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Boccaccio: Cisti fornaio, Chichibio e la Gru, Frate Cipolla, CHAUSER: Canterbury tales




Antologia - 13^ Lezione
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anto 1,13 Title 1
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BOCCACCIO, DECAMERONE: CISTI FORNAIO, CHICHIBIO E LA GRU, FRATE CIPOLLA
 
Tredicesima lezione di Antologia, pagine di letteratura italiana, per i nostri studenti, ma anche per quelli che non sono più studenti. E siamo ancora a Boccaccio. Vicina a me Barbara. Abbiamo lasciato l’ultima volta Boccaccio con le novelle di “Federigo degli Alberighi” e “Nastagio degli Onesti”. Questa volta ci riferiamo a “Cisti fornaio”. Partiamo da questo che per me è un personaggio centrale del “Decamerone”. E’ anche collocato in posizione centrale, nella sesta giornata, dedicata ai “bei motti”, le belle risposte, che interessano Boccaccio perché la battuta pronta è segno per lui di intelligenza. C’è un’introduzione di Pampinea. Tu, Barbara, leggerai una parte di questa introduzione, che parla della fortuna e del fatto che…
 
CISTI FORNAIO
Belle donne, io non so da me medesima vedere che più in questo si pecchi, o la natura apparecchiando a una nobile anima un vil corpo, o la fortuna apparecchiando a un corpo dotato d’anima nobile vil mestiero, sì come in Cisti nostro cittadino e in molti ancora abbiamo potuto vedere avvenire; il qual Cisti, d’altissimo animo fornito, la fortuna fece fornaio.
E certo io maladicerei e la natura parimente e la fortuna, se io non conoscessi la natura esser discretissima e la fortuna aver mille occhi, come che gli sciocchi lei cieca figurino.

 
La fortuna, che non è proprio cieca come tutti pensano, ha collocato questa particolare intelligenza, sagacia, accortezza, prontezza d’ingegno, in Cisti, che è un semplice fornaio. E’Più avanti dirà che è un fatto giustificato che sia collocata questa virtù in un personaggio di questo genere, perché così questa intelligenza si conserva meglio, nessuno la fa oggetto della sua invidia, in quanto non si guarda a umili professioni come quella di un fornaio. Se invece fosse collocata in una persona di alto rango, potrebbe essere sotto l’occhio dell’osservatore ed essere corrotta, intaccata, questa capacità, questa qualità. Si riproduce cioè in un ambito mercantile, nel Trecento, una considerazione che apparteneva alla società del Duecento, quando, ricorderai, nella poesia d’amore provenzale si aveva paura dei maldicenti, che potevano rovinare l’amore. In questo caso i maldicenti possono condizionare la considerazione su una persona e anche l’intelligenza umana. Cominciamo a vedere che personaggio è Cisti, nelle parole di Pampinea…
 
(leggono, il professore nei panni della narratrice e di altri personaggi e Barbara in quelli di Cisti)
Dico adunque che, avendo Bonifazio papa, appo il quale messer Geri Spina fu in grandissimo stato, mandati in Firenze certi suoi nobili ambasciadori per certe sue gran bisogne, essendo essi in casa di messer Geri smontati, e egli con loro insieme i fatti del Papa trattando, avvenne che, che se ne fosse cagione, messer Geri con questi ambasciadori del Papa tutti a piè quasi ogni mattina davanti a Santa Maria Ughi passavano, dove Cisti fornaio il suo forno aveva e personalmente la sua arte esserceva. Al quale quantunque la fortuna arte assai umile data avesse, tanto in quella gli era stata benigna, che egli n’era ricchissimo divenuto, e senza volerla mai per alcuna altra abbandonare splendidissimamente vivea, avendo tra l’altre sue buone cose sempre i migliori vini bianchi e vermigli che in Firenze si trovassero o nel contado.
 
Quindi, in sintesi, sul passaggio di questo Geri Spina con gli ambasciatori del papa c’è la bottega di Cisti, che vi lavora bene, tra poco dirà che guadagna anche bene, e ha il migliore vino bianco…
 
Il quale, veggendo ogni mattina davanti all’uscio suo passar messer Geri e gli ambasciadori del Papa, e essendo il caldo grande, s’avisò (pensò) che gran cortesia sarebbe il dar lor bere del suo buon vin bianco; ma avendo riguardo alla sua condizione e a quella di messer Geri, non gli pareva onesta cosa il presummere d’invitarlo ma pensossi di tener modo il quale inducesse messer Geri medesimo a invitarsi.
 
Vedete questo rispetto della propria posizione sociale da parte di Cisti. Non si può mettere al livello di Geri Spina, e allora vuole che sia Geri a invitarsi…
 
 E avendo un farsetto bianchissimo indosso e un grembiule di bucato innanzi sempre, li quali più tosto mugnaio che fornaio il dimostravano, ogni mattina in su l’ora che egli avvisava che messer Geri con gli ambasciadori dover passare si faceva davanti all’uscio suo recare una secchia nuova e stagnata d’acqua fresca e un picciolo orcioletto bolognese nuovo del suo buon vin bianco e due bicchieri che parevano d’ariento, sì eran chiari: e a seder postosi, come essi passavano, e egli, poi che una volta o due spurgato s’era (per richiamare l’attenzione), cominciava a ber sì saporitamente questo suo vino, che egli n’avrebbe fatta venir voglia a’ morti.
La qual cosa avendo messer Geri una e due mattine veduta, disse la terza: - Chente è, Cisti? è buono? -
Cisti, levato prestamente in piè, rispose: - Messer sì, ma quanto non vi potre’ io dare a intendere, se voi non assaggiaste -.
Messer Geri, al quale o la qualità o affanno più che l’usato avuto o forse il saporito bere, che a Cisti vedeva fare, sete avea generata, volto agli ambasciadori sorridendo disse: - Signori, egli è buono che noi assaggiamo del vino di questo valente uomo: forse che è egli tale, che noi non ce ne penteremo -; e con loro insieme se n’andò verso Cisti.
Il quale, fatta di presente una bella panca venire di fuori dal forno, gli pregò che sedessero; e alli lor famigliari, che già per lavare i bicchieri si facevano innanzi, disse: - Compagni, tiratevi indietro e lasciate questo servigio fare a me, ché io so non meno ben mescere che io sappia infornare; e non aspettaste voi d’assaggiarne gocciola!
E così detto, esso stesso, lavati quatro bicchieri belli e nuovi e fatto venire un piccolo orcioletto del suo buon vino diligentemente diede bere a messer Geri e a’ compagni, alli quali il vino parve il migliore che essi avessero gran tempo davanti bevuto;

 
Scansa i servi perché non vuole che, con la scusa di versare il vino, ne possano prendere goccia. Non solo, ma poi facciamo attenzione a questo avverbio: “diligentemente”. Lui il vino lo versa con attenzione, perché non si intorbidi. La diligenza, l’accortezza in tutto quello che fa è una costante di Cisti e della sua intelligenza…
 
…per che, commendatol molto (lodatolo molto), mentre gli ambasciador vi stettero, quasi ogni mattina con loro insieme n’andò a ber messer Geri.
 
Cisti ha ottenuto il suo scopo. Quasi ogni mattina vanno a bere il suo vino…
 
A’ quali, essendo espediti e partir dovendosi, messer Geri fece un magnifico convito al quale invitò una parte de’ più orrevoli cittadini, e fecevi invitare Cisti, il quale per niuna condizione andar vi volle.
 
Naturalmente perché non va al banchetto? Per quello che abbiamo detto prima, perché  rispetta la propria condizione sociale e pensa che non è adatto per andarvi: l’invito è pretestuoso, forse Geri vuole solo il suo vino…infatti…
 
Impose adunque messer Geri a uno de’ suoi famigliari che per un fiasco andasse del vin di Cisti e di quello un mezzo bicchier per uomo desse alle prime mense.
Il famigliare, forse sdegnato perché niuna volta bere aveva potuto del vino, tolse un gran fiasco. Il quale come Cisti vide, disse: - Figliuolo, messer Geri non ti manda a me. -
Il che raffermando più volte il famigliare né potendo altra risposta avere, tornò a messer Geri e sì gliele disse; a cui messer Geri disse: - Tornavi e digli che sì fo: e se egli più così ti risponde, domandalo a cui io ti mando. –

 
Cioè, domandagli a chi ti mando, se non ti mando da lui…
 
Il famigliare tornato disse: - Cisti, per certo messer Geri mi manda pure a te. -
Al quale Cisti rispose: - Per certo, figliuol, non fa. -
- Adunque -, disse il famigliare - a cui mi manda? -
Rispose Cisti: - Ad Arno. -
Il che rapportando il famigliare a messer Geri, subito gli occhi gli s’apersero dello ‘ntelletto e disse al famigliare: - Lasciami vedere che fiasco tu vi porti -; e vedutol disse: - Cisti dice vero -; e dettagli villania gli fece torre un fiasco convenevole.

 
Fermiamoci intanto su questo: ”déttagli villania”. Boccaccio riferisce che Geri ha praticamente mandato a quel paese il suo servo, ma dice semplicemente “déttagli villania”, cioè “déttagli una scortesia”. Vedete la leggerezza del linguaggio dell’autore: anche quando deve parlare di volgarità, queste sulla sua bocca diventano espressioni leggere. E’ questa la levità di Boccaccio. Ecco perché io me la prendo poi con quelli che lo interpretano in maniera un po’ più rozza. E tra l’altro l’ultima volta ebbi anche qualcosa da dire su Pierpaolo Pasolini, no? Che, un po’, qualche volta inzuppa il pane nelle situazioni che possono apparire volgari, ma in Boccaccio non lo sono mai. Dunque, déttagli villania, gli ordinò di portare un fiasco più piccolo…
 
Il quale Cisti vedendo disse: - Ora so io bene che egli ti manda a me -, e lietamente glielo impiè.
E poi quel medesimo dì fatto il botticello riempiere d’un simil vino e fattolo soavemente portare a casa di messer Geri…

 
“Soavemente”. Un altro avverbio. Prima ha detto “diligentemente”, per versarlo. Adesso “soavemente”, per portarlo, dolcemente, senza urti, senza scuoterlo, perché si può intorbidare…
 
…andò appresso (cioè seguì il vino), e trovatolo gli disse: - Messere, io non vorrei che voi credeste che il gran fiasco stamane m’avesse spaventato; ma, parendomi che vi fosse uscito di mente ciò che io a questi dì co’ miei piccoli orcioletti v’ho dimostrato, ciò questo non sia vin da famiglia, vel volli staman raccordare. Ora, per ciò che io non intendo d’esservene più guardiano tutto ve l’ho fatto venire: fatene per innanzi come vi piace.  Messer Geri ebbe il dono di Cisti carissimo e quelle grazie gli rendé che a ciò credette si convenissero, e sempre poi per da molto l’ebbe e per amico.
 
Facciamo una riflessione. Cisti come Federigo degli Alberighi è gentile, cortese, generoso, pur non essendo un aristocratico. Già è un fatto importante, nella posizione autoriale di Boccaccio, che anche un non aristocratico può essere gentile e cortese. In origine Federigo era uno scialacquone, spendeva troppo. Cisti non ha questo difetto, perché ha anche la qualità del borghese, l’accortezza, la prudenza nello spendere. Addirittura Cisti,  dice Boccaccio, è arricchito con una modesta professione perché la fa benissimo, ma  anche…puoi immaginare perché la gente va nella bottega di Cisti e acquista tanto?
BARBARA: Perché trova cortesia…
Ma come sei vestito tu, Cisti?
BARBARA: Con un farsetto bianco…

Bianchissimo, pulito,…bicchieri d’argento…cioè è la pulizia che riesce ad apprezzare la gente. Insomma Cisti guadagna per questo. Siamo di fronte a un personaggio che non appartiene all’alta società ma ha tutte le qualità per farne l’uomo ideale di Boccaccio, gentile e cortese da una parte e prudente, concreto dall’altra. La risposta data l’avete capita. Quando si vede arrivare una damigiana grande, con la risposta “ad Arno”, il bel motto, fa intendere che questa è adatta per l’acqua, non per il vino, e del vino così prezioso da essere così gradito da Geri. Un’ultima considerazione: Cisti è generoso, è cortese, però sa che ha un ritorno di quello che fa, perché abbiamo visto nella conclusione che Geri da allora in poi lo avrebbe sempre trattato bene.
C’è un’altra novella di Boccaccio che appartiene sempre ai “bei motti”. In questo caso il bel motto è di una persona semplice, anzi sempliciona. E’ la notissima “Chichibio e la gru”, che reciteremo. Io sarò il narratore e Currado, Barbara sarà Chichibio…
 
CHICHIBIO E LA GRU
Currado Gianfigliazzi sì come ciascuna di voi e udito e veduto puote avere, sempre della nostra città è stato nobile cittadino, liberale e magnifico, e vita cavalleresca tenendo, continuamente in cani e in uccelli s'è dilettato, le sue opere maggiori al presente lasciando stare. Il quale con un suo falcone avendo un dì presso a Peretola una gru ammazata, trovandola grassa e giovane, quella mandò ad un suo buon cuoco, il quale era chiamato Chichibio, ed era viniziano, e sì gli mandò dicendo che a cena l'arrostisse e governassela bene. Chichibio, il quale come nuovo bergolo era così pareva, acconcia la gru, la mise a fuoco e con sollicitudine a cuocerla cominciò. La quale essendo già presso che cotta grandissimo odor venendone, avvenne che una feminetta della contrada, la qual Brunetta era chiamata e di cui Chichibio era forte innamorato, entrò nella cucina; e sentendo l'odor della gru e veggendola, pregò caramente Chichibio che ne le desse una coscia. Chichibio le rispose cantando e disse:
- "Voi non l’avrì da mi, donna Brunetta, voi non l’avrì da mi".
Di che donna Brunetta essendo un poco turbata, gli disse:
- In fè di Dio, se tu non la mi dai, tu non avrai mai da me cosa che ti piaccia; - e in brieve le parole furon molte. Alla fine Chichibio, per non crucciar la sua donna, spiccata l'una delle cosce alla gru, gliele diede.
Essendo poi davanti a Currado e ad alcun suo forestiere messa la gru senza coscia, e Currado maravigliandosene, fece chiamare Chichibio e domandollo che fosse divenuta l'altra coscia della gru. Al quale il vinizian bugiardo subitamente rispose:
- Signor mio, le gru non hanno se non una coscia e una gamba.
Currado allora turbato disse:
- Come diavol non hanno che una coscia e una gamba? Non vid'io mai più gru che questa?
Chichibio seguitò:
- Egli è, messer, com'io vi dico; e quando vi piaccia, io il vi farò veder né vivi.
Currado, per amor dei forestieri che seco aveva, non volle dietro alle parole andare, ma disse:
- Poi che tu dì di farmelo vedere né vivi, cosa che io mai più non vidi né udii dir che fosse, e io il voglio veder domattina e sarò contento; ma io ti giuro in sul corpo di Cristo, che, se altramenti sarà, io ti farò conciare in maniera che tu con tuo danno ti ricorderai, sempre che tu ci viverai, del nome mio.
Finite adunque per quella sera le parole, la mattina seguente come il giorno apparve, Currado, a cui non era per lo dormire l'ira cessata, tutto ancor gonfiato si levò e comandò che i cavalli gli fosser menati; e fatto montar Chichibio sopra un ronzino, verso una fiumana, alla riva della quale sempre soleva in sul far del dì vedersi delle gru, nel menò dicendo:
- Tosto vedremo chi avrà iersera mentito, o tu o io.
Chichibio, veggendo che ancora durava l'ira di Currado e che far gli convenia pruova della sua bugia, non sappiendo come poterlasi fare, cavalcava appresso a Currado con la maggior paura del mondo, e volentieri, se potuto avesse, si sarebbe fuggito; ma non potendo, ora innanzi e ora addietro e da lato si riguardava, e ciò che vedeva credeva che gru fossero che stessero in due piedi.
Ma già vicini al fiume pervenuti, gli venner prima che ad alcun vedute sopra la riva di quello ben dodici gru, le quali tutte in un piè dimoravano, si come quando dormono soglion fare. Per che egli prestamente mostratele a Currado, disse:
- Assai bene potete, messer, vedere che iersera vi dissi il vero, che le gru non hanno se non una coscia e un piè, se voi riguardate a quelle che colà stanno.
Currado vedendole disse:
- Aspettati, che io ti mosterrò che elle n'hanno due; - e fattosi alquanto più a quelle vicino gridò: - Ho ho; - per lo qual grido le gru, mandato l'altro piè giù, tutte dopo alquanti passi cominciarono a fuggire. Laonde Currado rivolto a Chichibio disse:
- Che ti par, ghiottone? Parti ch'elle n'abbian due?
Chichibio quasi sbigottito, non sappiendo egli stesso donde si venisse, rispose:
- Messer sì, ma voi non gridaste - ho ho - a quella di iersera; ché se così gridato aveste, ella avrebbe così l'altra coscia e l'altro piè fuor mandata, come hanno fatto queste.
A Currado piacque tanto questa risposta, che tutta la sua ira si convertì in festa e riso, e disse:
- Chichibio, tu hai ragione, ben lo dovea fare.
Così adunque con la sua pronta e sollazzevol risposta Chichibio cessò la mala ventura e paceficossi col suo signore.


Decameron: Chichibbio e la gru

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L’ultima novella che vi presenteremo oggi è quella di “Frate Cipolla”, un frate disonesto, che va cercando soldi presentando ai fedeli delle reliquie. Certaldo… Castel di Val d’Elsa….del nostro contado… fra’ Cipolla ”di persona piccola, di pelo rosso, lieto nel viso, il miglior brigante del mondo”, si presenta a questa comunità e dice, in chiesa…
 
FRATE CIPOLLA
- Signori e donne, come voi sapete, vostra usanza è di mandare ogni anno a’ poveri del baron messer santo Antonio del vostro grano e delle vostre biade, chi poco e chi assai, secondo il podere e la divozion sua, acciò ché il beato santo Antonio vi sia guardia de'buoi e degli asini e de'porci e delle pecore vostre;
 
Insomma, avete già capito che lui chiede ai fedeli di radunare tutta questa bella roba, questo ben di dio, per sant’Antonio. In cambio lui cosa farà?...
 
(…)vi mostrerò una santissima e bella reliquia, la quale io medesimo già recai dalle sante terre d'oltremare: e questa è una delle penne dell'agnol Gabriello, la quale nella camera della Vergine Maria rimase quando egli la venne ad annunziare in Nazaret.
 
Due giovani che stavano osservando la scena si dettero di gomito e cominciarono a pensare: “Adesso facciamo un bello scherzo a Frate Cipolla. Sappiamo sicuramente che queste cose ce l’ha nella sua cesta e la tiene alla locanda dove è alloggiato”. Vogliono evidentemente fare sparire la penna dell’Angelo Gabriele, per  vedere come se la caverà il frate quando nel pomeriggio (alle 3 ha dato appuntamento al popolo) non se la ritroverà. Vanno e approfittarono della presenza di un servo,  Guccio Imbratta, detto anche Guccio Porco. Abbiamo capito che tipo di persona è…
 
(…)il quale era tanto cattivo, che egli non è vero che mai Lippo Topo ne facesse alcun cotanto.
 
Sta scherzando con le favole del suo tempo. Insomma questo Guccio Imbratta era uno… attento alle grazie femminili e aveva notato, nella locanda, una “servotta”. Boccaccio ci dice in qualche punto che era brutta come la fame…
 
(…)avendone…una veduta, grassa e grossa e piccola e mal fatta, con un paio di poppe che parean due ceston da letame e con un viso che parea de'Baronci, tutta sudata, unta e affumicata, non altramenti che si gitti l'avoltoio alla carogna, lasciata la camera di frate Cipolla aperta e tutte le sue cose in abbandono, là si calò. E ancora che d'agosto fosse, postosi presso al fuoco a sedere, cominciò con costei, che Nuta aveva nome, a entrare in parole e dirle che egli era gentile uomo per procuratore e che egli aveva de'fiorini più di millantanove, senza quegli che egli aveva a dare altrui, che erano anzi più che meno, e che egli sapeva tante cose fare e dire, che domine pure unquanche.
 

Insomma la riempie di chiacchiere che non significano niente e lei, ignorante, si incanta mentre Guccio parla, parla, dice tutte queste cretinate; e dunque lui è alle prese con questa, e, ripeto, Boccaccio non dice altro che questo, anzi l’espressione esatta è…
 
Trovarono adunque i due giovani Guccio Porco intorno alla Nuta occupato;
 
Se Pasolini o un altro dovesse riprendere questa novella vi lascio immaginare che cosa significherebbe quell’”intorno” per loro. Sarebbe una serie di immagini molto diverse dalle intenzioni dell’autore, che invece con grande delicatezza dice che lo trovano indaffarato con questa servotta; approfittano, aprono la cesta, prendono la penna dell’Arcangelo Gabriele, la sostituiscono con dei carboni, richiudono e vanno in chiesa per godersi lo spettacolo. Frate Cipolla la prende , anzi già la sta aprendo, vede, cerca la penna, non la trova, trova i carboni, ha visto solo lui il contenuto, richiude la cesta…
 
- O Iddio, lodata sia sempre la tua potenzia!
Poi richiusa la cassetta e al popolo rivolto disse:
- Signori e donne, voi dovete sapere che, essendo io ancora molto giovane, io fui mandato dal mio superiore in quelle parti dove apparisce il sole, e fummi commesso con espresso comandamento che io cercassi tanto che io trovassi i privilegi del Porcellana,

 
Insomma comincia una serie di ragionamenti, nominando Buffia, Truffia, Menzogna, che sarebbero le regioni che lui ha visitato, naturalmente dai nomi fittizi…e così continua per due pagine intere, concludendo che…
 
(…)credendomi io qui avere arrecata la cassetta dove era la penna, io ho arrecata quella dove sono i carboni. (perché ha appena parlato dei carboni sui quali fu bruciato San Lorenzo) Il quale io non reputo che stato sia errore, anzi mi pare esser certo che volontà sia stata di Dio e che Egli stesso la cassetta de'carboni ponesse nelle mie mani, ricordandom'io pur testé che la festa di san Lorenzo sia di qui a due dì.
 

Riesce anche a inquadrare il fatto che tra due giorni c’è la festa di San Lorenzo e se la cava. E la gente, contenta perché ha trovato invece che la reliquia della penna dell’Arcangelo Gabriele i carboni di San Lorenzo, porta un sacco di roba a questo imbroglione di frate Cipolla, che diventa ricco.

Decameron: Frate Cipolla

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Il Decamerone ispirerà i “Racconti di Canterbury” di Geoffrey Chaucer, nella cui finzione l’oste di una locanda sul percorso verso la cattedrale di Canterbury dà incarico di inventare dei racconti ai pellegrini che vanno a a visitare le spoglie di Thomas Becket, il grande santo inglese. Chi racconterà il più bello alla fine otterrà un premio. 28 pellegrini  dovranno raccontare 120 novelle. Poi Chaucer ne scriverà solo 24. In questa cornice presenterà una descrizione di uno spaccato della società inglese. Chaucer morirà esattamente nel 1400. Perciò con la sua opera chiudiamo il Trecento, non senza prima avere ricordato che il Thomas Becket che vanno a visitare questi pellegrini è il famoso arcivescovo di Canterbury che si era posto contro Enrico Secondo Plantageneto, il re suo vecchio amico nel passato, che, dopo averlo fatto uccidere, andava sempre a frustarsi sulla sua tomba, che è ancora in quella cattedrale. Arrivederci.


The Canterbury Tales - General Prologue Video Summary
(Flipped classroom: con sottotitoli in italiano)
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