Antologia II Anno - 3^ Lezione (video)
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SHAKESPEARE: Rime: Più di un radioso mattino – Teatro: Amleto, Macbeth, Giulio Cesare, Otello
Siamo giunti alla terza lezione. Vicino a me sempre Barbara. Protagonista di questa lezione William Shakespeare, grande drammaturgo, ma anche autore di rime. Iniziamo dall’aspetto barocco della sua personalità, introducendolo con alcuni poeti che sono appunto nella nuova linea del concettismo, preziosismo, eufuismo, come furono definiti questi modi di esprimersi, per indicare la raffinatezza delle metafore che venivano usate in maniera molto ricca in questo periodo; eufuismo invece deriva dal nome di uno scrittore inglese.
Una buona parte dell’espressione barocca si sviluppa in Spagna, quella di Flippo Secondo e Filippo Terzo, di cui parlavamo l’ultima volta per inquadrare l’ambiente culturale nel quale lavorò Cervantes con il suo “Don Chisciotte”. Quella Spagna, che avevamo descritto come la terra in cui contavano più le apparenze che la sostanza, era il degno teatro di una poesia nella quale contavano molto le apparenze, cioè contava più il modo in cui si esprimeva una cosa che il contenuto della stessa. Subito, per averne un’idea, chiederò a Barbara di leggervi, da Luis De Gongora, “Mentre per emulare i tuoi capelli”, un componimento nel quale abbiamo un immediato approccio con un forte, esasperato uso di metafore, che introduce in un mondo di ingegnosità, di artificio; che è poi da una parte la dimostrazione della fatuità di questa società, dall’altra può avere degli aspetti positivi tipici della produzione barocca, come l’apertura sul mondo, sulla natura, sulla nuova esperienza, l’innovazione, la sperimentazione. Cominciamo, come sempre, dai testi, per non parlare troppo prima di aver fatto parlare gli autori …
LUIS DE GONGORA, MENTRE PER EMULARE I TUOI CAPELLI
Mentre per emulare i tuoi capelli
oro brunito il sole splende invano,
mentre sdegnosa guarda in mezzo al piano
la tua candida fronte il giglio bello,
mentre più del garofano precoce
sguardi vogliosi attira ogni tuo labbro,
e mentre trionfa con sprezzante orgoglio
il tuo collo gentile sul cristallo,
godi collo, capelli, labbro e fronte,
prima che quanto fu in età dorata
oro, giglio, garofano, cristallo,
non soltanto in argento o viola tronca
si muti, ma tu e tutto unitamente
in terra, fumo, polvere, ombra, niente.
Come potete vedere, vi sono quattro elementi che vengono tradotti, traslati (la metafora è una trasposizione) in altri elementi, cioè in altre immagini. E poi c’è un altro momento importante, che è quello del passare del tempo, del trascolorare della vita e della bellezza stessa di questa donna. Questo senso della precarietà, della morte incombente, c’era già nel rinascimento, c’era addirittura nel Quattrocento, quando si diceva: “Chi vuol esser lieto sia, del diman non c’è certezza”, ricordi?, di Lorenzo il Magnifico. Però lì naturalmente l’atmosfera era molto più variata, più spensierata. Nel Cinquecento continua questo motivo, fino a Tasso che lo approfondisce. E qui siamo all’eredità di Tasso, siamo agli inizi del Seicento, quando il tema della morte, dell’incombere di una minaccia, sia sulla vita che sulla bellezza, diventa dominante. In questo caso avete quattro elementi, che sono il collo, i capelli, le labbra e la fronte della bella donna, che sono trasposti nelle immagini di giglio, oro, garofano e cristallo, rispettivamente, che però rischiano di diventare polvere, fumo, ombra e nulla. Questo è l’insieme del trasferimento da un’immagine a un’altra e poi da un momento a un altro, con il tempo che scandisce la corruzione e consunzione di quanto per ora esalta il nostro poeta.
Continuando ancora, e rapidamente, abbiamo un altro esempio, da William Shakespeare. Anche lui autore di rime, lo inquadriamo nell’età elisabettiana, di Elisabetta Prima d’Inghilterra, tra la fine del Cinquecento e i primi anni del Seicento, morirà nel 1616, lo stesso anno in cui troverà la morte Cervantes. I loro due paesi, Inghilterra e Spagna, in questo periodo vivono realtà diverse. La Spagna l’abbiamo descritta come arretrata e non adeguata ai tempi, mentre l’Inghilterra si avvia al suo splendore grazie a questa straordinaria regina, di cui qui ricordiamo la vicenda. Era figlia di Anna Bolena ed Enrico Ottavo Tudor. Era quella bambina per la quale Anna Bolena era morta, perché non aveva voluto per lei rinunciare all’eredità sul trono d’Inghilterra, sul quale Enrico Ottavo desiderava un erede maschio e perciò ripudiò Anna e la fece anche uccidere, lei, una delle sue tante, sei, donne. Elisabetta emerge da questo grande dramma, da questa tragedia dell’Inghilterra della prima metà del Cinquecento, periodo in cui per l’Atto di Supremazia, con cui il re si imponeva sulla Chiesa facendo nascere la Chiesa Anglicana, Moro, perché non volle firmarlo, morì, con John Fisher; e in questa Inghilterra nella quale Enrico Ottavo aveva disegnato il suo progetto di potere, dopo qualche decennio governa. Continua ad essere un paese in cui il monarca, la regina, esprime la sua autorità, però Elisabetta dimostra una maggiore apertura e riesce a dare al suo regno quelle basi che poi lo condurranno alla trasformazione più importante nel corso del Seicento.
In questa Inghilterra Elisabetta intuisce l’importanza di un uomo come William Shakespeare, che diventa noto prima con i suoi versi, poi con il suo teatro. Vediamo il rimatore…
WILLIAM SHAKESPEARE, PIÙ DI UN RADIOSO MATTINO
Più di un radioso mattino non ho forse visto
blandire le vette dei monti con sguardo sovrano,
baciare con aureo viso le verdi praterie,
dorare i pallidi rivi con alchimia divina:
ma tosto permettere a fumide nubi di stendersi
in triste velario sul suo volto celestiale,
e celare il suo sembiante al mondo desolato
fuggendo nascosto al tramonto con tale bruttura.
In tal modo il mio Sole un chiaro mattino brillò
Sulla mia fronte con splendore trionfale,
ma fuori, ahimè, rimase un’ora sola,
alte nuvole lo tolgono ora al mio sguardo.
Né si sdegna per questo il mio amore: a terrestri soli
È lecito velarsi, se talvolta si vela il sole nel cielo.
L’andamento è più complesso rispetto al sonetto di Gongora. Si vede una maggiore profondità. Infatti Shakespeare non si smentisce qui. Si sta preparando la grande stagione teatrale di questo dominatore della cultura inglese, europea e mondiale in ogni tempo.
Questo motivo dell’amore che va e che viene, che sfuma e che non riusciamo a trattenere, è presente nel resto dell’opera di Shakespeare. Per esempio in “Amleto”. Il monologo famoso di Amleto ha avuto diverse traduzioni. Ne ho una in questo libro, ma ho preferito presentarvene un’altra più convincente. Questo monologo, che ora vi leggo, poi si sviluppa nel confronto con Ofelia, che sarà rappresentata da Barbara. Immaginate Amleto, principe di Danimarca. Ha subito un evento straordinariamente negativo. Lui non sa che la morte del padre è stata provocata dallo zio e dalla madre, lo viene a sapere in un sogno, nel quale il padre gli appare e gli dice che è stato ucciso da suo zio e da sua madre, amanti. Si smonta una serie di certezze in questo giovane, che, per farvela breve, comincia a cambiare tutto il suo comportamento. Utilizza una compagnia di comici, che frequentavano spesso queste corti, perché rappresenti questa stessa vicenda, in maniera da misurare le reazioni dello zio e vedere se si tradisce. La cosa avviene, lui nota nel comportamento dello zio la conferma che le cose sono andate così. Come vedete, il metateatro, il teatro all’interno dell’azione scenica per sviluppare la vicenda, come strumento di conoscenza. Ottenuta questa certezza, Amleto reagisce nella maniera che adesso vedremo. Una delle conclusioni di questa serie di riflessioni è il suo famoso monologo:
WILLIAM SHAKESPEARE, AMLETO, ATTO III, SCENA I
Essere o non essere, questo è il problema: se sia più nobile nella mente soffrire i colpi e le frecciate di un’oltraggiosa fortuna, o impugnare le armi contro un mare di guai e contrastandoli porre fine ad essi. Morire, dormire, non altro, e con un sogno dire che poniamo fine allo strazio del cuore e alle mille sciagure naturali che il corpo eredita nascendo; è una distruzione da desiderare devotamente.
Morire, dormire, forse sognare sì: qui sta il problema, perché in quel sonno della morte quali sogni possono venire? Quando ci siamo liberati dalle spire di questo affanno mortale dobbiamo concederci una pausa: è qui il rispetto che produce la calamità di una vita così lunga. Chi sopporterebbe le sferzate e le beffe del mondo, l’ingiustizia dell’oppressore, l’insulto del superbo, gli spasimi dell’amore disprezzato, le lentezze della legge, l’insolenza del potere e gli schianti che il merito paziente riceve dagli indegni quando lui stesso potesse procurarsi la sua liberazione…
Risparmiamo il seguito e passiamo al momento in cui Amleto vede Ofelia che avanza verso di lui. Tu sei Ofelia…
AMLETO: La bella Ofelia! Ninfa, nelle tue preghiere ricorda tutti i miei peccati.
OFELIA: Mio buon signore, com’è stata vostra altezza in tutti questi giorni?
AMLETO: Vi ringrazio umilmente. Bene.
OFELIA: Mio signore, ho dei vostri ricordi che da parecchio desideravo restituirvi. Vi prego, ora, di riprenderli.
AMLETO: Io? No, no. Non vi ho mai dato niente.
OFELIA: Sì, mio onorato signore, lo sapete benissimo. E con essi m’avete dato parole formate di sospiri così dolci che li rendevano più preziosi. Ma il profumo è andato, dunque riprendeteveli. Per un animo nobile i doni più ricchi perdono tutto il loro valore se i donator non gli sono più amici. Eccoli, mio signore.
AMLETO: Ah, Ah! Siete onesta?
OFELIA: Ma signore!
AMLETO: Siete bella?
OFELIA: Che vuol dire vossignoria?
AMLETO: Che se siete onesta e bella la vostra onestà non dovrebbe accettar discorso con la vostra bellezza.
OFELIA: La bellezza, mio signore, potrebbe mai trovare miglior compagna dell’onestà?
AMLETO: Sì davvero, perché la potenza della bellezza trasformerà l’onestà in ruffiana, assai prima che la forza dell’onestà possa farsi assomigliare dall’altra. Questo era un paradosso, una volta, ma ora i tempi han dimostrato che è vero. Vi ho amato una volta.
OFELIA: Sì, mio signore, me lo avete fatto credere.
AMLETO: Non avreste dovuto. Innesta pure la virtù sul nostro vecchio ceppo, ci trovi sempre il vecchio succo. Non vi ho mai amata.
OFELIA: Tanto più fui ingannata.
AMLETO: Vattene in un convento, va’. O vuoi mettere al mondo dei peccatori? Io stesso sono onesto, più o meno. Eppure potrei accusarmi di tali cose che era meglio che mia madre non m’avesse concepito. Son pieno di superbia, vendicativo, ambizioso, con più peccati pronti ai miei piedi che pensieri in cui metterli, fantasia per plasmarli o tempo per tradurli in atto. Gente come me che striscia tra terra e cielo, che sta a farci al mondo? Siamo dei furfanti matricolati, tutti, non fidarti di nessuno. Va’ a chiuderti in un convento. Dov’è tuo padre?
OFELIA: A casa, mio signore.
AMLETO: Chiudetevelo a chiave, che faccia il buffone solo in casa propria. Addio.
OFELIA: O cieli pietosi aiutatelo.
AMLETO: Se ti sposi ti darò per dote questo malanno: puoi essere casta come il ghiaccio, pura come la neve, non sfuggirai alla calunnia. Vattene in un convento, addio. O se vuoi sposarti a ogni costo prenditi un imbecille, le persone intelligenti sanno benissimo che mostri fate di loro. In un convento, va’, e presto anche. Addio.
OFELIA: Potenze divine guaritelo!
AMLETO: Ho anche sentito dei vostri trucchi, fin troppo. Dio v’ha dato una faccia e voi ve ne fate un’altra. Ancheggiate, ondeggiate, scilinguate…
Avrete avuto l’impressione di un documento misogino, ma tutto si spiega. Amleto, il cui genitore è stato ucciso dalla madre, in complicità con lo zio, ha perso ogni fiducia nel legame familiare e quindi respinge la sua amata Ofelia perché non vuole procreare con lei un altro infelice, perché non crede più nella donna, nel gentil sesso, che ritiene, ancora più di una volta, traditore. Ricordiamo sempre che siamo in un ambito comunque misogino, nel Seicento. E poi, soprattutto, Amleto, avendo perso fiducia nella vita, nella società, in questa realtà così cinica in cui è costretto a muoversi, non vuole nemmeno lui far soffrire Ofelia, questo è un aspetto che si respira nelle pagine di questo dramma di Shakespeare. Amleto fa il duro, fa il cattivo per non suscitare ancora sofferenza. E’ il suo sistema, nel monologo l’ha detto: bisogna assopire tutto, azzerare e annullare tutto, per potere resistere in questo mondo di continui rivolgimenti, assolute ingiustizie. Perché il tema affrontato nell’”Amleto” è proprio quello dell’ingiustizia, della crudeltà politica, del rapporto fra ragione e sentimento, che comincia a scatenarsi in questo secolo.
Di Shakespeare voglio ricordarvi anche altre pagine. Intanto vi vorrei presentare la scena di “Macbeth”. Tu ne sai qualcosa?
BARBARA: Reminiscenze liceali…
Diciamo che è il dramma della sete del potere. Attraverso le profezie di streghe Macbeth ha saputo che diventerà re. Però ha davanti a sé un ostacolo. E’ Duncan, e lo uccide. Sa anche che questo potere che lui conquisterà è minacciato da un erede di un suo amico, Banco, e questo lo spingerà anche a far uccidere il figlio di Banco, anzi a tentare di ucciderlo. Vi racconto dopo il seguito. Prima voglio presentarvi il momento in cui la moglie di Macbeth (Macbèth dovremmo dire, in inglese antico) consiglia allo sposo l’uccisione di Duncan. Ritorna il motivo misogino della donna tentatrice, che induce a mordere la mela. Siamo sempre lì. E il delitto che Macbeth consuma con la complicità della moglie produrrà un fortissimo senso di colpa, sia in lui che nella stessa Lady Macbeth, che a un certo punto della vicenda è impazzita, rivede sempre questo delitto, questo sangue che ricompare sulle sue mani. Barbara sarà Lady Macbeth…
MACBETH, ATTO V, SCENA I
LADY MACBETH: Scompari, macchia maledetta! Scompari, dico!...Uno, due. Ebbene, è venuto il momento di agire... l'inferno è buio... vergogna, mio signore, vergogna! Come? Sei un soldato e hai paura?... Che bisogno c'è di preoccuparsi se qualcuno lo venga a sapere, dal momento che nessuno può chiamarci a renderne conto? Eppure, chi avrebbe mai pensato che il vecchio avesse tanto sangue?
DOTTORE: Hai sentito cosa ha detto?
LADY MACBETH: il Signore di Fife aveva una moglie. Dov’è ora? E queste mani, non saranno mai pulite?
Questo tormento, questo senso di colpa, vivrà anche in Macbeth. Quando tenterà di uccidere il figlio di Banco morirà il padre ma non il figlio. E questo figlio che non è morto ritornerà dopo diversi anni ad ucciderlo. Questo dramma di Shakespeare è famoso per questa “ombra di Banco”, lo spettro che Macbeth vede sempre di fronte a sé, dietro di sé. Un incubo che lo sovrasta, un’allucinazione prodotta dal suo senso di colpa, che tra l’altro poi lo mette in cattiva luce nella sua corte, tanto che tutti cominceranno a pensare che sia diventato pazzo e non sia più in grado di governare, quindi minaccia anche il suo stesso potere. Ma la profezia delle streghe diceva che lui si sarebbe salvato finché non fossero accadute delle cose straordinarie, impossibili, che rendevano tranquillo Macbeth per il suo futuro. Una di queste era che si doveva muovere un bosco contro il suo castello. L’altra era che sarebbe stato ucciso da un uomo non partorito da donna. Senonché i signori che si erano organizzati contro di lui avevano deciso di tagliare le cime dei pini del bosco e di avanzare nascosti dietro questi cespugli, per cui a un certo punto, dalle mura del castello, Macbeth vede come avanzare un bosco: si sta realizzando quello che avevano previsto le streghe. E poi arriverà questo vendicatore di un delitto che Macbeth aveva consumato, che lo uccide; e prima di farlo, nel duello finale, gli rivela di non essere stato partorito da una donna perché è venuto fuori da un taglio, che noi diremmo cesareo, quindi non è stato generato per la via naturale. E si verificherà il paradosso profetizzato dalle streghe. A questo punto il protagonista, rassegnato, si offre come vittima sacrificale alla decapitazione da parte del suo avversario.
Ho accennato, attraverso il racconto, a due aspetti. Uno, l’ultimo, è l’orrido, il crudo, il sanguinoso del teatro shakespeariano e quindi elisabettiano. L’altro questo cenno alle streghe, questo mondo medievale. Shakespeare recupera il carattere medievale di questo ambiente un po’ primitivo, fatto di sogni, fantasie, fattucchiere, fantasmi, gnomi, streghe, il mondo cioè nordico. Questo dà un certo sapore al suo teatro, che emergerà soprattutto nel “Sogno di una notte di mezza estate” e in altre commedie anche più allegre dell’autore, in un contesto che comunque è politico.
Shakespeare è un sostenitore dell’assolutismo di Elisabetta, della corona inglese. E lo dimostrerà nel suo “Giulio Cesare”, laddove, riparlando del tirannicidio ad opera dei tre congiurati, immaginerà un Antonio fedele alla memoria del suo amico, che sul cadavere di Cesare riesce a convincere il popolo che il suo nemico non è lui, ma chi lo ha ucciso. In un famoso discorso centrato sulle parole “ma Bruto è un uomo d’onore”, Antonio ricorderà tutte le nefandezze compiute da Bruto, che era come un figlio per Cesare e lo aveva tradito, e tutti gli elementi positivi della vita dell’ucciso, che dovevano farlo amare dal popolo. Alla fine, con tutti i suoi ragionamenti, riuscirà a sollevare il popolo contro i tirannicidi, con la dichiarazione finale che quest’uomo considerato crudele, arrivista, superbo, perseguitore del potere in realtà aveva deciso di lasciare le sue sostanze al popolo. E questa tragedia è un sostegno dell’istituto monarchico, rappresentato in Cesare, contro quello repubblicano, identificato nei suoi assassini. Questo ci spiega anche perché Elisabetta desse il suo favore al teatro di Wiliam Shakespeare.
L’altro grande dramma che tu conosci è “Otello”. Il protagonista si fa spingere da Jago a credere che la sua Desdemona lo abbia tradito e a ucciderla, salvo poi ricredersi e rendersi conto di avere sbagliato. La componente particolare di questo dramma è che Otello è di colore. Da una parte Shakespeare sembra essere in apertura nei confronti di altre etnie, dall’altra c’è il problema che forse riconosce una inferiorità in chi si fa ingannare.
Chiudiamo questa lezione, avendovi introdotto nell’atmosfera della società inglese, attraverso William Shakespeare, ma anche nello spirito particolare del barocco, di cui esamineremo la versione italiana nella prossima lezione. Arrivederci.
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