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MACHIAVELLI: I Discorsi – GUICCIARDINI: I Ricordi




Antologia - 20^ Lezione
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Approfondimenti letterari
MACHIAVELLI: I DISCORSI - GUICCIARDINI: I RICORDI
 Siamo giunti alla ventesima lezione, delle ventiquattro in programma in questo primo anno della serie di Antologia. Ancora al mio fianco Barbara. L’altra volta abbiamo lasciato il discorso su Machiavelli con una lettura sul tema del contrasto fra virtù e fortuna e poi abbiamo dato un esempio pratico di questo contrasto nella commedia “La mandragola”, in cui si esercita la “virtù” di chi vuole ottenere uno scopo. In questo caso era la conquista di una donna, che in realtà poteva essere vista come la conquista dello Stato. Ragionando sempre sul tema della virtù, dell’iniziativa, della progettualità, continuiamo appunto ad identificare come grande senso e qualità dell’azione politica di Machiavelli questa capacità di credere nella forza operativa dell’uomo. Ribadisco questo perché oggi dobbiamo invece, metterlo a confronto con un altro grande protagonista della vita politica deL tempo, Francesco Guicciardini. Sono due tipi che, già lo abbiamo detto due lezioni fa, sono diversi. Ce lo ha ricordato De Sanctis, che amava l’uomo di Machiavelli, ma non l’uomo, cioè le caratteristiche, del Guicciardini, che vedeva troppo rinunciatario. Questo sarà argomento della seconda parte della lezione.
Dobbiamo completare intanto, in maniera sostanziale e fondamentale, la presentazione della trattatistica politica di Machiavelli con l’altra grande sua opera, i “Discorsi”, che, ricorderete, stava scrivendo mentre era segretario della repubblica, jnterrompendone la stesura quando fu allontanato da Firenze per il ritorno dei Medici, per scrivere il “Principe”, con cui sperava di essere riaccolto da loro. I “Discorsi” erano una meditazione repubblicana a favore di quella struttura per la quale serviva come segretario. Il titolo completo era “Discorsi sulla prima deca di Tito Livio”. Tito Livio, il grande storico romano del periodo augusteo, aveva scritto una storia romana dalle origini, “ab urbe condita”, dalla città fondata, dalla fond azione di Roma, dalla leggenda di Romolo e Remo, passando per i sette re, poi il primo periodo repubblicano, per arrivare al primo periodo imperiale, che era quello augusteo nel quale viveva. Era divisa in gruppi di dieci libri, che si chiamavano deche. La prima trattava della storia dalle origini alla fine della monarchia e all’inizio della repubblica. Machiavelli, con i suoi “discorsi”, i suoi ragionamenti, pone l’attenzione su questa parte dell’opera di Livio perché gli interessa proprio puntualizzare quanto sia stato importante il passaggio dalla monarchia alla repubblica in Roma e quanto siano stati importanti i tumulti, le rivolte di popolo, per il miglioramento della struttura economico-politica dello stato romano. Vorrei vedere subito, con le parole di Machiavelli, che cosa pensa sui conflitti sociali:
 
DISCORSI SULLA PRIMA DECA DI TITO LIVIO, LIBRO I, CAPITOLO IV
Io non voglio mancare di discorrere sopra questi tumulti che furono in Roma dalla morte de' Tarquinii alla creazione de' Tribuni; e di poi alcune cose contro la opinione di molti che dicono, Roma essere stata una republica tumultuaria, e piena di tanta confusione che, se la buona fortuna e la virtù militare non avesse sopperito a' loro difetti, sarebbe stata inferiore a ogni altra republica.
 
Machiavelli subito vuole confutare il giudizio di quelli che pensano che c’erano troppi tumulti a Roma e che è stata una fortuna per lei essersi salvata da quelli grazie alla sua arte militare. Rovesciando, ribaltando il ragionamento, dice, come vedremo,  che sono proprio i tumulti il segreto della sua fortuna…
 
Io non posso negare che la fortuna e la milizia non fossero cagioni dell'imperio romano; ma e' mi pare bene, che costoro non si avegghino, che, dove è buona milizia, conviene che sia buono ordine, e rade volte anco occorre che non vi sia buona fortuna.
 

Se tutto è andato avanti bene in Roma, ci sarà una ragione…
 
Ma vegnamo agli altri particulari di quella città. Io dico che coloro che dannono i tumulti intra i Nobili e la Plebe, mi pare che biasimino quelle cose che furono prima causa del tenere libera Roma;
 
Stanno biasimando, stanno condannando proprio la cosa migliore della sua storia, quella che ha consentito a Roma di diventare grande….
 
e che considerino più a' romori ed alle grida che di tali tumulti nascevano, che a' buoni effetti che quelli partorivano; e che e' non considerino come e' sono in ogni republica due umori diversi, quello del popolo, e quello de' grandi; e come tutte le leggi che si fanno in favore della libertà, nascano dalla disunione loro, come facilmente si può vedere essere seguito in Roma; perché da' Tarquinii ai Gracchi, che furano più di trecento anni, i tumulti di Roma rade volte partorivano esilio e radissime sangue. Né si possano per tanto, giudicare questi tomulti nocivi, né una republica divisa, che in tanto tempo per le sue differenzie non mandò in esilio più che otto o dieci cittadini, e ne ammazzò pochissimi, e non molti ancora ne condannò in danari. Né si può chiamare in alcun modo con ragione una republica inordinata, dove siano tanti esempli di virtù; perché li buoni esempli nascano dalla buona educazione, la buona educazione, dalle buone leggi; e le buone leggi, da quelli tumulti che molti inconsideratamente dannano: perché, chi esaminerà bene il fine d'essi, non troverrà ch'egli abbiano partorito alcuno esilio o violenza in disfavore del commune bene, ma leggi e ordini in beneficio della publica libertà.
 
In sintesi, i tumulti hanno generato la creazione della figura del tribuno della plebe, che, come sostiene già Livio, e Machiavelli pure in altri punti, fa sì che la voce del popolo sia sentita nel senato romano, che di conseguenza procede a quelle riforme che cambieranno la struttura dello stato in maniera che anche i contadini, anche i poveri si sentano motivati alle conquiste, perché da allora in poi si comincerà a distribuire a loro le nuove terre, grazie all’opera dei tribuni della plebe, Tiberio e Caio Gracco. E quando questi poveri andranno a combattere, andranno più motivati degli eserciti di altri popoli, che combattono senza motivazione perché sanno che lo fanno nell’interesse dei ricchi e non per un loro utile. Quindi la creazione dei tribuni della plebe, che è opera dei tumulti, fa sì che i soldati combattano con maggiore interesse e Roma conquisti sempre maggiori terre…
 
E se alcuno dicessi: i modi erano straordinarii, e quasi efferati, vedere il popolo insieme gridare contro al Senato, il Senato contro al Popolo, correre tumultuariamente per le strade, serrare le botteghe, partirsi tutta la plebe di Roma, le quali cose tutte spaventano, non che altro, chi le legge; dico come ogni città debbe avere i suoi modi con i quali il popolo possa sfogare l'ambizione sua, e massime quelle città che nelle cose importanti si vogliono valere del popolo: intra le quali, la città di Roma aveva questo modo, che, quando il popolo voleva ottenere una legge, o e' faceva alcuna delle predette cose, o e' non voleva dare il nome per andare alla guerra,
 
Il popolo andava assecondato, in parte almeno, alltrimenti non andava alla guerra…
 
tanto che a placarlo bisognava in qualche parte sodisfarli. E i desiderii de' popoli liberi rade volte sono perniziosi alla libertà,
 
I desideri dei popoli liberi raramente sono dannosi per la libertà. Quando il popolo si muove, non chiede qualcosa che sia contro la libertà. Mentre i pochi possono chiedere di limitarla, la massa, invece, chiede, almeno chiede, che ce ne sia di più…
 
perché e' nascono, o da essere oppressi, o da suspizione di avere ad essere oppressi.
 
Se il popolo si muove perché teme di essere oppresso, o perché sospetta di potere essere oppresso, quando si muove non può andare altro che nella ricerca della libertà, mai della schiavitù o della tirannia…
 
E quando queste opinioni fossero false e' vi è il rimedio delle concioni, che surga qualche uomo da bene, che, orando (parlando), dimostri loro come ei s'ingannano: e li popoli, come dice Tullio (Cicerone), benché siano ignoranti, sono capaci della verità, e facilmente cedano, quando da uomo degno di fede è detto loro il vero.
 
Ammesso pure che avessero sbagliato, questi popoli, ci sono delle assemblee, in cui raramente si prendono decisioni sbagliate, e se accade, il popolo è anche pronto ad accettare i consigli che lo riportino sulla via giusta…
 
Debbesi, adunque, più parcamente biasimare il governo romano; e considerare che tanti buoni effetti, quanti uscivano di quella republica, non erano causati se non da ottime cagioni. E se i tumulti furano cagione della creazione de' Tribuni, meritano somma laude, perché, oltre al dare la parte sua all'amministrazione popolare, furano constituiti per guardia della libertà romana, come nel seguente capitolo si mosterrà.
 
E infatti nel capitolo successivo dimostrerà quello che noi abbiamo già anticipato, che sulle agitazioni sociali si basano i migliori provvedimenti di uno Stato. Quanta materia c’è per le trasformazioni dei nostri tempi! Precisato questo, chiariamo pure che Machiavelli dice in altri punti che le decisioni prese dal popolo, dai rappresentanti del popolo in un governo repubblicano, sono sempre migliori di quelle prese da uno solo. Naturalmente in questo caso non si riferisce all’epoca romana, ma alla propria, quella della Firenze repubblicana. Lo sostiene perché le decisioni prese dai rappresentanti di tutti sono assunte in nome degli interessi di tutti, mentre quelle adottate da uno solo lo sono in nome degli interessi di uno solo. Certe volte possono rivelarsi anche quest’ultime favorevoli alla comunità, però molto spesso possono essere soltanto ricerca dell’interesse privato da parte di chi governa, del dittatore del momento.
C’è quindi questa grande professione di democrazia, di senso della repubblica, di favore al popolo anche, mentre fra poco, quando leggeremo i giudizi dell’aristocratico Guicciardini, nei suoi “Ricordi”, troveremo tutta un’altra atmosfera, un atteggiamento un po’ così…
BARBARA: Conservatore…
Conservatore, senz’altro, e anche con distacco nei confronti della “plebaglia”, che per lui faceva soltanto cose sbagliate, non bisognava mai ascoltarla. Ed erano pochi quelli che dovevano comandare, guidare tutto.
Guicciardini è stato protagonista anche lui della vita politica del tempo, appena un po’ dopo Machiavelli, è vissuto nella Firenze di quel periodo, ha partecipato all’esperienza medicea nella città, poi si è trovato nel momento in cui era ritornato il governo popolare, grazie al Sacco di Roma, nel 1527, l’anno in cui i riflessi della caduta del papa, con l’ingresso dei Lanzichenecchi, tedeschi guidati da Carlo Quinto, si riverberarono su Firenze, dove i Medici, che erano collegati al papa, che era appunto della loro famiglia, cedettero il potere e dalla repubblica degli Ottimati, come la chiamava anche la gente aristocratica e conservatrice, in cui credeva Guicciardini, si passò a un governo di popolo. E Guicciardini si ritirò.
E nel periodo appunto più cupo, in cui si ritrae così mortificato dall’esperienza di una Firenze che è ritornata nelle mani del popolo, dal suo punto di vista conservatore un fatto veramente negativo, scrive i suoi “Ricordi”. Ho ribadito questo perché in fondo in quest’opera Guicciardini è più cupo di quanto non sia in altre fasi della sua vita; e quindi questo scetticismo, questo cinismo, questa rassegnazione che leggiamo nei “Ricordi”, che adesso ci presenterà Barbara (quacuno anche io), si spiegano con questo momento negativo in cui, dopo il 1527, Guicciardini si sente sfiduciato. Cominciamo appunto dal testo, per poi ricostruirvi la personalità di quest’uomo. Da quale partiamo?
BARBARA: Dal 6.
 
FRANCESCO GUICCIARDINI, RICORDI, 6: DISCREZIONE ED ESPERIENZA
È grande errore parlare delle cose del mondo indistintamente e assolutamente e, per dire così, per regola; perché quasi tutte hanno distinzione e eccezione per la varietà delle circunstanze, le quali non si possono fermare con una medesima misura; e queste distinzione e eccezione non si truovano scritte in su' libri, ma bisogna le insegni la discrezione.
 
La prima considerazione che ci presenta qui Guicciardini è che non si può parlare così, in genere, di tutto. Ogni situazione ha una sua caratteristica particolare e quindi va analizzata, con la discrezione, cioè con il nostro giudizio, che è frutto della nostra esperienza. Dunque, l’uomo politico per Guicciardini è colui che è dotato di discrezione, di capacità di giudizio, di analisi dei problemi sulla base della propria esperienza. Guardate che Guicciardini dal punto di vista del metodo storiografico è veramente superiore a Machiavelli. Lo avevamo anticipato alcune lezioni fa. Qui però quello che ci colpisce è la sottolineatura nei confronti di Machiavelli, che aveva parlato per teoria, a cui replica che è inutile farne, bisogna analizzare caso per caso. Leggo un altro ricordo…
 
10. PRUDENZA NATURALE ED ESPERIENZA
Non si confidi alcuno tanto nella prudenzia naturale che si persuada quella piú bastare sanza l'accidentale della esperienzia; perché ognunoche ha maneggiato faccende, benché prudentissimo, ha potuto cognoscere che con la esperienzia si aggiugne a molte cose, alle quali è impossibile che el naturale solo possa aggiugnere.
 
Tenendo presente sempre Machiavelli, Guicciardini dice: ci sono molti che pensano che basti la loro prudenza o saggezza naturale o capacità originaria per risolvere le cose; invece queste si risolvono solo con l’esperienza, non ti puoi fidare sulla tua istintiva capacità innata di analizzare le cose. Eppure Machiavelli non era uno che rifuggisse dall’esperienza. Ricordate quanto dicemmo a proposito della lettera al Vettori, quando era costretto a non fare nulla, nell’esilio di San Casciano, e però lo stesso…
BARBARA: Faceva esperienza con le persone del villaggio…
E cercava di indagare, sapere quali erano le loro esigenze. Qualcosa rimane delle nostre lezioni! Andiamo avanti…

 
(legge Barbara)
35. TEORIA E PRASSI
Quanto è diversa la pratica dalla teorica! quanti sono che intendono le cose bene, che o non si ricordano o non sanno metterle in atto! Ed a chi fa cosí, questa intelligenzia è inutile; perché è come avere uno tesoro in una arca con obbligo di non potere mai trarlo fuora.
 
Si commenta da solo. Non basta progettare, bisogna anche realizzare. Secondo Guicciardini, i progetti impossibili è meglio non concepirli proprio. Ce l’ha sempre con Machiavelli. Ne leggo un altro:
 
30. LA FORTUNA
Chi considera bene non può negare che nelle cose umane la fortuna ha grandissima potestá, perché si vede che a ogn'ora ricevono grandissimi moti da accidenti fortuiti, e che non è in potestá degli uomini né a prevedergli né a schifargli;
 
Una settimana fa abbiamo letto un giudizio opposto di Machiavelli: è vero che la fortuna si comporta come certi dicono (e fra i “certi” c’è appunto Guicciardini), però, ciò nonostante, “nondimanco”, qualcosa possiamo fare. Invece Guicciardini dice che non è in “potestà” degli uomini né prevedere né “schifare”, evitare,  gli “accidenti” della fortuna. Machiavelli diceva che…
BARBARA: Si può arginare…
Si può prevedere e tentare di evitarli…

 
e benché lo accorgimento e sollecitudine (l’attenzione) degli uomini possa moderare molte cose, nondimeno sola non basta, ma gli bisogna ancora la buona fortuna.
 
Machiavelli non sarebbe completamente in disaccordo con questo, ma l’impostazione generale è una sfumatura importante. In Guicciardini prevale la rassegnazione: qualcosa possiamo modificare, prevedendo, ma non basta, bisogna avere ancora buona sorte. Machiavelli direbbe invece: una volta che ci siamo preparati, una volta che abbiamo fatto gli argini, non è sicuro che ce la faremo, però è molto più probabile. Mentre Guicciardini è come se dicesse che è appena un po’ probabile, forse, che ce la faremo. Vediamone un altro…
 
(legge Barbara)
85, LA SORTE DEGLI UOMINI
La sorte degli uomini non solo è diversa tra uomo e uomo, ma etiam in sé medesimo, perché sarà uno fortunato in una cosa e infortunato in un'altra. Sono stato felice io in quelli guadagni che si fanno sanza capitale con la industria sola della persona, negli altri infelice: con difficultà ho avuto le cose quando l'ho cercate; le medesime non le cercando, mi sono corse drieto.
 
Chi ci ricorda questo? Uno che ha trovato le cose quando non le cercava…
BARBARA: Ariosto, nell’”Orlando furioso”.
Brava. E infatti Guicciardini ripete questo discorso ariostesco, crede moltissimo nel caso, come Ariosto, e lo applica in politica. Lui è contro le teorizzazioni, di cui si parlava prima, perché il caso è così imprevedibile, così strano, che è inutile che noi cerchiamo di fare progetti, di fare programmi, di costruirci il futuro, perché poi troviamo sorprese; dobbiamo solamente avere buona sorte, come dicevamo prima. Voglio ricordare un’altra di queste riflessioni di Guicciadini. Parlando sempre del fatto che la nostra vita è molto affidata alla buona sorte, lui dice che per esempio nella vita dei campi ci sono tante pestilenze, tante condizioni legate alle caratteristiche climatiche del momento, che si meraviglia che ci siano dei raccolti buoni nell’anno. Perché per andare a un buon raccolto bisogna superare tante di quelle difficoltà (cioè devono esserci le piogge, non ci devono essere gelate eccetera) che è quasi un prodigio ogni buon raccolto di ogni annata. La stessa cosa la ripete per la vita dell’uomo. Per lo stesso criterio non c’è cosa che lo meravigli di più che vedere tanti anziani. Vedere tante persone di matura età è sconvolgente, perché la nostra vita ha tali di quegli impedimenti che è difficile che si possa arrivare alla vecchiaia. Questo per dirvi sempre dello scetticismo di Guicciardini. Andiamo avanti…
 
110. L’ASINO E IL CAVALLO
Quanto si ingannono coloro che a ogni parola allegano e Romani! Bisognerebbe avere una città condizionata come era loro, e poi governarsi secondo quello esemplo; el quale a chi ha le qualità disproporzionate è tanto disproporzionato, quanto sarebbe volere che uno asino facessi el corso di uno cavallo.
 
Guicciardini ce l’ha proprio con Machiavelli.  Quanto si ingannano quelli che “allegano”, cioè presentano a ogni parola, a ogni loro discorso, a ogni momento del loro ragionamento politico, i romani. E infatti Machiavelli aveva scritto i “Discorsi sulla prima deca di Tito Livio” e aveva parlato dei romani. E aveva detto anche, in genere, una cosa che non abbiamo sottolineato abbastanza prima, che negli esempi antichi ci sono gli ammaestramenti per la politica dell’oggi. In fondo lo aveva affermato anche nella lettera al Vettori, ricorderai, lì dove si addentra nella lettura dei testi antichi per aggiungere l’esperienza degli antichi a quella contemporanea e poi fare politica. E Guicciardini dice: quanto sbagliano questi che vogliono trattare la politica attuale con metodi che ricavano dall’esperienza che hanno fatto gli antichi; le condizioni mutano tanto che è impossibile applicare i metodi che avevano applicato i romani in situazioni che sembravano simili nella nostra epoca, perché, se lo sono, comunque hanno quelle sfumature importanti, legate al cambiamento dei tempi, che non ci consentono di utilizzare quell’esperienza  per un caso analogo in una situazione dei nostri tempi. Ha un po’ ragione Guicciardini, ma il problema è nel metodo di fondo dell’atteggiamento politico, rinunciatario. Questo il suo difetto, anche agli occhi di De Sanctis, come dicevamo. Per questo cosa dobbiamo fare? Rinunciare ad ogni teoria, ad ogni costruzione politica? Vediamone un altro…
 
117. GLI ESEMPI 
È fallacissimo il giudicare per gli esempli; perché se non sono simili in tutto e per tutto, non servono; conciosia che ogni minima varietà nel caso può essere causa di grandissima variazione nello effetto; e el discernere questa varietà, quando sono piccole, vuole buono e perspicace occhio.
 
E’ una ripetizione di quanto detto prima. Ci sarebbe ancora una serie di ricordi…
 
15. ONORE E UTILE
Io ho desiderato, come fanno tutti gli uomini, onore e utile; e n'ho conseguito molte volte sopra quello che ho desiderato o sperato; e nondimeno non v'ho mai trovato drento quella satisfazione che io mi ero immaginato; ragione, chi bene la considerassi, potentissima a tagliare assai delle vane cupidità degli uomini.
 
Ho desiderato l’onore e l’utile, eppure, quando li ho raggiunti, non c’era quella soddisfazione che avevo immaginato. E’ il classico contrasto fra sogno e realtà. Immagini una cosa, quando la raggiungi però non ha il sapore che ti aveva promesso nel momento in cui la prefiguravi. Leopardi sarà il maestro nel caratterizzare questo. Qui in fondo appare più umano Guicciardini, che dice di avere sperato nella sua vita l’onore e l’utile. Attenzione, non solo l’utile ma anche l’onore, il prestigio. Questo lo riscatta un poco; perché non abbiamo ancora detto una cosa che nelle mie lezioni è stata sempre riservata per ultima, per non incoraggiare lo stereotipo negativo nei confronti di Guicciardini: lui ha sempre affermato che il politico, o l’uomo comunque, deve badare al suo “particulare, che sarebbe l’interesse personale e pirivato. Se lo guardiamo sotto questo aspetto, ci appare come una persona gretta, che pensa al suo utile. Ma già in questo ricordo ci dice che ha desiderato non solo questo ma anche l’onore, quindi corregge il tiro. La ricchezza, il benessere, ma anche con onore, con dignità, con prestigio legati a questo. Cioè ha voluto affermarsi come uomo degno nella società, non come uomo corrotto. Ne leggiamo un altro:
 
28. GLI SCELLERATI PRETI
Io non so a chi dispiaccia piú che a me la ambizione, la avarizia e le mollizie de' preti; sì perché ognuno di questi vizii in sé è odioso, sì perché ciascuno e tutti insieme si convengono poco a chi fa professione di vita dipendente da Dio; e ancora perché sono vizii sì contrarii che non possono stare insieme se non in uno subietto molto strano. Nondimeno el grado (i buoni rapporti) che ho avuto con piú pontefici, m'ha necessitato a amare per el particulare mio la grandezza loro; e se non fussi questo rispetto, arei amato Martino Luter quanto me medesimo, non per liberarmi dalle legge indotte dalla religione cristiana nel modo che è interpretata e intesa communemente, ma per vedere ridurre questa caterva di scelerati a' termini debiti, cioè a restare o sanza vizii o sanza autorità.
 
E’ un po’ contraddittorio. In quest’ultima parte, come mai, dimostra una grande forza di negazione nei confronti del sopruso: questi preti si comportano male e vanno trattati male. Contemporaneamente, però, dice che ha servito i papi e si è adattato a questa gente perché ricavava un utile dalla frequentazione di questo ambiente. C’è poi questo cenno a Martin Lutero. Parleremo, naturalmente, della lotta di Lutero contro la corruzione della Chiesa e della sua polemica contro la vendita delle indulgenze, da cui parte nel 1517 la famosa Protesta, con l’affissione delle Tesi sul portale della Cattedrale e tutto quello che ne è seguito. Lo vedremo anche attraverso quello che leggeremo e inquadreremo della figura del grandissimo Erasmo da Rotterdam e di quello che accade in questo periodo. Erasmo è contemporaneo di Guicciardini e Tommaso Moro. Sono i grandi oggetto della nostra lezione la prossima volta. Però voglio, prima di chiudere, leggere quest’ultimo ricordo:
 
66. CHI PREDICA DI LIBERTÀ
Non crediate a costoro che predicano sí efficacemente la libertá, perché quasi tutti, anzi non è forse nessuno che non abbia l'obietto agli interessi particulari, e la esperienzia mostra spesso, e è certissimo, che se credessimo trovare in uno stato stretto (meno libero) migliore condizione, vi correrebbono per le poste (vi correrebbero subito).
 
Non credete a tutti questi che predicano la libertà, perché dicono di volerla, ma in realtà pensano al proprio interesse e (vedi quanto è negativo quello che dice Guicciardini) se in uno stato meno libero potessero avere più guadagno predicherebbero non quello più libero, ma quello meno libero. Come vedi, non è molto educativo, soprattutto per voi giovani, un personaggio come Guicciardini. Arrivederci alla prossima lezione.
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Approfondimenti letterari

In questa sezione si trovano i testi (passi antologici) tratti dalle opere più significative della tradizione letteraria italiana e, occasionalmente, straniera, con una sintetica introduzione, note esplicative, una breve interpretazione. 
 
Francesco Guicciardini
    Contro l'astrologia (Ricordi, 57, 58, 125, 207)
    Il problema degli eserciti (Ricordi, 64, 67, 205)
    Simulazione e dissimulazione (Ricordi, 44, 104, 105, 199)
    L'ambizione (Ricordi, 28, 29, 48)
    Discrezione e fortuna (Ricordi, 15-17, 32, 118)
    La tirannide (Ricordi, 13, 18, 40, 98, 100, 103, 220)
    I consiglieri del principe (Ricordi, 3, 52, 88, 90)
    Il proemio della Storia d'Italia (Storia d'Italia, I.1-2)
    La morte di Alessandro VI (Storia d'Italia, VI.4)
    Le scoperte geografiche (Storia d'Italia, VI.9)