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La battaglia del Sentino



La storia dei popoli italici

La storia dei popoli italici nell'Italia Centro-meridionale.
Nell'Italia del terzo secolo a.C., molti popoli italici si contendevano il dominio della penisola, entrando spesso in conflitto e in guerra.  Nel Lazio, ci sono i Romani, una realtà in rapida espansione. Roma non era più solo una città-stato di agricoltori e allevatori, nata per caso, ma stava conquistando sempre più territori e diventando una potenza regionale di tutto rispetto, soprattutto dal punto di vista militare.
A nord c'erano gli Etruschi, che abitavano la regione dell'Etruria, corrispondente all'odierna Toscana, all'Umbria occidentale e al Lazio settentrionale. Gli Etruschi erano la principale civiltà della regione, più potente e più antica dei Romani, e avevano fino a poco tempo prima detenuto la leadership dell'Italia.
A sud c'erano i Sanniti, che abitavano la zona del Sannio, corrispondente al Molise, a parte dell'Abruzzo e alla Campania settentrionale. I Sanniti erano un'altra potenza regionale di tutto rispetto, con un esercito potente e molto innovativo per l'epoca. Erano guerrieri feroci e indomabili, uomini e un popolo valoroso.
Nella zona del Piceno, corrispondente alle odierne Marche, c'erano i Piceni e i Galli Senoni, che si contendevano con i Romani il controllo di vaste aree dell'Italia. Erano in lotta quasi perenne con i Romani. Va menzionato anche il popolo degli Umbri, che avrà un ruolo nelle dinamiche della guerra.
Il sud Italia era dominato dai Greci, che avevano grandi città fiorenti e importanti dal punto di vista dei commerci, predominanti nel sud, ma non particolarmente coinvolti in questa situazione.
Nel corso dei decenni, i Romani si erano espansi sempre di più, grazie a una politica e a una forza propulsiva straordinaria. Avevano combattuto e vinto guerre importanti con i Sanniti, come la prima e la seconda guerra sannitica, e stavano ridimensionando il potere e l'influenza etrusca in Italia.

La prima confederazioni dei popoli italici condotta dai Sanniti
Dopo  la seconda guerra sannitica i conti fra sanniti e romani non erano ancora regolati: i Romani erano sempre efficaci, ma i Sanniti erano ancora molto pericolosi. Anche questa volta ci fu un casus belli: i Sanniti attaccarono i Lucani per conquistare i loro territori. I Lucani chiesero aiuto ai Romani, che entrarono di nuovo in guerra contro i Sanniti avviando la terza guerra sannitica. Questa volta, i Sanniti aggiornarono la loro strategia politica e militare, utilizzando un sistema di alleanze. Cercarono inizialmente di allearsi con gli Apuli, gli abitanti dell'antica Apulia. I Romani, però, si mossero con straordinaria efficacia e a Maleventum sconfissero gli Apuli, impedendo loro di unirsi ai Sanniti.
I Sanniti mandarono messaggeri e parte del loro esercito in Etruria per accordarsi con gli Etruschi, e immediatamente si realizzò un'alleanza tra queste due grandi potenze. A questa coalizione si unirono i Galli Senoni dell’Italia settentrionale e gli Umbri, creando un'enorme coalizione con l'obiettivo di annientare completamente i Romani. Per Roma, questa coalizione era pericolosissima e i Romani si resero conto che tutti i principali popoli italici si erano alleati contro di loro, creando un momento di grande paura a Roma. L'unica popolazione che si alleò con i Romani furono i Piceni, che non avevano particolari contrasti con loro. Si arrivò così a una delle più grandi battaglie della storia antica, la battaglia del Sentino, chiamata anche "battaglia delle Nazioni" perché tutte le nazioni erano contro i Romani. Nel 295 a.C., si giocò tutto.

La battaglia del Sentino: la battaglia delle Nazioni
L'enorme esercito della coalizione si riunì a Sentino, un'antica città corrispondente all'odierna Sassoferrato, in provincia di Ancona, nelle Marche. A Sentino, la vita stessa di Roma fu messa in grave pericolo.
La battaglia del Sentino è stata un conflitto cruciale durante un periodo in cui i Romani si stavano ancora contendendo con altri popoli italici il dominio sulla penisola. Affronteranno una enorme e agghiacciante coalizione di popoli, quasi tutti schierati contro di loro, e alla fine vinceranno sul campo di battaglia.
I Romani, a questo punto, sanno che a Sentino c'è un consistente esercito di alleati tutti schierati contro di loro. Preparano quindi il loro esercito sotto il comando di Decio Mure, che avrà un ruolo fondamentale. L'esercito romano si avvicina a Sentino e si prepara alla battaglia decisiva contro gli alleati nemici.
Si gioca innanzitutto una partita importante di informazioni e controinformazioni. I due eserciti si sono accampati a quattro miglia di distanza l'uno dall'altro, quindi sono relativamente vicini. Presso i popoli alleati contro i Romani si tiene un consiglio di guerra e si prendono decisioni importanti: ogni popolo riceve un ruolo specifico. I Sanniti e i Galli Senoni avranno l'obiettivo di combattere sul campo di battaglia contro i Romani, mentre gli Umbri e gli Etruschi dovranno accerchiare i Romani e attaccare i loro accampamenti per prenderli di sorpresa alle spalle, non lasciando loro nessun rifugio o scampo. Così, questi popoli italici si preparano a un attacco doppio.
Dall'altra parte, Decio Mure dimostra un eccellente utilizzo di quella che potremmo chiamare intelligence militare. Egli ha una serie di alleati, informatori ed esploratori, e i Romani riescono a intercettare tre che passano dalla parte dei Romani e forniscono un'informazione importantissima: informano i Romani della strategia nemica, ossia che alcuni combatteranno sul campo e altri cercheranno di prendere gli accampamenti.
Quando Decio Mure e i suoi vengono a conoscenza di questa informazione, si muovono rapidamente per dividere le forze nemiche. Vengono immediatamente inviati messaggi a Roma, dove due ufficiali, Gneo Fulvio e Postumio Metello, prendono delle legioni disponibili e cominciano a marciare verso la città etrusca di Chiusi. Mentre avanzano, devastano il territorio etrusco, distruggendo campagne e villaggi.
Questo attacco verso Chiusi costringe sia gli Etruschi che gli Umbri, loro alleati, ad abbandonare il campo di battaglia per correre a difendere la loro città. Con questa manovra diversiva, i Romani riescono a ridurre in maniera significativa le forze nemiche, ottenendo un primo importante vantaggio. Come si vede, le guerre si vincono anche grazie alle informazioni e ai movimenti strategici, non solo con la forza sul campo di battaglia.
A questo punto, rimangono principalmente i Galli Senoni e i Sanniti, che dovranno essere affrontati corpo a corpo. Immaginiamo di vedere la disposizione sul campo di battaglia dei due contingenti, i Romani e i loro avversari. La disposizione degli avversari di Roma è relativamente semplice: sul lato destro ci sono i Galli Senoni, mentre sul lato sinistro si trovano i Sanniti, con le cavallerie ai fianchi. Il campo di battaglia è quindi diviso in due parti: una per i Galli e una per i Sanniti. Da parte romana, qual è la disposizione contro i Galli?

Sul fronte sinistro romano, guidato direttamente dal generale Decio Mure, vennero posizionate la quinta e la sesta legione con la loro cavalleria. Decio Mure dovrà affrontare i Galli. Dall'altro lato, al comando di Quinto Fabio Rulliano, ci saranno la prima e la terza legione con la loro cavalleria, che combatteranno contro i Sanniti. Le due disposizioni sono sostanzialmente speculari.
Non conosciamo esattamente i numeri, ma basandoci sulle fonti antiche, possiamo stimare circa 20.000 Romani e 20.000 alleati latini, con 2.400 cavalieri. Gli avversari avevano più o meno lo stesso numero di uomini, quindi le forze si equivalgono anche numericamente.
È importante notare che in questa disposizione ci sono due strategie diverse: Decio Mure ha un atteggiamento molto aggressivo, volendo utilizzare subito tutte le forze a sua disposizione per sfondare l'avversario. Fabio Rulliano, invece, preferisce sopportare l'attacco nemico, farli stancare e solo quando saranno abbastanza stanchi, darà il via all'attacco dei suoi uomini. Ha quindi un atteggiamento più prudente e difensivo.
Tutto è pronto per la battaglia quando Tito Livio ci narra di un episodio di buon auspicio per i Romani: sul campo di battaglia compaiono improvvisamente una cerva e un lupo. La cerva si dirige verso i Galli, che la uccidono senza tanti complimenti, mentre il lupo, animale sacro e simbolo di Roma, si avvicina ai Romani, che lo accolgono nelle loro file. Questo, secondo Tito Livio, è un buon presagio per i Romani, suggerendo che gli dei sono dalla loro parte.
Dopo questo dettaglio, la battaglia ha inizio. Concentriamoci innanzitutto sul confronto tra Decio Mure e i Galli. La quinta e la sesta legione attaccano la fanteria dei Galli, in un scontro feroce e senza pietà. Mentre le fanterie si affrontano, Decio Mure utilizza la sua cavalleria. La cavalleria romana riesce prima ad attaccare e respingere quella dei Galli, ottenendo un vantaggio. Decio Mure, con una mossa innovativa, ordina alla sua cavalleria di attaccare la fanteria dei Galli insieme ai fanti romani. Egli ritiene che questo doppio attacco getterà i Galli nella confusione.
A questo punto dello scontro, però, i Galli tirano fuori il loro asso nella manica: circa 500 carri trainati da cavalli, guidati dai Galli, vengono scagliati contro la cavalleria romana, che viene presa completamente alla sprovvista. L'impatto dei carri è tremendo, e la cavalleria romana perde il controllo, iniziando a fuggire dal campo di battaglia.
Questa mossa dei Galli colpisce i Romani in maniera molto pericolosa. Vedendo l'attacco dei carri e la ritirata della cavalleria, anche la fanteria romana comincia a retrocedere, quasi sul punto di andare nel panico. La porzione del campo di battaglia guidata da Decio Mure è sul punto del collasso. Decio Mure comprende che la sua parte del contingente romano sta per essere distrutta da questa mossa a sorpresa dei Galli.
 
Decio Mure prende una decisione di portata storica, tragica e grandiosa: decide di compiere il rito della devotio. Si reca dal pontefice Marco Livio, presente sul campo di battaglia, per comunicargli questa importantissima intenzione. La devotio è un rito in cui il generale si lancia a capofitto contro i nemici, sacrificando la propria vita agli dèi Mani (le anime dei defunti) affinché questi offrano in cambio salvezza e protezione all'esercito.
Marco Livio compie il rito, e Tito Livio ci racconta l'eroico e drammatico sacrificio di Decio Mure: "Si consacrò in voto recitando la stessa preghiera e indossando lo stesso abbigliamento con cui presso il fiume Vesere si era consacrato suo padre Publio Decio durante la guerra contro i Latini. Aggiungendo la formula di rito, esprime la sua intenzione di gettare di fronte a sé la paura, la fuga, il massacro, il sangue, il risentimento degli dèi celesti e di quelli infernali, e di funestare con imprecazioni di morte le insegne, le armi e le difese dei nemici. Dichiarò inoltre che il luogo avrebbe unito la sua rovina e quella dei Galli e dei Sanniti. Dopo aver lanciato queste maledizioni su di sé e sui nemici, spronò il cavallo verso le schiere dei Galli, dove trovò la morte offrendo il proprio corpo alle frecce nemiche."
La devotio si consuma: Decio Mure si sacrifica agli dèi Mani per salvare il suo esercito. Tito Livio ci racconta che i soldati romani, impressionati da questo gesto, ritrovano il coraggio e la forza, recuperano terreno e mettono i nemici in difficoltà. Tito Livio descrive i Galli come intontiti, incapaci di combattere, come se fossero sotto un incantesimo causato dalla devotio. Inoltre, Fabio manda un contingente di rinforzo, dando una seconda spinta all'attacco romano. A questo punto, i Romani recuperano completamente la situazione e la battaglia prende una piega favorevole.
Sull'altro lato del campo di battaglia, guidato da Quinto Fabio Rulliano. Fabio è stato molto più prudente, ha tenuto degli uomini di riserva e ha aspettato pazientemente che i Sanniti si stancassero. Quando il momento è maturo, ordina alla cavalleria di accerchiare i Sanniti sui fianchi. Con precisione millimetrica, i Romani avanzano e i Sanniti, ormai esausti, iniziano a disfarsi. Le linee sannite perdono coesione, i soldati vengono uccisi o fuggono verso gli accampamenti, dove vengono trucidati dai Romani.
La cavalleria romana, ormai libera, colpisce i Galli alle spalle, gettandoli nel panico. Anche i Galli senoni iniziano a disfarsi e vengono falcidiati. Così si conclude la battaglia del Sentino, anche chiamata la "Battaglia delle Nazioni," con una straordinaria vittoria romana. I Romani ottengono un risultato epico: 25.000 nemici morti e 8.000 prigionieri.
La battaglia del Sentino, tecnicamente, non porta subito a una espansione territoriale romana, ma dimostra a tutte le popolazioni italiche che i Romani sono i più forti sul campo di battaglia. L'egemonia romana nel territorio italico diventa inarrestabile. In questa fase della storia, i Romani sono letteralmente invincibili.