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Antologia - 1^ lezione


Antologia - 1^ Lezione
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Approfondimenti letterari (Rinvia in coda alla pagina)
LETTERATURA DELLE ORIGINI:
POESIA PROVENZALE, ROMANZO CAVALLERESCO, POESIA RELIGIOSA
Sono il professore Sacchetti, del Liceo “Galanti” di Campobasso. Inizio questo corso triennale di Antologia, che ci presenterà la lettura di passi della migliore letteratura italiana e anche straniera. Commenterò, inquadrerò e contestualizzerò i vari autori che tratteremo, in compagnia di studenti che si avvicenderanno: in buona parte mi seguirà Barbara Petti, che vedremo nella seconda lezione. 
 
Partiamo dalla produzione delle origini, che significa, per la versione italiana, letteratura del Duecento. E parliamo subito delle varie esperienze culturali che precedono l’affermarsi di una lingua letteraria in Italia. La prima è quella provenzale, che nasce appunto in questa regione della Francia, dall’originario nome latino, la Provenza, la Provincia. Si sviluppa soprattutto per merito di Guglielmo di Aquitania, che sarà seguito da tanti altri rimatori, come Bertran de BornBernart de Ventadorn, Raimbaut de VaqueirasJauffré Rudel. Voglio subito leggervi un testo di Guglielmo di Aquitania:

GUGLIEMO DI AQUITANIA, NELLA DOLCEZZA DELLA PRIMAVERA 
    Nella dolcezza della primavera
i boschi rinverdiscono, e gli uccelli
cantano, ciascheduno in sua favella,
giusta la melodia del nuovo canto.
E' tempo, dunque, che ognuno si tragga
presso a quel che più brama.

    Dall'essere che più mi giova e piace
messaggero non vedo, né sigillo:
perciò non ho riposo né allegrezza,
né ardisco farmi innanzi
finché non sappia di certo se l'esito
sarà quale domando.

    Del nostro amore accade
come del ramo del biancospino,
che sta sulla pianta tremando
la notte alla pioggia e al gelo,
fino a domani, che il sole s'effonde
infra le foglie verdi sulle fronde.

    Ancora mi rimembra d'un mattino
che facemmo la pace tra noi due ,
e che mi diede un dono così grande:
il suo amore e il suo anello.
Dio mi conceda ancor tanto di vita
che il suo mantello copra le mie mani!

 
E’ una poesia rivolta a una donna avvolta dal mistero. Si amavano ma non potevano confessare il loro amore. Ci sono anche dei segnali che servono da richiamo, come il “Buon Vicino”, l’immagine della sua donna, che, ascoltando questa canzone, penserà che il poeta è quella persona con cui ha questa intesa. Poi ancora ci sono dei riferimenti alla sfera erotica, come mettere le mani sotto il mantello, e vari altri simboli, come l’anello. Ma quello che ci colpisce nel suo insieme è che questo amore è inserito nella natura e che il paesaggio è un riflesso, un’eco degli stati d’animo. Il corteggiamento era dovuto al fatto che i matrimoni di quel periodo non si celebravano mai o quasi mai per amore, soprattutto negli ambienti aristocratici, perché erano unioni combinate. E questo anche ci spiegherà un certo modo di affrontare questo tema da parte di Andrea Cappellano, il quale afferma che l’amore nobilita, nel trattato “De amore”, del 1185, rivolto appunto a quella società:                     
 
ANDREA CAPPELLANO, DE AMORE
Questo è l’effetto d’amore; poiché il vero amante non può peccare di viltà, l’amore dà bellezza all’uomo incolto e rozzo, dà nobiltà anche ai più umili, rende umili anche i superbi e l’innamorato è generalmente compiacente con tutti.
(…) Che cosa meravigliosa è l’amore che fa splendere l’uomo di tante virtù e insegna ad avere tanti buoni costumi; e c’è nell’amore un altro merito degno di lunga lode: l’amore rende l’amante quasi casto perché chi è illuminato dal raggio di un solo amore difficilmente pensa di fare l’amore con un’altra anche se bella: finchè pensa esclusivamente al suo amore orrida e brutta gli appare alla mente qualsiasi altra donna.
 
Sono diversi concetti: uno è quello che l’amore nobilita, che poi tornerà nel Dolce Stil Novo, l’altro è quello che l’amore è quasi casto e unico: si ama una donna, non se ne può amare un’altra. Ma quello che poi risulterà in questo ambiente è che l’amore extraconiugale verrà giustificato, da Andrea Cappellano e da altri, prima di tutto perché si pensa che nel matrimonio non possa esserci sentimento, in quanto si sa come sono celebrate queste unioni, come dicevo prima, e poi perché ci si sofferma su figure straordinarie, sia di uomini che di donne, come vedremo nel caso della tradizione di Lancillotto e Ginevra: Lancillotto è l’eroe eccezionale, Ginevra, la moglie di Re Artù, è una regina dalle doti veramente non comuni; e quindi sono coinvolti da un “Amor che a nullo amato amar perdona”, come dirà poi Dante in un suo verso famoso. Cioè l’amore non risparmia a nessuna persona veramente amata in questi ambiti così eccezionali di riamare, tanto è forte il trasporto, ma anche tanto grande è la persona che ama, sempre in questo contesto. A proposito del rapporto tra amore e matrimonio, dice poi Andrea Cappellano che non è possibile un sentimento spontaneo tra coniugi…
 
Con certezza dico che amore non può affermare il suo potere fra due coniugi perché gli amanti si scambiano gratis ogni piacere senza nessun tipo di costrizione, mentre i coniugi sono tenuti per legge ad obbedire l’uno alla volontà dell’altra senza potersi rifiutare.
 
Quella che abbiamo letta prima era poesia in lingua d’oc, della Provenza, nella traduzione, naturalmente, dei nostri migliori. Nella Francia settentrionale invece si parlava la lingua d’oil. “Oc” ed “oil” sono le due particelle che indicano un’affermazione, perché in latino “hoc” significava in un certo senso “sì” (alla domanda “hoc fecisti?” l’altro risponde “hoc feci”, “questo ho fatto”, poi rimane soltanto “hoc”, senza il verbo, e sta a rappresentare “sì”). La stessa cosa con “oil” (“questo lui ha fatto”, “hoc ille fecit”, poi “hoc ille” poi “oil”). Mentre in Italia si chiamerà lingua del “sì”, perché vi si dirà “sic”, “sic feci”, “così feci” e da sic rimarrà la particella “sì”.
Nella Francia meridionale si svilupperà soprattutto la poesia d’amore, mentre in quella del nord, in lingua d’oil, si affermerà la tradizione dei romanzi cavallereschi. Uno è quello di “Lancillotto e Ginevra”, di cui citiamo un passo che parla del bacio di Ginevra. Galeotto convince la regina a dare attenzione a Lancillotto:
 
ANONIMO, LANCELOT
GALEOTTO-Dama, abbiate merce’ di lui che più v’ama che se medesimo.
GINEVRA-Io ne avrò tal merce’ come voi ne vorrete, perché voi avete fatto quanto io vi richiesi; ben dunque devo fare quanto vorrete voi, ma egli non mi prega di nulla.
GALEOTTO-Dama, certo che egli non ne ha punto di potere, chè niuno può altri amare senza aver tema, ma io ve ne prego per lui; se non ve ne potessi aiutare io, sì vi dovreste adoperar da voi, che più ricco tesoro non potreste voi conquistare.
GINEVRA-Certo, lo so bene e io ve ne farò ciò che voi me ne domanderete.
GALEOTTO-Dama, gran merce’! E io vi prego che voi gli concediate il vostro amore e che lo prendiate a vostro cavaliere per sempre e diveniate la sua real dama per tutto il tempo della vostra vita; e così lo avrete fatto più ricco che se gli aveste donato tutto il mondo.
GINEVRA-Così io consento che egli sia tutto mio e io tutta sua e che per voi siano ammendati i torti e le violazioni dei patti.
GALEOTTO-Dama, gran merce’! Ma ora ci vuole un primo pegno.
GINEVRA-Voi non disiderete cosa alcuna che io non compia.
GALEOTTO-Dama, gran merce’! Baciatelo dunque innanzi a me per cominciamento di verace amore.
GINEVRA-Del baciare non veggo io ora né luogo né tempo; e non temete che io così volentieri non ne sia desiosa quanto egli ne sia, ma quelle dame son là che si meraviglian molto di quel che noi abbiam fatto tutto questo tempo che non potrebbe essere che non lo vedessero; e non pertanto se egli lo vuole io lo bacerò molto volentieri.
GALEOTTO-Ah dama, non dubitate punto del suo volere che c’è tutto e sappiate che niuno se ne accorgerà perché noi ci trarremo in disparte, tutti tre insieme come a prender consiglio.

 
La leggenda di Re Artù appartiene al ciclo bretone, che è la tradizione che inserisce il tema dell’amore rispetto all’altro, il carolingio, sorto sotto Carlo Magno, con i Paladini, Comites Palatini, compagni di palazzo, da cui le parole “conti” e “paladini”: conti per indicare un titolo nobiliare e paladini poi per indicare i difensori della fede, del re, della patria, della famiglia, dell’onore, come Orlando. Mentre nella letteratura del ciclo bretone si inserisce in maniera vistosa il tema dell’amore e c’è anche un’atmosfera magica, uno spirito d’avventura particolare per cui l’impresa, la “ricerca” del cavaliere è al servizio dei deboli, tra cui i poveri e le donne. E questa natura sentimentale del ciclo bretone poi reagisce con la stessa poesia provenzale.

Uno degli schemi che vengono usati in quest’ultima è quello dei malparlieri. Poi c’è quello dell’amore di lontano, con l’innamorato che è partito per la crociata. Questa tradizione nasce nelle corti, laddove la vita prima era rude, dedita alla guerra, anzi per la guerra gli uomini si allontanano, provocando per un certo tempo una sorta di minorità nelle loro donne, che, trascurate e separate spesso dai mariti, cominciano a diventare protagoniste della corte, anche perché in loro assenza devono gestire la vita nel castello, e per questo acquistano sempre più autonomia e convinzione, partecipano alla vita sociale, finché impongono il loro modo di essere, il loro modo di pensare e introducono questo tema, a loro più congeniale, dell’amore, nelle corti, dove si operava prima in una maniera, ripeto, rozza (immaginiamo queste mense nelle quali si mangiava con le mani, ci si tirava qualcosa dietro, si facevano anche battute volgari, si beveva eccetera), che cercano di ingentilire chiamando un giullare, un giocoliere (ioculares è la parola latina per dire giocolieri). Questo giullare è anche poeta, comincia a recitare testi che parlano d’amore e nasce la tradizione del trovatore, cioè colui che inventa, crea le immaginioeta, il poeta cortese, il poeta provenzale. Questa pratica raffina la vita del castello e crea le premesse per l’affermarsi della prima letteratura.

La cultura del castello corrisponde ad un’attività e ad un’organizzazione economica. Aveva un territorio intorno, il “manso”, dove lavoravano per il feudatario contadini il cui impegno per il padrone viene chiamato appunto mansione. Operando su un territorio che appartiene al castello, se devono far legna devono pagare il legnatico, cioè una parte di quello che prendono deve essere lasciata al signore, se devono utilizzare il frantoio devono recarsi in quello dentro le mura e lasciare una parte del raccolto; così per l’erbatico o lo stallatico o tante altre componenti di questa organizzazione economica chiusa del feudo. Però poi cominceranno le trasformazioni, sorgeranno mercati, soprattutto nei luoghi di pellegrinaggio, dove ci si sposta per andare a visitare le reliquie dei santi. Si attraversano queste strade un po’ in tutta l’Europa, dall’Italia alla Francia fino alla Spagna e al Portogallo, a Santiago de Compostela. Poi quest’usanza del commercio si diffonde sempre più, fino a che nascerà tutta un’altra organizzazione economica che darà l’avvio anche a un certo tipo di produzione letteraria, di cui parleremo in seguito.
La nuova struttura della società, i nuovi insediamenti, determinano anche la trasformazione architettonica. Nascono le grandi chiese gotiche, che devono contenere più persone, con una pianta più larga e con un deciso sviluppo in altezza, proiettate verso il cielo e con i contrafforti che sostengono la struttura, per cui le pareti possono essere alleggerite anche da grandi vetrate: la luce entra da queste finestre molto ampie e su questi spazi vetrati si compongono anche i mosaici. La cattedrale gotica diventa un simbolo di questa nuova società già a partire dalla fine del 1100.

Passando all’Italia, i trovatori provenzali si sposteranno poi nelle nostre corti, portando la loro novità. Da noi sta appena facendo i primi passi la lingua del “sì”, la lingua volgare. Sono tutti idiomi neolatini, il risultato della trasformazione dovuta alla differenziazione che si crea per sottostrato e superstrato nell’antica lingua latina. Quando parliamo di sottostrato intendiamo le popolazioni sulle quali arriva la dominazione romana, che fanno reagire il loro lessico sulla lingua ufficiale dell’impero. Mentre per superstrato intendiamo quei termini che si affermano sul latino, così già modificato dalle popolazioni assoggettate, per effetto degli interventi da parte della popolazioni barbare che entrano nei confini dell’impero e vanno a modificare a loro volta il linguaggio che si era stabilizzato intorno al quarto secolo dopo Cristo, generando ulteriori differenziazioni che daranno vita alle cosiddette lingue romanze.
In Italia i primi esempi di volgare scritto sono quelli che riguardano la vita giuridica in un certo senso: ci sono infatti il “Sao ke kelle terre per kelle fini que ki contene trenta anni le possette parte Sancti Benedicti”, che è una formula che viene riletta o ripetuta in un processo da parte di testimoni, contadini che devono confermare che quella parte di terra di cui si parla (que ki contene) trent’anni la possedette la parte di San Benedetto, cioè il monastero, che attraverso questo placito cassinese accampava pretese su alcune terre che aveva tenuto per trent’anni, di cui voleva per usucapione appunto conquistare la proprietà; bisognava che si testimoniasse questo e si chiamavano i testimoni a leggere la formula. Questo è uno dei primi esempi di lingua volgare scritta, con quelli di vari atti notarili del tempo e anche indovinelli, come quello veronese, che parla della penna che scrive sulla pergamena.
Esamineremo ora il testo in cui Francesco d’Assisi richiama il suo amore per la divinità:
 
FRANCESCO D’ASSISI, CANTICO DELLE CREATURE
« Altissimu, onnipotente, bon Signore,
tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimo, se konfàno
et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature,
spetialmente messor lo frate sole,
lo qual’è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore,
de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle,
in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le tue creature dai sustentamento.
Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si’, mi Signore, per frate focu,
per lo quale ennallumini la nocte,
et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.
Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore,
et sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati quelli ke 'l sosterrano in pace,
ka da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale,
da la quale nullu homo vivente pò skappare:
guai a cquelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati,
ka la morte secunda no 'l farrà male.
Laudate et benedicete mi’ Signore' et ringratiate
et serviateli cum grande humilitate »

 
Parte con la parola “altissimo” e si chiude con la parola “umilitate”, che: sono appunto la celebrazione dell’umiltà dell’uomo di fronte all’altezza straordinaria del Signore. E’ una lode al Signore, con questo “per” che ha diversi significati: lode da parte delle creature, oppure a causa delle creature che il Signore ha messo in questo mondo, oppure  attraverso la lode delle creature che il Signore ha inserito in questo universo che è armonia. E’ il canto della pace. Le qualità che si richiedono all’uomo sono: utile, umile, prezioso, casto, che sono le qualità dell’acqua. Si parla dei quattro elementi: aria, acqua, terra e fuoco. Si parla del sole, delle stelle e degli altri elementi come fratelli e sorelle dell’uomo. Infatti è il cantico della fratellanza. Si parla della morte. Anche la morte è sorella, anche la morte va accolta ed accettata da parte dell’uomo.
San Francesco è il protagonista di quella vita che tutti conoscono e la sua esperienza è significativa dii quanto accade in quel periodo. Siamo a cavallo del 1200, era diffusa la mercatura, che veniva considerata dalla Chiesa come un fatto peccaminoso, come usura; e Francesco, figlio di un mercante, Pietro Bernardone, si spoglia dei suoi beni e si purifica di questa scoria, di questo male. Infatti in quel periodo i mercanti erano malvisti, spesso erano degli ebrei. Era forte già allora l’antisemitismo, in Italia ma in Europa tutta, poi si scatenerà nel Quattrocento, in Spagna.

Francesco fonderà appunto l’ordine francescano, che avrà riconoscimenti dai papi Innocenzo Terzo e Onorio Terzo, e poi si dividerà in due gruppi, degli Spirituali e dei Conventuali, con un’interpretazione più rigida della regola di povertà nei primi e un’interpretazione un po’ più morbida nei secondi. Poi altri personaggi abbandoneranno le loro ricchezze: Guittone, che diventerà Fra’ Guittone, e Jacopone, l’altro grande protagonista della letteratura religiosa, autore anche lui di Laudi, o Laude (singolare Lauda), che venivano cantate appunto per il Signore (la prima, l’abbiamo letta, è quella di San Francesco) in occasione anche di processioni, riti, che spesso erano quelli dei flagellanti, che si fustigavano per cancellare quello che era negativo, o così sentito in quel tempo, il corpo con le sue tentazioni. Jacopone vive sessant’anni dopo Francesco ed è protagonista della vita a cavallo del Trecento. Combatte papa Bonifacio Ottavo, finisce in prigione, dove scatena tutto il suo odio contro di lui, ma scrive anche il suo famoso “Pianto della Madonna”, “Donna de Paradiso”, una lauda, che adesso vedremo nell’interpretazione di alcuni miei studenti, tra cui due che collaboreranno nella lettura dei testi in questo corso.
 
JACOPONE DA TODI, DONNA DE PARADISO  
[Nunzio]
«Donna de Paradiso,
lo tuo figliolo è preso
Iesù Cristo beato.
Accurre, donna e vide
che la gente l’allide;
credo che lo s’occide,
tanto l’ò flagellato».
[Maria]
«Como essere porria,
che non fece follia,
Cristo, la spene mia,
om l’avesse pigliato?».
[Nunzio]
«Madonna, ello è traduto,
Iuda sì ll’à venduto;
trenta denar’ n’à auto,
fatto n’à gran mercato».
[Maria]
«Soccurri, Madalena,
ionta m’è adosso piena!
Cristo figlio se mena,
como è annunziato».
[Nunzio]
«Soccurre, donna, adiuta,
cà ’l tuo figlio se sputa
e la gente lo muta;
òlo dato a Pilato».
[Maria]
«O Pilato, non fare
el figlio meo tormentare,
ch’eo te pòzzo mustrare
como a ttorto è accusato».
[Popolo]
«Crucifige, crucifige!
Omo che se fa rege,
secondo nostra lege
contradice al senato».
[Maria]
«Prego che mm’entennate,
nel meo dolor pensate!
Forsa mo vo mutate
de que avete pensato».
[Popolo]
«Traiàn for li latruni,
che sian soi compagnuni;
de spine s’encoroni,
ché rege ss’è clamato!».
[Maria]
«O figlio, figlio, figlio,
figlio, amoroso giglio!
Figlio, chi dà consiglio
al cor me’ angustiato?
Figlio occhi iocundi,
figlio, co’ non respundi?
Figlio, perché t’ascundi
al petto o’ sì lattato?».
[Nunzio]
«Madonna, ecco la croce,
che la gente l’aduce,
ove la vera luce
déi essere levato».
[Maria]
«O croce, e que farai?
El figlio meo torrai?
E que ci aponerai,
che no n’à en sé peccato?».
[Nunzio]
«Soccurri, plena de doglia,
cà ’l tuo figliol se spoglia;
la gente par che voglia
che sia martirizzato».
[Maria]
«Se i tollit’el vestire,
lassatelme vedere,
com’en crudel firire
tutto l’ò ensanguenato».
[Nunzio]
«Donna, la man li è presa,
ennella croc’è stesa;
con un bollon l’ò fesa,
tanto lo ‘n cci ò ficcato.
L’altra mano se prende,
ennella croce se stende
e lo dolor s’accende,
ch’è plu multiplicato.
Donna, li pè se prènno
e clavellanse al lenno;
onne iontur’aprenno,
tutto l’ò sdenodato».
[Maria]
«Et eo comenzo el corrotto;
figlio, lo meo deporto,
figlio, chi me tt’à morto,
figlio meo dilicato?
Meglio aviriano fatto
ch’el cor m’avesser tratto,
ch’ennella croce è tratto,
stace descilïato!».
[Cristo]
«O mamma, o’ n’èi venuta?
Mortal me dà’ feruta,
cà ’l tuo plagner me stuta,
ché ’l veio sì afferato».
[Maria]
«Figlio, ch’eo m’ aio anvito,
figlio, pat’e mmarito!
Figlio, chi tt’à firito?
Figlio, chi tt’à spogliato?».
[Cristo]
«Mamma, perché te lagni?
Voglio che tu remagni,
che serve mei compagni,
ch’êl mondo aio aquistato».
[Maria]
«Figlio, questo non dire!
Voglio teco morire,
non me voglio partire
fin che mo ’n m’esc’ el fiato.
C’una aiàn sepultura,
figlio de mamma scura,
trovarse en afrantura
mat’e figlio affocato!».
[Cristo]
«Mamma col core afflitto,
entro ’n le man’ te metto
de Ioanni, meo eletto;
sia to figlio appellato.
Ioanni, èsto mea mate:
tollila en caritate,
àginne pietate,
cà ‘l core sì à furato».
[Maria]
«Figlio, l’alma t’è ’scita,
figlio de la smarrita,
figlio de la sparita,
figlio attossecato!
Figlio bianco e vermiglio,
figlio senza simiglio,
figlio, e a ccui m’apiglio?
Figlio, pur m’ài lassato!
Figlio bianco e biondo,
figlio volto iocondo,
figlio, perché t’à el mondo,
figlio, cusì sprezzato?
Figlio dolc’e placente,
figlio de la dolente,
figlio àte la gente
mala mente trattato.
Ioanni, figlio novello,
morto s’è ’l tuo fratello.
Ora sento ’l coltello
che fo profitizzato.
Che moga figlio e mate
d’una morte afferrate,
trovarse abraccecate
mat’e figlio impiccato!».

 
E vediamo adesso un altro testo di un anonimo del Quattrocento che ci testimonia l’importanza della sacra rappresentazione in questo periodo. Noi la presentiamo come una vera e propria azione teatrale.
 
Jacopone da Todi abbandonò le sue ricchezze e la sua vita mondana quando vide un cilicio sul corpo della moglie morta per il crollo del pavimento di casa durante una festa: si rese conto che la donna voleva mortificare la sua carne e dichiarare il fatto che non fosse d’accordo con questo tipo di esistenza condotta da lui indossando il cilicio, simbolo di penitenza. Con questo chiudiamo questa prima lezione di Antologia dedicata alla letteratura delle origini e alla poesia religiosa.
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Approfondimenti letterari dal sito “letteritaliana.weebly”

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In questa sezione si trovano le pagine relative ad alcuni percorsi della storia letteraria italiana, con particolare attenzione ad alcuni periodi significativi, ai generi letterari più importanti, a scuole e movimenti di un certo rilievo, tenendo conto della tradizione storico-letteraria. 

Le Origini della letteratura italiana
Premessa. Dal latino al volgare. Chierici e laici. L'attività culturale dei monasteri.
Le prime testimonianze scritte del volgare. La poesia epica in lingua d'oïl.
I romanzi cortesi in lingua d'oïl. La lirica provenzale in lingua d'oc.
La letteratura volgare in Italia. Il mondo comunale.
La poesia religiosa
Fermenti religiosi nell'Italia del Duecento. Nuovi generi letterari: lauda e lauda drammatica.
Il poemetto didattico dell'Italia settentrionale. San Francesco d'Assisi. Jacopone da Todi.
Il poema didattico-allegorico prima e dopo Dante.
La letteratura religiosa del Trecento.