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Il Sannio e i Sanniti

Il Sannio e i Sanniti: confederazione

Il Sannio e i Sanniti: confederazione etnica dei Sanniti
Le origini dei Sanniti si perdono in un periodo arcaico compreso tra l'VIII e il VII secolo a.C., quando popolazioni nomadi di guerrieri e pastori migrano dalle regioni centrali dell'Italia verso sud, insediandosi sugli Appennini. Il loro viaggio segue le orme di un toro consacrato al dio Marte, che li guida verso nuove terre alla ricerca di campi e pascoli lussureggianti. Questo mito fondativo, il Ver Sacrum, si conclude con la fondazione della capitale e della nazione che prende il nome dal totem, Bovianum. Inizia così la storia dei Sanniti.
Partiamo col chiederci dov’è il Sannio. Il territorio del Sannio si può circoscrivere a un’area che grossomodo corrisponde alle attuali province di Isernia, Campobasso, Benevento e Avellino, tra l’odierno Molise e la Campania. A nord, il Sannio confinava con le terre dei Marsi e dei Peligni in Abruzzo; a ovest con le terre dei Volsci e dei Campani; a est con quelle dei Frentani e degli Apuli; mentre a sud con le terre dei Messapi e dei Lucani. Il territorio del Sannio non è da considerare uno stato vero e proprio, ma piuttosto una confederazione etnica. Infatti, i Sanniti si dividevano in quattro tribù principali: quella dei Carricini o Caraceni, quella dei Pentri, quella dei Caudini e infine quella degli Irpini. Alcuni comprendono nelle tribù sannitiche anche quella dei Frentani. Tuttavia, quello che possiamo dire è che il cuore dell’ethos sannita era costituito dalla tribù dei Pentri, e possiamo affermare ciò in base ai siti archeologici più importanti rinvenuti quasi tutti nel territorio molisano. Si possono citare, a titolo di esempio, il santuario di Pietrabbondante, un complesso teatro-tempio bellissimo e sicuramente da visitare; la città di Sepino, che verrà poi successivamente romanizzata dopo le guerre sociali; il santuario di Campochiaro, miniera di reperti archeologici; la città di Bojano, che ancora oggi conserva nel toponimo l’antico nome della capitale sannita; e anche il sito di Monte Vairano, un’intera città sannita praticamente ancora sotto terra, non completamente scavata, che alcuni archeologi riconducono alla leggendaria città di Aquilonia.
Sebbene la presenza di centri urbani sia documentata, il Sannio mantiene sempre un assetto prettamente tribale, caratterizzato da villaggi sparsi tipici della cultura pastorale e dell’economia di allevamento. Ad oggi, tuttavia, molti siti sono stati scavati soltanto in minima parte a causa della mancanza di finanziamenti. Persino intere città, come quella di Monte Vairano, giacciono ancora sotto terra. Ciò che sappiamo che la maggior parte degli insediamenti sorgeva sui monti pronte ed era circondata da mure poligonali che avevano lo scopo principale quello di proteggere il bestiame dai predatori. La posizione scelta assicurava un'ampia visuale e la distanza tra gli accampamenti non superava i 2-3 km in linea d'aria, in modo da garantire il contatto visivo con i clan circostanti e la comunicazione tramite segnali di luce e fumo. In questo modo, i vari clan controllavano il territorio attraverso una rete estesa e capillare di postazioni fortificate. Potremmo definire lo stato sannita uno "stato diffuso" in cui il potere non risiedeva nei palazzi delle città, ma su tutto il territorio, attraverso il controllo dei pascoli e delle rotte pastorali. A governare le singole comunità vi erano magistrati chiamati "meddix", mentre il governatore del tuto, cioè l’intero popolo sannita, era un magistrato eletto democraticamente, il "meddix tuticus". Questo era il garante della legge e imponeva la leva militare nella nazione in caso di guerra.
La vita di tutti i giorni era scandita dal lavoro nei campi e dall’allevamento. Attraverso i tratturi, vere e proprie autostrade della transumanza e al contempo arterie commerciali, i vari clan migravano dalle pianure ai monti e viceversa. Si comprende così l’enorme importanza dei santuari sparsi sul territorio, sempre a ridosso delle rotte pastorali. Qui, il pastore sannita sacrificava agli dèi e chiedeva loro protezione contro i mille pericoli che era costretto a fronteggiare: lupi, orsi, cinghiali, animali selvatici, nemici in generale, selve inospitali e soprattutto spiriti maligni, ai quali credeva profondamente. A ridosso di questi santuari, però, trovava anche ristoro e, lì dove era possibile, poteva assistere anche alle farse e alle commedie. Lungo i tratturi poi incontrava dei mercati dove poteva vendere e comprare bestiame e, in generale, concludere affari o vendere i prodotti del proprio lavoro derivati dall’allevamento. La donna sannita si occupava invece di faccende perlopiù domestiche: gestiva la casa, curava i figli, tesseva la lana. Tuttavia, ciò non significa che non si curasse: se poteva permetterselo, non disdegnava di indossare gioielli, soprattutto in bronzo, e di curare particolarmente le acconciature. L’estetica dell’uomo era caratterizzata dal viso perlopiù rasato, e questa rasatura avveniva in locali aperti al pubblico, dove i barbieri radevano e toglievano i peli da ogni zona del corpo senza badare a chi stava guardando.
Questa usanza ci porta a parlare di un’etimologia che riporta Salmon nel suo libro "Il Segno ai Sanniti", riguardante la parola "oscenità". Secondo alcuni autori come Ausonio, Festo e Porfirio, la parola "oscenità" non deriverebbe da "ob scena", cioè "fuori dalla scena" in greco, ma verrebbe proprio dalla parola "osca" e significherebbe qualcosa "alla maniera osca", quindi qualcosa di particolarmente gretto, greve e poco raffinato.
Tornando alla vita quotidiana e alla mentalità di questi guerrieri pastori, alcuni elementi si desumono soprattutto dal rapporto con la malattia e con la morte. Sappiamo che i Sanniti erano soliti offrire un voto agli dèi con forme in terracotta delle parti del corpo malate, per chiedere loro protezione e guarigione. Per quanto riguarda i morti, avevano l’usanza, come altri Italici, di sotterrarli anziché bruciarli. Ma qui c’è un elemento di novità: i riti funebri delle famiglie più importanti erano abbelliti da spettacoli, come i giochi gladiatori, che poi ritroveremo a Roma. Infatti, i Romani acquisiscono dai Sanniti questa usanza, e a partire dal 264 a.C., la parola "sannita" diventerà sinonimo di "gladiatore". Non è l’unica cosa che i Romani prenderanno dai Sanniti, ma è certo la più pittoresca.
Il carattere indomito e bellicoso dei Sanniti, spesso ricordato dagli scrittori romani con un misto di timore e rispetto, è forgiato da un territorio ostile e dal contatto con la natura selvaggia. Il legame ancestrale tra le montagne e i Sanniti risuona persino nel nome stesso delle tribù. Il nome dei Carricini, stanziati più a nord, proviene infatti dalla radice indoeuropea "kar", che significa "roccia", e starebbe ad indicare per l’appunto "coloro che vivono sulle rocce". Anche il nome dei Pentri si sviluppa da una radice simile, "pen", che indica la cima dei monti. Pertanto, il nome si può tradurre come "coloro che vivono sulle alture". Non è un caso se queste due tribù, stanziate nelle aree più interne dell’Appennino, saranno le uniche a conservare la propria identità anche dopo la sconfitta nelle guerre sannitiche. Diverso sarà il destino dei Caudini, che prendevano il nome dalla città di Caudium, segno di un’identità più urbana e frammentata. Essi saranno i primi a essere inglobati da Roma. Il nome degli Irpini ha origine invece da un altro animale totem, il lupo. "Irpini" è infatti il corrispettivo in lingua osca del termine greco "lukos", dal quale ha origine il nome dei Lucani. Il loro nome si può tradurre come "gli uomini lupo".
Ma allora, da dove vengono le parole "Sannio" e "sanniti"? Innanzitutto, bisogna specificare che le parole "Samnium" e "Samnites" sono romane latine e non osche. I Romani utilizzavano queste parole per indicare le tribù dei Sabelli, individuando uno specifico gruppo particolarmente bellicoso e tenace: i Sanniti.
Il carattere bellicoso dei Sanniti ci porta a ragionare anche su una eventuale etimologia greca del loro nome. Infatti, la parola richiamerebbe il giavellotto, un'arma effettivamente utilizzata dai Sanniti, e quindi indicherebbe il "popolo dei giavellotti". Tuttavia, questa discendenza dal greco non è linguisticamente provata. Al contrario, la parola sembrerebbe essere autoctona e discendere dalla radice indoeuropea "pub", la stessa dei Sabini, che rimanderebbe a Sabus, un'antica divinità protettrice. Da qui poi l’esito in lingua osca "safim", che in latino diventerà "Samnium".
La massima espansione dei Sanniti si colloca fra il VI e il IV secolo a.C., con la conquista della pianura campana. Essi assumono un'identità e un'organizzazione politica definita. Tuttavia, la competizione per i territori del Lazio meridionale e di alcune città campane come Capua e Napoli causa lo scontro con Roma. Nel 354 a.C., Roma e i Sanniti stipulano un trattato di pace per determinare le rispettive aree di influenza. Tuttavia, pochi anni dopo, il conflitto sfocia nella Prima Guerra Sannitica, in cui i Romani prevalgono conquistando alcune città. La Seconda Guerra Sannitica, combattuta fra il 326 e il 304 a.C., vede ancora una volta prevalere Roma, ma questa volta il successo arriva dopo lunghe battaglie e il rischio concreto di perdere interamente il proprio esercito. Nel 321 a.C., infatti, i Romani subiscono la pesante umiliazione delle Forche Caudine: l'intero esercito romano è accerchiato e si arrende. I Sanniti risparmiano la vita dei legionari, ma li costringono a passare sotto il giogo e a consegnare le armi.
Tuttavia, i Romani riescono a rialzarsi e a riconquistare terreno gradualmente, fino a che, nel 304 a.C., sconfiggono i Sanniti nella battaglia di Boiano. L'ultimo conflitto segna la vittoria definitiva dei Romani, i quali però devono vedersela per la prima volta con una coalizione vitale guidata dai Sanniti, che comprende anche Etruschi, Galli e Umbri. La battaglia decisiva è quella del Sentino, mentre l'ultima avviene ad Aquilonia, dove i Sanniti schierano, in un tentativo disperato, la temibile "legio linteata". La legio linteata è una legione speciale consacrata al dio Marte attraverso un rito cruento, conosciuto grazie allo scrittore latino Tito Livio, che nei suoi "Ab urbe condita" racconta dello speciale rituale che consacrò questi giovani soldati alla morte. Livio racconta che i più nobili e agguerriti furono chiamati all'interno di un recinto sacro, per l'occasione coperto da un telo di lino (linteum). Chi veniva fatto entrare doveva giurare di non rivelare a nessuno cosa accadesse nel recinto.
Sebbene Tito Livio tenda a enfatizzare a volte un po' troppo gli avvenimenti e a calcare la mano con effetti drammatici e patetici, attraverso le sue parole possiamo entrare in contatto con l'atmosfera tetra e carica di tensione che contraddistinse l'ultimo atto della Terza Guerra Sannitica, che segnò la definitiva sconfitta del Sannio. L'intero apparato della cerimonia era allestito in modo da suscitare negli animi terrore religioso. Contribuivano a questo effetto soprattutto gli altari al centro del recinto integralmente coperto, le vittime sgozzate intorno agli altari e i centurioni in cerchio con le spade in pugno. I convocati venivano fatti avvicinare agli altari più come vittime che come effettivi partecipanti al sacrificio e dovevano giurare di non rivelare quanto avevano visto o sentito. Mediante una formula intimidatoria, venivano costretti a giurare che sarebbero state maledette le loro persone, la famiglia e la stirpe qualora non fossero scesi in campo dove i comandanti li guidavano, se avessero abbandonato il campo di battaglia o se, vedendo qualcuno darsi alla fuga, non lo avessero ucciso immediatamente.


The Samnium and the Samnites: The Ethnic Confederation of the Samnites
The origins of the Samnites are lost in an archaic period between the 8th and 7th centuries BC, when nomadic populations of warriors and shepherds migrated from central Italy to the south, settling in the Apennines. Their journey followed a bull consecrated to the god Mars, leading them to new lands in search of lush fields and pastures. This foundational myth, the Ver Sacrum, ends with the founding of their capital and the nation named after the totem, Bovianum. Thus begins the history of the Samnites.

Let’s begin by asking: where is Samnium? The territory of Samnium can be roughly defined as an area that corresponds to the present-day provinces of Isernia, Campobasso, Benevento, and Avellino, spanning today’s Molise and Campania regions. To the north, Samnium bordered the lands of the Marsi and Peligni in Abruzzo; to the west, it bordered the Volsci and Campani; to the east, the Frentani and Apuli; and to the south, the Messapi and Lucanians. Samnium should not be seen as a true state but rather as an ethnic confederation. The Samnites were divided into four main tribes: the Carricini or Caraceni, the Pentri, the Caudini, and finally the Irpini. Some also include the Frentani among the Samnite tribes. However, we can say that the core of the Samnite ethos was represented by the Pentri tribe, as evidenced by the most important archaeological sites, almost all of which are located in the Molise region. For example, we can mention the sanctuary of Pietrabbondante, a beautiful theater-temple complex worth visiting; the city of Sepino, which was later Romanized after the Social Wars; the sanctuary of Campochiaro, a treasure trove of archaeological finds; the city of Bojano, which still retains the ancient name of the Samnite capital in its toponym; and the site of Monte Vairano, an entire Samnite city still largely underground and not fully excavated, which some archaeologists link to the legendary city of Aquilonia.

Although urban centers are documented, Samnium maintained a predominantly tribal structure, characterized by scattered villages typical of pastoral culture and a livestock-based economy. To this day, many sites have been only minimally excavated due to lack of funding. Even entire cities, like Monte Vairano, remain underground. What we know is that most settlements were built on mountain ridges and were surrounded by polygonal walls, primarily to protect livestock from predators. These locations provided wide views, and the distance between settlements rarely exceeded 2–3 km in a straight line, allowing for visual contact with neighboring clans and communication through light and smoke signals. In this way, the various clans controlled the territory through an extensive network of fortified outposts. We could describe the Samnite state as a "diffused state" where power did not reside in city palaces but across the entire territory, through control of pastures and pastoral routes. Individual communities were governed by magistrates called meddix, while the governor of the tuto—the entire Samnite people—was a democratically elected magistrate known as the meddix tuticus. He was the guarantor of the law and imposed military conscription on the nation in times of war.