Nicolino Camposarcuno
Perpetuare le tradizioni, tenere in vita con arguta sapienza il dialetto di Ripalimosani, far conoscere la continuità della storia tra i compaesani sparsi in tutto il mondo sono gli impegni che per oltre trent'anni Nicolino Camposarcuno si è assunto.
E lo fa davvero con spirito giovanile, con un entusiasmo che non viene mai meno.
I dialoghi tra Peppe e Kole, due prototipi della serietà, della onestà e della rettitudine, come s'intendevano una volta si svolgono "Sotte e ll’erkate” a Ripalimosani, perché è che arrivano e si diffondono le notizie e si conversa su tanti argomenti.
Questi due personaggi, che sono immaginari nella loro individualità. ma autentici nella universalità di un piccolo mondo paesano, chiacchierano continuamente su diversi argomenti con ingenuità e saggezza, con arguzia e buonsenso, cogliendo in definitiva molte verità.
C’è il progresso, è vero, ma quanto regresso ha anche portato con sé dal punto di vista della buona educazione, perché l'eccessivo permissivismo ha determinato anche il decadimento di certe istituzioni.
Oggi, per esempio, la scuola non è più seria come una volta, e gli alunni "vanne fecenne i kemmenelle ki prevessure jokene eunite, ze passene i sekertte (fanno comunella con i professori, giocano assieme si si scambiano le sigarette).
I dialoghi di Peppe e Kole sono una vera rassegna di considerazioni sul fatti quotidiani, anche nei rapporti tra i cittadini e le istituzioni, quando si verificano certi paradossi, in cui ciascuno di noi, prima o poi potrebbe essere coinvolto
Ed ecco, allora, spuntare la satira fatta con molto garbo, mentre l'arguzia fa capolino qua e là, ora sulla bocca di Peppe, ora sulla bocca di Kole, i quali credono soprattutto nella saggezza dei proverbi, frutto di esperienze centenarie, I più adatti a competere con tutte le diavolerie scientifiche del nostro secolo.
“Tu vuoi fare il sindaco oppure il deputato? Vuoi andare al governo?
Dimostra the sai proverbi! “
Con quanto umorismo viene presentato il fenomeno dell'assenteismo negli uffici pubblici. Kole vorrebbe combatterlo in maniera draconiana.
Me ki mu fecette fa
Ie teneve na bbelle keserelle
u Pjnde, nu Sbellate: epperò l'aglie lessate
per menirmene "in città".
E lessieve u resceguole
Ka metine me kiemave;
e perché m'emmeggenave
nu segnore eddevenda.
E u cerdine, a seggelelle,
e mecizie du quartire;
a Gesù, me pare iere
ki velive desprezzà.
Mò vind'anne so' pessate,
e ie so sembre tale e quale:
me kiù sole e bbendenate
pe scti via ke sctanne qua.
Dove a gende nde kenosce,
va de furie, passe e presse;
penze sole ell'enderesse
n za pruprie kembà.
Qua nesciune te recerke,
na perole nen ta dice;
e tu ellore mmaledice:
Me ki mu fecette fa "
Chi me lo fece fare: "Io l'avevo una bella casetta/ sotto il ponte, nello "Sballato"/ eppure l’ho lasciata per venirmene "in città"./ E lasciai l'usignolo/ che la mattina mi chiamava/e perché immaginavo/ un signore diventare. / E il giardino, la sediolina/ le amicizie del quartiere o Gesù mi sembra ieri/ che li volli disprezzare/ Or vent'anni son passati ed io son sempre tale e quale/ ma più solo e abbandonato/ in queste strade che stanno qua/ Dove la gente non ti conosce,/va di fretta, passa via./ pensa solo all'interesse/ non sa proprio campare / Qua nessuno ti richiede,/ una parola non ti dice;/ e tu allora maledici: "Ma chi me lo fece fare.
Nicolino Camposarcuno è nato a Ripalimosani il 1931 e ed è vissuto a Campobasso, dove è stato impiegato presso il Provveditorato agli Studi. Iscritto all'albo dei pubblicisti; ha fondato e diretto per più di trent'anni "Il Gazzettino", un periodico che viene
Perpetuare le tradizioni, tenere in vita con arguta sapienza il dialetto di Ripalimosani, far conoscere la continuità della storia tra i compaesani sparsi in tutto il mondo sono gli impegni che per oltre trent'anni Nicolino Camposarcuno si è assunto.
E lo fa davvero con spirito giovanile, con un entusiasmo che non viene mai meno.
I dialoghi tra Peppe e Kole, due prototipi della serietà, della onestà e della rettitudine, come s'intendevano una volta si svolgono "Sotte e ll’erkate” a Ripalimosani, perché è che arrivano e si diffondono le notizie e si conversa su tanti argomenti.
Questi due personaggi, che sono immaginari nella loro individualità. ma autentici nella universalità di un piccolo mondo paesano, chiacchierano continuamente su diversi argomenti con ingenuità e saggezza, con arguzia e buonsenso, cogliendo in definitiva molte verità.
C’è il progresso, è vero, ma quanto regresso ha anche portato con sé dal punto di vista della buona educazione, perché l'eccessivo permissivismo ha determinato anche il decadimento di certe istituzioni.
Oggi, per esempio, la scuola non è più seria come una volta, e gli alunni "vanne fecenne i kemmenelle ki prevessure jokene eunite, ze passene i sekertte (fanno comunella con i professori, giocano assieme si si scambiano le sigarette).
I dialoghi di Peppe e Kole sono una vera rassegna di considerazioni sul fatti quotidiani, anche nei rapporti tra i cittadini e le istituzioni, quando si verificano certi paradossi, in cui ciascuno di noi, prima o poi potrebbe essere coinvolto
Ed ecco, allora, spuntare la satira fatta con molto garbo, mentre l'arguzia fa capolino qua e là, ora sulla bocca di Peppe, ora sulla bocca di Kole, i quali credono soprattutto nella saggezza dei proverbi, frutto di esperienze centenarie, I più adatti a competere con tutte le diavolerie scientifiche del nostro secolo.
“Tu vuoi fare il sindaco oppure il deputato? Vuoi andare al governo?
Dimostra the sai proverbi! “
Con quanto umorismo viene presentato il fenomeno dell'assenteismo negli uffici pubblici. Kole vorrebbe combatterlo in maniera draconiana.
Me ki mu fecette fa
Ie teneve na bbelle keserelle
u Pjnde, nu Sbellate: epperò l'aglie lessate
per menirmene "in città".
E lessieve u resceguole
Ka metine me kiemave;
e perché m'emmeggenave
nu segnore eddevenda.
E u cerdine, a seggelelle,
e mecizie du quartire;
a Gesù, me pare iere
ki velive desprezzà.
Mò vind'anne so' pessate,
e ie so sembre tale e quale:
me kiù sole e bbendenate
pe scti via ke sctanne qua.
Dove a gende nde kenosce,
va de furie, passe e presse;
penze sole ell'enderesse
n za pruprie kembà.
Qua nesciune te recerke,
na perole nen ta dice;
e tu ellore mmaledice:
Me ki mu fecette fa "
Chi me lo fece fare: "Io l'avevo una bella casetta/ sotto il ponte, nello "Sballato"/ eppure l’ho lasciata per venirmene "in città"./ E lasciai l'usignolo/ che la mattina mi chiamava/e perché immaginavo/ un signore diventare. / E il giardino, la sediolina/ le amicizie del quartiere o Gesù mi sembra ieri/ che li volli disprezzare/ Or vent'anni son passati ed io son sempre tale e quale/ ma più solo e abbandonato/ in queste strade che stanno qua/ Dove la gente non ti conosce,/va di fretta, passa via./ pensa solo all'interesse/ non sa proprio campare / Qua nessuno ti richiede,/ una parola non ti dice;/ e tu allora maledici: "Ma chi me lo fece fare.
Nicolino Camposarcuno è nato a Ripalimosani il 1931 e ed è vissuto a Campobasso, dove è stato impiegato presso il Provveditorato agli Studi. Iscritto all'albo dei pubblicisti; ha fondato e diretto per più di trent'anni "Il Gazzettino", un periodico che viene