Antologia - 18^ Lezione
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Approfondimenti letterari (in coda alla pagina)
MACHIAVELLI: LA CRITICA, LA LETTERA AL VETTORI, IL PRINCIPE, CESARE BORGIA
Siamo alla diciottesima lezione di Antologia, dedicata a Machiavelli, sempre con Barbara. Nel Cinquecento si sviluppano molto i trattati, un genere che consisteva in un esame quasi scientifico di ogni problema. Tra quelli politici ci sono il “Principe” e i “Discorsi”di Niccolò Machiavelli, che è stato un protagonista della vita politica fiorentina di questo periodo ed è diventato poi la base del pensiero politico italiano, europeo e mondiale, un grande punto di riferimento degli studi di questo settore. E’ Machiavelli che ha fondato, si dice, la scienza politica, distinguendo l’etica dalla politica, assegnando a quest’ultima un campo tutto suo, che prescinde dalla stessa morale. Barbara ci potrà illuminare in proposito leggendo ora alcuni giudizi. Sul rapporto tra politica e morale ci sarebbero i quelli negativi di Manzoni, poi quelli più costruttivi di De Sanctis e di Croce. Il grosso tema è appunto quello che nel testo di Machiavelli si suggeriscono agli uomini politici degli atteggiamenti, dei comportamenti che non hanno niente a che vedere con la morale. Croce lo ribadisce, non vedendolo però come un fatto negativo: non tutto ciò che è politico è morale e non tutto ciò che è morale è politico. Mentre Manzoni non riusciva ad abbandonare le sue resistenze nei confronti di un tema di questo genere. Partiamo dunque dalle parole di un contemporaneo quasi di Machiavelli, Traiano Boccalini nei “Ragguagli del Parnaso” …
TRAIANO BOCCALINI, RAGGUAGLI DEL PARNASO
Il vero significato del “Principe” sarebbe quello di svelare ai popoli la perfidia dei tiranni e dare così loro armi per combatterli.
E’ come se recuperasse la cosiddetta immoralità del gesto politico suggerito da Machiavelli al principe dicendo che sembra voler dare consigli al principe, ma in realtà vuole svelare al popolo quanto sia crudele il potere, per spingerlo a ribellarsi. Che è la tesi che in fondo ha sostenuto anche Foscolo nei “Sepolcri”, laddove dice “gli allor ne sfronda” e svela “di quante lacrime grondi” il potere politico, quando parla di Santa Croce e del sepolcro di Machiavelli, volendo accreditare proprio questa immagine del Boccalini, che il fiorentino sembra spingere il potere ad adottare questi sistemi, ma in realtà vuole sottolinearne gli aspetti perversi per condannarli davanti all’opinione pubblica. Foscolo la pensa come Alfieri, che nel suo trattato “Della tirannide” naturalmente non può accettare simpatie per nessun tiranno, in nome della libertà. Anche nell’altro trattato “Del principe e delle lettere” ci dice qualcosa sul rapporto fra il letterato e il principe…
VITTORIO ALFIERI, DELLA TIRANNIDE
Le massime immorali tiranniche sono messe in luce molto più per disvelare ai popoli le ambizioni e avvenute crudeltà dei principi che non certamente per insegnare ai principi a praticarle, poiché essi più o meno sempre le adoperano.
Come vedete, siamo sempre sulla stessa linea di Boccalini. Ma, visto che ci siamo, concludiamo con questo giudizio di Gramsci su Machiavelli…
ANTONIO GRAMSCI, QUADERNI DAL CARCERE
Machiavelli non si rivolge tanto a chi già conosce e applica l’arte del governo quanto a chi non sa: la classe rivoluzionaria del tempo, il popolo e la nazione italiana, la democrazia cittadina. Si può ritenere che Machiavelli voglia persuadere queste forze della necessità di avere un capo che sappia ciò che vuole e come ottenere ciò che vuole e di accettarlo con entusiasmo anche se le sue azioni possono essere o parere in contrasto con l’ideologia diffusa nel tempo, la religione.
Addirittura Antonio Gramsci, il grande ideologo del comunismo e della sinistra del Novecento, sostiene che il contenuto del “Principe” di Machiavelli sia il rispetto del capo, che prende decisioni che magari la massa protagonista della storia potrebbe non condividere; ma lui sa lo scopo che deve raggiungere e quindi bisogna riconoscergli questa capacità e concedergli, accettare le sue scelte, perché anche quello che a noi sembra sbagliato è diretto a uno scopo che ci coinvolge, noi come popolo: quindi il principe come capopopolo addirittura.
Abbiamo premesso questa breve rassegna critica per impostare subito il problema. Intanto Machiavelli è stato un animale politico, ha partecipato alla vita pubblica della Firenze del suo tempo quando era repubblicana, perché c’era già stato, dopo Lorenzo, Savonarola. Era stato segretario della repubblica fiorentina; aveva fatto anche dei viaggi in quel periodo, prima del 1512. Era andato in Francia e in Germania e aveva scritto due trattati: “Ritratto delle cose della Magna” e “Ritratto delle cose di Francia”. Scopre che quella Francia in cui si è verificata già l’unità della nazione è prospera, avanti economicamente. Comincia già allora a meditare sulla necessità per l’Italia di diventare anch’essa una nazione più consistente che non quei piccoli stati in cui è divisa. Almeno l’Italia del centronord, in maniera che possa avere un’economia più imponente e degna di un confronto e quindi una concorrenza con la grande economia francese. Grandissima intuizione e scoperta di Machiavelli, che lavorerà a questo progetto. Al di là delle sue convinzioni, posizioni per la repubblica o per il principato, che adesso vedremo, il fatto sostanziale è la presenza di un progetto. Infatti anche De Sanctis, quando parlerà di Machiavelli e lo confronterà con Guicciardini, che sarà argomento di una prossima lezione, dirà che dell’uomo di Guicciardini (il saggio è intitolato “L’uomo del Guicciardini”) a lui non piace il fatto che non sia capace di progetti, pensi soltanto al suo “particulare”, al suo interesse privato e personale, contemporaneo e non pensi al futuro. Mentre Machiavelli si preoccupa del futuro della società, di un’intera nazione, di un intero popolo. Il progetto suo è quello che un principe debba conquistare il potere per unificare il territorio e dopo ci si animerà sulla discussione tra governo di un principe e governo di rappresentanti del popolo, soltanto dopo. E quello che conterà sarà avere unificato il territorio e avergli dato quella consistenza economica che consentirà appunto di recuperare una concorrenza nei confronti della Francia e degli altri grandi paesi in quel periodo e dare benessere a tutto il popolo. Questo è il progetto che vede De Sanctis in Machiavelli e che il critico esalta perché, come dicevamo nell’altra lezione, è protagonista del Risorgimento nello stesso periodo e sta vivendo proprio il processo stesso di unificazione dell’Italia che Machiavelli non è riuscito a spingere abbastanza avanti, che si è realizzata molto tardi, nell’Ottocento, e che promette, De Sanctis lo crede, di dare alla popolazione finalmente quel benessere che dovrà derivare dalla sua maggiore portata economica. Che poi le cose non siano andate proprio così è un altro discorso che riserviamo a un altro anno scolastico; e sarà un discorso anche importante.
Quindi, fatti questi viaggi, Machiavelli lavora a questo progetto di unificazione dell’Italia, ma nel frattempo cade il governo repubblicano, tornano i Medici in Firenze e lui si vede costretto ad isolarsi a San Casciano, l’Albergaccio, così lo chiama lui. In questa lettera a Francesco Vettori descrive il suo vivere in quel luogo. Dopo alcune premesse, dice…
NICCOLO’ MACHIAVELLI, LETTERA A FRANCESCO VETTORI
Io mi sto in villa; e poi che seguirono quelli miei ultimi casi, non sono stato, ad accozzarli tutti, venti dí a Firenze. Ho insino a qui uccellato a' tordi di mia mano (sono andato a caccia). Levavomi innanzi dí, impaniavo, andavone oltre con un fascio di gabbie addosso, che parevo el Geta quando e' tornava dal porto con i libri di Amphitrione (citazione di Plauto, infatti Machiavelli era un grande umanista e lo vedremo più avan ti); pigliavo el meno dua, el più sei tordi. E cosí stetti tutto settembre. Di poi questo badalucco (questo divertimento), ancoraché dispettoso e strano, è mancato con mio dispiacere: e quale la vita mia vi dirò.
Mi è mancata anche la caccia e, esauritosi questo passatempo, vi dirò qual è la mia vita. E qui comincia a descrivere una giornata mortificante, per lui che era abituato ad essere il protagonista come segretario della repubblica fiorentina…
Io mi lievo la mattina con el sole, e vòmmene in un mio bosco che io fo tagliare, dove sto dua ore a rivedere l'opere del giorno passato, e a passar tempo con quegli tagliatori, che hanno sempre qualche sciagura alle mani o fra loro o co' vicini.
Cioè sto a parlare e a sentire le chiacchiere dei boscaioli, io che facevo politica...
(…) Partitomi del bosco, io me ne vo ad una fonte, e di quivi in un mio uccellare. Ho un libro sotto, o Dante o Petrarca, o uno di questi poeti minori, come Tibullo, Ovidio e simili: leggo quelle loro amorose passioni, e quelli loro amori ricordomi de' mia: gòdomi un pezzo in questo pensiero. Transferiscomi poi in sulla strada, nell'hosteria; parlo con quelli che passono, dimando delle nuove de' paesi loro; intendo varie cose, e noto varii gusti e diverse fantasie d'huomini.
Sembra buttata lì questa espressione, e spesso nemmeno i professori la notano con i loro studenti, ma è importantissima, perché Machiavelli dice: non riesco a fare niente, a fare vita politica, però anche questo esilio lo utilizzo, perché nello spostarmi verso l’osteria fermo le persone che passano e domando dei loro problemi, perché questo mi serve per scrivere i trattati di politica. E’ l’osservazione della vita dell’uomo che porta a stabilire che cosa sia necessario nella vita politica. E quindi lui fa esperienza, è come Leonardo, fonda il valore dell’esperienza nella scienza. Bisogna in questo caso osservare l’oggetto della scienza politica, che è l’uomo stesso, con le sue abitudini, i suoi problemi, le sue esigenze. Il politico deve risolvere le criticità dell’uomo che incontra per strada…
Viene in questo mentre l'hora del desinare, dove con la mia brigata mi mangio di quelli cibi che questa povera villa e paululo patrimonio comporta.
Mangio quel poco che mi può dare quel piccolo patrimonio, quella villa. Allude al fatto che non ha più i soldi che aveva quando era segretario…
Mangiato che ho, ritorno nell'hosteria: quivi è l'hoste, per l'ordinario, un beccaio, un mugnaio, dua fornaciai.
Questi sono i suoi compagni. Lui, segretario della repubblica fiorentina, con un oste, un macellaio, un mugnaio e due fornai. Ma qui non c’è la superbia dell’uomo. C’è semplicemente la costatazione di come è ridotto male…
Con questi io m'ingaglioffo (mi abbrutisco) per tutto dí giuocando a cricca, a trich-trach, e poi dove nascono mille contese e infiniti dispetti di parole iniuriose; e il più delle volte si combatte un quattrino, e siamo sentiti non di manco gridare da San Casciano. Cosí, rinvolto in tra questi pidocchi (avvolto in questa vita da pidocchio), traggo el cervello di muffa,
Ecco l’ottimismo di Machiavelli: almeno tiro il cervello fuori dalla muffa, almeno qualcosa faccio. A proposito di ottimismo, quando De Sanctis dice di amare Machiavelli rispetto a Guicciardini perché è capace di progetti, dice anche che Machiavelli, pure pessimista, non lo è al punto di rinunciare. Sa che la vita di quel tempo è fatta di ingiustizie, di patti che non vengono rispettati (nella lezione precedente abbiamo detto che fanno una certa fine sulla luna i trattati, che non vengono onorati), però spera lo stesso di trovare i sistemi per potere operare in questo mondo pieno di inganno...
e sfogo questa malignità di questa mia sorta, sendo contento mi calpesti per questa via, per vedere se la se ne vergognassi.
Scherza un po’ amaramente: voglio vedere se la sorte si vergogna di avermi ridotto in queste condizioni, vedendomi ingaglioffire, abbrutire in mezzo a questa roba…
Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini (leggendo i testi del passato), dove, da loro (dagli autori del passato) ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio (della sapienza) e ch’io nacqui per lui (per il quale sono nato); dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro.
Due concetti. Uno è l’ultimo, che quando lui legge e studia diventa sereno e dimentica tutti i suoi guai. L’altro, il primo, è che lui “domanda” agli antichi: cioè per fare scienza politica bisogna sentire gli antichi, bisogna leggerli e confrontarsi con loro. E non si vergogna di farlo e mette a frutto anche la loro esperienza, che si aggiunge a quella dei suoi tempi, che abbiamo visto nel suo interrogare continuamente le persone per strada. E questo è il succo del metodo di Machiavelli, che non era uno di quelli che confrontavano le fonti, come poi avrebbe fatto Guicciardini, però aveva questa base importante, quella di lavorare sulla realtà umana del presente e sulla realtà umana del passato, lui grande umanista. E notiamo poi quel mettersi in “panni curiali”. Lui si veste “condecentemente” per entrare nell’atmosfera di severità del compito. E qui siamo all’ultimo punto…
E perché Dante dice che non fa scienza sanza lo ritenere lo havere inteso - io ho notato quello di che per la loro conversazione ho fatto capitale, e composto uno opuscolo De principatibus;
Riassumo il seguito. Dice di avere scritto un trattato “De principatibus” e lo indirizza al Medici, dal quale vuole nuova protezione, ora che i vecchi signori sono tornati a Firenze. Si sente escluso, esiliato, vorrebbe tornare alla vita politica e pensa che con questo trattato possa essere riaccolto.
Infatti, questa lettera è del dicembre 1513, poco tempo dopo lui andrà al servizio dei Medici. Vi dico soltanto che in realtà, quando era sotto la repubblica, aveva iniziato un’altra opera i “Discorsi sulla prima deca di Tito Livio”, che parlavano del sistema repubblicano e non di quello monarchico o del principato. Adesso, che è finita la repubblica, decide di scrivere questo trattato per poter riavere udienza presso i Medici e tornare a fare qualcosa. Tra l’altro, in un punto che qui non è riportato, dice che vorrebbe tornare a fare qualcosa anche se fosse soltanto “voltolare un sasso”: anche girare un sasso, pur di fare qualcosa, non rimanere inattivo.
Dunque, interrompe I “Discorsi” e scrive il “Principe”. Il titolo è : ”Sui principati, come si acquistano, si mantengono, si perdono”. Lo schema sarà poi: si possono acquistare con le virtù proprie o con la fortuna, con o senza armi, le armi possono essere proprie o mercenarie…
BARBARA: Però le proprie sono migliori, le altre ti possono ingannare.
E poi dirà come si possano perdere, dirà che è meglio poggiarsi sulla virtù che sulla fortuna e di questo dobbiamo parlare ora, introducendo (non lo leggiamo, ve ne parlo io) l’argomento di Cesare Borgia.
Per Machiavelli il principe ideale per realizzare questa unità d’Italia, con un grande stato nel centronord, è uno che abbia le virtù di Cesare Borgia, che poi descriveremo nella prossima lezione, della volpe e del leone, dell’astuzia e della violenza. Però, preliminarmente, il principe è bene che si basi sulle sue virtù e non sulla fortuna. E fa il caso di Francesco Sforza, che sulle proprie virtù, lui capitano di ventura, ha creato il potere a Milano, la sua signoria, e non sulla fortuna. Poi passa a descrivere Cesare Borgia, che secondo lui ha virtù politiche anche maggiori di quelle di Francesco Sforza, però ha avuto un problema alle origini della sua esperienza politica, quando si è basato non su quelle, che pure aveva, e le descriverà, ma sulla fortuna di essere il figlio del papa Alessandro Sesto, papa corrotto, che con il suo potere aveva creato per lui la possibilità di ottenere un piccolo stato, nella Romagna, che poi con le sue virtù cerca di allargare. Però, dice Machiavelli, poiché si è basato sulla fortuna e non sulla virtù agli inizi e poiché ha dovuto poi anche chiedere l’aiuto delle armi di Francia (cosa che sconsiglia: bisogna basarsi sulle armi proprie), è accaduto che quando gli è venuta meno la fortuna, e quando gli sono venute meno le armi del re di Francia, ha trovato dei problemi; eppure aveva le virtù. Machiavelli usa una similitudine, per far capire quanto Cesare Borgia abbia cercato di rafforzare il suo potere al punto di poterlo conservare. Dice che lui si trova nelle condizioni di un architetto che debba erigere un edificio nel quale non ci sono fondamenta e cerchi di finirlo per poi farle, ma deve sperare che non crolli prima che abbia completato i tutto. Cesare Borgia ha costruito l’edificio, poi ha cercato di fare in ritardo le fondamenta; ma mentre le faceva…
BARBARA: L’edificio gli è crollato.
Fuori di metafora, è successo che gli è morto il padre, Alessandro Sesto, che era il suo appoggio, proprio mentre stava completando l’opera. Però era sempre il grande esempio da seguire. E andiamo a vedere, in due minuti, quali sono i comportamenti di Cesare Borgia che vanno seguiti secondo Machiavelli. Lui ha dei rivali nello Stato Pontificio, le famiglie degli Orsini. Bene, li convoca fingendo di volere fare pace (i famosi trattati che non si mantengono), a Senigallia. Li strozza o li fa strozzare, uno per uno, approfittando dell’imprudenza con cui sono andati all’appuntamento. Altro esempio. Presa la Romagna, è una regione molto ribelle…come oggi. Bene, Romagna anarchica già allora, dedita al divertimento. Allora, per non rendersi lui stesso odioso ai suoi abitanti nel chiedere a loro comportamenti diversi, dovendola ridurre nell’ordine, nomina un suo luogotenente, chiamiamolo così, Remirro de Orco, e gli affida questo compito. E Remirro fa quello che lui gli ha detto di fare: con la violenza, con la crudeltà rimette a posto la Romagna; ammazza, sparge paura, ossessiona i suoi sudditi, però alla fine è tutto in ordine. Cosa fa Cesare Borgia? Quando ha concluso la sua opera Remirro de Orco, lo mette su un palco in piazza, davanti a tutta la folla dei romagnoli e gli fa tagliare la testa. Dice Machiavelli, lo fa mettere “in due pezzi”. E così ottiene diverse cose insieme. Primo, che il popolo ama lui, Cesare Borgia, che gli ha ammazzato il suo peggiore nemico, non sapendo che lui stesso aveva armato le mani di Remirro. Poi il popolo ha paura del Borgia perché è colui che ha il potere di ammazzare il grande tiranno della Romagna. E infine si garantisce anche il rispetto dello stesso popolo, con l’ordine della regione. Ha ottenuto tutto con questi metodi sleali. Ma su questo argomento, e cioè sulla slealtà politica, dovremo tornare nella diciannovesima lezione. Non guasterebbe fare un piccolo riferimento finale, in cui mi faccio prendere per un cinquanta per cento la mano: anche oggi, forse, in politica si usa molto Machiavelli.
Indice
Approfondimenti letterari
In questa sezione si trovano i testi (passi antologici) tratti dalle opere più significative della tradizione letteraria italiana e, occasionalmente, straniera, con una sintetica introduzione, note esplicative, una breve interpretazione.
(Testi di Macchiavelli)
Niccolò Machiavelli
Lettera a Francesco Vettori (Lettere, 11)
L'evoluzione degli Stati (Discorsi, I, 2)
Religione e politica (Discorsi, I, 12)
L'importanza delle artiglierie (Discorsi, II, 17)
I condottieri e la fortuna (Discorsi, III, 9)
L'appello finale di Fabrizio Colonna (Dell'arte della guerra, VII)
L'amore di Callimaco (Mandragola, I, 1)
Fra Timoteo e Lucrezia (Mandragola, III, 9-11)
Il finale della Mandragola (Mandragola, V, 4-6)
Belfagor arcidiavolo
La lettera dedicatoria (Il principe)
L'incipit del Principe (Il principe, I)
I grandi esempi del passato (Il principe, VI)
L'esempio di Cesare Borgia (Il principe, VII)
Il conflitto sociale (Il principe, IX)
Le milizie mercenarie (Il principe, XII)
La verità effettuale (Il principe, XV)
La volpe e il leone (Il principe, XVIII)
L'immagine pubblica del potere (Il principe, XIX)
Il principe e gli adulatori (Il principe, XXIII)
L'origine della crisi italiana (Il principe, XXIV)
Il principe e la fortuna (Il principe, XXV)
L'esortazione finale ai Medici (Il principe, XXVI)