Antologia - 12^ Lezione
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anto 1,12 Title 1
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BOCCACCIO, DECAMERONE: FEDERIGO DEGLI ALBERIGHI, NASTAGIO DEGLI ONESTI
Dodicesima lezione di Antologia. Vicino a me Barbara, la nostra alunna che ci aiuterà a leggere pagine indimenticabili e importantI della letteratura italiana e, qualche volta anche, di altri mondi. Siamo alla seconda lezione su Boccaccio. L’altra volta abbiamo introdotto il “Decameron” molto rapidamente e siamo subito passati alla lettura di una sceneggiatura di Pasolini su “Andreuccio da Perugia”, terminando la narrazione della novella. Dissi che non era il momento di parlare della novella introduttiva del “Decameron”, che oggi vi riassumo, “Ser Ciappelletto”. E’ la storia di un toscano grande imbroglione, uno che faceva il notaio ma stipulava atti soltanto irregolari, un ladro, che ne commetteva di tutti i colori, in Francia. Questo è l’aspetto socialmente importante. Commetteva tutto questo molto più facilmente che in Italia, perché in quel paese, dice lo stesso Boccaccio, si dava molta attenzione ai giuramenti fatti sui testi sacri, per cui, giurando il falso a tutti i processi, tutti i tribunali, sui vangeli, non preoccupandosi di commettere peccato, vinceva tutte le cause. Lo chiamavano così perché avevano inteso il suo nome come “ghirlanduccia” nella loro lingua. Boccaccio scherza, perché tra le altre cose ci riferisce, dei vizi e dei difetti di Ciappelletto, quella che sembrerebbe la sua unica virtù: dice che le donne non le curava proprio (e uno pensa che almeno in quel campo è onesto)…”del contrario” invece si comportava diversamente, cioè era un omosessuale. Perciò a quel punto, “ghirlanduccia” assumeva un certo significato, anche perché era “assettatuzzo”, dice Boccaccio, insomma tutto aggiustatuccio, dell’eleganza di chi è un po’ effeminato, almeno nel medioevo la si pensava così. L’altro italiano è Musciatto Franzesi, che fa un sacco di impicci là in Francia e quando se ne deve andare via, e ha da riscuotere del danaro che ha prestato in Borgogna ad altri delinquenti come lui, e non sa a chi affidarne la riscossione, si rivolge a ser Ciappelletto, delinquente come loro, la persona adatta per farlo. E lui va, ospite di due fratelli pure toscani; e qui l’italia ci fa un’altra bella figura, perché sono usurai anche questi, altri imbroglioni. Lì si ammala, sta per morire e, per farvela breve, i fratelli che lo ospitano si preoccupano che con un delinquente come Ciappelletto moribondo in casa loro i preti che lo confesseranno, sentendo i suoi peccati, sparleranno anche di loro che già sono malvisti dalla comunità, considerati i lombardi imbroglioni che sono. Ma Andreuccio, ascoltate queste loro paure, dice di chiamare il migliore frate che esista, che poi prende in giro in una maniera straordinaria, raccontandogli tutto il contrario della sua vita. Il frate gli crede e addirittura alla fine lo fanno santo.
Ho raccontato tutto molto brevemente per farvi capire, poiché un senso deve avere, che Boccaccio apre il “Decamerone” con questa novella così scriteriata, così fuori della moralità, così fuori dagli schemi della medievalità, proprio perché vuole subito dissacrare, aprire il campo per la libera fantasia, il libero spazio, per la navigazione nella società senza pregiudizi. Addirittura, sulla questione che adorino come santo un malfattore come Ciappelletto, bonariamente, sorridentemente e serenamente Boccaccio dice che in fondo conta l’intenzione; amano un santo, che poi non lo sia veramente non importa come il fatto che questa gente abbia una grande fede.
Ora vi leggeremo le novelle di “Federigo degli Alberighi” e “Nastagio degli Onesti”, nelle quali si presenta la figura dell’uomo ideale di Boccaccio. L’altra volta vi raccontai che delle due esperienze, una a Napoli e l’altra a Firenze, la prima gli ha lasciato nell’animo l’idea della gentilezza, la seconda quella della concretezza. Arrivato alla maturità, pensa che l’uomo ideale debba avere tutte e due le qualità, una presa dal mondo aristocratico conosciuto a Napoli e l’altra presa dal mondo borghese, mercantile frequentato a Firenze: la cortesia, o gentilezza, e la concretezza, o avvedutezza, prudenza.
La prima di cui vi parliamo è la novella di “Federigo degli Alberighi”, in cui il protagonista, a molti già noto, all’inizio è solo cortese, ma non è per niente avveduto; infatti spende tutto il suo patrimonio per organizzare feste nelle quali vuole segnalarsi davanti alla donna che ama, monna Giovanna, che è sposata e non corrisponde al suo sentimento. Lui spende, dilapida tutto, fino a che si riduce in povertà…
FEDERIGO DEGLI ALBERIGHI
Spendendo adunque Federigo oltre a ogni suo potere molto e niente acquistando, sì come di leggiere adiviene, le ricchezze mancarono e esso rimase povero, senza altra cosa che un suo poderetto piccolo essergli rimasa, delle rendite del quale strettissimamente vivea, e oltre a questo un suo falcone de’ miglior del mondo. Per che, amando più che mai né parendo gli più potere essere cittadino come disiderava, a Campi, là dove il suo poderetto era, se n’andò a stare. Quivi, quando poteva uccellando (cacciando) e senza alcuna persona richiedere, pazientemente la sua povertà comportava (sopportava).
Ora avvenne un dì che, essendo così Federigo divenuto allo stremo, che il marito di monna Giovanna infermò, e veggendosi alla morte venire fece testamento, e essendo ricchissimo, in quello lasciò suo erede un suo figliuolo già grandicello e appresso questo, avendo molto amata monna Giovanna, lei, se avvenisse che il figliuolo senza erede legittimo morisse, suo erede substituì, e morissi.”
Il marito lascia in eredità le sue sostanze al figlio, non alla moglie, a cui andranno solo se il figlio dovesse scomparire. Indicativo della condizione femminile in questo periodo…
(leggono, il professore il racconto e le battute di Federigo, Barbara le battute di Giovanna)
Rimasa adunque vedova monna Giovanna, come usanza è delle nostre donne, l’anno di state con questo suo figliuolo se n’andava in contado a una sua possessione assai vicina a quella di Federigo. Per che avvenne che questo garzoncello s’incominciò a dimesticare con Federigo e a dilettarsi d’uccelli e di cani; e avendo veduto molte volte il falcon di Federigo volare e stranamente piacendogli, forte disiderava d’averlo ma pure non s’attentava di domandarlo, veggendolo a lui esser cotanto caro.
E così stando la cosa, avvenne che il garzoncello infermò: di che la madre dolorosa molto, come colei che più non n’avea e lui amava quanto più si poteva, tutto il dì standogli dintorno non restava di confortarlo e spesse volte il domandava se alcuna cosa era la quale egli disiderasse, pregandolo gliele dicesse, che per certo, se possibile fosse a avere, procaccerebbe come l’avesse.
Il giovanetto, udite molte volte queste proferte, disse:
- Madre mia, se voi fa che io abbia il falcone di Federigo, io mi credo prestamente guerire.
La donna, udendo questo, alquanto sopra sé stette e cominciò a pensar quello che far dovesse. Ella sapeva che Federigo lungamente l’aveva amata, né mai da lei una sola guatatura aveva avuta, per che ella diceva: - Come manderò io o andrò a domandargli questo falcone che è, per quel che io oda, il migliore che mai volasse e oltre a ciò il mantien nel mondo? E come sarò io sì sconoscente, che a un gentile uomo al quale niuno altro diletto è più rimaso, io questo gli voglia torre?
E in così fatto pensiero impacciata, come che ella fosse certissima d’averlo se ’l domandasse, senza sapere che dover dire, non rispondeva al figliuolo ma si stava.
Ultimamente tanto la vinse l’amor del figliuolo, che ella seco dispose, per contentarlo che che esser ne dovesse, di non mandare ma d’andare ella medesima per esso e di recargliele e risposegli:
- Figliuol mio, confortati e pensa di guerire di forza, ché io ti prometto che la prima cosa che io farò domattina, io andrò per esso e sì il ti recherò.
Di che il fanciullo lieto il dì medesimo mostrò alcun miglioramento.
La donna la mattina seguente, presa un’altra donna in compagnia, per modo di diporto se n’andò alla piccola casetta di Federigo e fecelo adimandare.“
Le donne non si muovono mai da sole: va a casa di un uomo con una “fanticella” …
“Egli, per ciò che non era tempo, né era stato a quei dì, d’uccellare, era in un suo orto e faceva certi suoi lavorietti acconciare;”
Cioè non faceva lui i lavoretti, ma li faceva acconciare, ad altri. Per quanto sia povero, Federigo ha sempre qualcuno al suo servizio. Ecco i limiti della povertà di un nobile…
il quale,udendo che monna Giovanna il domandava alla porta, maravigliandosi forte, lieto là corse.
La quale vedendol venire, con una donnesca piacevolezza levataglisi incontrò, avendola già Federigo reverentemente salutata, disse:
- Bene stea Federigo! - e seguitò: - Io sono venuta a ristorarti de’ danni li quali tu hai già avuti per me amandomi più che stato non ti sarebbe bisogno: e il ristoro è cotale che io intendo con questa mia compagna insieme destinar teco dimesticamente stamane.
Per “compensare” i sacrifici fatti da Federigo per ottenere il suo amore, che, abbiamo visto, non poteva ricambiare perché era sposata ed era onesta, si invita a casa sua…
Alla qual Federigo umilmente rispose:
- Madonna, niun danno mi ricorda mai avere ricevuto per voi ma tanto di bene che, se io mai alcuna cosa valsi, per lo vostro valore e per l’amore che portato v’ho adivenne.
Tema petrarchesco. Ricordi quando Petrarca dice ad Agostino: se io valgo qualcosa valgo per questa donna: è lei che mi ha reso migliore…
E per certo questa vostra liberale venuta m’è troppo più cara che non sarebbe se da capo mi fosse dato da spendere quanto per adietro ho già speso, come che a povero oste siate venuta.
E così detto, vergognosamente dentro alla sua casa la ricevette e di quella nel suo giardino la condusse, e quivi non avendo a cui farle tenere compagnia a altrui, disse:
- Madonna, poi che altri non c’è, questa buona donna moglie di questo lavoratore vi terrà compagnia tanto che io vada a far metter la tavola.
Vedi la cortesia e la gentilezza: le lascia una donna, a disposizione di lei e della sua serva… Poi prende il suo falcone e lo uccide per la sua donna. Mangiano…
Laonde la donna con la sua compagna levatasi andarono a tavola e, senza saper che si mangiassero, insieme con Federigo, il quale con somma fede le serviva, mangiarono il buon falcone. E levate da tavola e alquanto con piacevoli ragionamenti con lui dimorate, parendo alla donna tempo di dire quello per che andata era, così benignamente verso Federigo cominciò a parlare:
- Federigo, ricordandoti tu della tua preterita vita e della mia onestà, la quale per avventura tu hai reputata durezza e crudeltà, io non dubito punto che tu non ti debbi maravigliare della mia presunzione sentendo quello per che principalmente qui venuta sono; ma se figliuoli avessi o avessi avuti, per li quali potessi conoscere di quanta forza sia l’amor che lor si porta, mi parrebbe esser certa che in parte m’avresti per iscusata.
Ma come che tu non n’abbia, io che n’ho uno, non posso però le leggi comuni d’altre madri fuggire; le cui forze seguir convenendomi, mi conviene, oltre al piacer mio e oltre a ogni convenevolezza e dovere, chiederti un dono il quale io so che sommamente t’è caro: e è ragione, per ciò che niuno altro diletto, niuno altro diporto, niuna consolazione lasciata t’ha la sua strema fortuna, e questo dono è il falcon tuo, del quale il fanciul mio è sì forte invaghito, che, se io non gliene porto, io temo che egli non aggravi tanto nella infermità la quale ha, che poi ne segua cosa per la quale io il perda. E per ciò ti priego, non per l’amore che tu mi porti, al quale tu di niente sé tenuto, ma per la tua nobiltà, la quale in usar cortesia s’è maggiore che in alcuno altro mostrata, che ti debba piacere di donarlomi, acciò che io per questo dono possa dire d’avere ritenuto in vita il mio figliuolo e per quello averloti sempre obligato.
Federigo, udendo ciò che la donna adomandava e sentendo che servir non ne la potea per ciò che mangiar gliele avea dato, cominciò in presenza di lei a piagnere anzi che alcuna parola risponder potesse. Il quale pianto la donna prima credette che da dolore di dover da sé di partire il buon falcone divenisse più che d’altro, e quasi fu per dire che nol volesse; ma pur sostenutasi, aspettò dopo il pianto la risposta di Federigo, il qual così disse:
- Madonna poscia che a Dio piacque che io in voi ponessi il mio amore, in assai cose m’ho reputata la fortuna contraria e sonmi di lei doluto; ma tutte sono state leggieri a rispetto di quello che ella mi fa al presente, di che io mai pace con lei aver non debbo, pensando che voi qui alla mia povera casa venuta siete, dove, mentre che ricca fu, venir non degnaste, e da me un picciol don vogliate, e ella abbia sì fatto, che io donar nol vi possa: e perché questo esser non possa vi dirò brievemente.
Come io udii che voi, la vostra mercé, meco desinar volavate, avendo riguardo alla vostra eccellenzia e al vostro valore, reputai degna e convenevole cosa che con più cara vivanda secondo la mia possibilità io vi dovessi onorare, che con quelle che generalmente per l’altre persone s’usano: per che, ricordandomi del falcon che mi domandate e della sua bontà, degno cibo da voi il reputai, e questa mattina arrostito l’avete avuto in sul tagliere, il quale io per ottimamente allogato avea; ma vedendo ora che in altra maniera il disideravate, m’è sì gran duolo che servire non ve ne posso, che mai pace non me ne credo dare.
E le portò a vedere anche i resti del falcone. La donna tornò a casa, il figlio peggiorò e morì…riprendiamo poco oltre…
La quale, poi che piena di lagrime e d’amaritudine fu stata alquanto, essendo rimasa ricchissima e ancora giovane, più volte fu dà fratelli costretta a rimaritarsi.
Ecco un’altra nota sociologica. Una donna rimasta vedova, se manca anche il figlio in casa, e quindi è perfettamente sola, si deve risposare, perché sola in casa non può stare.
La quale, come che voluto non avesse (benché non volesse), pur veggendosi infestare (infastidire, insistere, da parte dei fratelli), ricordatasi del valore di Federigo e della sua magnificenzia ultima, cioè d’avere ucciso un così fatto falcone per onorarla, disse a’ fratelli:
- Io volentieri, quando vi piacesse, mi starei; ma se a voi pur piace che io marito prenda, per certo io non ne prenderò mai alcuno altro, se io non ho Federigo degli Alberighi.
Alla quale i fratelli, faccendosi beffe di lei, dissero:
- Sciocca, che è ciò che tu dì? come vuoi tu lui che non ha cosa al mondo?
A’quali ella rispose:
- Fratelli miei, io so bene che così è come voi dite, ma io voglio avanti uomo che abbia bisogno di ricchezza che ricchezza che abbia bisogno d’uomo.
Grande risposta di Giovanna: preferisco un uomo non ricco a un ricco che non sia uomo…
Li fratelli, udendo l’animo di lei e conoscendo Federigo da molto (di valore), quantunque povero fosse, sì come ella volle, lei con tutte le sue ricchezze gli donarono.
Altra nota sociologica, in quello che abbiamo detto prima e ora. Chi decide l’opportunità del matrimonio di Giovanna? Non lei, ma i fratelli. Al massimo le danno la possibilità di scegliere, perché sono generosi, ma avrebbero potuto anche scegliere loro il marito…
Il quale così fatta donna e cui egli cotanto amata avea per moglie vedendosi, e oltre a ciò ricchissima, in letizia con lei, miglior massaio fatto, terminò gli anni suoi.
“Miglior massaio fatto”. Questa è la conclusione importantissima di questa novella. Federigo, che all’inizio è cortese, gentile, generoso, spendaccione, sposata monna Giovanna, diventa migliore massaro, buon amministratore del patrimonio. Ha imparato a spendere poco e a far fruttare i suoi averi. Non farà più gli errori del passato. E diventa l’uomo ideale, si completa. Prima era solo gentile, adesso è anche accorto nelle spese.
La novella di Nastagio degli Onesti tratta parallelamente lo stesso problema, di un uomo rifiutato da una donna, in una forma diversa. Qui invertiremo l’ordine. Narratrice sarà Barbara e io sarò i vari personaggi che intervengono. A Ravenna, un giovane degli Onesti si è innamorato di una donna dei Traversari, spende anche lui il suo patrimonio per mettersi in vista di fronte a lei, i parenti cominciano a reagire, dicono che la deve smettere. Nastagio sembra accettare almeno il consiglio di allontanarsi da Ravenna…
Decameron: Federigo degli Alberighi
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NASTAGIO DEGLI ONESTI
Di questo consiglio più volte fece beffe Nastagio; ma pure, essendo da loro sollicitato, non potendo tanto dir di no, disse di farlo; e fatto fare un grande apparecchiamento, come se in Francia o in Ispagna o in alcuno altro luogo lontano andar volesse, montato a cavallo e da suoi molti amici accompagnato di Ravenna uscì e andossene ad un luogo forse tre miglia fuor di Ravenna, che si chiama Chiassi;
Prepara tutto come se dovesse andare chissà dove per mesi e invece si è allontanato di tre miglia. La conseguenza è che spende ancora di più, per mettere tende, padiglioni, con stoviglie, mercanzie varie, che non se fosse rimasto a casa, anche perché continua a fare feste, con intrattenimenti per invitare questa Traversari, che comunque non se lo fila…
Ora avvenne che uno venerdì quasi all’entrata di maggio essendo un bellissimo tempo, ed egli entrato in pensier della sua crudel donna, comandato a tutta la sua famiglia che solo il lasciassero, per più potere pensare a suo piacere, piede innanzi piè sé medesimo trasportò, pensando, infino nella pigneta. Ed essendo già passata presso che la quinta ora del giorno, ed esso bene un mezzo miglio per la pigneta entrato, non ricordandosi di mangiare né d’altra cosa, subitamente gli parve udire un grandissimo pianto e guai altissimi messi da una donna; per che (per il quale fatto), rotto il suo dolce pensiero, alzò il capo per veder che fosse, e maravigliossi nella pigneta veggendosi; e oltre a ciò, davanti guardandosi vide venire per un boschetto assai folto d’albuscelli e di pruni, correndo verso il luogo dove egli era, una bellissima giovane ignuda, scapigliata e tutta graffiata dalle frasche e dà pruni, piagnendo e gridando forte mercè; e oltre a questo le vide a’ fianchi due grandi e fieri mastini, li quali duramente appresso correndole, spesse volte crudelmente dove la giugnevano la mordevano, e dietro a lei vide venire sopra un corsiere nero un cavalier bruno, forte nel viso crucciato, con uno stocco in mano, lei di morte con parole spaventevoli e villane minacciando.
Questa cosa ad una ora maraviglia e spavento gli mise nell’animo, e ultimamente compassione della sventurata donna, dalla qual nacque disidero di liberarla da sì fatta angoscia e morte, se el potesse. Ma, senza arme trovandosi, ricorse a prendere un ramo d’albero in luogo di bastone, e cominciò a farsi incontro a’ cani e contro al cavaliere. Ma il cavalier che questo vide, gli gridò di lontano:
- Nastagio, non t’impacciare, lascia fare a’ cani e a me quello che questa malvagia femina ha meritato.
E così dicendo, i cani, presa forte la giovane né fianchi, la fermarono, e il cavaliere sopraggiunto smontò da cavallo.
Al quale Nastagio avvicinatosi disse:
- Io non so chi tu ti sé, che me così cognosci; ma tanto ti dico che gran viltà è d’un cavaliere armato volere uccidere una femina ignuda, e averle i cani alle coste messi come se ella fosse una fiera salvatica; io per certo la difenderò quant’io potrò.
Il cavaliere allora disse:
- Nastagio, io fui d’una medesima terra teco, ed eri tu ancora piccol fanciullo quando io, il quale fui chiamato messer Guido degli Anastagi, era troppo più innamorato di costei, che tu ora non sé di quella de’ Traversari, e per la sua fierezza e crudeltà andò sì la mia sciagura, che io un dì con questo stocco, il quale tu mi vedi in mano, come disperato m’uccisi, e sono alle pene etternali dannato. Né stette poi guari tempo che costei, la qual della mia morte fu lieta oltre misura, morì, e per lo peccato della sua crudeltà e della letizia avuta de’ miei tormenti, non pentendosene, come colei che non credeva in ciò aver peccato ma meritato, similmente fu ed è dannata alle pene del ninferno.
E’ il grande rovesciamento che crea Boccaccio. Qui si è puniti all’inferno per non avere commesso lussuria, non per averla commessa. C’era una novella di Jacopo Passavanti che raccontava la stessa storia in senso contrario, in quel periodo. Boccaccio ribalta le cose, per dare quest’aria di libera creatività, ma anche amore. Cioè qui si dice che viene punito chi non risponde di sì a chi vuole fare l’amore con lui. Poi, riassumo, il cavaliere dice: d’ora in avanti farò queste cose ogni venerdì in questo bosco; cioè la raggiungo con i miei cani, la faccio azzannare, la faccio bloccare e le infilo un pugnale nel petto…
Nastagio, udendo queste parole, tutto timido divenuto e quasi non avendo pelo addosso che arricciato non fosse, tirandosi addietro e riguardando alla misera giovane, cominciò pauroso ad aspettare quello che facesse il cavaliere. Il quale, finito il suo ragionare, a guisa d’un cane rabbioso, con lo stocco in mano corse addosso alla giovane…
Il cavaliere ripete le cose di prima e se ne va. Nastagio sta a pensare a quello che gli è accaduto…ed ecco la cosa importante, l’uomo che progetta di sfruttare l’evento. Chiama la brigata dei suoi amici, tra cui vuole che ci sia sempre la Traversari, per il venerdì successivo. E quel giorno fa entrare lei proprio lì, nello stesso bosco, perché sa quello che dovrà accadere e la fa assistere alla stessa scena. Immagina che lei, per non finire all’inferno e pugnalata ogni venerdì, farà quello che non ha fatto quella donna, cioè acconsentirà alla sua richiesta d’amore. E puntualmente la Traversari acconsente. Però qui c’è un altro scatto di Boccaccio. Nastagio, quando la serva (è sempre una serva che va a riferire la notizia) viene a riferirgli che la sua signora è disposta a stare con lui, replica: no, prima mi deve sposare. A quel punto, la donna, sempre per sfuggire a quel problema e a quella paura, lo sposa anche. Solo allora Nastagio…
…la domenica seguente Nastagio sposatala e fatte le sue nozze, con lei più tempo lietamente visse.
E non fu questa paura cagione solamente di questo bene, anzi sì tutte le ravignane donne paurose ne divennero, che sempre poi troppo più arrendevoli a’ piaceri degli uomini furono, che prima state non erano.
Con questo, Boccaccio ci spiega anche perché sulla riviera romagnola l’amore lo si fa più liberamente che in altre parti d’Italia. Evidentemente era già così al suo tempo.
Chiudiamo con questa riflessione, ancora ribadita: che l’uomo ideale di Boccaccio è l’uomo completo, cortese e gentile da una parte, ma anche accorto e prudente dall’altra. E anche con una riflessione stilistica sul modo di procedere nella narrazione. Tutti e due questi racconti ci presentano una trasformazione del protagonista. Nel primo caso è Federigo che da gentile soltanto diventa anche massaro, nel secondo caso è la Traversari, che, prima refrattaria al rapporto con Nastagio, si convince poi ad accettarlo. Però c’è anche l’altra considerazione, morale, che Nastagio non accetta le gentilezze della donna se prima non lo ha sposato. Boccaccio personalmente nemmeno baderebbe a questo, ma si preoccupa di chi leggerà, consulterà e poi criticherà il suo testo; e allora, per mettersi a posto con la morale della Chiesa del tempo, dice che si sposano. Arrivederci.
Decameron: NASTAGIO DEGLI ONESTI
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