evitare i problemi della rivalità: rinunciano a una parte della loro libertà per affidare al monarca il potere assoluto (“absolutus” significa sciolto da vincoli), rinunciano in favore di questa persona che garantisce l’ordine, la sicurezza e la tranquillità, proprio togliendo loro una parte di libertà; perché nessun uomo può fidarsi dell’altro, se siamo tutti lupi nei confronti degli altri. Quindi la monarchia assoluta si giustifica come sistema politico che consente agli uomini di vivere tranquilli.
In questo stesso periodo c’è un altro grande autore tragico, Calderon de la Barca, in Spagna, che nell’opera “La vita è sogno” ha parlato appunto del mescolarsi della realtà con il sogno. Entriamo proprio nell’atmosfera barocca, nella incapacità di distinguere tra ciò che è sogno e ciò che è realtà, tanto che Sigismondo, questo protagonista che viene rinchiuso nella torre dal padre perché sa che quando diverrà re questo figlio peccherà di crudeltà, Sigismondo, dicevamo, si lamenta perché vive isolato in questa torre, perché pensa che gli altri esseri hanno la libertà che lui non ha e si domanda perché questo avvenga.
PEDRO CALDERON DE LA BARCA, LA VITA E’ SOGNO
SIGISMONDO: Ah, misero me! Ah, infelice! Voglio scoprire, o cielo, perché mi tratti così, quale delitto ho commesso contro di te, nascendo. Nasce l’uccello e appena ha un piccolo fascio di piume fende veloce le sale del cielo. E io, con più anima, ho minore libertà? Nasce la fiera e con la sua pelle macchiata, appena è un’immagine delle stelle, impara ad essere crudele mostro nel suo boscoso labirinto. E io, con miglior istinto, ho minore libertà? Nasce il pesce che non respira, aborto di alghe e di fango, e appena si mira, vascello squamoso sulle onde, subito si aggira misurando l’immensità dell’abisso. E io, con maggior arbitrio, ho minore libertà? Nasce il ruscello, biscia che tra i fiori si snoda, e appena irrompe tra i fiori come una serpe d’argento loda la pietà dei fiori che gli offre il campo aperto alla sua fuga. E io, con maggior vita, ho minore libertà? Quale legge può negare agli uomini un privilegio così dolce?
Sigismondo viene portato nella reggia per prova, ma puntualmente, dopo qualche ora, va in escandescenze e compie gesti crudeli, addirittura getta da una finestra uno dei cortigiani per un pretesto minimo. E il padre lo fa ritornare allora nella torre. Qui si sviluppa la questione del sogno, perché, quando si risveglia in catene in questo luogo in cui è stato riportato mentre dormiva, Sigismondo non sa se quella che ha vissuto un momento prima nella reggia sia stata la realtà o un sogno.
SIGISMONDO: Siamo in un mondo così strano che vivere non è che sognare, e l’esperienza m’insegna che l’uomo che vive sogna quello che egli è, sino al risveglio. Sogna il Re d’essere Re e vive in quest’inganno, comandando, disponendo, governando, e quel vano applauso che riceve lo scrive il vento, e in cenere lo converte la morte. E vi è chi vuole regnare, sapendo che dovrà svegliarsi nel sonno della morte? Nel mondo sognano tutti quelli che sono, anche se nessuno lo intende. Io sogno che sono qui gravato di queste catene e sognai di essere in uno stato migliore. Che è la vita? Una follia. Che è la vita? Un’illusione, un’ombra, una finzione, ed è piccolo il più gran bene, perché tutta la vita è un sogno ed i sogni sono un sogno.
Questo navigare tra il sogno e la realtà è la suggestiva misura del Seicento barocco, dal quale ora usciamo, per entrare nel Settecento. Partiamo da Jonathan Swift, l’autore dei “Viaggi di Gulliver”. E’ stato un politico, anche un giornalista. Giornali e periodici si sviluppano in Inghilterra tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento e creano una nuova dimensione e diffusione della cultura. Swift e De Foe sono i due grandi protagonisti della narrativa inglese del primo Settecento, ambedue giornalisti.
Dai “Viaggi di Gulliver” abbiamo preso, nell’ultima parte, la pagina in cui Gulliver visita la Terra dei Cavalli, questo momento in cui, parlando con il padrone, la guida spirituale della comunità, deve ammettere, rispondendo alle sue insistenti domande, che gli umani commettono parecchi errori…
(legge Barbara)
JONATHAN SWIFT, I VIAGGI DI GULLIVER, PARTE IV
Mi domandò quali fossero le cause più comuni che spingevano una nazione a fare guerra all'altra. Risposi che erano innumerevoli, e mi sarei limitato a menzionare le principalissime. A volte è l'ambizione dei principi, i quali non credono mai d'avere abbastanza territorio o popolo da governare; a volte la corruzione dei ministri, i quali cacciano il loro Re in una guerra non per altro che per soffocare e deviare i clamori dei sudditi contro le loro malversazioni. Non si contano i milioni di vite sacrificate alla discrepanza di opinione; se, per esempio, la carne sia pane, o non piuttosto il pane sia carne; se il succo d'una certa bacca sia sangue ovvero vino; se il fischiare sia un vizio o una virtù; se sia meglio baciare o gettar nel fuoco un palo; se il miglior colore per un vestito sia il nero, il bianco, il rosso, o il grigio; se l'abito debba portarsi lungo o corto, attillato o largo, sudicio o pulito; e via di questo passo.
E continua così, tanto che ci fa ricordare quell’altro passo della prima parte dei “Viaggi di Gulliver”, in cui, essendo questa volta lui spettatore degli errori degli altri, vedeva tra i Lillipuziani nascere delle guerre per il modo in cui si voleva rompere un uovo. Lo registriamo in un filmato dello spettacolo “Dune”, messo in scena con gli studenti del laboratorio teatrale del liceo “Galanti”…
I VIAGGI DI GULLIVER, PARTE I (REGISTRAZIONE DALLO SPETTACOLO “DUNE”, TEATRO SAVOIA)
E' da tutti ammesso che il modo consueto di bere un uovo è di romperlo dalla punta larga; ma il nonno di Sua Maestà, apprestandosi un giorno, quando era bambino, a bere un uovo e avendolo rotto secondo l'uso degli antichi, si graffiò un dito. In conseguenza di ciò, l'imperatore suo padre emanò un editto col quale si imponeva ai sudditi, con la minaccia di pene assai rigorose, di rompere le uova dalla parte della punta stretta. Il popolo reagì violentemente a questa legge, tanto che, come ci narrano le storie, ci furono sei rivoluzioni durante le quali un imperatore perse la vita e un altro la corona.
Ricostruito questo momento, passiamo finalmente a te, Barbara, che tra poco interverrai come il padrone, in questo momento del romanzo, nella Terra dei Cavalli.…
(il professore nei panni del narratore, Gulliver, e Barbara in quelli del Padrone)
I VIAGGI DI GULLIVER, PARTE IV
C'è pure in Europa una specie di principi accattoni i quali, non essendo abbastanza forti essi stessi per guerreggiare, cedono i loro soldati a ricchi monarchi per un corrispettivo d'un tanto sopra ogni testa giornalmente. Tre quarti della mercede vanno nelle loro tasche, e costituiscono il loro principale mezzo di sussistenza. Tali sono per esempio i principi della Germania e di altre nazioni dell'Europa settentrionale.
"Quel che mi avete detto" interruppe il mio padrone "intorno alla guerra porge davvero la prova più mirabile degli effetti di quel dono di ragione che pretendete d'aver avuto in sorte. C'è, ad ogni modo, da rallegrarsi che l'infamia sia maggiore del danno, e che la natura vi abbia reso affatto incapaci di nuocervi reciprocamente sul serio. Le vostre bocche infatti, non sporgenti dal volto, non consentono che vi mordiate vicendevolmente, a meno che vi mettiate prima d’accordo. Gli artigli dei vostri piedi, sia anteriori che posteriori, sono così corti e morbidi, che uno solo dei nostri yahoo sarebbe in grado di mettere in fuga dodici almeno dei vostri ..
Gli yahoo di cui parla sono gli umanoidi che sono in questa terra, che sono dai cavalli tenuti a bada e controllati perché sono molto istintivi, passionali, brutali e sono i nostri antenati. Tutto il libro, cominciamo a capire, è una critica dei comportamenti degli uomini. I cavalli, animali, sono migliori di noi, sono saggi, come questo che sta parlando…
Perciò non posso fare a meno di pensare che abbiate detto “la cosa che non è" quando accennaste al numero dei morti in battaglia.
La “cosa che non è”, dice il cavallo, perché in questo mondo non si riesce a dare un nome alle cose che per gli uomini sono naturali e per loro sono assurde, come la guerra, o comunque i comportamenti contro natura…
Non potei tenermi dallo scuotere il capo e dal sorridere di fronte a tanta sua ignoranza (Gulliver fa anche il gradasso). Non essendo profano all'arte della guerra, presi a descrivergli cannoni, colubrine, moschetti, carabine, pistole, proiettili, polvere, spade, baionette, battaglie, assedi, ritirate, attacchi, mine, contrammine, bombardamenti, battaglie navali; vascelli affondati con sopra mille uomini, ventimila combattenti uccisi da ciascun lato; gemiti di moribondi, membra volanti per l'aria, fumo, rumore, confusione, cavalli calpestanti corpi umani fino a ridurli cadaveri; fughe, inseguimenti, vittorie; campi disseminati di carogne abbandonate alla voracità dei cani, dei lupi, degli uccelli di rapina; saccheggi, spoliazioni, stupri, incendi, distruzioni. E affinché il valore dei miei diletti compatrioti potesse rifulgere (quanto si vanta), lo assicurai che li avevo visti in un assedio riuscire a far saltare in aria cento nemici in una volta, e altrettanti in un combattimento navale, e che m'ero goduto la vista dei corpi morti piombanti giù a pezzi dalle nuvole con sommo divertimento degli astanti.
M'accingevo a dare più minuti particolari, quando il padrone m'ingiunse di tacere. "Chiunque conosce" egli disse "l'indole degli yahoo può agevolmente capire che un animale così abietto diventi capace di commettere tutte le orribili azioni da voi menzionate, sol che forza ed accortezza eguaglino la tristizia. Poiché il vostro discorso ha fatto aumentare il mio aborrimento per l'intera razza yahoo, provo, a sentirvi parlare, un turbamento mentale affatto nuovo. Non è escluso che col tempo le mie orecchie si abituino alle parole detestabili che vi escono dalla bocca…
E continua così il nostro Padrone. Ormai dovremmo avere capito qual è la struttura dei “Viaggi di Gulliver”. Si sposta continuamente la prospettiva. Gulliver, naufragato nell’isola, si trova nella terra dei Lillipuziani, che sono dodici volte più piccoli di lui. E osserva i comportamenti di questi piccolissimi uomini, che sono pieni di manie: una di quelle l’abbiamo vista prima: si scatena una guerra perché si discute fra quelli che rompono un uovo dalla parte più acuta e quelli che lo fanno dalla parte più arrotondata. Poi Gullliver si ritrova in una situazione inversa, in una terra di giganti, nella seconda parte, dove va sotto osservazione lui, come abbiamo visto nella terra dei cavalli, con dei giganti che lo interrogano come il cavallo di prima e si fanno meraviglia di tutte le manie e gli errori, le stupidità, le amenità che gli uomini commettono e praticano nella società. Dopodiché andrà nell’isola di Laputa, l’isola volante, dove la gente vive tra le nuvole, con dei regnanti che dormono sempre; e lì prenderà in giro la filosofia, l’astrattismo, la teoria che non si collega mai ad una pratica. Come vediamo, è una critica anche alla cultura del suo tempo, da parte di Swift, che aveva una grande vena satirica e ironica. E poi nella quarta parte, abbiamo visto, l’altro cambiamento di prospettiva è quello di genere, di specie, tra uomini e animali, i cavalli, per arrivare a dire che questi ragionano più degli uomini.
Tutto questo viaggio della fantasia per dare un giudizio sulla società inglese. Tra l’altro la sua violenta invettiva contro la società inglese è animata, in Swift, dal suo essere un irlandese e dal suo odiare in fondo la terra in cui vive perché gli irlandesi erano stati sottomessi alla fine del Seicento dagli inglesi, con una guerra. Era il periodo di Cromwell, degli Ironside (i fianchi di ferro), era il periodo della prima rivoluzione borghese.
Possiamo ora passare a un altro autore dell’epoca, un francese in questo caso, che registra il cambiamento di giudizio sulla realtà che si sta operando agli inizi del Settecento. E’ Montesquieu, nelle sue “Lettere Persiane”, con un persiano che giudica il mondo europeo. Anche qui abbiamo un mutamento di prospettiva. Leggi Barbara…
MONTESQUIEU, LETTERE PERSIANE, XXIV
Il re di Francia è il principe più potente d'Europa. Non possiede miniere d'oro come il re di Spagna suo vicino, ma ha più ricchezze di lui, perché le ricava dalla vanità dei suoi sudditi, più inesauribile delle miniere. Gli si è visto intraprendere e sostenere grandi guerre senza altri fondi che titoli d'onore da vendere, e per un prodigio dell'orgoglio umano le sue truppe erano pagate, le sue piazzeforti munite, le sue flotte equipaggiate. D'altronde questo re è un gran mago: esercita il suo impero anche sullo spirito dei suoi sudditi, li fa pensare come vuole. Se nel suo tesoro c'è solo un milione di scudi, e gliene occorrono due, gli basta persuaderli che uno scudo ne vale due, ed essi ci credono. Se deve sostenere una guerra difficile, e non ha denaro, non deve far altro che metter loro in testa che un pezzo di carta è denaro, ed essi ne sono tosto convinti. Arriva a far loro credere che può guarirli di ogni male toccandoli, tanto grande è la forza e il potere che ha sugli spiriti. Quanto ti dico di questo principe non deve stupirti: c'è un altro mago più potente di lui, il quale domina sul suo spirito non meno di quanto egli domini su quello degli altri. Questo mago, che si chiama papa, ora gli fa credere che tre è uguale ad uno, che il pane che mangia non è pane, o che il vino non è vino, e mille altre cose del genere.
Stiamo entrando in una fase diversa. Fino ad ora abbiamo parlato di assolutismo monarchico, nella lezione precedente. Qui si comincia a mettere in discussione l’istituto monarchico e anche la fede, la Chiesa, l’organizzazione ecclesiastica. Stiamo facendo ingresso appunto nel “secolo dei lumi”, il secolo della ricostruzione della società secondo un nuovo progetto, di cui dovremo parlare però la prossima volta. Arrivederci.
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