Antologia - 21^ Lezione
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RINASCIMENTO: ERASMO: Elogio della follia - MORO: Utopia - RABELAIS: Gargantua e Pantagruele
Siamo alla ventunesima lezione di Antologia, questo lungo percorso con una terza classe di liceo, e vicino a me c’è un’alunna reale, questa volta, Miriana, che ci aiuterà nella lettura di passi di Erasmo, Moro e Rabelais. Ci spostiamo nel rinascimento europeo. Questa è stata un’epoca di grande rivolgimento, ma anche di maturazione della mentalità umanista e i più grandi rappresentanti in Europa di questo pensiero sono quelli che vi ho nominato ora, di cui uno di estrazione laica, Thomas More, gli altri due, pur avendo fatto i primi passi in ambiente ecclesiastico, sono diventati poi quasi degli eretici per la Chiesa del tempo, quando si verificarono problemi molto gravi, che si svilupparono nella “Protesta” di Lutero, con altri fatti che qui ricorderemo insieme.
Cominciamo da Erasmo da Rotterdam, nome da umanista, da accademico, che assume un certo Geert Geerts, figlio di un prete. Era un monaco agostiniano, che scrisse tantissimo e spesso dialogava in latino con gli altri umanisti europei. Ci aiuterà subito Miriana ad entrare nel suo pensiero e nel suo atteggiamento di fronte alla vita, attraverso la lettura di alcuni passi della sua opera, che sono in buona parte tratti dall’”Elogio della follia”, il più grande testo della letteratura rinascimentale, che è anche l’opera principale di Erasmo. Vediamo il primo passo…
(Legge Miriana)
ERASMO DA ROTTERDAM, ELOGIO DELLA FOLLIA, CAPITOLO XXIX
Come non c’è stoltezza maggiore di una saggezza inopportuna, così non c’è maggior imprudenza di una prudenza distruttrice.
Ecco, già questo imposta il tema del rapporto fra saggezza e follia, intesa come creatività e come possibilità di fare altre esperienze che la prima, quando è eccessiva prudenza, ci impedisce. Ci vuole un pizzico di follia per creare altra saggezza, cioè nuova conoscenza, in questo ciclo vitale che è tipico del metodo sperimentale. Vediamo l’altro passo…
Esistono due ostacoli che,più degli altri, si oppongono all'acquisto della conoscenza del mondo, e sono la vergogna, che offusca l'intelligenza, e la timidezza, che esagera i pericoli, distogliendo così dall'azione. Ora, c'è uno splendido modo di liberarsi dall'una e dall'altra, possedere un granello di follia.
Eccolo qui, il granello di follia di cui si parlava prima. Qindi non eccessiva prudenza, non timidezza nelle proprie conoscenze. E dopo il lungo lavoro di approfondimento mettersi all’attivo, cioè mettersi in opera per creare esperienza che arricchirà il nostro sapere. Mai essere contenti di quello che si è conquistato. Cercare sempre di essere pronti ad acquistarne altro; e anche non avere preguidizi, cioè non pensare che tutto sia stato realizzato e raggiunto una volta per tutte: tutto può essere rimesso in discussione…
Siamo al punto che ormai non il battesimo e nemmeno il vangelo, non San Paolo, non San Girolamo o Sant’Agostino, anzi nemmeno l’Aquinate (San Tommaso), il più aristelico tra gi aristotelici, bastino a rendere uno cristiano, se non vi si aggiunge il visto di uno di questi baccellieri, tanta è la loro acutezza nel giudicare.
I baccellieri sono per Erasmo gli accademici, pedanti che distruggono la conoscenza, che viaggiano con la testa sempre voltata indietro: per loro, esperienza, sapere, è quello che è stato raggiunto magari secoli addietro e non si può più arricchire. Ci raggiunge adesso Loris, per recitarci con Miriana un passo da “Caronte”, uno dei dialoghi inseriti nei “Colloqui” di Erasmo. Vediamo cosa si dicono Caronte, che è lui, e Alastorre, che è lei:
ERASMO DA ROTTERDAM, COLLOQUI: CARONTE
CARONTE: Dove vai, Alastorre, tanto in fretta e così contento?
ALASTORRE: Caronte, venivo proprio da te.
CARONTE: Qualche novità?
ALASTORRE: Le Furie hanno svolto un buon lavoro: non c’è angolo della terra che non abbiano sommerso di mali infernali, discordie, guerre, ruberie e pestilenze, tanto che a furia di lanciare ovunque le loro chiome anguicrinite sono rimaste calve. E vanno in giro alla ricerca disperata di vipere, perché sono rimaste senza veleno. Su, prepara i remi e la barca: tra poco ci sarà qui una tale ressa di ombre che non riuscirai neppure a traghettarle tutte.
CARONTE: Ma queste cose le sapevamo già!
ALASTORRE: E da chi?
CARONTE: Sono due giorni che la Fama ce l’ha annunciato.
ALASTORRE: E che ha detto la fama?
CARONTE: Che tre monarchi, accecati da un odio mortale, si sono gettati in una guerra di reciproco sterminio. Aggiungici poi un nuovo contagio! E’ sorta una discordanza di opinioni che ha così profondamente guastato gli animi da rendere impossibile ogni amicizia sincera: il fratello diffida del fratello, la moglie litiga col marito!
ALASTORRE: Possiamo dunque sperare che ne esca un gran massacro di uomini!
CARONTE: Però c’è sempre il problema che salti fuori qualcuno che li esorti alla pace, come un certo grafomane che non la smette di accanirsi contro la guerra e di esortare alla pace!
ALASTORRE: Mah! Quello! E’ già da un pezzo che parla ai sordi! In compenso c’è chi giova alla nostra causa!
CARONTE: Chi?
ALASTORRE: Certi animali dal mantello nero e bianco che non abbandonano mai le corti dei principi e insulfano l’amore della guerra e persino nelle spiegazioni del vangelo si mettono a sbraitare che la guerra è giusta, santa e pia! Ai francesi assicurano che Dio è con loro, agli inglesi e agli spagnoli dicono invece che questa guerra non è condotta dall’imperatore, ma da Dio in persona! Che la vittoria è assicurata e che se qualcuno dovesse poi crepare salirà diritto al cielo!
CARONTE: Bene! Allora vado a comprarmi una trireme enorme, perché la vecchia barca non basta più..
ALASTORRE: E i rematori come te li procurerai?
CARONTE: Remeranno tutte le ombre, monarchi, cardinali e miseri plebei.
ALASTORRE: Benissimo! Vado a dare l’annuncio delle stragi all’inferno! Ma bada di tornare presto se non vuoi essere travolto dalla folla.
CARONTE: Cercherò di fare il più presto possibile. Tu torna subito e avvertile che le raggiungerò tra poco.
Sono contenti che arrivino tanti cristiani lì giù nell’inferno, grazie alle stragi condotte dalle guerre del periodo. Il grafomane di cui parla Caronte è Erasmo stesso, che predica contro la guerra e rovina la piazza ai due diavoli, ai quali la serie di conflitti serve per recuperare anime, in quanto i morti sono tutti peccatori, costretti ad ammazzare altre persone. Con questo tono scherzoso Erasmo fa un discorso molto serio contro le guerre di quel periodo, condotte per motivi che si approfondiscono con la protesta di Lutero.
Già prima Erasmo aveva iniziato a parlare dei problemi della Chiesa del suo tempo, aveva già previsto la necessità di avvicinare i testi sacri al popolo. Era come se avesse anticipato l’opera di Lutero stesso. Però, quando poi questi pubblica le sue Tesi e si manifesta a favore del “servo arbitrio”, di una concezione per cui non siamo liberi di scegliere, ma condizionati da una scelta che ha fatto già Dio per noi, Erasmo si ribella a questa interpretazione della fede, del comportamento dell’uomo nella società e scrive il “De libero arbitrio”, un trattato nel quale si sostiene l’importanza della libera possibilità di valutare cosa sia bene o male fare nella nostra vita. Questo atteggiamento però non gli impedisce di colpire i mali della Chiesa, rappresentati soprattutto nell’”Elogio della follia”, dove immagina la Follia personificata parlare di se stessa ed esaltare la sua funzione nella società, appunto intesa come capacità di coraggio e di scienza attiva, in un ambiente che invece è inerte, frenato dalla Controriforma. E ora un’altra giovane attrice, Tania, ci aiuterà ad approfondire questo rapporto di Erasmo con il suo tempo…
(Tania recita nei panni della Follia)
Vanno avvolti da schiere così fitte di definizioni magistrali,di conclusioni, di corollari, proposizioni implicite ed esplicite, dispongono di tal esercito di scappatoie, che neppure la rete di Vulcano riuscirebbe a prenderli.
Spiegano poi a loro piacimento gli arcani più misteriosi della fede. C’è minor colpa a scannar mille uomini che a rattoppare una volta sola la scarpa di un povero di domenica? Oppure, E’ preferibile che il modo scompaia con tutte le sue scarpe anziché pronunciare la più piccola, la più lieve bugietta, una sola?
Vi sono altri che giudicano una specie di sacrilegio, un’empietà imperdonabile parlar con la bocca immonda di misteri così alti, degni di essere adorati più che spiegati. E blaterando con siffatte vuotaggini per le scuole si illudono che altrimenti la Chiesa universale crollerebbe e che sono loro a reggerla con i loro sillogismi.
Se per disgrazia qualcosa non s’accorda con le loro conclusioni, esplicite ed implicite, loro, i censori del mondo, costringono l’imprudente alla ritrattazione, pronunziando come per bocca dell’oracolo la sentenza: “Questa proposizione è scandalosa,quest’altra poco rispettosa,questa puzza di eresia,quest’altra suona male”.
Grazie Tania. Abbiamo chiuso con le citazioni da Erasmo. Ricordiamo semplicemente che poi la sua opera è finita nell’Indice dei libri proibiti e che lui era grande amico di un altro grande umanista europeo, Thomas More, inglese. Era un laico, lo abbiamo già detto, ha avuto una vita tormentata in gioventù, poi ha cominciato ad affermarsi con la sua capacità di letterato, umanista, politico, è entrato nelle grazie di Enrico Ottavo nella corte d’Inghilterra e poi gli si è messo contro perché, quando il re ha creato l’Atto di Supremazia per lo scisma anglicano, lui, coscienza libera, non ha voluto accettarlo. Insieme con More c’era John Fisher, un altro grande intellettuale di quel tempo. E per questo ha pagato con la vita: un anno di prigione e poi la decapitazione. Nei mesi che precedettero la sua morte c’è tutta una corrispondenza con Erasmo. Ma con lui i contatti erano cominciati molto prima, avevano condiviso molte idee. More ha scritto soprattutto “Utopia”. Vediamo cosa ci dice in un passo dell’opera. Leggi Miriana…
TOMMASO MORO, L’UTOPIA O LA MIGLIORE REPUBBLICA, CAPITOLO II
Dunque la gioia nella vita, dicono gli Utopiani, cioè il piacere, ci viene imposto dalla natura stessa, come fine di tutte le azioni, e vivere secondo i dettati di natura viene definita la virtù…
(prosegue il professore) Ora, quando la natura invita i mortali ad aiutarsi l’un l’altro per una vita più lieta, e ben fa ad agire così, perché non c’è nessuno così al di sopra del destino del genere umano da essere a cuore lui solo alla natura, la quale invece porge il seno ugualmente a tutti quelli che abbraccia nella comunanza della stessa forma, evidentemente ci comanda con insistenza di badare a non assecondare il tuo vantaggio in modo da procurare danno agli altri.
E questo è lo spirito di Utòpia, o Utopia. Gli uomini devono aiutarsi tra di loro, non ci devono essere egoismi, ci deve essere pace, giustizia. Questo grande libro che poi è diventato modello per tutte le generazioni successive, è diviso in due parti. La prima è un’analisi cruda della società inglese, la seconda invece è il racconto di un viaggiatore che è stato in quest’isola immaginaria di Utopia, un termine che significa in greco “non luogo”. Dunque un’isola che non esiste, che poi ha dato l’avvio all’immaginazione di Bennato, Peter Pan, l’isola che non c’è e così via. Questo viaggiatore al suo ritorno narra di una società straordinaria, nella quale c’è armonia, un lavoro tranquillo, in equilibrio con lo studio, misto di manuale e intellettuale. Vengono cioè ripresentate le basi di quella società ideale in cui credevano non soltanto Moro ma anche Erasmo, gli umanisti, anche altri che vedremo nel contesto europeo e italiano, che esamineremo nele prossime lezioni, che ritenevano che bisognasse ristabilire un equilibrio tra la teoria e la pratica e che in una società in cui era sopravalutata l’anima bisognasse tornare a dare attenzione al corpo, come vedremo tra poco con Rabelais.
Ma prima in ultimo ricordiamo che nell’isola di Utopia tutto è organizzato secondo razionalità, armonia e soprattutto contatto con la natura, che è il grande polo positivo; il grande tema è la semplicità e la coerenza della vita, per cui non bisogna creare contrasti fra uomini che invece preferirebbero andare tutti d’accordo. Thomas More ed Erasmo sono vissuti nello stesso periodo, sono nati e morti pressappoco nello stesso anno, mentre un altro grande di questa letteratura del Cinquecento, Rabelais, è di una generazione più avanti, è nato al confine tra i due secoli ed è morto intorno alla metà del Cinquecento, quando Erasmo e Moro erano già deceduti da tempo.
Rabelais raccoglie questo spirito umanista e ci rappresenta in una maniera più ridanciana, più allegra, se vogliamo, l’umore di una società nuova, fiduciosa in se stessa, serena, popolana, sana, vera, autentica, di fronte a quell’ambiente che abbiamo visto descritto in parte da Erasmo e Moro come falso, ipocrita, stagnante, pieno di egoismi e di violenze. Rabelais è quello che, in questo passo del “Gargantua e Panagruel”, ci parla dell’Abbazia di Thélème, che fa costruire Gargantua per creare una nuova dimensione dell’educazione. E’ una strana situazione, nella quale si insegna quello che ora vi dirò:
FRANCOIS RABELAIS, GARGANTUA E PANTAGRUEL
Tutta la loro vita si svolgeva non secondo leggi, statuti o regole, ma secondo il volere di ciascuno, il loro libero arbitrio (si ritorna quindi al libero arbitrio di cui si parlava con Erasmo). Si levavano da letto quando loro piaceva, bevevano, mangiavano, lavoravano, dormivano quando ne avevano voglia. E nessuno li svegliava, nessuno li forzava a bere o a mangiare o a fare qualsiasi altra cosa. Così aveva stabilito Gargantua. La regola del convento era racchiusa in un solo articolo: FA’ CIO’ CHE VUOI. Giacché gli uomini liberi, ben nati e bene educati, avvezzi alle oneste compagnie, hanno di loro natura, ed è ciò che gli eremiti chiamavano onore, un istinto, uno stimolo che sempre li spinge ad azioni virtuose e li tiene lontani dal vizio, mentre, allorché per vile soggezione o per violenza sono oppressi e asserviti, volgono la nobile inclinazione per la quale spontaneamente tendevano alla virtù ad abbattere ed infrangere quel giogo, perché, se vi è un’azione proibita, è quella che noi intraprendiamo, e per tutto ciò che ci è negato ci struggiamo di desiderio.
Rabelais imposta una semplice e straordinaria idea, che se lasciamo libera la persona questa si comporta meglio che non se la costringiamo a fare una cosa di cui magari non è convinta. L’impostazione dell’educazione nel senso del fare apprendere nell’ambito delle naturali predisposizioni ancora insegna a noi docenti come confrontarci con voi studenti nel nostro lavoro. Ciò che qui comunque ci interessa, al di là del problema educativo, è la configurazione che Rabelais dà alla sua opera e alla presenza dell’uomo nel mondo. Pensate che leggeva il suo “Gargantua e Pantagruel” (ricordiamo che scrisse prima il “Pantagruel” poi il “Gargantua” e poi li mise nell’ordine, perché Gargantua era il padre di Pantagruel) alla gente comune, alla massa, nelle piazze di Parigi. E si divertiva a misurare la reazione diretta del popolo alle sue sfuriate contro la società per bene, anche alle sue volgarità qualche volta, alle sue amenità, alle sue piacevolezze.
I protagonisti del suo romanzo sono due giganti. E non a caso. Perché era quella un’epoca, come dicevamo prima, in cui il corpo veniva svalutato rispetto all’anima, veniva mortificato ancora, dalla Chiesa controriformista. Il risultato era la mancanza di equilibrio nella persona. E attraverso questo ribaltamento, questo rovesciamento creato dal protagonismo di due giganti, vuole richiamare la gente del suo tempo a una nuova fisicità, al rapporto armonico tra anima e corpo. C’era bisogno di un rovesciamento, tecnica tipica di Rabelais, per dare un’impostazione nuova e diversa, e quindi ancora più matura, al rinascimento. C’era bisogno cioè di negare i pregiudizi, i nuovi errori che si creavano al suo interno: pur essendo nata come stagione di grande rinnovamento, aveva già cominciato a compiere i suoi primi sbandamenti, irrigidendosi. Ebbene, questi tre grandi personaggi, Erasmo, Moro e Rabelais, sono lì posti dal destino a rendere meno ingessato questo periodo e a farlo maturare in pieno per le coscienze delle generazioni successive. Grazie a Miriana, la mia alunna reale che oggi è diventata protagonista con Loris e Tania, possiamo aver concluso una lezione importante sul rinascimento e dare appuntamento alla prossima, la ventiduesima.
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