Antologia - 6^ Lezione
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anto 1, 6 Title 1
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COMMEDIA, INFERNO: CANTO SESTO, CANTO DECIMO
Ci avviamo verso la situazione del sesto canto dell’ Inferno, canto politico come il sesto del Purgatorio e il sesto del Paradiso, nei quali si tratta il tema del cattivo governo, nella città di Firenze, ln Italia e nel mondo, nell’Europa. Qui compare il personaggio di Ciacco, vissuto nella Firenze di qualche anno prima, uno dei golosi del terzo cerchio.
Ci aiuterà anche oggi, nella lettura di questo canto e poi del decimo dell’ Inferno, Sara Giglio. In questo cerchio c’è un’atmosfera veramente negativa, con una pioggia puzzolente, grandine, neve, altre cose che infastidiscono con il loro cattivo odore…
INFERNO, CANTO VI
Io sono al terzo cerchio, de la piova
etterna, maladetta, fredda e greve;
regola e qualità mai non l’è nova.
Grandine grossa, acqua tinta e neve
per l’aere tenebroso si riversa;
pute la terra che questo riceve.
Cerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gole caninamente latra
sovra la gente che quivi è sommersa.
Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
e ’l ventre largo, e unghiate le mani;
graffia li spirti, ed iscoia ed isquatra.
Urlar li fa la pioggia come cani;
de l’un de’ lati fanno a l’altro schermo;
volgonsi spesso i miseri profani.
Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
le bocche aperse e mostrocci le sanne; (le zanne)
non avea membro che tenesse fermo. (vibrava tutto)
E ’l duca mio distese le sue spanne,
prese la terra, e con piene le pugna
la gittò dentro a le bramose canne.
Qual è quel cane ch’abbaiando agogna,
e si racqueta poi che ’l pasto morde,
ché solo a divorarlo intende e pugna,
cotai si fecer quelle facce lorde
de lo demonio Cerbero, che ’ntrona
l’anime sì, ch’esser vorrebber sorde.
Noi passavam su per l’ombre che adona
la greve pioggia, e ponavam le piante
sovra lor vanità che par persona.
Elle giacean per terra tutte quante,
fuor d’una ch’a seder si levò, ratto
ch’ella ci vide passarsi davante.
(leggono Sara come Ciacco e il professore come Dante)
«O tu che se’ per questo ’nferno tratto»,
mi disse, «riconoscimi, se sai:
tu fosti, prima ch’io disfatto, fatto».
E io a lui: «L’angoscia che tu hai
forse ti tira fuor de la mia mente,
sì che non par ch’i’ ti vedessi mai.
Ma dimmi chi tu se’ che ’n sì dolente
loco se’ messo e hai sì fatta pena,
che, s’altra è maggio, nulla è sì spiacente».
Ed elli a me: «La tua città, ch’è piena
d’invidia sì che già trabocca il sacco,
seco mi tenne in la vita serena.
Voi cittadini mi chiamaste Ciacco:
per la dannosa colpa de la gola,
come tu vedi, a la pioggia mi fiacco.
E io anima trista non son sola,
ché tutte queste a simil pena stanno
per simil colpa». E più non fé parola.
Io li rispuosi: «Ciacco, il tuo affanno
mi pesa sì, ch’a lagrimar mi ’nvita;
ma dimmi, se tu sai, a che verranno
li cittadin de la città partita;
s’alcun v’è giusto; e dimmi la cagione
per che l’ha tanta discordia assalita».
E quelli a me: «Dopo lunga tencione
verranno al sangue, e la parte selvaggia
caccerà l’altra con molta offensione.
Poi appresso convien che questa caggia
infra tre soli, e che l’altra sormonti
con la forza di tal che testé piaggia.
Alte terrà lungo tempo le fronti,
tenendo l’altra sotto gravi pesi,
come che di ciò pianga o che n’aonti.
Giusti son due, e non vi sono intesi;
superbia, invidia e avarizia sono
le tre faville c’hanno i cuori accesi».
Dopo succederanno cose meno importanti. Quello che ci interessa adesso ricordare è che questa è la prima grande profezia dell’esilio. Dante in più riprese fa prevedere per lui dai vari personaggi che incontra quella sciagurata stagione della sua vita. Come hai potuto vedere questa previsione è molto vaga. Dice soltanto che una parte si affermerà sull’altra, che poi sarà cacciata da quella che aveva sottomessa; e quella che prenderà il sopravvento sarà molto dura nei confronti di coloro che allontanerà, che naturalmente sono i Bianchi, con un riferimento soltanto indiretto a Dante. Poi vedremo altre profezie che meglio avvicineranno la circostanza di un esilio proprio riservato a Dante.
Ciacco appartiene a una Firenze che non è ancora divisa come quella del tempo di Dante. Infatti il suo stesso peccato è legato a questo tema. Lui è un goloso che frequentava tutti i banchetti della città, che erano frequenti. E si possono organizzare tante tavolate, in una città divisa? No. Perciò, se c’erano tante occasioni di festa…
SARA: Vuol dire che c’era quell’unione che permetteva la socializzazione…
Quindi c’è nostalgia per la Firenze che non conosceva le divisioni del tempo di Dante.
Procediamo adesso verso il decimo canto, in cui troveremo un altro grande personaggio che implica un riferimento denso e politicamente forte. Sarà il personaggio di Farinata degli Uberti. Dal cerchio dei golosi, che contiene Ciacco, Dante scenderà nel cerchio degli avari e prodighi, nel cerchio degli iracondi e accidiosi, quelli che sono contenuti nella palude dello Stige (sono immobilizzati: gli iracondi per la legge del contrappasso per contrasto, perché si sono mossi troppo nella vita, nella loro reazione esagerata; gli accidiosi perché si sono mossi poco e per analogia sono bloccati nella palude); poi, superata questa, si sposteranno verso la Città di Dite, fortificata, arriveranno sotto le mura, non sotto veramente, ma nelle vicinanze, poiché si sta scendendo e quindi i merli di questa fortificazione sono quasi all’altezza di Dante e Virgilio. Bisognerà poi superare questi merli per entrare nella città e scendere negli altri cerchi dell’inferno. Però i diavoli, in assetto di guerra, difendono la città dai due che dal loro punto di vista sono gli aggressori, tanto che dovrà intervenire un angelo per bloccarli e consentire loro di entrare. E ci si ritrova su un camminamento che è sull’orlatura delle mura, tra la merlatura che consente di nascondere le armi per la difesa della città. Notano delle buche, chiamiamole così, che sono le tombe degli eretici. Leggiamo…
Riassunto VI Canto
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INFERNO, CANTO X
Ora sen va per un secreto calle,
tra ’l muro de la terra e li martìri,
lo mio maestro, e io dopo le spalle.
«O virtù somma, che per li empi giri
mi volvi», cominciai, «com’a te piace,
parlami, e sodisfammi a’ miei disiri.
La gente che per li sepolcri giace
potrebbesi veder? già son levati
tutt’i coperchi, e nessun guardia face».
E quelli a me: «Tutti saran serrati
quando di Iosafàt qui torneranno
coi corpi che là sù hanno lasciati.
Suo cimitero da questa parte hanno
con Epicuro tutti suoi seguaci,
che l’anima col corpo morta fanno.
Però a la dimanda che mi faci
quinc’entro satisfatto sarà tosto,
e al disio ancor che tu mi taci».
E io: «Buon duca, non tegno riposto
a te mio cuor se non per dicer poco,
e tu m’hai non pur mo a ciò disposto».
Subitamente questo suono uscìo
d’una de l’arche; però m’accostai,
temendo, un poco più al duca mio.
Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai?
Vedi là Farinata che s’è dritto:
da la cintola in sù tutto ’l vedrai».
Io avea già il mio viso nel suo fitto;
ed el s’ergea col petto e con la fronte
com’avesse l’inferno a gran dispitto.
E l’animose man del duca e pronte
mi pinser tra le sepulture a lui,
dicendo: «Le parole tue sien conte».
Com’io al piè de la sua tomba fui,
guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso,
mi dimandò: «Chi fuor li maggior tui?».
Io ch’era d’ubidir disideroso,
non gliel celai, ma tutto gliel’apersi;
ond’ei levò le ciglia un poco in suso;
poi disse: «Fieramente furo avversi
a me e a miei primi e a mia parte,
sì che per due fiate li dispersi».
Dunque si stava dicendo prima che lui per due volte disperse i Guelfi. Ma Dante non si tiene questa battuta di Farinata e gli risponde…
«S’ei fur cacciati, ei tornar d’ogne parte»,
rispuos’io lui, «l’una e l’altra fiata;
ma i vostri non appreser ben quell’arte».
SARA: E altre no.
Prima che questo accada, si verifica un intervallo creato dalla figura di Cavalcante dei Cavalcanti. Situazione che riassumo. Il padre di Guido, qui condannato come eretico, vede Dante solo e chiede come mai il figlio non sia con lui. Perché i due andavano sempre insieme. E Dante, turbato, distratto anche da questo fatto, vorrebbe replicare che Guido non è con lui per puro caso (tra l’altro era appena stato cacciato da Firenze), ma l’altro, vedendo che esita a dare la risposta, pensa che suo figlio sia morto. Dante vorrebbe dire che ha capito male, ma ritorna ad imporsi la voce di Farinata e non fa in tempo. Tra l’altro sappiamo che di lì a pochi mesi Guido sarebbe veramente morto. Ma comunque questo episodio fa da contrappunto perché, mentre Farinata si erge imperioso, superbo dalla sua tomba, Cavalcante è un tipo un po’ più contenuto, mite, premuroso. E il contrasto esalta di più la personalità di Farinata. Superiamo questo momento e andiamo a quando riprende a parlare il grande rivale politico…
Ma quell’altro magnanimo, a cui posta
restato m’era, non mutò aspetto,
né mosse collo, né piegò sua costa:
e sé continuando al primo detto,
«S’elli han quell’arte», disse, «male appresa,
ciò mi tormenta più che questo letto.
Ma non cinquanta volte fia raccesa
la faccia de la donna che qui regge,
che tu saprai quanto quell’arte pesa.
E se tu mai nel dolce mondo regge,
dimmi: perché quel popolo è sì empio
incontr’a’ miei in ciascuna sua legge?».
Riassunto X Canto
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