Antologia - 23^ Lezione
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Approfondimenti letterari (In coda alla pagina)
TASSO, GERUSALEMME LIBERATA: PROEMIO, TANCREDI E CLORINDA
Siamo giunti alla ventitreesima lezione di Antologia, con ancora un’alunna reale, Claudia, che sarà aiutata poi da un’altra, Giusy. Con l’ultima lezione lasciammo il discorso all’umanesimo europeo e al tema del rapporto fra rinascimento e antirinascimento, con esponenti di una sorta di fronda, di ribellione a una civiltà finta, troppo modellata su regole, che erano Folengo, Beolco, Cellini e in precedenza Erasmo, Moro e Rabelais. Dalla parte del sostegno all’ipocrita società cortigianatigiana, abbiamo ricordato Baldassarre Castiglione e Giovanni della Casa, con il loro invito al conformismo.
Ora presentiamo Torquato Tasso, ormai nell’epoca della Controriforma. Attraversa con la sua opera la seconda metà del Cinquecento, in cui gli scenari sono cambiati. Non c’è più il prestigio, il successo, la gioia, la tranquillità delle corti della prima parte del secolo e si respira un’atmosfera più cupa, malinconica, preoccupata. Nella Ferrara di quel periodo, la città nella quale lavorò il nostro autore, non c’era più la sicurezza della Ferrara del tempo di Ariosto. E d’altra parte Tasso non ha la personalità di Ariosto, è un tipo nevrotico, sensibile, permaloso, diciamolo pure, suscettibile. E poi, mentre l’altro in fondo trascura la vita di corte, nel senso che la utilizza perché ne ha bisogno, per mantenere i fratelli e preparare la dote per le sorelle, vi risiede con un certo distacco, e se lo dovessero mandar via non ne morirebbe, tanto che quando Ippolito d’Este gli suggerisce di andare fino in Ungheria lui dice arrivederci, Tasso invece è accanito, vuole vivere a corte, essere elogiato, stimato come grande poeta, al livello del già celebrato Ariosto. E proprio per questo attaccamento morboso, commette qualche errore.
Per esempio, quando scrive il suo poema principale lo sottopone all’esame del Tribunale dell’Inquisizione di Ferrara, che si pronuncia, diciamo, a favore dell’opera e un po’ contro di lui, rilevando che se qualche problema c’è è che l’autore è di umore melanconico; e cioè fa capire che li problema è lui, non quello che ha scritto. Allora lui, non contento di questo, sempre perché è un po’ suscettibile, chiede il giudizio anche dell’Inquisizione romana, che concluderà ancora con la stessa riflessione sul suo umore melanconico. Si preoccupava di quello che aveva scritto: in realtà eravamo nell’epoca della Controriforma e quindi si cercava di stare attenti a trattare temi erotici, soprattutto per un contesto sacro come la conquista di Gerusalemme nella Prima Crociata. Ma in fondo Tasso faceva la questione più grande del problema. E l’Inquisizione in quel tempo era pericolosa, era minacciosa, era un problema per la società del tempo e la stessa corte di Ferrara aveva timore di questi rapporti con il Tribunale, perché già era stata sotto inchiesta al tempo di Renata di Francia, che vi aveva tenuto un circolo di odore calvinista, chiuso dalla Chiesa, che non voleva che si professassero idee della Riforma. Quindi, quando Alfonso d’Este sente che lui ha sottoposto al giudizio dell’Inqusizione il poema della “Gerusalemme liberata” che doveva essere recitato nella sua corte, si infuma e lo chiude nell’Ospedale di Sant’Anna, quasi come un pazzo, un nevrotico, un irrecuperabile. E poi c’è tutta una vicenda, sulla quale però ritorneremo dopo.
Ora vogliamo subito fare un ingresso nel poema, ricordando semplicemente perché Tasso abbia scritto un’opera su questo argomento. Era il periodo della invasione turca nel Mediterraneo orientale. C’era il pericolo ottomano e quindi si respirava un’aria di ultima crociata contro gli infedeli, che avevano già occupato la terra santa e minacciavano di entrare anche in Europa attraverso i Balcani. Allora Tasso decide di scrivere un grande poema, degno dell’”Orlando furioso” di Ariosto, ma che tratti il tema religioso importante, della prima crociata, quasi per richiamare i suoi contemporanei a un’altra crociata, contro i Turchi. Infatti pochi mesi dopo, nel 1571, ci sarà la battaglia di Lepanto, che arresterà la loro avanzata nel Mediterraneo orientale. Leggi Claudia…
TORQUATO TASSO, GERUSALEMME LIBERATA, PROEMIO
Canto l’arme pietose, e ’l Capitano
Che ’l gran sepolcro liberò di Cristo.
Molto egli oprò col senno e con la mano;
Molto soffrì nel glorioso acquisto:
E invan l’Inferno a lui s’oppose; e invano
s’armò d’Asia e di Libia il popol misto:
Chè ’l Ciel gli diè favore, e sotto ai santi
Segni ridusse i suoi compagni erranti.
O Musa, tu, che di caduchi allori
Non circondi la fronte in Elicona,
Ma su nel Cielo infra i beati cori
Hai di stelle immortali aurea corona;
Tu spira al petto mio celesti ardori,
Tu rischiara il mio canto, e tu perdona
S’intesso fregj al ver, s’adorno in parte
D’altri diletti, che de’ tuoi le carte.
Nella prima ottava Tasso presenta l’argomento. Dice appunto che parlerà delle “arme pietose”, cioè dei crociati che liberarono il sepolcro di Cristo, guidati da Goffredo di Buglione. E poi, nella seconda, fa la sua invocazione alla musa, perché lo protegga. E le chiede perdono se aggiungerà degli ornamenti, qualcosa di fantasioso, qualcosa della sua immaginazione alla verità storica. E poi continua così…
Sai che là corre il mondo, ove più versi
Di sue dolcezze il lusinghier Parnaso;
E che ’l vero condito in molli versi,
I più schivi allettando ha persuaso.
Così all’egro fanciul porgiamo aspersi
Di soavi licor gli orli del vaso:
Succhi amari, ingannato, intanto ei beve,
E dall’inganno suo vita riceve.
Spiega, in questa terza ottava, perché deve adornare la storia con altre vicende frutto della sua immaginazione. Perché il mondo va dietro ai piaceri e ai divertimenti e la gente non vuole sentir parlare solo di argomenti seri, come la conquista del santo sepolcro da parte dei crociati, vuole che in mezzo a questa vicenda ve ne siano altre che sono quelle più di moda, in quel tempo e nei nostri tempi, vale a dire storie d’amore, che sono appunto i fregi che ha aggiunto al vero. Come dice nella seconda parte dell’ottava, al fanciullo malato che prende la medicina noi aggiungiamo, con i succhi amari di questo farmaco, un po’ di zucchero. La storia d’amore è lo zucchero aggiunto al succo amaro dela storia, che da sola non susciterebbe interesse e attenzione. E poi la quarta…
Tu magnanimo Alfonso, il qual ritogli
Al furor di fortuna, e guidi in porto
Me peregrino errante, e fra gli scoglj,
E fra l’onde agitato, e quasi assorto;
Queste mie carte in lieta fronte accogli,
Che quasi in voto a te sacrate i’ porto.
Forse un dì fia, che la presaga penna
Osi scriver di te quel ch’or n’accenna.
E’ la dedica ad Alfonso Secondo d’Este, al quale riconosce il merito di averlo protetto, di averlo favorito, lo ringrazia e augura che un giorno si possa parlare direttamente di lui come di un emulo di Goffredo, mentre in questa storia, che si appresta a raccontare a lui e agli altri cortigiani, per ora lo si farà solo marginalmente. Ricordiamo che Tasso prima è stato al servizio del cardinale Luigi d’Este e poi di Alfonso Secondo, come era accaduto ad Ariosto, che aveva servito prima il cardinale Ippolito e poi Alfonso Primo.
Ora Giusy leggerà, insieme con me, parti dell’episodio della morte di Clorinda, dalla “Gerusalemme liberata”, con il quale entreremo in un altro aspetto grandioso di questo straordinario poema, che è il tema dell’amore difficile, l’amore ostacolato. E’ il passo in cui due innamorati, Tancredi e Clorinda, non riescono a coronare il loro sogno, anzi addirittura lei morirà nelle sue braccia, uccisa da lui. Come è potuto accadere? Intanto la riflessione di fondo è che la vita è così dura, così piena di imprevisti che si verifica proprio il contrario esatto di quello che noi desideremmo, e in circostanze tragiche. Clorinda, chiusa in un’armatura e travestita da uomo, si presenta come un guerriero degli infedeli, con cui Tancredi, cristiano, si scontra sotto le mura di Gerusalemme. L’antefatto lo racconto io con Tasso, poi interverrà la nostra Clorinda, che sarà Giusy.
Intorno a Gerusalemme i cristiani sono accampati per assaltarla; e hanno costruito delle torri, per avvicinarle alle mura e potere quindi entrare, dall’alto, nella città, difesa dai saraceni. Clorinda è uscita con il re Agramante e con altri guerrieri, in escursione, per andare appunto ad incendiare le torri dei cristiani e impedire il loro piano. Poi sono rientrati nella città da una porta, che si è chiusa lasciando fuori Clorinda. Tancredi, che ha visto, ha seguito i due che hanno incendiato le torri, ne rintraccia uno, appunto la nostra protagonista, che ancora segue con lo sguardo…
(Leggono, il professore come il narratore e Tancredi, Giusy come Clorinda)
GERUSALEMME LIBERATA, XII: MORTE DI CLORINDA
Tancredi che Clorinda un uomo stima
vuol ne l'armi provarla al paragone.
Va girando colei l'alpestre cima
ver altra porta, ove d'entrar dispone.
Segue egli impetuoso, onde assai prima
che giunga, in guisa avvien che d'armi suone
ch'ella si volge e grida: - O tu, che porte,
correndo sì? - Rispose: - E guerra e morte.
- Guerra e morte avrai: - disse - io non rifiuto
darlati, se la cerchi e fermo attende. -
Ne vuol Tancredi, ch'ebbe a piè veduto
il suo nemico, usar cavallo, e scende.
E impugna l'un e l'altro il ferro acuto,
ed aguzza l'orgoglio e l'ira accende;
e vansi incontro a passi tardi e lenti
quai due tori gelosi e d'ira ardenti.
Notte, che nel profondo oscuro seno
chiudesti e nell'oblio fatto sì grande,
degne d'un chiaro sol, degne d'un pieno
teatro, opre sarian sì memorande.
Piacciati ch'indi il tragga e'n bel sereno
a le future età lo spieghi e mande.
Viva la fama lor, e tra lor gloria
splenda dal fosco tuo l'alta memoria.
Importante questa ottava, perché Tasso si rivolge alla notte stessa, che sta chiudendo nella sua oscurità questo duello importantissimo, e quasi sembra rammaricato che questo evento straordinario debba perdersi nel buio, non essere visto da nessuno. E le dice: consenti, o notte, che io tiri fuori dall’oscurità questo duello e possa raccontarlo, in maniera che quello che sarebbe stato altrimenti ignorato, perché chiuso nelle tenebre di una notte di guerra tra cristiani e saraceni, possa essere ricordato. E’ il tema dell’importanza dell’apparire, che già apre la stagione del manierismo, che prepara a sua volta il barocco, l’importanza cioè della scena, per quello che facciamo. Se non va in scena è come se non accadesse, conta più ciò che appare che ciò che è…
Non schivar, non parar, non pur ritrarsi
voglion costor, ne qui destrezza ha parte.
Non danno i colpi or finti, or pieni, or scarsi:
toglie l'ombra e'l furor l'uso de l'arte.
Si scontrano quindi senza poter guardare dove arrivano i colpi, tanto è buio…
Odi le spade orribilmente urtarsi
a mezzo il ferro; e'l piè d'orma non parte:
sempre il piè fermo e la man sempre in moto,
né scende taglio in van, ne punta a voto.
Tutti i colpi arrivano, perché stanno uno vicino all’altro, nessuno torna indietro, e poi non si vedono, quindi giungono dove possono…
L'onta irrita lo sdegno a la vendetta,
e la vendetta poi l'onta rinova:
onde sempre al ferir, sempre a la fretta
stimol novo s'aggiunge e piaga nova.
Ogni colpo inferto suscita la reazione dell’altro e in questo gioco di azione e reazione continuano a darsele di santa ragione…
D'or in or più si mesce e più ristretta
si fa la pugna, e spada oprar non giova:
dansi con pomi, e infelloniti e crudi
cozzan con gli elmi insieme e con gli scudi.
Prima si scontrano con le spade, a un certo punto si avvicinano tanto che non cozzano più nemmeno le lame, ma le impugnature, i pomi, e additittura c’è un corpo a corpo tra i due guerrieri. E attenzione, un corpo a corpo, quindi sono uno abbracciato all’altro nello scontro, e Tasso immagina che cosa sarebbe stato se avessero potuto sapere l’uno l’identità dell’altra: non sarebbero stati abbracci di morte, ma d’amore. Infatti dice…
Tre volte il cavalier la donna stringe
con le robuste braccia, e altrettante
poi da quei nodi tenaci ella si scinge,
nodi di fier nemico e non d'amante.
Tornano al ferro, e l'un e l'altro il tinge
di molto sangue: e stanco e anelante
e questi e quegli al fin pur si ritira,
e dopo lungo faticar respira.
L'un l'altro guarda, e del suo corpo essangue
su'l pomo de la spada appoggia il peso.
Già de l'ultima stella il raggio langue
sul primo albor ch'è in oriente acceso.
Vede Tancredi in maggior copia il sangue
del suo nemico e sé non tanto offeso,
ne gode e in superbisce. Oh nostra folle
mente ch'ogn'aura di fortuna estolle!
Questi sono quei lanci di Tasso che hanno fatto grande il poema. Oh nostra folle mente, che anche una piccola aura di fortuna solleva in alto! Come siamo portati facilmente ad esaltarci, quando da un momento all’altro la tragedia incombe!
Misero, di che godi? Oh quanto mesti
siano i trionfi e infelice il vanto!
Gli occhi tuoi pagheran (s'in vita resti)
di quel sangue ogni stilla un mar di pianto.
I tuoi occhi pagheranno un mare di pianto per ogni stilla di sangue versato da quello che tu consideri un nemico…
Così tacendo e rimirando, questi
sanguinosi guerrier cessaro alquanto.
Ruppe il silenzio al fin Tancredi e disse,
perchè il suo nome l'un l'altro scoprisse:
- Nostra sventura è ben che qui s'impieghi
tanto valor, dove silenzio il copra.
Ma poi che sorte rea vien che ci nieghi
e lode e testimon degni de l'opra,
pregoti (se fra l'armi han loco i preghi)
che'l tuo nome e'l tuo stato a me tu scopra,
acciò ch'io sappia, o vinto o vincitore,
chi la mia morte o vittoria onore. –
Voglio sapere da te chi tu sia, in maniera che io sappia chi onorerà o la mia vittoria, se vincerò io, o la mia morte, se vincerai tu. Tancredi ha capito che quello che sta afrontando è un guerriero di grandssimo valore; infatti Clorinda, pur essendo una donna, era bravissima nelle armi…
Rispose la feroce: - Indarno chiedi
quel c'ho per uso di non far palese.
Ma chiunque io mi sia, tu innanzi vedi
un di quei due che la gran torre accese. –
Davanti a te c’è uno di quei due che hanno incendiato la torre. A quel punto Tancredi…
Arse di sdegno a quel parlar Tancredi
e: - In mal punto il dicesti; (indi riprese)
e'l tuo dir e'l tacer di par m'alletta,
barbaro discortese, a la vendetta.”
Quello che tu dici, cioè che sei quello che ha incendiato la torre, e quello che tu taci, perché non mi vuoi dire il tuo nome, sono motivi per spingermi alla vendetta…Insomma, per farla breve, Tancredi arriva al punto in cui ha ferito a morte Clorinda…
Ma ecco omai l'ora fatal è giunta
che'l viver di Clorinda al suo fin deve.
Spinge egli il ferro nel bel sen di punta
che vi s'immerge e'l sangue avido beve;
e la veste che d'or vago trapunta
le mammelle stringea tenere e lieve,
l'empiè d'un caldo fiume. Ella già sente
morirsi, e'l piè le manca egro e languente.
Abbiamo questa bellissima descrizione, anche sensuale, di Clorinda, nel cui petto si affonda la lama di Tancredi, motivo erotico sul quale torneremo la prossima volta; e alla fine, quando Clorinda è morente, gli dice…
- Amico, hai vinto: io ti perdon... perdona
tu ancora, al corpo no, che nulla pave,
a l'alma sì: deh! per lei prega, e dona
battesmo a me ch'ogni mia colpa lave. -
In queste voci languide risuona
un non so che di flebile e soave
ch'al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza,
e gli occhi a lagrimar invoglia e sforza.
Non posso dilungarmi, ma Tancredi va a una fonte vicina, prende dell’acqua per battezzarlo, non pensa ancora che sia una donna, e quando arriva lì per scoprire il volto di Clorinda e darle il battesimo…
(…) Tremar sentì la man, mentre la fronte
non conosciuta ancor sciolse e scoprio.
La vide e la conobbe: e restò senza
e voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!”
Scopre che è Clorinda. Continueremo la prossima volta, nella ventiquattresima lezione, che chiuderà questo primo ciclo di Antologia.
Indice
Approfondimenti letterari
In questa sezione si trovano i testi (passi antologici) tratti dalle opere più significative della tradizione letteraria italiana e, occasionalmente, straniera, con una sintetica introduzione, note esplicative, una breve interpretazione.
(Testi di Torquato Tasso)
Torquato Tasso
L'incendio onde tai raggi uscîr già fôre (Rime d'amore, II, 130)
Qual rugiada o qual pianto (Rime d'amore, III, 324)
Canzone al Metauro (Rime d'occasione o d'encomio, II, 573)
Silvia e Dafne (Aminta, Atto I, scena I)
O bella età de l'oro (Aminta, Atto I, coro)
Il monologo del satiro (Aminta, Atto II, scena I)
Il finale dell'Aminta (Aminta, Atto V, scena I)
Il padre di famiglia (Dialoghi)
Lettera a Scipione Gonzaga (Lettere)
Il finale del Re Torrismondo (Re Torrismondo, Atto V, scena VI)
Il proemio della Gerusalemme liberata (Ger. lib., I, 1-5)
Olindo e Sofronia (Ger. lib., II, 14-53)
Scontro fra Tancredi e Clorinda (Ger. lib., III, 16-31)
Il concilio infernale (Ger. lib., IV, 1-19)
Armida al campo dei Crociati (Ger. lib., IV, 28-42)
Erminia tra i pastori (Ger. lib., VII, 1-22)
Il duello di Tancredi e Clorinda (Ger. lib., XII, 48-70)
Tancredi nella selva di Saron (Ger. lib., XIII, 38-46)
Il giardino di Armida (Ger. lib., XV, 53-66; XVI, 1-16)
L'amore di Rinaldo e Armida (Ger. lib., XVI, 17-35)
L'abbandono di Armida (Ger. lib., XVI, 38-62)
Rinaldo vince gli incanti della selva (Ger. lib., XVIII, 17-39)
Il duello di Tancredi e Argante (Ger. lib., XIX, 1-28)
Erminia soccorre Tancredi (Ger. lib., XIX, 102-114)
La conversione di Armida (Ger. lib., XX, 61-68; 117-136)