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Boccaccio: le esperienze di Napoli e Firenze




Antologia - 11^ Lezione
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anto 1,11 Title 1
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Approfondimenti letterari (In coda alla pagina)
BOCCACCIO: DECAMERONE
Benvenuti alla nostra undicesima lezione, con Barbara. E’ la prima di quelle dedicate a Boccaccio, che, mentre Petrarca ha vissuto una buona parte della vita in Francia, ad Avignone, è rimasto in Italia, frequentando soprattutto le due aree regionali di Firenze e di Napoli. Nato nel 1313, nove anni dopo Petrarca, apparteneva a una famiglia benestante. Il padre lavorava con la compagnia dei Bardi e, nel momento in cui le cose andavano bene, lo mandò a Napoli a studiare giurisprudenza, per poi avviarlo all’attività di banchiere. Il giovane Boccaccio si perse nel divertimento della corte angioina, si disinteressò agli studi di legge o di economia e scrisse il “Ninfale d’Ameto”, la “Elegia per Madonna Fiammetta” (a Firenze aggiungerà il “Ninfale Fiesolano”) su temi d’amore nati allora, a Napoli, a contatto con l’ambiente cortese, gentile, raffinato.
Poi si verifica il fallimento della compagnia dei Bardi, negli anni ’40, che coinvolge diverse esperienze di credito. I fiorentini dominavano i mercati e prestavano anche a interesse. Spesso i regnanti, impegnati in tante guerre, non erano capaci di onorare i debiti contratti, non restituivano il danaro alle banche e queste fallivano, come accade qualche volta ai nostri tempi. Coinvolto nel tracollo della sua compagnia, il padre non riusciva più a mantenere il figlio a Napoli e lo richiamò a Firenze. Il giovane Boccaccio viene a contatto con un altro ambiente, mercantile, più concreto, e incomincia a coltivare l’interesse per la prudenza, l’accortezza, la spesa controllata, la serietà della vita e delle occupazioni, abbandonando, ma non del tutto, perché Boccaccio rimarrà sempre una persona solare, aperta alla vita, quell’eccesso di esperienze amorose, sentimentali, comunque raffinate, dell’ambiente angioino napoletano. Poi, nel 1348, si scatena una gravissima pestilenza e Boccaccio, proprio per esorcizzare la distruzione e la morte che divoravano l’Italia e l’Europa. decide di scrivere il “Decameron”, quest’opera di cento novelle in dieci giornate, inserite in una cornice, che dedica subito alle donne…
 
Boccaccio: vita e opere

(Flipped classroom)
E chi negherà questo, quantunque egli si sia, non molto più alle vaghe donne che agli uomini convenirsi donare? Esse dentro a’ dilicati petti, temendo e vergognando, tengono l’amorose fiamme nascose, le quali quanto più di forza abbian che le palesi coloro il sanno che l’hanno provate: e oltre a ciò, ristrette da’ voleri, da’ piaceri, da’ comandamenti de’ padri, delle madri, de’ fratelli e de’ mariti, il più del tempo nel piccolo circuito delle loro camere racchiuse dimorano e quasi oziose sedendosi, volendo e non volendo in una medesima ora, seco rivolgendo diversi pensieri, li quali non è possibile che sempre sieno allegri. E se per quegli alcuna malinconia, mossa da focoso disio, sopraviene nelle lor menti, in quelle conviene che con grave noia si dimori, se da nuovi ragionamenti non è rimossa: senza che elle sono molto men forti che gli uomini a sostenere;
il che degli innamorati uomini non avviene, sì come noi possiamo apertamente vedere.

 
Sosterrebbe, il nostro Boccaccio, che la donna è più debole dell’uomo, sul piano emotivo. Ti dovrebbe far ribellare, Barbara, ma nel medioevo così la pensavano. Ma dice anche, a favore della donna, che in una società che la reprime ha più malinconie degli uomini. Dunque, al di là dell’apparente questione che gli uomini innamorati siano più forti delle donne, voleva dire che è diversa la situazione degli uomini perché sono più liberi rispetto alle donne in questa società. Comunque si spieghi la loro malinconia, ha pensato di rivolgere questa serie di novelle divertenti a loro, per consolarle di questa condizione e  riempire la noia di giorni spesso passati chiuse in casa da mariti, fratelli, figli anche, che pure controllavano il comportamento delle madri.  Infatti dice degli uomini…
 
Essi, se alcuna malinconia o gravezza di pensieri gli affligge, hanno molti modi da alleggiare o da passar quello, per ciò che a loro, volendo essi, non manca l’andare a torno, udire e veder molte cose, uccellare, cacciare, pescare, cavalcare, giucare o mercatare: de’ quali modi ciascuno ha forza di trarre, o in tutto o in parte, l’animo a sé e dal noioso pensiero rimuoverlo almeno per alcuno spazio di tempo, appresso il quale, con un modo o con altro, o consolazion sopraviene o diventa la noia minore.
 
Un’altra cosa che dobbiamo rileggere è il riferimento alla peste, un’idea più pregnante del motivo che ha portato il nostro autore a parlare di vita in un periodo di morte…
 
Dico adunque che già erano gli anni della fruttifera incarnazione del Figliuolo di Dio al numero pervenuti di milletrecentoquarantotto, quando nella egregia città di Fiorenza, oltre a ogn’altra italica bellissima, pervenne la mortifera pestilenza: la. quale, per operazion de’ corpi superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata sopra i mortali, alquanti anni davanti nelle parti orientali incominciata, quelle d’inumerabile quantità de’ viventi avendo private, senza ristare d’un luogo in uno altro continuandosi, verso l’Occidente miserabilmente s’era ampliata.
 
E’ il concetto medievale, e morale, che la peste sia inviata da Dio per punire gli uomini…
  
La peste nel 1348
(Flipped classroom)

E in quella non valendo alcuno senno né umano provedimento, per lo quale fu da molte immondizie purgata la città da officiali sopra ciò ordinati e vietato l’entrarvi dentro a ciascuno infermo e molti consigli dati a conservazion della sanità, né ancora umili supplicazioni non una volta ma molte e in processioni ordinate, in altre guise a Dio fatte dalle divote persone, quasi nel principio della primavera dell’anno predetto orribilmente cominciò i suoi dolorosi effetti, e in miracolosa maniera, a dimostrare. E non come in Oriente aveva fatto, dove a chiunque usciva il sangue del naso era manifesto segno di inevitabile morte: ma nascevano nel cominciamento d’essa a’ maschi e alle femine parimente o nella anguinaia (inguine) o sotto le ditella (ascelle) certe enfiature, delle quali alcune crescevano come una comunal mela, altre come uno uovo, e alcune più e alcun’ altre meno, le quali i volgari nominavan gavoccioli. E dalle due parti del corpo predette infra brieve spazio cominciò il già detto gavocciolo mortifero indifferentemente in ogni parte di quello a nascere e a venire: e da questo appresso s’incominciò la qualità della predetta infermità a permutare in macchie nere o livide, le quali nelle braccia e per le cosce e in ciascuna altra parte del corpo apparivano a molti, a cui grandi e rade e a cui minute e spesse. E come il gavocciolo primieramente era stato e ancora era certissimo indizio di futura morte, così erano queste a ciascuno a cui venieno.
 
Non vi era rimedio, né medicine, dirà più avanti, per risolvere il problema. Poi parla della facilità del contagio nella città e accenna ai comportamenti dei sopravvissuti. Qui non ho il tempo di leggervi tutto, ma riassumo. Si sofferma sul fatto che durante la peste si reagisca egoisticamente, ognuno pensi alla propria salute (in fondo è quello che ha descritto anche Manzoni sulla peste nel suo romanzo). E’ sconfortante vedere come si diventi cinici in occasioni così negative. Una pagina sconvolgente. A un certo punto parla dello stravolgimento dei legami familiari e anche della perdita del pudore femminile. Quindi non ci sono figli, parenti che tengano, nemmeno pudori di fronte alla minaccia della morte. Questo fa nascere nell’autore la speranza di un riscatto, la volontà di rigenerare, con i suoi racconti un’umanità tormentata, stravolta e incrudelita dal morbo. E parla appunto dell’incontro in Santa Maria Novella di sette ragazze e tre ragazzi (questa prevalenza di donne nella “allegra brigata” è significativa), riuniti in una villa ai margini di Firenze, per sfuggire appunto al contagio. Dovendo trascorrere il loro tempo in qualche maniera, hanno deciso, con il programma riferito da Pampinea, di raccontare dieci novelle, una ciascuno, ogni giorno, cinque nella prima settimana e cinque nella seconda: gli altri due sono dedicati alla preghiera. I temi sono fissati tutti i giorni, tranne due. Nove ragazzi sono tenuti a rispettare il tema, mentre uno, Dioneo, è libero di scegliere. Cominceremo con “Andreuccio da Perugia”, novella di cui abbiamo ripreso la sceneggiatura che Pasolini fece per il suo film. Io leggerò la sceneggiatura, che è anche una sorta di racconto, anche se in forma diversa da come lo ha condotto Boccaccio, e le battute di Andreuccio, e Barbara interverrà nelle parti femminili, man mano che queste donne si presentano a parlare. Il tema di questa seconda giornata è quello della virtù contrapposta alla fortuna. Andreuccio viene da Perugia. Pasolini ha scritto così…
 
ANDREUCCIO DA PERUGIA, SCENEGGIATURA DI PIER PAOLO PASOLINI
Scena prima. Mercato di cavalli e somari a Napoli. Esterno. Giorno.
Un bel bulinozzo (questi sono termini di Pasolini, non di Boccaccio) cammina nel mercato, dove deve comprare un cavallo. Nel contrattare spesso apre e chiude la sua borsa di denari, ma il suo gesto è visto da una bella siciliana (che ha l’aria di prostituta, dico io, mentre lui usa un altro termine) con una fanticella e con una vecchia, anche lei siciliana. Tutt’a un tratto la giovane vede la vecchia schizzare via tra  cavalli e somari e andare ad abbracciare il giovanetto burino molto affettuosamente. Eccola che dopo un po’ ritorna e la giovane, il cui sguardo sulla borsa era stato molto avido, chiede alla sua vecchia serva notizie di quel tipo, e quella risponde:
VECCHIA-Quello è Andreuccio! Come è cresciuto! L’ho conosciuto da ragazzino. Ora è venuto da Perugia, dove abita, per commerciare cavalli. Conobbi suo padre in Sicilia, tanti e tanti anni fa.
Scena seconda. Casa della siciliana, a Malpertugio. Esterno. Giorno. Davanti alla casa.
“Malpertugio è un vicolo il quale quanto sia onesta contrada il nome dimostra” (sono parole dello stesso Boccaccio, citate da Pasolini). A una delle finestrelle di questo vicolo è affacciata la siciliana, meditabonda, in attesa.
Scena terza. Strade davanti all’albergo di Andreuccio. Esterno. Giorno.
La fanticella che abbiamo visto al mercato con la siciliana viene avanti come fanno le bambine, mattarella e nel tempo stesso riservata e scontrosa, guardando intorno e cercando. Ecco là l’albergo dove alloggia  Andreuccio. Ed ecco là, bighellone e ottimistico, appoggiato allo stipite della porta dell’albergo, Andreuccio che fischietta. La fanticella si avvicina misteriosa e lo tira in disparte. Andreuccio subito, incuriosito e preso dal piacere dell’avventura, facendo la faccia del caso (vuole dire che l’uomo in questi casi fa la faccia bovina, dello stupido, che crede che “tu, fanticella, sei arrivata perché io ho un fascino irresistibile, quindi devi avermi notato, e mi stai chiamando”).
FANTICELLA-Signurì, ci sta na bella signorinella, la padroncina mia, ca si vui vulite vi vorrebbe parlare.
ANDREUCCIO-Con tutto il cuore!
FANTICELLA- E allora venite, che vi sta ad aspettare a casa sua!
ANDREUCCIO- Sì, vai avanti che ti vengo appresso! (Quindi è passato da uno stato d’animo all’altro, tutti e due belli: prima pensava di essere entrato nelle attenzioni di questa fanticella, che ha subito detto che l’interessata a lui è la padrona, ma ora meglio ancora, grande signora, bisogna solo andare a vederla)
Scena quarta. Malpertugio. Esterno. Giorno.
Arrivano a Malpertugio, dove ci vuole tutta l’ingenuità e la bontà di Andreuccio per non avere dei sospetti (cioè dovrebbe capire dall’ambiente, tutto, dice Pasolini; lo diceva anche Boccaccio, ma con una descrizione ben diversa). Arrivano sotto la casa della siciliana ed entrano (poi siamo già su nella casa). La stanza della siciliana profuma tutta di rose e di fiori d’arancio (cominciamo ad immaginare chi è, che fa), c’è un bellissimo letto incortinato (tende) e molte robe su per le stanghe, secondo il costume di là (quando dice “secondo il costume di là” ripete quello che ha già detto Boccaccio) ed altri assai belli e ricchi arnesi. Come la fanticella presenta Andreuccio, la siciliana si precipita su di lui e lo abbraccia come una pazza:
SICILIANA- O Andreuccio mio, tu sei il benvenuto!
ANDREUCCIO (soffocato dagli abbracci)- Signora, voi siate la ben trovata! (perché Andreuccio viene da Perugia ed è inesperto, non sa che ambientaccio è Napoli, soprattutto questa parte di Napoli).
La siciliana prende Andreuccio per mano e lo porta a sedere su una panca ai piedi del letto. E lì comincia subito con foga la sua storia:
SICILIANA-Certo tu ti meravigli a vedere questa mia accoglienza, come ti abbraccio e come ti bacio piangendo, ma più ancora ti meraviglierai adesso, che ti dico che io e te siamo fratello e sorella.
Stupore sulla faccia di Andreuccio. Mentre la siciliana spiega dettagliatamente con aria molto savia e patetica le tristi vicende del loro comune padre Pietro, e il come e il perché del destino che fino ad ora aveva separato i due fratelli eccetera… intrano alcune guaglioncelle, portando piatti, vivande, bevande, caraffe, frutta, fiori e cominciano ad apparecchiare la tavola osservate da un guaglioncello dall’aria già guappa (vi rendete conto che oggi stiamo facendo una lezione anche sullo stile di Pasolini, lo stile con cui traduce le pagine di Boccaccio, cosa interessante vedere come i grandi autori traducono i precedenti). Finito che ha di raccontare la sua storia, e finito che hanno le serve di apparecchiare la tavola, la siciliana lacrimando comincia ad abbracciare Andreuccio e lo bacia in fronte. Andreuccio si lascia bonaccione abbracciare.
ANDREUCCIO- Son proprio contento di avere trovato una sorella, tanto più che io so’ solo. Che ce volete fa’ (ecco, l’accento che dà Pasolini ad Andreuccio è un po’ romanesco, perché chi lo interpreta nel film sarà Ninetto Davoli, l’attore preferito di Pasolini). Che volete fa’, non tutto il male viene per nuocere. Papà non lo facevo così (che aveva tante donne, vuole dire). Beh, quando si è giovani… (e fa il segno di chi fa l’amore) lo capisco. Insomma, grazie sorella.
Ma la siciliana non indugia, prende per mano il fratello ritrovato e lo porta a tavola.
SICILIANA- Vieni, vieni adesso. Festeggiamo questa giornata!

Le serve partecipano ala gioia e cominciano a servire.
Scena quinta. Malpertugio. Esterno. Notte.
E’ ormai notte profonda. La luna scintilla su Malpertugio. In fondo all’imboccatura del vicolo c’è un giovanotto dall’aria feroce che fa paura solo a guardarlo. Intorno a lui c’è un gruppetto di compari seduti fra le cartacce e gli scalini grondanti chissà che liquido. Uno canta una canzone della malavita e la sua voce si perde su nel vicolo verso il cielo dove vaga la luna. E c’è la canzone di un giovane camorrista (questa è tutta invenzione di Pasolini: ambienta in uno stile camorrista-canoro, per dare un’idea di cosa sia questo ambiente di prostituzione ma anche di malaffare).
Scena sesta. Casa della siciliana. Interno. Notte.
Le donne stanno portando via la tavola coi resti della cena. La siciliana è sulla porta che dà nell’altra stanza e, come le donne hanno compiuto il loro dovere e sono uscite, anche lei le segue, ma prima dà la buona notte al fratello.
SICILIANA- Ecco, adesso ti fai un bel sonno e domani mattina te ne vai. Napoli non è città da girarci di notte. Buon riposo, fratello mio. A domani.
ANDREUCCIO- Buonanotte sorella.
La siciliana e le donne sono uscite, ma non senza un’ultima raccomandazione.
SICILIANA- Lascio con te questo guagliuncello, se tu avessi bisogno di qualche cosa.
C’è un gran caldo. Dalla finestrella aperta, col caldo, arriva la canzone del guappo. Il guagliuncello se ne sta da una parte ambiguo e Andreuccio comincia a spogliarsi per mettersi a letto. Quando è in camicia, accusa manifestamente un bisogno corporale, passandosi con un’improvvisa e passeggera malinconia le mani sulla pancia. Si rivolge al guagliuncello.
ANDREUCCIO- Dov’è il…?
GUAGLIUNCELLO- Trasite, da chilla parte.
E indica un usciolino sulla parete. Andreuccio va all’usciolino, lo apre diligentemente, ma l’asse su cui deve mettere i piedi per adempiere alla sua necessità (la telecamera lo inquadra in dettaglio) è sconficcato dal travicello sopra il quale era. L’asse si stacca e Andreuccio cade dentro la merda e per fortuna non si ammazza, perché non è piccolo il salto. Nella merda, dentro il casotto che stava sopra il vicolo tra due case (Boccaccio lo spiega bene, che ricavavano le latrine tra le pareti di due case che erano molto vicine e chiudevano un vico stretto di passaggio: si metteva un impianto di tavole sopra, con un bel buco, e da questa casa e da quell’altra si usciva nel cosiddetto bagno). Come sente gridare aiuto il guagliuncello corre a bussare alla porta della siciliana. Questa accorre, va a rovistare tra i panni di Andreuccio, trova la borsa coi soldi e chiude l’usciolo del cesso (abbiamo capito finalmente come ha funzionato il piano della siciliana per rubare i soldi di Andreuccio).
Scena settima. Andreuccio si sente perduto. La puzza gli fa perdere i sensi. Con uno sforzo disperato riesce a issarsi sul muretto che, sospeso tra le due case, dà sulla strada,  e quindi a saltare nella strada. La camicia, imbevuta del liquido della latrina, gli sta incollata addosso con un orribile fetore. Così rivà all’uscio da dove poche ore prima era entrato con la fanticella e comincia a bussare come un matto (immaginate: a Malpertugio, in pieno quartiere di camorra, uno che di notte bussa con violenza a una porta). Una delle servigiali della siciliana si fa alla finestra.
SERVA- Chi picchia laggiù?
ANDREUCCIO- Oh, non mi riconosci? Sono Andreuccio, il fratello della siciliana!
SERVA- Buon uomo, se tu troppo hai bevuto va’ a farti una dormita e torna domani mattina, che nun aggio mai sentito parlare di sto Andreuccio! Vai! E lasciaci dormire in pace!
ANDREUCCIO- Come? Durano così poco le parentele in Sicilia? Ohi, ohi, ma se non vuoi aprirmi gettami almeno i miei panni e la mia borsa coi denari!
SERVA- Buon uomo, mi pare che tu stai sognando!
E chiude la finestra sbattendola. E allora al buon Andreuccio vengono le furie. Ricomincia a picchiare sulla porta all’impazzata. Piano piano tutto il vicinato comincia a farsi sonnacchioso, napoletanamente appassionato alle finestrelle. Ognuno dice la sua. Una scena di vicinato con voci alternate. Ce n’è una che dice:
PRIMA VOCE-Questa è una maleducazione! Venite a quest’ora a disturbare queste buone donne!
SECONDA VOCE-Vattinne, buon uomo, facci dormire! Se hai qualche affare torna domani e non ci scocciare a quest’ora!

 
In questa confusione si chiude la parte della sceneggiatura che abbiamo riportato. Andreuccio passa altre peripezie, perché si ritrova ad incontrare nella strada due ladri, che gli consigliano di venire con loro, ma di lavarsi prima in un pozzo, per eliminare la puzza. Ve lo calano, ma arrivano le guardie e quelli scappano. Andreuccio in fondo al pozzo, dentro il secchio, se non arriva qualcuno a tirarlo su rischia di morirci. Ma le guardie sono arrivate proprio per bere e Andreuccio, invece di richiamare la loro attenzione, perché comincia a imparare la lezione che bisogna essere prudenti, sta zitto, si fa sollevare e appena arriva su si attacca alle pareti del pozzo, per essere pronto nel momento in cui abbandoneranno il secchio per la paura. Infatti  fuggono e lui è in salvo. Dopodiché ritroverà quei due, che lo porteranno dove volevano, alla tomba di un arcivescovo fresco di morte, in una chiesa: bisogna aprire il coperchio ed  entrare per rubare l’anello del defunto. Naturalmente hanno scelto di portarsi Andreuccio non perché siano generosi, ma perché pensano di farlo calare, farsi porgere l’anello e fuggire chiudendolo nella tomba. Così sarebbe andata se Andreuccio non avesse avuto ancora la fortuna che altre persone, tra cui anche un prete (nota anticlericale dell’autore), volessero rubare la stessa cosa. Lui sta dentro, mentre i ladri scappano con la tomba aperta, gli altri entrano in chiesa, uno si cala, e il perugino non chiede aiuto nemmeno questa volta, come nel pozzo. E tira i piedi a quello che si è calato, in modo che tutti, per la paura di essere stati presi dalle mani del morto, scappino e lui possa sfilare l’anello del vescovo ed uscire. Venuto da Perugia, inesperto, a Napoli, mostrando a tutti i soldi che gli hanno puntualmente rubato, dopo tante peripezie, dopo tanti casi negativi, all’interno della sfortuna ha trovato quella fortuna che sempre capita all’uomo e bisogna sfruttare. Così riuscirà a tornarsene a Perugia con un anello che vale più dei cinquecento fiorini che aveva perduto Questo è il messaggio di Boccaccio. Resistiamo alle difficoltà, perché prima o poi arriva il momento favorevole. Ci salutiamo con l’ultimo passo della novella…
 
ANDREUCCIO DA PERUGIA
(…) poi che costoro ebbero l’arca aperta e puntellata, in quistion caddero chi vi dovesse entrare, e niuno il voleva fare; pur dopo lunga tencione un prete disse: “Che paura avete voi? credete voi che egli vi manuchi? Li morti non mangian gli uomini: io v’entrerò dentro io.” E così detto, posto il petto sopra l’orlo dell’arca, volse il capo in fuori e dentro mandò le gambe per doversi giuso calare. Andreuccio, questo vedendo, in piè levatosi prese il prete per l’una delle gambe e fé sembiante di volerlo giù tirare. La qual cosa sentendo il prete mise uno strido grandissimo e presto dell’arca si gittò fuori; della qual cosa tutti gli altri spaventati, lasciata l’arca aperta, non altramente a fuggir cominciarono che se da centomilia diavoli fosser perseguitati.
La qual cosa veggendo Andreuccio, lieto oltre a quello che sperava, subito si gittò fuori e per quella via onde era venuto se ne uscì della chiesa; e già avvicinandosi al giorno, con quello anello in dito andando all’avventura, pervenne alla marina e quindi al suo albergo si abbatté; dove li suoi compagni e l’albergatore trovò tutta la notte stati in sollecitudine de’ fatti suoi. A’ quali ciò che avvenuto gli era raccontato, parve per lo consiglio dell’oste loro che costui incontanente si dovesse di Napoli partire; la qual cosa egli fece prestamente e a Perugia tornossi, avendo il suo investito in uno anello, dove per comperare cavalli era andato.

 
Il pensiero di Boccaccio: sintesi
(Flipped classroom)
♦ Indice


Approfondimenti letterari dal sito “letteritaliana.weebly”
Questo è un sito senza fini di lucro dedicato ai principali autori e testi della letteratura italiana dalle Origini al Novecento, con pagine descrittive e dedicate ai testi antologici più importanti. Sono presenti anche pagine di approfondimento su alcuni temi particolarmente rilevanti e "link" a video di interesse su argomenti culturali e sulle opere trattate.

In questa sezione si trovano le pagine relative ad alcuni percorsi della storia letteraria italiana, con particolare attenzione ad alcuni periodi significativi, ai generi letterari più importanti, a scuole e movimenti di un certo rilievo, tenendo conto della tradizione storico-letteraria. 

♦ I grandi della letteratura italiana: Giovanni Boccaccio
♦ BOCCACCIO: l'uomo che cambiò per sempre la PROSA italiana
(Testi di Boccaccio)
In questa sezione si trovano i testi (passi antologici) tratti dalle opere più significative della tradizione letteraria italiana e, occasionalmente, straniera, con una sintetica introduzione, note esplicative, una breve interpretazione. 
Giovanni Boccaccio
    L'amore di Florio e Biancifiore (Filocolo, II, 4)
    Africo e Mensola (Ninfale fiesolano, ott. 26-36)
    L'amore di Fiammetta (Elegia di Madonna Fiammetta, I)
    La bellezza artificiale delle donne (Corbaccio)
    La peste a Firenze (Decameron, I, Introduz.)
    Ser Ciappelletto (Decameron, I, 1)
    Andreuccio da Perugia (Decameron, II, 5)
    Masetto da Lamporecchio (Decameron, III, 1)
    La novella delle papere (Decameron, IV, Introduz.)
    Tancredi e Ghismunda (Decameron, IV, 1)
    Federigo degli Alberighi (Decameron, V, 9)
    Guido Cavalcanti (Decameron, VI, 9)
    Frate Cipolla (Decameron, VI, 10)
    Peronella (Decameron, VII, 2)
    Calandrino e l'elitropia (Decameron, VIII, 3)
    La badessa e le brache (Decameron, IX, 2)
    Griselda (Decameron, X, 10)