ANNO ACCADEMICO 2023-2024
Prof.ssa ROSSANA VARRONE
IL PROCESSO NELL’ ANTICA GRECIA
LISIA, il più grande logografo del mondo greco
Nacque nel 445 a. C. ad Atene, da Cefalo, ricco fabbricante di armi originario di Siracusa , nella cui casa PLATONE ambienta il dialogo “La Repubblica”. Dopo la morte del padre, intorno al 430 a. C., si stabilì nella colonia di Turi, da dove, nel 413 , fu espulso in seguito alla drammatica confitta subita dagli Ateniesi in Sicilia. Tornò, quindi, ad Atene, dove si dedicò all’insegnamento della retorica. Quando, però, ad Atene si costituì il regime dei Trenta Tiranni, la famiglia di Lisia subì la confisca di tutti i beni e della fabbrica di armi, il fratello Polemarco fu giustiziato e lo stesso Lisia sfuggì a stento alla morte . Esiliato a Megara, rientrò ad Atene solo quando fu ripristinata la democrazia. Economicamente rovinato, fu COSTRETTO , per vivere, a dedicarsi all’oratoria giudiziaria, divenendo un logografo di enorme successo. Sembra sia morto intorno al 380 a. C.
LO STILE DI LISIA
La critica, antica e moderna, ha sempre riconosciuto a Lisia l’impareggiabile capacità di ricostruire artificialmente ma in modo assolutamente efficace i caratteri dei personaggi destinati poi a pronunciare effettivamente il discorso (etopoiea ): lo scrittore passa, cioè, con disinvoltura dalla cronaca nera a quella politica a quella pettegola, diventando, secondo l’occasione, un marito tradito e suo malgrado in pericolo di fronte alla legge, un vecchio che, ben lungi dall’aver raggiunto la pace dei sensi, si azzuffa con un rivale e poi davanti ai giudici tenta argutamente una “captatio benevolentiae “, o il parente di due minorenni derubati dei loro averi e dei loro affetti….e via dicendo.
Lisia è anche un brillante narratore: da abile professionista della parola, nell’interesse dei propri committenti, ma anche per un naturale soddisfacimento delle sue inclinazioni artistiche, non tralascia mai alcun particolare che sia rilevante per rendere piacevole l’esposizione. In questi “racconti” interni a ogni logos egli sfodera tutte le armi del suo consolidato repertorio retorico: perorazioni a effetto che puntano alla commozione, al riso, allo sdegno; dialoghi riferiti come se fossero dei “faccia a faccia”; appelli accorati alla sacralita’ delle istituzioni della polis…per non dire degli innumerevoli, estemporanei “coup de theatre ”.
Il piacere del racconto si qualifica anche per una notevole capacità di variare con brio, ma senza stacchi bruschi, il registro della narrazione. Prendiamo, ad esempio, l’orazione “Per l’uccisione di Eratostene “: un marito, accusato di avere ucciso l’amante della moglie travalicando i limiti previsti dalla legge, informa la sua “autodifesa” a un tono di sdegno sottomesso e contenuto, risentito ma dignitoso. La “variatio “ si coglie laddove il protagonista, ripercorrendo la sua storia, illustra la scena “piccante” dell’adulterio colto in flagrante: il racconto si fa concitato, nervoso, il periodare franto e spezzato, a MIMARE, ma non senza qualche effetto di comicità involontaria ( o studiatissima?) lo sgomento per la fiducia coniugale tradita.
L’ impressione che si ricava da queste orazioni giudiziarie è che Lisia scriva sempre con la consapevolezza che il suo committente pronuncerà il discorso davanti alla giuria sì, ma anche davanti a un pubblico “di piazza “ più o meno numeroso, più o meno coinvolto nella causa, ma pur sempre presente e spesso vivo, attento, pronto a rumoreggiare. Con ciò, quindi, si giustificherebbe la tendenza a rappresentare alcune vicende giudiziarie ( specie quelle a cui maggiormente fanno da sfondo la quotidianità della vita e dei rapporti cittadini ) come se il TRIBUNALE fosse un TEATRO, tanto che non manca chi ha voluto trovare nell’opera lisiana un legame con la COMMEDIA. D’altro canto è vero che , al di là di tutto questo, Lisia appare sempre e comunque come un capace “professionista “ della parola, del discorso e della situazione.
A margine, possiamo infine notare che a un lettore contemporaneo, avvezzo, tramite i moderni canali dell’informazione e della comunicazione, ad assistere a quella che, accompagnata da entusiastiche approvazioni e da cori di profondo dissenso, si va delineando ( forse impropriamente) come una “ spettacolarizzazione” della giustizia, l’oratoria giudiziaria lisiana, così fortemente caratterizzata dalla “pubblicità ” dei processi, potrebbe, tutto sommato, non apparire un fenomeno troppo distante dalla sua sensibilità.
Non dimentichiamo mai, però , azzardando un paragone tra antico e moderno, le ovvie ma radicali diversità dei linguaggi: alla base del successo di Lisia presso i suoi contemporanei ( i “clienti “, in primis, ma anche chi assisteva in veste di pubblico ai dibattimenti ) rimane sempre e comunque il fondamento scientifico della RETORICA, intesa come TECNICA che, trasmessa attraverso particolari istituzioni scolastiche, veniva COLTIVATA COME DOTTRINA .... e ciò non sempre è possibile constatare nel mondo moderno ....
Prof.ssa ROSSANA VARRONE
IL PROCESSO NELL’ ANTICA GRECIA
LISIA, il più grande logografo del mondo greco
Nacque nel 445 a. C. ad Atene, da Cefalo, ricco fabbricante di armi originario di Siracusa , nella cui casa PLATONE ambienta il dialogo “La Repubblica”. Dopo la morte del padre, intorno al 430 a. C., si stabilì nella colonia di Turi, da dove, nel 413 , fu espulso in seguito alla drammatica confitta subita dagli Ateniesi in Sicilia. Tornò, quindi, ad Atene, dove si dedicò all’insegnamento della retorica. Quando, però, ad Atene si costituì il regime dei Trenta Tiranni, la famiglia di Lisia subì la confisca di tutti i beni e della fabbrica di armi, il fratello Polemarco fu giustiziato e lo stesso Lisia sfuggì a stento alla morte . Esiliato a Megara, rientrò ad Atene solo quando fu ripristinata la democrazia. Economicamente rovinato, fu COSTRETTO , per vivere, a dedicarsi all’oratoria giudiziaria, divenendo un logografo di enorme successo. Sembra sia morto intorno al 380 a. C.
LO STILE DI LISIA
La critica, antica e moderna, ha sempre riconosciuto a Lisia l’impareggiabile capacità di ricostruire artificialmente ma in modo assolutamente efficace i caratteri dei personaggi destinati poi a pronunciare effettivamente il discorso (etopoiea ): lo scrittore passa, cioè, con disinvoltura dalla cronaca nera a quella politica a quella pettegola, diventando, secondo l’occasione, un marito tradito e suo malgrado in pericolo di fronte alla legge, un vecchio che, ben lungi dall’aver raggiunto la pace dei sensi, si azzuffa con un rivale e poi davanti ai giudici tenta argutamente una “captatio benevolentiae “, o il parente di due minorenni derubati dei loro averi e dei loro affetti….e via dicendo.
Lisia è anche un brillante narratore: da abile professionista della parola, nell’interesse dei propri committenti, ma anche per un naturale soddisfacimento delle sue inclinazioni artistiche, non tralascia mai alcun particolare che sia rilevante per rendere piacevole l’esposizione. In questi “racconti” interni a ogni logos egli sfodera tutte le armi del suo consolidato repertorio retorico: perorazioni a effetto che puntano alla commozione, al riso, allo sdegno; dialoghi riferiti come se fossero dei “faccia a faccia”; appelli accorati alla sacralita’ delle istituzioni della polis…per non dire degli innumerevoli, estemporanei “coup de theatre ”.
Il piacere del racconto si qualifica anche per una notevole capacità di variare con brio, ma senza stacchi bruschi, il registro della narrazione. Prendiamo, ad esempio, l’orazione “Per l’uccisione di Eratostene “: un marito, accusato di avere ucciso l’amante della moglie travalicando i limiti previsti dalla legge, informa la sua “autodifesa” a un tono di sdegno sottomesso e contenuto, risentito ma dignitoso. La “variatio “ si coglie laddove il protagonista, ripercorrendo la sua storia, illustra la scena “piccante” dell’adulterio colto in flagrante: il racconto si fa concitato, nervoso, il periodare franto e spezzato, a MIMARE, ma non senza qualche effetto di comicità involontaria ( o studiatissima?) lo sgomento per la fiducia coniugale tradita.
L’ impressione che si ricava da queste orazioni giudiziarie è che Lisia scriva sempre con la consapevolezza che il suo committente pronuncerà il discorso davanti alla giuria sì, ma anche davanti a un pubblico “di piazza “ più o meno numeroso, più o meno coinvolto nella causa, ma pur sempre presente e spesso vivo, attento, pronto a rumoreggiare. Con ciò, quindi, si giustificherebbe la tendenza a rappresentare alcune vicende giudiziarie ( specie quelle a cui maggiormente fanno da sfondo la quotidianità della vita e dei rapporti cittadini ) come se il TRIBUNALE fosse un TEATRO, tanto che non manca chi ha voluto trovare nell’opera lisiana un legame con la COMMEDIA. D’altro canto è vero che , al di là di tutto questo, Lisia appare sempre e comunque come un capace “professionista “ della parola, del discorso e della situazione.
A margine, possiamo infine notare che a un lettore contemporaneo, avvezzo, tramite i moderni canali dell’informazione e della comunicazione, ad assistere a quella che, accompagnata da entusiastiche approvazioni e da cori di profondo dissenso, si va delineando ( forse impropriamente) come una “ spettacolarizzazione” della giustizia, l’oratoria giudiziaria lisiana, così fortemente caratterizzata dalla “pubblicità ” dei processi, potrebbe, tutto sommato, non apparire un fenomeno troppo distante dalla sua sensibilità.
Non dimentichiamo mai, però , azzardando un paragone tra antico e moderno, le ovvie ma radicali diversità dei linguaggi: alla base del successo di Lisia presso i suoi contemporanei ( i “clienti “, in primis, ma anche chi assisteva in veste di pubblico ai dibattimenti ) rimane sempre e comunque il fondamento scientifico della RETORICA, intesa come TECNICA che, trasmessa attraverso particolari istituzioni scolastiche, veniva COLTIVATA COME DOTTRINA .... e ciò non sempre è possibile constatare nel mondo moderno ....