ANNO ACCADEMICO 2023-2024
Prof.ssa ROSSANA VARRONE
IL PROCESSO NELL’ ANTICA GRECIA
Leggiamo ciò che scriveva nel 1912, a proposito del “processo nell’antica Grecia”, un illustre filologo, LUIGI CASTIGLIONI, sul “formidabile materiale di vita vissuta” tramandato alla posterità dall’oratoria giudiziaria greca : “ Niente val meglio degli episodi giudiziari a rappresentarci una larga corrente di vita; anche oggi nelle preture, nei più alti consessi confluisce il flutto delle passioni più tragiche e disperate e il piccolo rigagnolo delle miserie quotidiane, confondendosi con tutte le torbidezze da cui la società umana è sempre stata inquinata…”
E’ innegabile, quindi, che in ogni tempo (…e ben lo sappiamo noi del XXI secolo!) nelle aule dei tribunali siano stati e siano rappresentati quei due poli dell’esistenza che la consuetudine retorica chiama “la tragedia e la commedia della vita”. Comprendiamo, allora, il motivo per cui noi, durante le nostre conversazioni, vedremo vivere ed agire 26 secoli fa (!!!) un’ umanità varia e vivace, alle prese con situazioni e problemi spesso sorprendentemente simili a quelli dei nostri giorni.
Abbiamo già detto che, all’inizio dell’udienza del tribunale, il cancelliere leggeva l’atto di accusa e la risposta scritta della difesa, contenute nel dossier. Poi il presidente dava la parola successivamente all’accusa e alla difesa. Ogni cittadino implicato in un processo poteva parlare personalmente. Se si giudicava incapace di farlo, affidava la propria causa a un uomo del mestiere (logografo: v. Lisia) e la imparava a memoria.
Comprendiamo, quindi, che quella del LOGOGRAFO era una figura di fondamentale importanza nello svolgimento del processo ad Atene.
Egli era il professionista che scriveva per un committente ( Quintiliano dira’ sinteticamente di Lisia: “scribebat aliis, non ipse dicebat”) e offriva un’assistenza diversificata: consulenza legale, insegnamento di elementari procedimenti retorici, preparazione di una traccia e stesura del discorso, scrittura di atti, tutte prestazioni che non si escludevano, anzi si integravano reciprocamente; a queste si doveva aggiungere la disponibilità a condurre una trattativa privata con la controparte.
Mentre le caratteristiche della consulenza legale, spesso spregiudicata, possiamo solo dedurle dalle orazioni sopravvissute, abbiamo alcune testimonianze su come lavorassero i logografi nel settore “tecnico” di loro specifica competenza.
Essi, infatti, potevano indicare a chi era sotto processo la linea da seguire, i nuclei tematici sui quali, se era dotato di buone qualità naturali e di una certa cultura, avrebbe improvvisato il discorso davanti alla giuria, oppure gli FACEVANO APPRENDERE UN DISCORSO FINITO, del quale “ avrebbe dovuto accuratamente tenere a mente le linee generali, le parole e perfino le sillabe!”
Nella scelta tra i due procedimenti era , dunque, decisiva la personalità del committente: la performance, proprio perché attoriale, richiedeva doti innate che non si potevano insegnare né codificare in un metodo, ma la RETORICA, in quanto RETORICA dello STILE EFFICACE, consentiva al logografo di modellare la sua scrittura sulla personalita’ del committente (”etopoiea”) : la persuasivita’ del discorso, dunque, dipendeva in larga parte dall’aderenza alla personalità del locutore.
Dal momento che l’oratoria, anche quella giudiziaria, era “politikòn pragma” (“questione della polis (politica)”), al logografo era formalmente interdetta la possibilità di soccorrere il proprio cliente intervenendo professionalmente al suo fianco anche solo come testimone , anche se ciò, in realtà, avveniva lo stesso con una certa frequenza, com’è indirettamente provato dalla legislazione che si proponeva di arginare il fenomeno.
Il cittadino coinvolto in un processo, tuttavia, poteva comunque contare su varie forme di solidarietà (per es., nella scelta dei testimoni e nel modo di gestirne l’apporto durante il dibattimento) all’interno della famiglia, del gruppo sociale, del club politico o del ceto professionale.
Prof.ssa ROSSANA VARRONE
IL PROCESSO NELL’ ANTICA GRECIA
Leggiamo ciò che scriveva nel 1912, a proposito del “processo nell’antica Grecia”, un illustre filologo, LUIGI CASTIGLIONI, sul “formidabile materiale di vita vissuta” tramandato alla posterità dall’oratoria giudiziaria greca : “ Niente val meglio degli episodi giudiziari a rappresentarci una larga corrente di vita; anche oggi nelle preture, nei più alti consessi confluisce il flutto delle passioni più tragiche e disperate e il piccolo rigagnolo delle miserie quotidiane, confondendosi con tutte le torbidezze da cui la società umana è sempre stata inquinata…”
E’ innegabile, quindi, che in ogni tempo (…e ben lo sappiamo noi del XXI secolo!) nelle aule dei tribunali siano stati e siano rappresentati quei due poli dell’esistenza che la consuetudine retorica chiama “la tragedia e la commedia della vita”. Comprendiamo, allora, il motivo per cui noi, durante le nostre conversazioni, vedremo vivere ed agire 26 secoli fa (!!!) un’ umanità varia e vivace, alle prese con situazioni e problemi spesso sorprendentemente simili a quelli dei nostri giorni.
Abbiamo già detto che, all’inizio dell’udienza del tribunale, il cancelliere leggeva l’atto di accusa e la risposta scritta della difesa, contenute nel dossier. Poi il presidente dava la parola successivamente all’accusa e alla difesa. Ogni cittadino implicato in un processo poteva parlare personalmente. Se si giudicava incapace di farlo, affidava la propria causa a un uomo del mestiere (logografo: v. Lisia) e la imparava a memoria.
Comprendiamo, quindi, che quella del LOGOGRAFO era una figura di fondamentale importanza nello svolgimento del processo ad Atene.
Egli era il professionista che scriveva per un committente ( Quintiliano dira’ sinteticamente di Lisia: “scribebat aliis, non ipse dicebat”) e offriva un’assistenza diversificata: consulenza legale, insegnamento di elementari procedimenti retorici, preparazione di una traccia e stesura del discorso, scrittura di atti, tutte prestazioni che non si escludevano, anzi si integravano reciprocamente; a queste si doveva aggiungere la disponibilità a condurre una trattativa privata con la controparte.
Mentre le caratteristiche della consulenza legale, spesso spregiudicata, possiamo solo dedurle dalle orazioni sopravvissute, abbiamo alcune testimonianze su come lavorassero i logografi nel settore “tecnico” di loro specifica competenza.
Essi, infatti, potevano indicare a chi era sotto processo la linea da seguire, i nuclei tematici sui quali, se era dotato di buone qualità naturali e di una certa cultura, avrebbe improvvisato il discorso davanti alla giuria, oppure gli FACEVANO APPRENDERE UN DISCORSO FINITO, del quale “ avrebbe dovuto accuratamente tenere a mente le linee generali, le parole e perfino le sillabe!”
Nella scelta tra i due procedimenti era , dunque, decisiva la personalità del committente: la performance, proprio perché attoriale, richiedeva doti innate che non si potevano insegnare né codificare in un metodo, ma la RETORICA, in quanto RETORICA dello STILE EFFICACE, consentiva al logografo di modellare la sua scrittura sulla personalita’ del committente (”etopoiea”) : la persuasivita’ del discorso, dunque, dipendeva in larga parte dall’aderenza alla personalità del locutore.
Dal momento che l’oratoria, anche quella giudiziaria, era “politikòn pragma” (“questione della polis (politica)”), al logografo era formalmente interdetta la possibilità di soccorrere il proprio cliente intervenendo professionalmente al suo fianco anche solo come testimone , anche se ciò, in realtà, avveniva lo stesso con una certa frequenza, com’è indirettamente provato dalla legislazione che si proponeva di arginare il fenomeno.
Il cittadino coinvolto in un processo, tuttavia, poteva comunque contare su varie forme di solidarietà (per es., nella scelta dei testimoni e nel modo di gestirne l’apporto durante il dibattimento) all’interno della famiglia, del gruppo sociale, del club politico o del ceto professionale.