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ILLUMINISMO: L’ENCICLOPEDIA – VOLTAIRE: Candido




Antologia II Anno - 10^ Lezione (video)

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EDITORI E LETTERATI NELL’ILLUMINISMO
VOLTAIRE: ENCICLOPEDIA, CANDIDO, MICROMEGA
 
Siamo alla decima lezione di Antologia, sull’illuminismo, di nuovo con Barbara. Dobbiamo però riprendere il ragionamento da Goldoni. Infatti ci eravamo lasciati con l’idea di Goldoni illuminista, nel senso che è l’autore della razionalità e, dobbiamo aggiungere oggi, del buon senso e della naturalezza. Contro gli artifici della società, contro le assurdità, Goldoni accampa il suo senso della misura, che poi vedremo ritornare nel percorso che faremo più avanti, riprendendo anche Gulliver.
La razionalità è l’ispirazione di questo grandissimo movimento dell’illuminismo, che ha avuto i protagonisti soprattutto tra i francesi. Uno lo abbiamo visto, lo abbiamo presentato due lezioni fa, era Montesquieu. Voltaire, Diderot, D’Alambert e lo stesso Rousseau animeranno l’Enciclopedia, in nome di una rigenerazione della cultura, dell’eliminazione degli errori del passato (addirittura una sorta di “tabula rasa” su tutto il medioevo), con una riorganizzazione della società, avendo come scopo l’utile generale, quindi il benessere e la felicità. Basano tutta la loro opera di rinnovamento della società su quella che era stata, tra il Cinquecento e il Seicento, l’utopia,  e  vogliono realizzare il mondo migliore di cui si parlava.
Questa brevissima introduzione per affrontare, però, attraverso Goldoni stesso, un tema importante nel Settecento, quello dell’editoria. Partiamo come sempre da uno scritto di Goldoni per capire quali fossero i problemi, le difficoltà, anche all’interno di quello che cominciava ad essere un vantaggio per l’uomo di cultura, cioè la possibilità di stampare e quindi vendere. Goldoni ne parla nei suoi “Memoires”, scritti a Parigi, come abbiamo detto già l’altra volta…
 
CARLO GOLDONI, MEMOIRES
Siccome la compagnia doveva andare a passar la primavera e l’estate a Livorno, avevo fatto conto di restare a Venezia, mia unica cura essendo la prima edizione delle mie opere. Pubblicati già dal libraio Bettinelli i primi due volumi, andai a portargli anche il manoscritto del terzo; ma quale non fu la mia meraviglia, quando quest’uomo flemmatico mi disse con maniere fredde, anzi ghiacciate, che non poteva ricevere da me i miei originali, perché li ritirava da Medebach, a conto del quale appunto andava ormai il proseguimento della mia edizione!
 
Medebach era il capocomico del teatro Sant’Angelo, per il quale e con il quale aveva lavorato Goldoni. Era successo che Medebach aveva venduto le copie dei testi scritti da Goldoni, perché riteneva che per il fatto che fossero rappresentati nel suo teatro lui ne fosse il proprietario. Allora non c’erano i diritti d’autore come oggi…
 
Riavuto dal mio stupore, facendo succedere allo sdegno la calma: - Amico, gli dissi, siate cauto; voi non siete ricco, e avete figli; non vogliate andare incontro alla vostra perdita, né mi astringete a procurarla. - Egli insiste.
 
In realtà all’epoca chi dava un manoscritto all’editore, anche se non era suo ma era di un altro, era a posto. L’editore, una volta acquistato il manoscritto, poteva poi pubblicarlo, prescindendo dal fatto che chi glielo avesse dato ne fosse l’autore o meno…
 
Bettinelli, cui forse troppo di leggeri avevo acconsentito di concedere la privativa della stampa delle mie opere, era certamente stato comprato con denaro, onde in tal condizione mi trovavo costretto a combatter contro Medebach, dal quale era contrastata la proprietà delle mie composizioni, e nel tempo stesso contro il libraio, già in possesso della facoltà di pubblicarle. Avrei vinto senz’alcun dubbio la causa, ma bisognava litigare; e litigare è scomodo dappertutto;
 
Quindi anche Goldoni  nel Settecento ha paura di ricorrere agli avvocati, alla legge, perché i processi sono lunghi e non sempre finiscono come si vuole. Su questo tema del cattivo funzionamento della legge ritorneremo attraverso un grande illuminista meridionale, nostro, molisano, Giuseppe Maria Galanti. Quando dico “nostro” naturalmente mi riferisco a me e Barbara, mentre voi, quelli del satellite, siete anche di altre regioni. Come un altro nostro sarà Vincenzo Cuoco: siamo nel Settecento e quindi ne parleremo tra non molto.
Tutto questo, comunque, per dirvi dell’importanza dell’editoria, della stampa, della vendita, nei limiti di cui vi abbiamo parlato. Questo era il secolo in cui si sarebbe sviluppata la grandissima esperienza editoriale dell’ Enciclopedia, alla quale avrebbero lavorato gli illuministi, e tra questi Voltaire. Barbara vi leggerà un passo della voce “letterati”, curata da lui per l’enciclopedia, sul letterato filosofo, per capire che qualcosa è cambiato…
 
VOLTAIRE, ENCICLOPEDIA, LETTERATI
Una volta, nel sedicesimo secolo e all’inizio del diciassettesimo, i letterati attendevano molto alla critica grammaticale degli autori greci e latini: dobbiamo infatti al loro lavoro i dizionari, le edizioni corrette e i commentari  dei capolavori dell’antichità. Oggi, però, questa critica è meno necessaria, e ad essa è succeduto lo spirito filosofico. E proprio lo spirito filosofico sembra caratterizzare oggi i letterati: quando esso si unisce al buon gusto, forma un letterato completo. Tra le grandi superiorità di cui il nostro secolo gode, figurano appunto gli uomini colti, che passano dalle spine delle matematiche ai fiori della poesia, e che possono ben giudicare sia un libro di metafisica, sia un dramma teatrale; lo spirito del secolo li ha resi la maggior parte idonei sia alla buona società, sia allo studio; e questo li rende molto superiori a quelli dei secoli passati. Un tempo essi se ne stavano lontani dalla società ma poi ne sono diventati elementi indispensabili. La razionalità profonda e chiara, che molti di essi hanno profuso nei loro scritti e nelle loro conversazioni, ha contribuito molto ad istruire e coltivare la nazione: il loro spirito critico non si è più logorato sulle parole greche e latine; ma, sorretto da una sana filosofia, ha distrutto tutti i pregiudizi di cui la società era infetta – predizioni di astrologi, divinazioni  di maghi, sortilegi  di ogni tipo, falsi prodigi, false meraviglie, costumi superstiziosi – ed ha relegato nelle scuole mille dispute puerili, che un tempo erano pericolose, e che grazie a loro sono ormai spregevoli: con ciò hanno realmente giovato allo Stato. A volte desta meraviglia che quel che un tempo sconvolgeva il mondo, oggi non lo turbi più: lo dobbiamo ai veri letterati.
Generalmente hanno più libertà di spirito degli altri uomini; e coloro che sono nati senza mezzi trovano facilmente, nelle fondazioni di Luigi XIV, il modo di mantenere viva in sé questa libertà; oggi non si vedono più, come una volta, quelle epistole dedicatorie che l’interesse e la bassezza offrivano alla vanità.
 
Ecco, collegandoci a quello che prima avevamo detto, l’editoria e la stampa hanno dato agli intellettuali la possibilità di diventare autonomi, di assumere quindi coscienza del proprio ruolo. Vedete l’orgoglio del letterato filosofo in Voltaire, che ritiene di poter essere la guida della società, e poi tutti i termini dell’illuminismo che abbiamo annunciato prima, cioè la razionalità, l’allontanamento dai pregiudizi, con anche quell’indicazione che il filosofo è al servizio dello stato per consentire al regnante e dirigere con lui le riforme che poi risaneranno la società.
Ricordo intanto questo riferimento alle fondazioni create da Luigi XIV come un incentivo agli intellettuali, altro suo grande merito. Comunque Voltaire segue e istruisce nelle loro riforme i sovrani del tempo. Si recherà anche in Russia. Diventa cioè il filosofo ispiratore della politica del cosiddetto dispotismo illuminato, che creerà tante novità in Europa e anche in Italia, con Carlo Terzo di Borbone.
Ma di Voltaire voglio ancora ricordarvi, prima ancora di entrare in qualche altro aspetto più collegato strettamente all’illuminismo, i suoi racconti filosofici, “Candido” e “Micromega”. “Candide”, alla francese, nasce perché c’è stato il terremoto di Lisbona e quell’ottimismo che aveva animato questi primi intellettuali del Settecento era stato un po’ frenato da questa tragedia del 1750. ”Candido” ha come sotto titolo “Dell’ottimismo”. Infatti la storia la conosci, Barbara, tu l’hai letta: Candido, allievo di Pangloss, che lo aveva istruito appunto all’ottimismo, poi deve passare attraverso una tale serie di sventure che deve convincersi che il mondo non è il migliore dei possibili.
Vediamo il momento in cui si trova, tra i tanti eventi sfortunati, in un luogo felice, che è il paese di Eldorado, dove, a colloquio con la gente del posto, scopre intanto il loro atteggiamento nei confronti della religione. E’ il primo passo che leggerai, Barbara: Candido e Cacambo…
 
CANDIDO, LA RELIGIONE DI ELDORADO
Candido infine, che avea sempre piacere alla metafisica, fece dimandare da Cacambo se nel paese vi era una religione.
Il vecchio arrossì un poco - Come dunque, diss'egli, potete voi dubitarne? ci prendete forse per ingrati?
Cacambo gli dimandò umilmente qual era la religione d'Eldorado. Il vecchio arrossì ancora. - Che forse possono esservi due religioni? diss'egli: noi abbiamo la religione, cred'io, di tutto il mondo: noi adoriamo Iddio dalla sera alla mattina. - Non adorate voi che un solo Iddio? disse Cacambo, che serviva sempre d'interprete a’ dubbi di Candido - Apparentemente, disse il vecchio non ve ne sono né due, né tre, né quattro: io vi confesso che mi pare che le genti del vostro mondo faccian delle dimande ben singolari.
Candido non lasciava di far interrogare questo buon vecchio: ei volle sapere come si pregava Iddio nell'Eldorado. Non lo preghiamo, disse il buono e rispettabile vecchio: non abbiamo nulla da chiedergli: ei ci dà tutto ciò che ci abbisogna, e noi lo ringraziamo senza fine.
Candido avea la curiosità veder de' preti, e fece domandare se ve n'erano. Il buon vecchio sorrise. - Amici miei, disse egli, noi siamo tutti preti: il re e tutti i capi di famiglia cantan degl'inni di rendimento di grazie; solennemente, e tutte le mattine, e cinque o seimila musici li accompagnano. - Come! voi non avete frati, che insegnino, che disputino, che governino, che brighino e che facciano bruciare la gente che non è del lor parere. - Bisognerebbe che noi fossimo ben pazzi, disse il vecchio: noi siamo tutti di un medesimo sentimento, e non intendiamo ciò che vogliate dire co’ vostri frati.
Candido a tutti que' discorsi restava maravigliato, e diceva fra sè medesimo - «Questo paese è ben differente dalla Wesfalia, e dal castello del signor barone: se il nostro amico Pangloss avesse veduto Eldorado non avrebb’egli più detto che il castello di Thunder-ten-tronckh era quel che v'è di meglio sulla terra. È certo che bisogna viaggiare.»

 
“E’ certo che bisogna viaggiare”: il tema del viaggio, dell’esperienza di altri posti per capire quanti errori si commettano da parte nostra; il tema della prospettiva che deve cambiare percorre tutto il Settecento, lo abbiamo visto con Swift, ma era nato già molto prima. Ma adesso fermiamoci alla religione, perché Voltaire ha già scritto qualcosa sull’argomento. Vi leggo questo testo, poi vi dirò in che contesto è…
 
L'ESAME IMPORTANTE DI M. BOLINGBROKE, O LA TOMBA DEL FANATISMO
Ogni uomo fornito di senso, ogni uomo per bene, deve avere in orrore la setta cristiana. Il grande nome di Deista, che non si riferisce abbastanza, è il solo nome che dobbiamo assumere. Il solo Vangelo da leggere è il grande libro della natura, scritto dalla mano di Dio, su cui è impresso il suo sigillo. La sola religione che si deve professare consiste nell'adorare Dio ed essere onesto. È impossibile che questa pura ed eterna religione faccia del male, così come era impossibile che il fanatismo cristiano non ne facesse.
 
La prima notazione da cui si parte, con i deisti, è che il cristianesimo ha fatto del male, perché la Chiesa cattolica ha portato le guerre di religione o comunque le ha animate, dalle crociate in poi, mentre la religione naturale non permette questo…
 
Non si potrà mai far dire alla religione naturale: Sono venuto a portarvi non la pace ma la spada. Ed invece proprio questa è la prima confessione di fede posta sulla bocca dell'Ebreo chiamato Cristo.
Gli uomini sono ben ciechi e infelici, se preferiscono una setta assurda, sanguinaria, sorretta da carnefici e circondata da roghi - una setta che può venir approvata soltanto da coloro ai quali darà potere e ricchezza, una setta particolare accolta solamente in una piccola parte del mondo - ad una religione semplice e universale che, per riconoscimento stesso dei Cristiani, costituiva la religione del genere umano ai tempi di Seth, di Enoch e di Noè. Se la religione di questi primi patriarchi è vera, certamente la setta di Gesù è falsa. I sovrani si sono sottoposti a questa setta, credendo di diventare più cari ai loro popoli per il fatto di subire anch'essi il giogo imposto ai popoli. E non hanno visto che in tale maniera diventavano i primi schiavi dei preti: in metà dell'Europa essi non sono ancora riusciti a rendersi indipendenti.

 
Vedete questa durezza allarmante di Voltaire nei confronti della religione cristiana. Questo per dirvi quanto sia stata forte questa spinta laica nell’ambito dell’illuminismo, perché il deismo viene poi ripreso quasi da tutti i grandi filosofi di questo periodo.
Sempre tornando a “Candido”, c’è un passaggio in cui si parla del rapporto con il sovrano, sempre nel paese di Eldorado. Leggi Barbara…
 
CANDIDO, I RAPPORTI CON IL SOVRANO IN ELDORADO
Quand'essi si avvicinarono alla sala del trono, Cacambo dimandò a un grand’uffiziale come bisognava contenersi per salutare sua maestà: se si stava ginocchioni o colla pancia per terra, se si mettevano le mani sulla testa o sul di dietro, se si leccava la polvere della sala, in una parola qual era il cerimoniale.  L'uso, disse il grand’uffiziale, è di abbracciare il re e baciarlo da una parte e dall'altra.
Candido e Cacambo saltarono al collo di sua maestà, ed egli li ricevé con tutta la grazia immaginabile, e gl'invitò gentilmente a cena.

 
Quindi vedete la differenza del rapporto con il sovrano. Già attraverso Montaigne e altri abbiamo parlato di questa stranezza dell’eccessiva sottomissione al re. In Eldorado questa novità, di un re molto affettuoso, molto disponibile. E poi ancora, però, cosa dice?
 
Aspettando, furono condotti a vedere la città, gli edifici pubblici alti fino alle nuvole, i mercati adorni di mille colonne, le fontane d’acqua pura, le fontane d’acqua di rose, di liquor di canna da zucchero, che tutte sgorgavano su grandi piazze pavimentate con una specie di gemma, la quale spandeva un odore simile a quello del garofano e della cannella. Candido chiese di vedere la corte di giustizia, il parlamento: gli fu detto di non essercene, e che non si leticava mai. S’informò se vi fossero delle prigioni, e gli fu detto di no. Soprattutto lo sorprese e gli fece piacere il palazzo delle scienze, dove vide una galleria di duemila passi tutta piena d’istrumenti fisici e matematici.
 
Candido in Eldorado vede una società organizzata come le mitiche comunità di Utopia di Moro o Nuova Atlantide di Bacone. Nella quale non c’è nemmeno bisogno di avere un parlamento, perché ci si sente tutti rappresentati da se stessi, il re poi è di quella disponibilità di cui si diceva; e nemmeno una corte di giustizia, perché non si litiga mai, in quanto all’origine delle controversie fra gli uomini c’è la proprietà e tutta quella serie di combinazioni  che creano le differenze sociali. Infatti in questo stesso paese l’oro viene chiamato la “mota gialla” dagli abitanti di Eldorado, che hanno ribaltato completamente i giudizi di Candido sulla realtà, hanno messo in discussione tutte le sue convinzioni. L’oro non conta niente, quello che conta è quest’altro oro che è la convivenza pacifica di uomini.
E poi continua il romanzo: prima e dopo la visita in Eldorado, nell’antico mondo degli Incas, ricordiamo, in Perù, ci sono state un sacco di sventure. Verranno anche riassunte fra poco nel passo che rivedremo. Siamo verso la conclusione del romanzo e si sta ragionando su che cosa bisogna fare appunto, visto che il mondo è fatto di sole disavventure. Che dobbiamo fare? Dobbiamo smettere di agire? Dobbiamo continuare a lottare? Sentiamo cosa ci dice qualche personaggio del racconto, per esempio il turco che viene incontrato da Candido…
 
CANDIDO, LAVORARE IL TUO GIARDINO
Certo avete - disse Candido al turco - una larga e magnifica terra. Venti iugeri appena; - rispose il turco - li coltivo coi miei figli, e il lavoro tiene lungi da noi tre grandi mali: noia, vizio e bisogno.
Noia, vizio e bisogno sono i grandi mali di chi però non sta subendo sventure. Se stai fermo e non agisci per non soffrire ti può prendere la noia, il vizio e puoi avere bisogno. Invece devi nel tuo orticello lavorare, lavorare il tuo giardino, come ben sai. Torneremo su questo tema. Ora vediamo cosa dice più avanti…
So pure – disse Candido – che bisogna coltivare il nostro giardino. Giusto, – disse Pangloss – poiché quando l’uomo fu posto nel giardino dell’eden ci fu posto “ut operaretur eum” (per lavorarlo) e questo prova che l’uomo non è nato per riposare. Lavoriamo senza ragionare, – disse Martino – è l’unico modo di rendere sopportabile la vita.

 
Lavoriamo senza ragionare. Quindi tre temi: l’ozio puro e semplice no; il ragionamento nemmeno, perché  ragionare ci porta a ricordare quante sventure abbiamo nella nostra vita; allora, per non oziare e non ragionare, dobbiamo rimanere nella via di mezzo del lavorare, “coltivare il nostro giardino”. Rinunciare sia ad agire, fuori di questa piccola realtà, sia a pensare su quello che ci aspetterebbe fuori da questa piccola realtà. E’ una filosofia della rassegnazione? Questo è il problema. Continuiamo intanto…
 
La piccola congrega tutta, fece proprio questo lodevole disegno e ognuno si diede ad esercitare le proprie capacità. Il campicello rese bene. Cunegonda per vero era brutta assai, ma fece dei dolci eccellenti. Pasquetta ricamò. La vecchia badò alla biancheria, tanto che anche frate Garofolo fu buono a qualcosa e non solo fu ottimo falegname ma diventò perfino galantuomo. E Pangloss diceva talvolta a Candido: Gli eventi forman tutti una catena del migliore dei mondi possibili, perché finalmente, quando voi non foste stato cacciato a furia di calci nel deretano da un bel castello per amor di madamigella Cunegonda, quando non foste stato sottomesso all’inquisizione, quando non aveste fatto a piedi l’America, quando non aveste dato un buon colpo di spada al barone, quando non aveste perso tutti i vostri montoni nel bel paese di Eldorado (sta richiamando tutte le sventure di Candido), non mangereste qui cedri candidi e pistacchi. Ben detto – rispose Candido, ma bisogna coltivare il nostro giardino.
 
Coltivare il nostro giardino significa chiudersi in se stessi e rinunciare all’azione? Penso, interpretando bene l’idea di Voltaire, che significhi una pausa di riflessione: per recuperare la nostra capacità di pensare un mondo diverso, dobbiamo per il momento coltivare il nostro giardino.
Ma di Voltaire abbiamo un altro importante scritto che ci riporta al tema della misura che avevamo affermato e che abbiamo ripresentato in questa lezione, che prendeva le mosse dal “Gulliver” di Swift. E’ il racconto “Micromega”, la storia di un abitante di una delle stelle, Sirio, gigantesco, che viene sulla terra in compagnia di un altro abitante, di Saturno, diverse volte più piccolo di lui, ma che sempre è gigantesco rispetto agli uomini. Uomini che per lui sono esseri minuscoli, che appena si vedono sulla punta di un pollice. Vediamo cosa si dice in questo passo, leggi Barbara…
 
MICROMEGA
Né l’uno né l’altro vede né vedrà mai l’angoletto di terra di cui si tratta. E non uno o quasi fra gli animali che si scannano a vicenda vide mai l’animale per il quale si stanno scannando. Ah, disgraziato, - rispose indignato il siriano – è concepibile un tale eccesso di rabbia forsennata? Mi vien voglia di far tre passi e di spiaccicare con tre calci tutto il formicaio di questi ridicoli assassini.
 
Sono delle formichine questi omiciattoli che stanno sulla terra. L’abitante di Sirio sta parlando con l’abitante di un altro mondo, che per lui è un nano, e se la stanno prendendo con le guerre, un tema swiftiano. Questi si scannano e non sanno nemmeno il motivo per cui lo fanno…
 
Non ve ne curate, – gli fu risposto – lavorano abbastanza da soli alla propria rovina. Sappiate che in capo a dieci anni non rimane mai il centesimo di tali miserabili. Sappiate che quandanche non avessero sguainato la spada fame, stanchezza e intemperanza li tolgono di mezzo quasi tutti. Del resto non vanno puniti loro, ma i barbari sedentari che dal fondo del loro gabinetto ordinano nell’ora della digestione la strage di milioni di uomini e poi fan ringraziare solennemente iddio.
 
Quindi c’è la puntata contro i regnanti che organizzano le guerre dai loro salotti e i religiosi che appoggiano queste guerre combattute poi dagli affamati, come abbiamo visto. Ma chiudiamo con l’ultimo riferimento all’inutile orgoglio degli uomini.
 
C’era là un piccolo animaletto con un berretto quadrato, il quale tolse la parola a tutti gli animaletti filosofanti. Disse che sapeva tutto il segreto, che si trovava nella Summa di San Tommaso, guardò dall’alto in basso i due abitatori del cielo, sostenne in faccia a loro che le loro persone, i loro mondi, il loro sole, le loro stelle, tutto era fatto unicamente per l’uomo. A tal discorso i nostri viaggiatori si lasciarono cadere uno sull’altro soffocando di quel riso inestinguibile che secondo Omero è la parte toccata agli dei. Spalle e pancia andavano e venivano e in quelle convulsioni il vascello che stava sull’unghia del siriano cadde in una tasca delle brache del saturnino. Quelle due brave persone le cercarono a lungo. Finalmente ritrovarono l’equipaggio e lo riassettarono pulitamente…
 
Come vedete, questi uomini che credono che l’universo sia stato creato per loro sono così minuscoli da finire nella tasca di uno di questi giganti. E qui viene ferito, colpito il loro insano orgoglio…
 
Il siriano riprese i vermiciattoli. Parlò ancora, e con molta bontà, per quanto in fondo al cuore gli sapesse un po’ male di vedere che gli infinitamente piccoli avessero un orgoglio quasi infinitamente grande…
 
Di questo ha parlato Swift nel suo “Gulliver”. Quando torna nel suo mondo dopo il viaggio, la cosa che meno sopporta nei suoi simili è proprio il loro orgoglio, avendo visto in atre dimensioni quale fosse la vera condizione degli uomini.
 
Promise loro di fare un bel libro di filosofia, scritto minutissimamente per uso loro e che in tal libro avrebbero in fondo alle cose. E infatti diede loro il volume prima di partire. Fu portato a Parigi all’Accademia delle Scienze, ma quando il segretario l’ebbe aperto vide nient’altro che un libro bianco da capo a fondo. Ah, - disse – me l’aspettavo.
 
E questa è l’ultima presa in giro da parte dei due giganti nei confronti dei filosofi, che credono che l’universo sia stato creato per noi. E’ una drittata di Voltaire contro l’orgoglio dei filosofi aristotelici, che doveva essere sconfitta con lo stesso medioevo. Chiudiamo per il momento il nostro discorso sul Settecento e sull’illuminismo, che riprenderemo nella prossima lezione. Arrivederci.
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