Ita Eng Spa Fra Ger

UMANESIMO: PICO DELLA MIRANDOLA




Antologia - 14^ Lezione
(Cliccare sulle parole in caratteri blu)
 
anto 1,14
https://www.youtube.com/watch?v=KJJNvx7fJWc
Approfondimenti letterari (in coda alla pagina)
UMANESIMO
Quattordicesima lezione di Antologia. Oggi parleremo di Quattrocento e di umanesimo, con alcuni protagonisti: Giovanni Pico della Mirandola, Leon Battista Alberti, Leonardo da Vinci, Luigi Pulci. Con la stagione dell’umanesimo, si parte dallo studio degli antichi e  si arriva a una nuova concezione del mondo e a una nuova valorizzazione dell’uomo, che giustifica il nome: l’uomo diventa protagonista, ha fiducia nelle sue capacità e cerca di impegnarsi nella vita reale, che diventa importante, mentre prima era svalutata. E  si sente come un piccolo dio, un artefice, come dirà Giovanni  Pico della Mirandola, di cui ricorderò qualcosa prima che tu, Barbara, legga un passo dell’opera “De dignitate hominis”. Pico della Mirandola è vissuto nella Firenze del Magnifico, è stato un matematico, un poeta, un musico, un filosofo, ha fondato la prima grande figura di eclettico, che avrà il suo culmine nel grandissimo Leonardo. Nel “De dignitate hominis” ci dice, a proposito della creazione dell’universo, le parole che Barbara ci leggerà…
Pico della Mirandola, Oratio de hominis dignitate
PICO DELLA MIRANDOLA, ORATIO DE HOMINIS DIGNITATE
Non ti ho assegnato, o Adamo, né una sede determinata né un proprio volto né alcun privilegio che fosse esclusivamente tuo, affinché quella sede, quel volto, quei privilegi che tu desidererai, tutto tu possa avere e conservare secondo il tuo desiderio e il tuo consiglio. La natura determinata per gli altri è chiusa entro leggi da me prescritte. Tu, invece, te le fisserai senza essere impedito da nessun limite, secondo il tuo arbitrio al quale ti ho consegnato. Ti ho posto nel mezzo del mondo perché di là tu possa più agevolmente abbracciare con lo sguardo tutto ciò che c'è nel mondo. Non ti ho fatto né celeste né terreno né mortale né immortale affinché, quasi di te stesso arbitro e sommo artefice, tu possa scolpirti nella forma che avrai preferito. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori proprie dei bruti, potrai rigenerarti secondo la volontà del tuo animo nelle cose che sono divine.
 
Dio dice ad Adamo che, mentre altre forme del creato sono costrette nella prigione delle leggi della natura, lui è libero di espandersi. E lo ha collocato nel mezzo del mondo. Naturalmente siamo ancora nella dimensione tolemaica: la terra al centro dell’universo, quindi l’uomo al centro della terra e al centro dell’universo. Ancora dovremo arrivare, con Bruno, al cambiamento di questa concezione geocentrica. Al centro, in mezzo all’universo. E ha anche detto, il nostro autore, che lui potrà, con il suo arbitrio, le sue decisioni, le sue scelte, decidere di se stesso che cosa essere: cioè sarà mettendo in campo le sue capacità che l’uomo potrà, navigando tra il terreno e il divino, diventare divino. Se invece non le mette bene in campo, può rimanere soltanto terreno, vicino alle altre creature. E’ data all’uomo la possibilità di fare di sé quello che vuole: l’uomo piccolo artefice, piccolo dio, in grado di decidere il suo destino.
E su questo stesso tema si muove anche un altro grande di questo periodo, Leon Battista Alberti. Vissuto più o meno nell’epoca di Pico della Mirandola, ha parlato del rapporto tra virtù e fortuna e ha detto, a questo proposito…
Leon Battista Alberti - L'inventore del Rinascimento
LEON BATTISTA ALBERTI, LIBRI DELLA FAMIGLIA, INTRODUZIONE
Da molti  veggio la fortuna più volte essere sanza vera cagione inculpata, e scorgo molti per loro stultizia scorsi ne’ casi sinistri, biasimarsi della fortuna e dolersi d’essere agitati da quelle fluttuosissime sue unde, nelle quali stolti sé stessi precipitarono. E cosí molti inetti de' suoi errati dicono altrui forza furne cagione.
 
Molti sono sventurati, ma lo sono perché si sono causati la sventura, e accusano la sorte di una responsabilità che invece è loro. L’uomo può modificare la sua fortuna. Infatti si dirà, in latino: Homo faber fortunae suse, l’uomo artefice della sua sorte…
 
Ma se alcuno con diligenza qui vorrà investigare qual cosa molto estolla e accresca le famiglie, qual anche le mantenga in sublime grado d'onore e di felicità, costui apertamente vederà gli uomini le piú volte aversi d'ogni suo bene cagione e d'ogni suo male, né certo ad alcuna cosa tanto attribuirà imperio, che mai giudichi ad acquistare laude, amplitudine e fama non piú valere la virtú che la fortuna.
 
Leon Battista Alberti introduce un altro concetto, che l’uomo non costruisce soltanto per sé, ma anche per la famiglia, i cui sforzi devono essere rivolti a migliorare le condizioni  di tutto il gruppo. Ognuno deve fare la sua parte, mettendo in campo le proprie virtù contro la fortuna. La fortuna, la buona sorte di una famiglia è affidata alle virtù di ciascun componente. Infatti in questo trattato Leon Battista Alberti parlerà di questa base della società, che poi sarà anche la società capitalistica occidentale, del patrimonio, della masserizia, che la famiglia deve mettere insieme con il contributo di tutti.
Già nel Trecento i nuovi arricchiti, i mercanti, cercavano di mettersi al livello degli aristocratici, completando la propria dimora, costruendo  palazzi, li arredavano, li riempivano di opere pittoriche, di sculture, di arazzi e di tante altre cose che impegnavano l’artigianato, le botteghe del tempo. E questo dette anche un grande impulso alla società umanistica e rinascimentale. Le grandi arti del Quattrocento si svilupparono anche grazie a questo.
Però, collegandoci a quanto ci dice Leon Battista Alberti, la famiglia che vuole coltivare la propria fortuna e dimostrare la sua condizione sociale, per uno “status simbol” insomma, come diremmo noi oggi, deve presentare l’immagine di una dimora molto accogliente e nello stesso tempo deve accumulare il proprio patrimonio, la masserizia, per presentarsi di fronte agli altri come una comunità di grande successo, che è riuscita a realizzarsi. La spinta ideale alla iniziativa libera è nata già nel Quattrocento. Poi un’altra ancora si aggiungerà nel Cinquecento con l’idea calvinista della società, come vedremo.
Un altro grande del Quattrocento ci aiuta ad inquadrare questa nuova dimensione: Leonardo da Vinci. Si presenta come un uomo “sanza lettere”, senza lettere, ma in realtà non è assolutamente tale, ha una sua cultura, è anche un grande scienziato. E’ un eclettico anche lui, come Leon Battista Alberti e Pico della Mirandola. Non abbiamo detto di Leon Battista Alberti che era pittore, scultore, musico, architetto, ha scritto trattati sull’architettura, sulla pittura, sulla scultura, era anche matematico e sociologo,  si occupava di ogni cosa. Lo stesso ha fatto Leonardo, che, in un brano che lui stesso intitola “Proemio”, dice…
 
LEONARDO DA VINCI, PROEMIO
So bene che, per non essere io litterato, alcuno presuntuoso gli parrà ragionevolmente potermi biasimare coll’allegare io essere omo sanza lettere. Gente stolta! Non sanno questi tali ch’io potrei, sì come Mario rispose contro a’ patrizi romani, io sì rispondere, dicendo: “Quelli che dall’altrui fatiche se medesimi fanno ornati, le mie a me medesimo non vogliano concedere”.

Cioè il concetto di Leonardo è quello di questo personaggio che ha citato. Di solito ci si gloria delle fatiche degli altri, facendo i critici, i letterati, ma io sono uno che fa da sé, quindi io sono uno che produce, non ho bisogno di essere un letterato…
 
Diranno che, per non avere io lettere, non potere ben dire quello di che voglio trattare.
 
Diranno anche che io non ho la lingua per poter parlare delle mie conquiste, delle mie invenzioni e acquisizioni scientifiche…
 
Or non sanno questi che le mie cose son più da esser tratte dalla sperienza, che d’altrui parola; la quale fu maestra di chi bene scrisse, e così per maestra la piglio e quella in tutti i casi allegherò.
 
Vi ho letto questo brano per darvi un’idea di quello che sottolinea Leonardo in questo periodo (siamo nella seconda metà del Quattrocento), il valore dell’esperienza, che dobbiamo aggiungere alle questioni precedenti. Si è ritornati all’uomo, si è ritornati allo studio della scienza, della natura, le arti si sono sviluppate perché c’è il concreto bisogno di arredare le case dei ricchi, c’è Leon Battista Alberti che parla della fortuna e della ricchezza della famiglia, c’è Pico della Mirandola che vede nell’uomo un piccolo dio, c’è Leonardo che dice che comunque alla base di tutto nella vita dell’uomo c’è l’esperienza. E’ colui che sposta l’asse sul valore pratico più ancora che su quello teorico, non che non sia importante la teoria per Leonardo, ma poiché si vive in un periodo in cui ancora si tende verso la teoria anche se la società si sta spostando verso il pratico, lui preferisce valorizzare come base della cultura l’esperienza. E infatti è uno scienziato Leonardo…
 
(filmato su Leonardo)
In quegli anni arrovellati di entusiasmo ed affanno trascorsi in Firenze, fra  un sogno e l’altro, Leonardo ha dipinto anche un ritratto, nemmeno molto grande. E’ una donna ancora bella, ma già sul declinare della giovinezza, che in posa pacata, una mano sovrapposta sull’altra e ambedue abbandonate sul bracciolo di una poltrona, davanti a un magico paesaggio di rocce e di acque, volge lo sguardo allo spettatore, mentre le sue labbra si atteggiano appena al sorriso. Forse un modello di donna vi sarà stato, ma fu solo un pretesto, poiché il quadro non ritrae con precisione nessuna donna e nessuno, ma rappresenta solo l’anima di Leonardo.
 
L’ultimo passo che presenterò per inquadrare il Quattrocento è un giudizio di Poliziano sul Magnifico, che completa il nostro ragionamento perché ci fa capire un aspetto importante di questa società, il mecenatismo. Quello che abbiamo visto muovere nella prima parte del secolo, che poi si sviluppa nella seconda parte, ha il fulcro, ma anche il punto di decantazione, di accumulazione, nella Firenze del Magnifico. Poliziano, che con Pico della Mirandola era ospite della grande corte del Magnifico, dice del suo signore…
 
ANGELO POLIZIANO, ELOGIO DI LORENZO IL MAGNIFICO
Uomo nato a cose grandi, nell’alterno variare della fortuna, fu a tal punto sereno nelle vicende così avverse come favorevoli che non si potrebbe dire se sia mostrato più calmo e misurato nella felicità o nella disgrazia.
 
Attenzione al tema della misura. Petrarca, ricorderete, suggeriva, nel “De remediis utriusque fortunae”, di mantenersi misurati, sia nella cattiva sorte che nella buona sorte: in questa non rallegrarsi troppo e nell’altra non disperare troppo, sempre per tenersi pronti al cambiamento. Abbiamo in fondo trattato questo argomento anche nella novella di Andreuccio: Boccaccio cosa dice ad Andreuccio, praticamente? Resisti, resisti, che prima o poi la sorte cambierà. Naturalmente non è il “resisti” di giuridica memoria…
 
Fu di tanto grande ingegno, così versatile ed acuto, che là dove gli altri ritengono gran vanto eccellere in una singola cosa egli in tutte egualmente si distingueva. Infatti io credo che nessuno ignori che la probità e la giustizia avevano scelto come dimora carissima e come tempio il cuore e l’animo di Lorenzo de Medici. E quanto grande sia stata la sua socievolezza, la sua cordialità, la sua affabilità lo mostra l’amore eccezionale che ebbe per lui tutto il popolo ed ogni classe di cittadini.
 
Questo è il grande elogio che Poliziano dedica a Lorenzo, appunto detto poi il Magnifico… Per questo giudizio poi si dovranno consultare anche altri testi, altri documenti. Ci saranno anche quelli che definiranno un tiranno il Magnifico…
BARBARA: Savonarola…
Sì, Savonarola, bravissima. Certamente, per arrivare a questi elogi, non penso si debba parlare soltanto di gratitudine per chi li ha trattati bene economicamente, ma ci deve essere realmente una qualità e anche una generosità, affabilità, cortesia, come vengono qui descritte, nella figura di Lorenzo. Era soltanto per darvi un’idea, infatti abbiamo nelle antologie al fianco di questo il testo intitolato al tiranno, secondo Gerolamo Savonarola, che parlerà appunto male dei Medici e del loro dispotismo. La famiglia dei Medici aveva governato come altre la città di Firenze; poi ne erano diventati signori nel momento in cui avevano cominciato ad ereditare l’uno dall’altro il priorato. A quel punto si parla di Signoria, di governo di una famiglia, e il passo per dire che è una tirannia sarà breve.
Luigi Pulci, anche lui vissuto alla corte del Magnifico, ha avuto la genialità di immaginare due giganti protagonisti: Morgante e Margutte. Crea un modello che poi sarà ripreso da Rabelais nel Cinquecento; molto probabilmente, anche se non ne abbiamo la certezza, nel rendere protagonista un gigante, voleva porre già lui l’accento sulla fisicità, in un mondo in cui si tendeva, come avevamo detto attraverso la riflessione di Leonardo, alla teoria, e a dare più importanza all’anima. Infatti nella stessa corte di Lorenzo si sviluppa la comunità, il centro filosofico dei neoplatonici, un circolo idealista che si rifà a Platone.  Allora Pulci, disincantato protagonista di quella corte, cerca di richiamare alla realtà chi rischia di allungarsi in un atteggiamento troppo paludato, ideale. E lo fa attraverso la comicità, ma anche la fisicità di due giganti. Di Margutte dice che è grande soltanto sette braccia perché a metà dello sviluppo si è arrestato. Sette braccia in quel tempo corrispondevano a circa quattro metri. Giganti ancora più imponenti li ritroveremo in “Micromega”, di Voltaire, nel Settecento. Ma anche, come dicevamo, nel Cinquecento, con “Gargantua e Pantagruel” di Rabelais. Leggiamo dal “Morgante” …

 
(leggono, il professore come narratore e Margutte, Barbara come Morgante)
  LUIGI PULCI, MORGANTE, XVIII
         Giunto Morgante un dì in su ’n un crocicchio,
     uscito d’una valle in un gran bosco,
     vide venir di lungi, per ispicchio,
     un uom che in volto parea tutto fosco.
     Dètte del capo del battaglio un picchio
     in terra, e disse: «Costui non conosco»;
     e posesi a sedere in su ’n un sasso,
     tanto che questo capitòe al passo.
         Morgante guata le sue membra tutte
     più e più volte dal capo alle piante,
     che gli pareano strane, orride e brutte:
     - Dimmi il tuo nome, - dicea - vïandante. -
     Colui rispose: - Il mio nome è Margutte;
     ed ebbi voglia anco io d’esser gigante,
     poi mi penti’ quando al mezzo fu’ giunto:
     vedi che sette braccia sono appunto. -
         Disse Morgante: - Tu sia il ben venuto:
     ecco ch’io arò pure un fiaschetto allato,
     che da due giorni in qua non ho beuto;
     e se con meco sarai accompagnato,
     io ti farò a camin quel che è dovuto.
     Dimmi più oltre: io non t’ho domandato
     se se’ cristiano o se se’ saracino,
     o se tu credi in Cristo o in Apollino. –“

 
”Va bene, avevo giusto bisogno di un fiaschetto vicino”. Lo definisce un fiaschetto, con cui potrà bere del buon vino. Tutti e due hanno come obiettivo mangiare e bere, come Gargantua e Pantagruele, che deriveranno da questo testo…
 
         Rispose allor Margutte: - A dirtel tosto,
     io non credo più al nero ch’a l’azzurro,
     ma nel cappone, o lesso o vuogli arrosto;
     e credo alcuna volta anco nel burro,
     nella cervogia

 
La birra, cerveza in spagnolo oggi…
 
    e quando io n’ho, nel mosto,
    e molto più nell’aspro che il mangurro;

 
Aspro e mangurro erano anche due monete, una d’argento e una di rame: qui vuol dire la ricchezza vera è la ricchezza proprio non tale…
 
     ma sopra tutto nel buon vino ho fede,
     e credo che sia salvo chi gli crede;
         e credo nella torta e nel tortello:
     l’uno è la madre e l’altro è il suo figliuolo;
     e ’l vero paternostro è il fegatello,
     e posson esser tre, due ed un solo,
     e diriva dal fegato almen quello.
     E perch’io vorrei ber con un ghiacciuolo,

 
Il ghiacciuolo era una specie di grande secchiello da ghiaccio, diciamo, non quello da champagne che usiamo noi, ma un grande secchio di acqua ghiacciata per raffreddare…
    
     se Macometto il mosto vieta e biasima,
     credo che sia il sogno o la fantasima;

 
Mi sembra un’assurdità che Maometto biasimi il bere: ha già risposto, non è maomettano…ora andiamo a vedere se è cristiano, cattolico…
 
         ed Apollin debbe essere il farnetico,
     e Trivigante forse la tregenda.
     La fede è fatta come fa il solletico:

 
Cioè è una cosa che alcuni sentono molto e altri poco: con questa immagine vuol dire che non tutti hanno la stessa profondità di fede…
 
     per discrezion mi credo che tu intenda.
     Or tu potresti dir ch’io fussi eretico:
     acciò che invan parola non ci spenda,
     vedrai che la mia schiatta non traligna
     e ch’io non son terren da porvi vigna.

 
“Non sono terren da porvi vigna”: nel vangelo  mettere vigna significa impiantare la fede. Insomma, vuole dire, da me è inutile piantare la vigna, perché non credo…
 
         Questa fede è come l’uom se l’arreca.
     Vuoi tu veder che fede sia la mia?,
     che nato son d’una monaca greca
     e d’un papasso (prete musulmano)in Bursia, là in Turchia.
     E nel principio sonar la ribeca
     mi dilettai, perch’avea fantasia
     cantar di Troia e d’Ettore e d’Achille,
     non una volta già, ma mille e mille.
        Poi che m’increbbe il sonar la chitarra,
     io cominciai a portar l’arco e ’l turcasso.
     Un dì ch’io fe’ nella moschea poi sciarra (confusione),
     e ch’io v’uccisi il mio vecchio papasso,
     mi posi allato questa scimitarra
     e cominciai pel mondo andare a spasso;
     e per compagni ne menai con meco
     tutti i peccati o di turco o di greco;
        anzi quanti ne son giù nello inferno:
     io n’ho settanta e sette de’ mortali,
     che non mi lascian mai lo state o ’l verno;
     pensa quanti io n’ho poi de’ venïali!

 
Sembra di vedere rivivere ser Ciappelletto, pieno di tutti i peccati; soltanto che, mentre Ciappelletto si presentava come un santo al frate che lo confessava, lui sciorina tutta la litania delle sue “virtù”, cioè dei suoi vizi…
 
     Non credo, se durassi il mondo etterno,
     si potessi commetter tanti mali
     quanti ho commessi io solo alla mia vita;
     ed ho per alfabeto ogni partita.

 
Insomma è difficile commettere tutti i peccati che ha commesso lui nella sua esistenza. Il Pulci è il poeta di corte, il poeta comico per eccellenza, colui che si occupa di farla ridere, divertire. Però è anche un personaggio critico all’interno di questo ambiente. Come Poliziano ha elogiato sperticatamente il Magnifico, così Pulci è capace anche qualche volta di attirarsi alcune antipatie. Poi molto spesso capita in questi personaggi che sono sospetti di occultismo. Molti si occupano di questo e sono da una parte ammirati e dall’altra sospettati per queste loro pratiche magiche, molto diffuse in questo periodo.
Chiudiamo con il proemio dell’”Orlando innamorato” di Boiardo, per avere ancora un’idea di questa società del Quattrocento e definire i gusti di una cultura che coltiva i grandi interessi umanistici del tempo, però rivolgendosi a un pubblico, quello della corte, che non è fatto tutto di letterati, ma anche semplicemente di perdigiorno, di parassiti, che amano essere dilettati da vicende d’amore.  Orlando, protagonista della “Chanson de Roland”, era colui che non si innamora, che pratica soltanto avventure di guerra. Ebbene Matteo Maria Boiardo immagina quello che nessuno ha mai detto di lui, che si sia innamorato, in estremo oriente, di Angelica. Poi questo tema lo riprenderà Ariosto nell”’Orlando furioso”, in cui immaginerà addirittura che impazzisca. In Boiardo dunque il ciclo carolingio, che era privo di questo riferimento, viene contaminato con il ciclo bretone, dove era presente l’amore per la donna…
 
MATTEO MARIA BOIARDO, ORLANDO INNAMORATO, INTRODUZIONE
    Signori e cavallier che ve adunati
Per odir cose dilettose e nove,
Stati attenti e quieti, ed ascoltati
La bella istoria che il mio canto muove;
E vedereti i gesti smisurati,
L’alta fatica e le mirabil prove
Che fece il franco Orlando per amore
Nel tempo di re Carlo imperatore.
    Non vi par già , signor, meraviglioso
Odir cantar d’Orlando innamorato,
ché qualunque nel mondo è più orgoglioso
è da Amor vinto, al tutto subiugato;
Né forte braccio, né ardire animoso,
Né scudo o maglia, né brando affilato,
Né altra possanza può mai far diffesa
Ché al fin non sia d’Amor battuta e persa.

 
Boiardo parte da questa idea. Immaginate Orlando innamorato, non c’è battaglia più difficile che quella d’amore: tutte le armi possono essere vinte dalle armi del sentimento. Con questo proemio, cattura l’attenzione del suo pubblico di cortigiani…
 
    Questa novella è nota a poca gente,
Perché Turpino istesso la nascose,

 
Si inventa il fatto che il mago Turpino, al quale si attribuiva questa storia, l’avesse nascosta e lui l’avesse ritrovata…
 
Credendo fosse a quel conte valente
Esser le sue scritture dispettose,
Poi che contra ad Amor pur fu perdente
Colui che vinse tutte le altre cose;

 
Boiardo immagina che il mago Turpino abbia evitato di parlare di Orlando innamorato perché è stato l’unico campo in cui è stato sconfitto. Attenzione, che quando dice Orlando sconfitto non vuole intendere che sia rimasto deluso in amore. Questo è un problema di cui parlerà invece Ariosto, facendolo diventare furioso. Vuol dire “sconfitto” nel senso che è stato colpito da Cupido, che lo ha ferito e abbattuto facendolo innamorare…
BARBARA: Lui che era invincibile dai sentimenti.
In questo senso appunto, esatto, brava. Il grande Orlando non poteva essere sconfitto da nessun sentimento che non fosse quello della patria, della fede eccetera.  E chiudiamo con gli ultimi due versi, dandoci appuntamento alla prossima lezione…
 
Dico d’Orlando, il cavaliere adatto.
Non più parole ormai, veniamo al fatto.

 Indice


Approfondimenti letterari 
In questa sezione si trovano le pagine relative ad alcuni percorsi della storia letteraria italiana, con particolare attenzione ad alcuni periodi significativi, ai generi letterari più importanti, a scuole e movimenti di un certo rilievo, tenendo conto della tradizione storico-letteraria. 
♦ L'UMANESIMO
♦ L'Umanesimo (flipped classroom)
Approfondimenti letterari dal sito “letteritaliana.weebly”
Questo è un sito senza fini di lucro dedicato ai principali autori e testi della letteratura italiana dalle Origini al Novecento, con pagine descrittive e dedicate ai testi antologici più importanti. Sono presenti anche pagine di approfondimento su alcuni temi particolarmente rilevanti e "link" a video di interesse su argomenti culturali e sulle opere trattate.

In questa sezione si trovano le pagine relative ad alcuni percorsi della storia letteraria italiana, con particolare attenzione ad alcuni periodi significativi, ai generi letterari più importanti, a scuole e movimenti di un certo rilievo, tenendo conto della tradizione storico-letteraria. 

La prosa del XIII-XIV sec.
Il ritardo della prosa nel Duecento. L'affermarsi della storiografia: Dino Compagni.
La Nuova Cronica di Giovanni Villani. Le cronache di viaggio: il Milione di Marco Polo.
La prosa narrativa: il Novellino e il Libro dei sette savi. La narrativa dopo il Decameron: Franco Sacchetti.
Il declino della prosa nel primo Quattrocento.

L'Umanesimo
Terminologia e periodizzazione. L'uomo al centro del mondo. Lo studio della natura e lo sviluppo della tecnica.
La riscoperta del mondo classico. La "rivoluzione" della stampa. Latino e volgare.
Il mecenatismo delle corti. I generi della letteratura volgare: la novellistica, la lirica e la poesia comica,
il poema epico-cavalleresco, il teatro.

Il Rinascimento
Terminologia e periodizzazione. Il regolismo. La codificazione dei generi letterari. Il trattato rinascimentale.
I trattati di comportamento: il Cortegiano e il Galateo. La questione della lingua: la proposta di Bembo, Trissino, Machiavelli. Riflessione politica e storiografia. La corte come centro culturale. La lirica amorosa e il "petrarchismo".
La rinascita del teatro classico: tragedia e commedia. Il poemetto didascalico e le traduzioni.
La novellistica. L'Antirinascimento: Berni, Aretino, Folengo, gli "scapigliati.

La Controriforma
Terminologia e periodizzazione. Il nuovo clima culturale: il Concilio di Trento; la censura ecclesiastica e l'Indice;
l'opera dell'Inquisizione. Il Manierismo. L'aristotelismo. Il poema eroico. Il dramma pastorale.
L'Accademia della Crusca. Gli scrittori "dissidenti": Giordano Bruno. Tommaso Campanella.
La trattatistica politica: antimachiavellismo e tacitismo. Giovanni Botero e altri scrittori.
La storiografia: Paolo Sarpi. Traiano Boccalini.
In questa sezione si trovano i testi (passi antologici) tratti dalle opere più significative della tradizione letteraria italiana e, occasionalmente, straniera, con una sintetica introduzione, note esplicative, una breve interpretazione. 
 
Luigi Pulci
    Beca da Dicomano
    Costor, che fan sì gran disputazione (Sonetti)
    Confessione a Maria Vergine (vv. 1-93; 145-159)
    Il proemio del Morgante (Morgante, I, 1-8)   
    Incontro con Margutte (Morgante, XVIII, 112-142)
    Morgante e Margutte all'osteria (Morgante, XVIII, 150-179)
    Morte di Margutte (Morgante, XIX, 144-151)
    Le colonne d'Ercole (Morgante, XXV, 227-240)
    Il tegame di Roncisvalle (Morgante, XXVII, 53-57)
Matteo Maria Boiardo
     Amor, che me scaldava al suo bel sole (Amorum libri tres, I, 1)
    Tra il Sonno e Amor non è tregua né pace (Amorum libri tres, II, 30)
    Ne la proterva età (Amorum libri tres, II, 30Amorum libri tres, III, 60)
    Il proemio dell'Orlando innamorato (Orl. inn., I, I, 1-8)
    L'apparizione di Angelica (Orl. inn., I, I, 19-40)
    La morte di Argalìa (Orl. inn., I, III, 59-67)
    Il duello di Orlando e Agricane (Orl. inn., I, XVIII, 38-55; XIX, 1-17)
    L'amore di Rugiero e Bradamante (Orl. inn., III, V, 32-42)
Pietro Bembo
    La lingua dei morti (Prose della volgar lingua, I, 17-18)
    Crin d'oro crespo e d'ambra tersa e pura (Rime, 5)
Teofilo Folengo
    Il proemio del Baldus (Baldus, I, 1-63)
    Il ritratto di Cingar (Baldus, IV, 81-129)
Francesco Berni
    Chiome d'argento fino irte e attorte (Rime, 23)
Giovanni Botero
    Lo Stato confessionale (Della ragion di Stato, II.17)
Giordano Bruno
    Difesa di Copernico (La cena de le ceneri, I)
Michelangelo Buonarroti
    Quantunche 'l tempo ne costringa e sproni (Rime, 92)
Tommaso Campanella
    La Città del Sole
    A' poeti (Scelta di alcune poesie filosofiche di Settimontano Squilla, 2)