Antologia - TERZO ANNO - 8^ Lezione
(Cliccare sulle parole in caratteri blu)
https://youtu.be/OOKi5qv6r3g
anto 3,8.MPG
L’ARTE DEL SECONDO OTTOCENTO
DAL REALISMO AL POSTIMPRESSIONISMO
Ottava lezione, con Diego. L’ultima volta ci siamo soffermati sulla figura dell’esteta in Huysmans, Wilde e D’Annunzio. Oggi facciamo una digressione di tipo estetico, ma nel senso dell’arte figurativa di questo periodo, cercando di spostarci dal realismo al postimpressionismo, in parallelo con l’evoluzione del naturalismo nel decadentismo che abbiamo esaminato nelle lezioni precedenti.
Cominciamo subito da un rappresentante del realismo, che si mette bene in linea con il naturalismo e il gusto della realtà che si afferma nell’età del positivismo: Gustave Courbet. Lo presentiamo attraverso un suo dipinto, “Lo spaccatore di pietre”, che dà il senso dell’attenzione alla realtà, una sorta di fotografia dell’esistente che corrisponde alla ricerca letteraria di verismo e naturalismo. Courbet, tra l’altro, è stato protagonista della Comune di Parigi, nel 1871, che durò pochi mesi ma avrebbe lasciato il segno nella società francese, europea e mondiale. Fu un esperimento di rivoluzione per indirizzare nel mito e nella dimensione del comunismo e della divisione dei beni. Avrebbe lasciato conseguenze nella società francese, con reazioni e atteggiamenti autoritari, che poi si sarebbero manifestati anche in altri stati europei, tutti con il timore, questi governi, che si potesse ripetere quella situazione da loro. Resta comunque, la primavera del ’71, che è anche il titolo di una commedia di Adamov (un testo teatrale molto interessante, Diego), uno dei capisaldi della filosofia della rivoluzione, in ogni campo, la protesta delle masse sfruttate nei confronti del potere delle classi dominanti, con la proposta, come in quel caso, di un governo popolare. Courbet finì anche in carcere per questo motivo. Rivelerà comunque questa sua volontà di incidere sulla realtà con un dipinto che vedremo tra poco. Ma prima vorrei che tu, Diego, ci anticipassi che cosa dice in una delle sue riflessioni…
Voi che pretendete di rappresentare Carlo Magno, Cesare e Gesù Cristo, in persona, sapreste fare il ritratto di vostro padre? Da parte mia considero un uomo con curiosità, così come considero un cavallo, un albero, un qualsiasi oggetto della natura.
Infatti questo spaccatore di pietre è un elemento semplice della vita. Se poi ha scelto proprio questo personaggio, qui si rivela la sua grandissima vocazione sociale. Quello che interessa a lui è il particolare così come è rappresentato, è inutile andare a cercare quello che perseguiva in fondo la pittura ufficiale del primo Ottocento, cioè la celebrazione. Courbet fu rivoluzionario nei confronti di questa pittura con il suo realismo. Pensate poi come cambiano le cose: il realismo dovrà poi subire la rivoluzione di impressionisti e postimpressionisti.
Ma poi Courbet rivela il suo atteggiamento un po’ fuori delle righe in questo ritratto delle “Signorine sulla riva delle Senna”, che fu giudicato (pensate voi) sconveniente. Cos’è che appariva tale? Il fatto che delle donne sole potessero, in questo abbigliamento per noi normalissimo, stendersi sotto delle frasche sulla riva della Senna. L’atteggiamento che vedete, che non contiene nulla ai nostri occhi, è scomposto per la borghesia benpensante del secondo Ottocento.
Passiamo ora ad un altro attore del verismo in arte, Giovanni Fattori. Vediamo, subito dopo il suo autoritratto, uno dei suoi dipinti più famosi, “Bovi al carro”. Notiamo la tecnica nuova. Fattori ha intanto scelto delle dimensioni particolari, in un quadro molto sviluppato nel senso della larghezza rispetto all’altezza. E poi il soggetto fondamentale che dà il titolo all’opera non è al centro. Anche questa scelta eccentrica è un’innovazione. E il paesaggio stesso, come ci dicono i migliori testi di commento artistico, è dato attraverso delle rapide strisce di colore, senza indugiare troppo nel particolare. Quindi ci si sta orientando verso quella semplificazione che poi vedremo dominare nell’impressionismo.
DIEGO: Vanno anche ad equilibrare da questo lato la presenza dell’immagine in primo piano a destra…
E poi ci sono delle strisce…
DIEGO: …di colori differenti: la terra arata, quella da arare e poi queste colline…
E’ l’esperienza dei cosiddetti “macchiaioli”. Vediamo cosa si dice di loro. Leggi Diego…
I macchiaioli fiorentini si opponevano alla pittura accademica in nome di una più diretta aderenza al vero: rifiuto dei soggetti storici e mitologici, adozione di una tecnica pittorica tesa a rendere la modulazione delle luci e delle ombre attraverso il brusco accostamento di macchie di colori elementari, senza contorni né chiaroscuri. Fattori definì questa tendenza “una nuova ricerca del verismo”, orientata a tradurre in immagini “le manifestazioni della natura” e a realizzare “un’illustrazione sociale del nostro secolo”.
Fattori, fiorentino, frequentava il Caffè Michelangelo, che fu un punto di incontro molto importante. Ma, in questa rapida escursione, passiamo a un altro pittore francese, Edouard Manet. Ricordiamo che nella seconda parte della sua vita fu paralizzato agli arti inferiori e dipinse in queste condizioni fino alla morte. Dopo il suo autoritratto, facciamo passare le immagini di uno dei suoi quadri più famosi, “Olimpia”. Vediamo subito cosa si dice di questo dipinto. Leggi Diego…
Olimpia è coricata sul suo letto senza altro ornamento che una rosa che adorna la stoppa dei suoi capelli. Questa donna è di una bruttezza completa; la sua faccia è stupida, la pelle cadaverica. Manet l’ha talmente storpiata che sarebbe impossibile rimuovere braccia e gambe.
Questo fu il commento di un giornale del tempo, che dimostra come fu accolto questo quadro, che vi facciamo confrontare, anche perché nel suo atteggiamento ne è una citazione, con la “Venere di Urbino” di Tiziano. Vedete che la disposizione di questa figura femminile è molto simile. Ma subito si nota la differenza del modo di trattare il colore, il chiaroscuro. Mentre nel modello di Tiziano c’è ombreggiamento, rilievo, volume, Manet ha voluto appiattire tutto con questo bianco e con quest’assenza di sfumato. Addirittura c’è una linea che contorna la figura. E poi c’è questo particolare della schiava che porta dei fiori, l’omaggio di un ammiratore, che fanno scandalo anche loro, perché appunto dichiarano la natura di prostituta della protagonista. E il biancore, l’appiattimento della pelle di questo nudo lo fa apparire più sconvolgente. Volutamente ha fatto questo Manet, per colpire l’attenzione del suo pubblico.
Ci spostiamo ora all’impressionismo di Claude Monet, altro francese. Vi facciamo subito vedere, dopo il suo autoritratto, che ce lo inquadra come personaggio, un suo famoso dipinto: “Impressione di sole nascente”. Quando destò sensazione questa sua opera, qualcuno, sconvolto, gli chiese che titolo le si dovesse dare, perché lui non lo aveva dato, e rispose:
Dato che ovviamente non può passare per una veduta di Le Havre, scrivete “Impressione”.
E di qui nasce l’impressionismo. Monet vuole dire che in fondo non è importante il titolo, non è importante il contenuto, il “che cosa”, ma il modo, il “come”. Il modo lo noterete subito, in contrasto con quanto abbiamo visto prima: strisce di colore, appena accennato il disegno, perché quello che deve contare è l’impressione, soggettiva, veloce anche, rapida. Sono quadri che si realizzavano in pochissimo tempo, tanto che un’accusa mossa da un critico fu definirlo così…
Un abbozzo scombinato: una carta da parati al suo stato iniziale è più rifinita di questa marina.
Quello che mancava era proprio la rifinitura. Infatti è volutamente solo accennato ogni tratto del quadro nel suo insieme. La stessa cosa la ritroviamo nell’altro grande, ancora più famoso, dipinto di Monet, uno dei tanti che ritraggono “La stazione di Saint Lazare”, un posto importante di Parigi…
DIEGO: Ci siamo stati nel ’98, in viaggio d’istruzione. Passammo da questa stazione.
Guardate qui: il vapore del treno, le nuvole, l’atmosfera, tutto molto indistinto. Non c’è quella determinazione, quella rifinitura che erano nel classico modo di dipingere del realismo. Chiaro che poi si meritava l’accusa di dipingere carta da parati, da parte di chi non poteva apprezzare la novità. Infatti la carta da parati è fatta così, con immagini abbozzate, perché non possiamo metterci a fare un quadro per ogni parte della casa.
DIEGO: Il bello è proprio questo, che, pur avendo un panorama apparentemente indistinto, riusciamo ad immaginare una stazione con il treno, il vapore, una serie di elementi…
E poi c’è anche, in questo caso, il rilievo di contenuto, il mondo dell’operosità, del lavoro, il mondo della trasformazione industriale di questo periodo. Per cui protagonista diventa il treno, la stazione, il vapore. E a proposito di vapore, mettendo in relazione questo dipinto con quello che poco prima abbiamo presentato, il punto di unione tra i due è l’elemento umido, è l’acqua. Gli impressionisti ameranno dipingere soprattutto l’acqua, perché è mobile, perché dà sensazioni dinamiche, di continuo cambiamento.
Tra l’altro, caratteristica di questo gruppo, se pensiamo alle “Ninfee” dello stesso autore, era che amavano ritrarre lo stesso soggetto in diverse ore della giornata, perché volevano appunto fotografare e imprimere la sensazione del momento. Lo stesso paesaggio, nelle diverse ore della giornata, prendeva diversa luce. Così dipingevano la trasformazione della realtà. Conseguentemente si spiega la mancanza di rifinitura, come dicevamo, in quanto dovevano procedere molto velocemente.
Con Edgar Degas, che vi facciamo vedere in un suo ritratto, entriamo nel postimpressionismo. L’impressionismo possiamo collocarlo a metà fra il verismo e il decadentismo. Ma nella sua fase postimpressionista è già decadente. Degas, dunque, è anche lui un punto di snodo. Vi facciamo vedere “L’assenzio”, in cui sono ritratti due personaggi, un uomo con la barba e una donna che frequenta questo Caffè dove si usa l’assenzio. Un pezzo di vita, una “tranche de vie”, direbbero in questo periodo i francesi. Teniamo presente che uno è un amico, l’altra una conoscente, quindi una parte del vissuto stesso dell’autore. Qui già si vuole rappresentare il profondo della figura. C’è la pensosità, questo sguardo un po’ assente, affondato nel vuoto…
DIEGO: Un po’ ubriaca, probabilmente, perché l’assenzio poi fa questo effetto…
Viene fuori anche il vizio, ovviamente. Però non siamo molto avanti con gli anni, siamo nel 1875. Il Caffè presso il quale viene realizzato questo dipinto è il “Cafè Nouvelle Athènes”, frequentato dagli impressionisti.
Dopodiché passiamo a Paul Cézanne, un autore che ancora di più ci porta verso l’esperienza postimpressionista di un “dipinto della mente”. Infatti dice Cézanne…
Nella pittura ci sono due cose: l’occhio e il cervello, ed entrambe devono aiutarsi fra loro.
E’ una pittura più cerebrale. Qui vi facciamo vedere “I giocatori di carte”, famosissimo. Non sono nemmeno centrati benissimo: quello di destra più ai margini, quello di sinistra un po’ più staccato. I colori non sono vivaci, c’è una fusione, un rapporto fra marrone e giallo, i due estremi. Questa tovaglia è quasi un po’ rigida, a rappresentare un aspetto della situazione. Se riusciamo a vedere anche i particolari del volto dei due personaggi, abbiamo un’impressione più chiara di una compenetrazione di colori e forme. L’autore non disegna ma realizza l’insieme attraverso strisciate di colore. Viene evidenziata la realtà come è per noi, non ordinata per se stessa ma ricostruita, riorganizzata dalla sua mente. Usa poi forme di solidi geometrici: cilindro, cono, e così via.
L’ultima considerazione che facevamo sul colore ci porta al grandissimo Vincent van Gogh, il campione del postimpressionismo. E’ un disadattato, ma non tutti sanno, come già sottolineato qualche lezione fa, che è stato un uomo di grande interesse sociale. Figlio di un predicatore, ha sempre amato il testo sacro, ma nella sua parte sociale, come nella migliore tradizione evangelica. Infatti ha dipinto anche una bibbia, come vediamo. Ma soprattutto per entrare nella più autentica tematica di van Gogh bisogna andare al termine della sua esistenza, al suo suicidio, che dimostra il suo difficile rapporto con la realtà, in parte dovuto alla vicenda sentimentale con Gauguin, con il famoso episodio in cui si tagliò una parte dell’orecchio per dimostrargli quanto ci tenesse alla sua amicizia e per farsi perdonare per uno sgarro.
Vi facciamo vedere il famoso “Campo di grano con volo di corvi”, un dipinto dell’ultimo periodo della sua vita, quando appunto sente incombere la tragedia. E prima di questo c’è tutta la storia che viene raccontata, sempre attraverso i suoi quadri, dalla cameretta in cui viveva, dai volti che di tempo in tempo si ritrova davanti, come quello dell’Arlesiana, dalla chiesa, dai luoghi d’origine, dalle vedute di Arles, il paese della Provenza dove era stato protagonista anche Cézanne (anzi la stessa montagna di Cézanne è nei dipinti di van Gogh). Se avviciniamo lo sguardo alla tela, vediamo la sua tecnica, fatta di spesse, dense, strisciate di colore, visibili nel famosissimo “I girasoli”.
Guardando da lontano abbiamo una visione d’insieme naturale, ma da vicino ci colpisce questa materialità dei colori, che rappresenta la materialità e il tormento dell’esistenza vissuta da van Gogh, che si esprime ancora di più negli autoritratti. Non abbiamo tempo per addentrarci in altre considerazioni, ma voglio ricordare, a proposito dei suoi interessi sociali, che ha avuto anche dei problemi, è stato allontanato come personaggio pericoloso.
Chiudiamo con “Il grido” di Edvard Munch, norvegese, già da noi citato a proposito dell’angoscia rappresentata in “Spleen” da Baudelaire. Questo è il suo dipinto più famoso. Leggiamo una pagina del diario in cui lui stesso parla della situazione che lo ha portato poi a realizzare quest’opera…
Camminavo lungo la strada con due amici – quando il sole tramontò – il cielo si tinse all’improvviso di un rosso sangue – mi fermai, mi appoggiai stanco morto a un recinto – sul fiordo nerazzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco – i miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura – e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura.
Se facciamo caso, questo volto un po’ deformato ha le linee che corrispondono alle linee ondulate che sono nel resto del dipinto, occupa la posizione quasi centrale del quadro e questo movimento delle nuvole, del mare, del paesaggio e del volto stesso su questo ponte rappresenta flussi della mente, difficoltà della vita, l’angoscia esistenziale. Vi facciamo vedere anche una xilografia in bianco e nero, prova del quadro. L’uomo in primo piano testimonia sicuramente anche l’isolamento, con la presenza misteriosa di queste due figure lontane. Comunque le mani protese a riparare le orecchie suggeriscono qualcosa di terrificante che non è definito. Al visitatore viene offerto uno stimolo da interpretare in maniera soggettiva. Comunque è l’urlo della realtà, l’urlo della società, che è insopportabile per questo individuo, è l’assurdità del vivere.
DIEGO: L’ostilità, anche, della società in cui si vive.
Certamente. E la forma ondulata riproduce il tema della larva, come una riflessione sulla vita larvale, cioè dell’essere noi delle larve nell’universo, il senso di cose inconcludenti, di cose di cui non riusciamo a vedere uno scopo: quella famosa crisi di valori, fondamentale e profonda, del decadentismo. Rinviamo alla prossima lezione la riflessione sull’analisi che fa Carlo Salinari, adatta appunto per introdurre quell’argomento. Arrivederci.
Indice