ANNO ACCADEMICO 2023-2024
18 MARZO 2024
Prof.ssa ROSSANA VARRONE
Il PROCESSO nell’antica GreciA
Come racconta ERODOTO nelle sue “Storie”, all’interno del Santuario dedicato a Eretteo sull’Acropoli di Atene si trovavano un ULIVO e una SORGENTE d’acqua salmastra, che secondo il mito erano stati originati, subito dopo la fondazione della città, da Atena e Poseidon nella gara per ottenere il patronato del nuovo importante centro.
Questo ulivo, come tutto il resto del tempio, andò bruciato per opera dei Persiani durante la spedizione di Serse… dopo soli due giorni, però, dal ceppo era prodigiosamente spuntato un nuovo germoglio.
Questo e altri racconti della tradizione attica riflettono l’importanza degli ULIVI nell’economia locale, a difesa dei quali, fin dai tempi più remoti, erano state introdotte norme molto severe. Le sanzioni più gravi erano destinate a chi danneggiasse gli ulivi presenti in terreni privati, poiché tutti erano ritenuti proprietà dello Stato, in quanto discendenti dell’antichissimo ulivo piantato da Atena.
Una commissione nominata dall’ Areopago aveva l’incarico di censirli e di ispezionarli periodicamente e, nel caso in cui fosse dimostrato un danno doloso, il colpevole era condannato alla confisca dei beni e alla perdita dei diritti civili.
Nell’anno 397/396 a. C., un tale NICOMACO accusò un ricco possidente di aver sradicato un ceppo d’ulivo dal suo terreno, con l’aiuto di alcuni schiavi; LISIA, allora, compose il discorso che l’imputato, qualche tempo dopo, pronunciò davanti all’Areopago.
Per convincere la giuria dell’innocenza e della buona fede del suo cliente, Lisia ricorre all’espediente di presentarlo come un uomo all’antica, di poche parole e alieno da ogni faziosità politica.
La linea difensiva è interamente basata sull’evidenza dei fatti, scanditi con assoluta precisione. L’accusato proclama innanzitutto l’inesistenza di un ceppo o di un tronco di ulivo nel podere, al momento dell’acquisto. Ammettendo, poi, per assurdo, che egli vi avesse trovato qualche pianta di ulivo, non solo non avrebbe avuto alcun vantaggio a sradicarlo, ma ciò lo avrebbe esposto al ricatto di servi, passanti o vicini che avrebbero facilmente scoperto il reato. L’accusato infine richiama l’attenzione dei giudici su un particolare importante: il rifiuto opposto dall’accusatore di far torturare i servi che avrebbero assistito al misfatto, la cui testimonianza aveva carattere decisivo.
Non conosciamo, come al solito, l’esito della causa, ma nella mente dei giudici doveva affacciarsi un sospetto, che Lisia lascia efficacemente aperto: SE ERA IMPOSSIBILE TROVARE UN MOVENTE CHE RENDESSE RAGIONE DEL REATO, VI ERANO INVECE OTTIMI MOTIVI PER INTENTARE IL PROCESSO.
Il diritto attico prevedeva sanzioni severissime per chi avesse sporto un’accusa pubblica senza riuscire ad ottenere almeno un quinto dei voti dei giudici. Da questa norma, però, erano esclusi reati particolarmente gravi, come appunto IL DANNEGGIAMENTO DI ULIVI SACRI. Così , se l’accusa fosse stata dimostrata falsa, Nicomaco non avrebbe rischiato nulla; se, invece, il possidente fosse stato giudicato colpevole, egli si sarebbe arricchito perché metà della somma confiscata spettava all’accusatore!!!
Questa orazione ci presenta anche un interessante esempio di “ETOPEA”. Infatti, il possidente, accusato di avere commesso un atto di empietà abbattendo una pianta sacra, è raffigurato come un uomo all’antica, burbero e assai poco socievole, ma, proprio per questa ragione, risulterà alla fine improbabile che si tratti di un bugiardo e di un sacrilego.
18 MARZO 2024
Prof.ssa ROSSANA VARRONE
Il PROCESSO nell’antica GreciA
Come racconta ERODOTO nelle sue “Storie”, all’interno del Santuario dedicato a Eretteo sull’Acropoli di Atene si trovavano un ULIVO e una SORGENTE d’acqua salmastra, che secondo il mito erano stati originati, subito dopo la fondazione della città, da Atena e Poseidon nella gara per ottenere il patronato del nuovo importante centro.
Questo ulivo, come tutto il resto del tempio, andò bruciato per opera dei Persiani durante la spedizione di Serse… dopo soli due giorni, però, dal ceppo era prodigiosamente spuntato un nuovo germoglio.
Questo e altri racconti della tradizione attica riflettono l’importanza degli ULIVI nell’economia locale, a difesa dei quali, fin dai tempi più remoti, erano state introdotte norme molto severe. Le sanzioni più gravi erano destinate a chi danneggiasse gli ulivi presenti in terreni privati, poiché tutti erano ritenuti proprietà dello Stato, in quanto discendenti dell’antichissimo ulivo piantato da Atena.
Una commissione nominata dall’ Areopago aveva l’incarico di censirli e di ispezionarli periodicamente e, nel caso in cui fosse dimostrato un danno doloso, il colpevole era condannato alla confisca dei beni e alla perdita dei diritti civili.
Nell’anno 397/396 a. C., un tale NICOMACO accusò un ricco possidente di aver sradicato un ceppo d’ulivo dal suo terreno, con l’aiuto di alcuni schiavi; LISIA, allora, compose il discorso che l’imputato, qualche tempo dopo, pronunciò davanti all’Areopago.
Per convincere la giuria dell’innocenza e della buona fede del suo cliente, Lisia ricorre all’espediente di presentarlo come un uomo all’antica, di poche parole e alieno da ogni faziosità politica.
La linea difensiva è interamente basata sull’evidenza dei fatti, scanditi con assoluta precisione. L’accusato proclama innanzitutto l’inesistenza di un ceppo o di un tronco di ulivo nel podere, al momento dell’acquisto. Ammettendo, poi, per assurdo, che egli vi avesse trovato qualche pianta di ulivo, non solo non avrebbe avuto alcun vantaggio a sradicarlo, ma ciò lo avrebbe esposto al ricatto di servi, passanti o vicini che avrebbero facilmente scoperto il reato. L’accusato infine richiama l’attenzione dei giudici su un particolare importante: il rifiuto opposto dall’accusatore di far torturare i servi che avrebbero assistito al misfatto, la cui testimonianza aveva carattere decisivo.
Non conosciamo, come al solito, l’esito della causa, ma nella mente dei giudici doveva affacciarsi un sospetto, che Lisia lascia efficacemente aperto: SE ERA IMPOSSIBILE TROVARE UN MOVENTE CHE RENDESSE RAGIONE DEL REATO, VI ERANO INVECE OTTIMI MOTIVI PER INTENTARE IL PROCESSO.
Il diritto attico prevedeva sanzioni severissime per chi avesse sporto un’accusa pubblica senza riuscire ad ottenere almeno un quinto dei voti dei giudici. Da questa norma, però, erano esclusi reati particolarmente gravi, come appunto IL DANNEGGIAMENTO DI ULIVI SACRI. Così , se l’accusa fosse stata dimostrata falsa, Nicomaco non avrebbe rischiato nulla; se, invece, il possidente fosse stato giudicato colpevole, egli si sarebbe arricchito perché metà della somma confiscata spettava all’accusatore!!!
Questa orazione ci presenta anche un interessante esempio di “ETOPEA”. Infatti, il possidente, accusato di avere commesso un atto di empietà abbattendo una pianta sacra, è raffigurato come un uomo all’antica, burbero e assai poco socievole, ma, proprio per questa ragione, risulterà alla fine improbabile che si tratti di un bugiardo e di un sacrilego.