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BACONE: Nuova Atlantide – GALILEO: Dialogo sui massimi sistemi – MONTAIGNE: Essays




Antologia II Anno - 1^ Lezione (video)
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BACONE: Nuova Atlantide – GALILEO: Dialogo sui massimi sistemi – MONTAIGNE: Essays
 
Apriamo il secondo anno di questo corso triennale di Antologia, con Barbara, che ci accompagnerà nel percorso nella letteratura dal Seicento alla prima metà dell’Ottocento, per più di sei mesi, in 28 lezioni settimanali. Barbara è la mia alunna-attrice, con la quale cercheremo anche di animare qualche scena, laddove la letteratura ci presenterà questa opportunità. E’ uscita da due anni dal liceo e frequenta la facoltà di Beni culturali a Isernia. Io lascio la scuola dal primo settembre di quest’anno, ma non la lascio per queste lezioni. Divento da questo momento anche io un finto professore, perché sono stato collocato a riposo.
Tratteremo dunque ora il Seicento. Il corso dell’anno precedente si concluse con la morte di Giordano Bruno, esattamente nel 1600. E apriamo questo nuovo secolo con alcuni pensatori che ci danno l’impressione di quella che è, nella prima parte, questa epoca nella quale si rivoluziona un po’ tutto, anche rispetto al rinascimento, che era stato la grande stagione ultimamente esaminata l’anno passato.
Il Seicento lo facciamo aprire subito con una riflessione di Francis Bacon, detto Bacone, un pensatore inglese che ha dominato la prima parte del secolo. Da questo suo scritto, che parla di “Idoli”, che è del 1620, vediamo un po’ come lui imposta il problema della conoscenza nel mondo contemporaneo. Oggi leggerai sempre tu, Barbara…
 
FRANCESCO BACONE, IDOLI
I. L'uomo, ministro e interprete della natura, opera e intende solo per quanto, con la pratica o con la teoria, avrà appreso dell'ordine della natura: di più non sa né può.
 
La prima impostazione è che il sapere è basato sulla natura, su quello che la natura ci offre, e quindi sull’esperienza. Avviamo con Bacone l’affermazione totale del valore dell’esperienza nella conoscenza: totale perché questa affermazione l’aveva già fatta Leonardo alla fine del Quattrocento; ma adesso bisogna ripartire, proprio perché c’è un ritorno della tendenza ad essere troppo teorici…
 
II. Né la nuda mano, né l'intelletto abbandonato a se stesso hanno potenza. I risultati si raggiungono con strumenti e con aiuti e di questi ha bisogno non meno l'intelletto che la mano. Come gli strumenti amplificano e reggono il moto della mano, così gli strumenti della mente guidano o trattengono l’intelletto.
 
Come vedi, Barbara, l’intelletto e la mano. Il sapere intellettuale e il sapere manuale, chiamiamoli così, devono andare sempre insieme: uno guida l’altro, uno regola e condiziona l’altro; non ci può essere solo intelletto senza mano, non ci può essere solo mano senza intelletto, cioè solo teoria senza pratica o solo pratica senza teoria…
 
VI. Sarebbe pazzesco e in sé contraddittorio credere che ciò che finora non è mai stato fatto, possa essere fatto senza far ricorso a metodi non ancora mai tentati.
 
Si vuol dire che per avere delle novità nel sapere bisogna anche avere delle novità nei metodi di conoscenza. Si sta impostando proprio la grande, moderna concezione della scienza. Infatti questo sarà chiamato anche il secolo della scienza…
 
XXXVI. Ci resta un solo e semplice modo di esposizione: condurre gli uomini di fronte ai fatti particolari, alle loro serie e ai loro ordini, in modo che essi, per un qualche tempo, si impongano di rinunciare alle nozioni e comincino a familiarizzarsi con le cose stesse.
 
Sembrerebbe un discorso vecchio, perché già da tempo si era parlato della necessità di abbandonare Aristotele, le nozioni, l’ipse dixit e tutto il resto, ma evidentemente nel Cinquecento c’è ancora questa tendenza a parlare per astrazioni o addirittura a parlare per citazioni di autori o scienziati o pensatori di secoli precedenti, che non avevano l’esperienza che hanno i moderni, quindi un criterio e un metodo sbagliato. Ora entriamo nel mondo degli “idoli”, con la ragione del titolo di questa opera di Bacone…
 
XXXVIII. Gli idoli e le false nozioni che sono penetrati nell'intelletto umano fissandosi in profondità dentro di esso, non solo assediano le menti in modo da rendere difficile l'accesso alla verità, ma addirittura (una volta che que­sto accesso sia dato e concesso) di nuovo risorgeranno e saranno causa di mo­lestia anche nella stessa instaurazione delle scienze: a meno che gli uomini, preavvertiti, non si agguerriscano per quanto è possibile contro di essi.
 
Gli idoli di cui parla Bacone sono i pregiudizi, che rovinano il nostro ragionamento. Bisogna liberare la mente da preconcette convinzioni, bisogna essere vergini rispetto all’esperienza, per accettare quello che l’esperienza ci dice…
 
XXXIX. Quattro sono i generi di idoli che assediano la mente umana. Per farci intendere abbiamo imposto loro dei nomi: chiameremo il primo genere idoli della tribù; il secondo idoli della spelonca; il terzo idoli del foro; il quarto idoli del teatro.

 
Questi quattro idoli sono divisi in due sezioni. I primi due riguardano l’uomo come individuo: l’idolo della tribù è l’uomo nel contesto sociale; l’idolo della spelonca è l’uomo dentro la sua tana, la sua spelonca, con se stesso. Gli altri due invece sono i pregiudizi che non vengono da noi ma dalla società che è intorno a noi: l’idolo del foro, della piazza, è quello del contesto che noi frequentiamo, della gente che parla con noi e ci impone le sue idee; l’idolo del teatro (e qui entriamo in un campo che ci appartiene) è ciò che viene rappresentato dagli altri per noi. Intanto perché li chiama idoli? Perché in fondo questa scienza del vecchio tipo è come se fosse idolatria: si venera l’idolo anziché il dio che viene rappresentato nell’idolo, si concentra su un surrogato l’attenzione che invece dovrebbe andare sull’oggetto diretto dell’analisi. Come per la religione amare l’idolo non significa amare Dio, così per la scienza amare le nozioni non significa amare la scienza. Bisogna amare quello che la scienza ci offre attraverso l’esperienza, corretta e regolata dalla teoria…
 
XLI. Gli idoli della tribù sono fondati sulla stessa tribù o razza umana. Pertanto si asserisce falsamente che il senso è la misura delle cose. Al contrario, tutte le percezioni, sia del senso sia della mente, deri­vano dall'analogia con l'uomo, non dall'analogia con l'universo. L'intelletto umano è simile a uno specchio che riflette irregolarmente i raggi delle cose, che mescola la sua propria natura a quella delle cose e le deforma e le travisa.
 
Quest’ultimo è il concetto, pure importante, che noi siamo abituati proprio per nostra consistenza a modificare soggettivamente quello che vediamo. Quindi Bacone fonda anche questa importante questione della soggettività dell’esperienza, che è un problema, che è un idolo da allontanare. Quando tu hai già scelto il metodo sperimentale, poi devi stare attento ad essere il più possibile oggettivo nella tua osservazione del dato naturale.
Bacone lo ricordiamo ancora come un caposaldo, un fondamento di questo secolo,  anche per un’altra opera che ha scritto, “Nuova Atlantide”, di cui non leggeremo nulla. È l’ultima grande utopia di questo periodo tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, dopo “Utopia” di Moro, l’abbazia di Thèleme di Rabelais, “La Città del Sole” di Tommaso Campanella. “Nuova Atlantide” è un mondo che Bacone immagina in un continente che è riemerso rispetto al vecchio Atlantide, sommerso secondo l’immaginazione degli antichi. Una zona lontana nella quale Bacone immagina una società regolata dalla scienza, dall’osservazione, dall’esperienza, dalla razionalità, tutte quelle cose che nel mondo a lui contemporaneo fanno fatica ad affermarsi.
Passiamo ora ad un altro grande pensatore di questo periodo, che ci apre la mente sull’universo, Galileo, colui che ha affermato la teoria copernicana proprio attraverso l’esperienza, cioè l’osservazione dell’universo con lo strumento che non ha inventato, ma ha trovato, in Olanda, il cannocchiale. La grandezza di Galileo è stata quella di utilizzare queste lenti sovrapposte non, come facevano altri, per ingrandire vicino a loro, sulla terra, ma puntandole sul cielo. E attraverso l’osservazione del movimento degli astri è riuscito a trovare conferme sperimentali della ipotesi copernicana. Cioè ha applicato quanto ci diceva poco fa Bacone. Anche quello di Copernico può essere un idolo se non viene verificato con l’esperienza.  Così Galileo è riuscito a vedere i satelliti che giravano intorno a Giove e ha potuto quindi immaginare che come questi, spostandosi davanti al pianeta e nascondendosi, disegnassero un‘orbita,  movimento che potesse essere anche di Giove intorno al Sole, per analogia anche la Terra girava intorno al Sole; e così è arrivato, attraverso anche altre osservazioni, a confermare, almeno per quanto lui pensava di essere riuscito a fare, la validità dell’ipotesi copernicana. Per questo è stato sottoposto alla prima Inquisizione, alla quale è sfuggito. Nel “Saggiatore”, alla “Libra astronomica” di Orazio Grassi (che si firmava con lo pseudonimo di Sarsi), che conteneva delle inesattezze, Galileo rispondeva sulla base dell’ipotesi copernicana. Sottoposto al Tribunale dell’Inquisizione una prima volta, ne è venuto fuori, ma poi il peggio si è verificato nel 1632, con la pubblicazione del “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”, nel quale immagina che un aristotelico e un copernicano si scontrino proprio sui massimi sistemi del mondo, il sistema tolemaico, secondo l’aristotelico, e il sistema copernicano, secondo Salviati. Torneremo sui contenuti di quest’opera quando tratteremo, per il Novecento, “Vita di Galileo” di Bertolt Brecht.
Galileo ha tentato di avviare un rapporto con l’autorità del tempo, che era la Chiesa, facendo intendere a questa che la verità scientifica poteva andare d’accordo con la verità teologica, semplicemente si trattava di osservare la natura dei linguaggi, che era diversa: quello dell’antico e del nuovo testamento era metaforico, simbolico, mentre quello della scienza era un linguaggio tecnico, diretto, collegato con l’esperienza.
Ma prima di arrivare a questo vediamo cosa ci dice Galileo a proposito del “grande libro dell’universo”…
 
GALILEO GALILEI, IL SAGGIATORE
Parmi, oltre a ciò, di scorgere nel Sarsi ferma credenza, che nel filosofare sia necessario appoggiarsi all'opinioni di qualche celebre autore, sì che 1a mente nostra, quando non si maritasse col discorso d'un altro, ne dovesse in tutto ri­manere sterile ed infeconda, e forse stima che la filosofia sia un libro e una fantasia d'un uomo, come l'Iliade e l'Orlando furioso, libri ne' quali la meno im­portante cosa è che quello che vi è scritto sia vero. Signor Sarsi, la cosa non istà così. La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne' quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto.
 
Sarsi, dice Galileo, nelle sue posizioni pseudoscientifiche si è basato sul libro di Aristotele. Ma il libro che dobbiamo consultare da scienziati è l’universo stesso, che è scritto in un linguaggio unico, quello matematico. E a quello dobbiamo fare riferimento se vogliamo parlare di scienza. Non possiamo seguire invece i metodi della narrazione. Anche la filosofia è riflessione a suo modo scientifica sul modo di essere dell’uomo e non si possono raccontare frottole, favole. Se bisogna parlare di favole ci si riferisce all’epica, a tutta la tradizione antica, ma altrimenti bisogna basarsi su quello che si conosce nel nostro tempo. E nel caso particolare dell’osservazione astronomica e della sperimentazione scientifica bisogna usare un linguaggio matematico.
Questo ancora ci introduce nella serie di tematiche che inquadrano il Seicento. Ora facciamo un piccolo passo indietro, ricordando che cosa sta accadendo nella società di questo periodo, tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento. Lo facciamo partendo da Montaigne, che è un autore ancora del Cinquecento. Leggiamo cosa ci dice negli “Essais”, i suoi saggi. E’ un grande osservatore del mondo intorno a sé, cominciamo a farlo parlare…
 
MONTAIGNE, ESSAIS
Consideriamo dunque per il momento l’uomo solo, senza soccorsi esterni, armato solamente delle proprie armi e sfornito della grazia e della rivelazione divina … Mi faccia capire, con la forza del suo discorso, su quali fondamenti ha costruito i grandi vantaggi che pensa di avere rispetto alle altre creature. Chi lo ha persuaso che questa meravigliosa oscillazione della volta celeste, la luce eterna di queste fiaccole che ruotano tanto fieramente sopra il suo capo, i movimenti spaventosi di questo mare infinito siano stati creati e siano continuati per tutti i secoli per la sua comodità e per servire a lui? E’ possibile immaginare qualcosa di tanto ridicolo quanto il fatto che questa creatura miserabile e infelice, che non è neppure signora di se stessa, esposta alle offese di tutte le cose, si dica padrona e regina dell’universo, del quale non è in suo potere conoscere la più piccola parte, e tanto meno comandarla? E quel privilegio che egli si attribuisce di essere solo in questa grande fabbrica, di avere il potere di conoscere la bellezza delle parti, che solo lui possa rendere grazie all’architetto e possa rendersi conto della regola de corso del mondo, chi gli ha conferito questo privilegio? Ci mostri le lettere di questo bello e grande incarico.
 
“Ci mostri le lettere” vuol dire: ci mostri i documenti che attestino che lui ha avuto questo incarico. Il tema è che l’uomo crede di essere il centro dell’universo, di essere il fine della creazione. Chiaramente qui Montaigne si pone duramente contro le credenze e le opinioni del cattolicesimo, che la terra sia al centro dell’universo, che l’uomo sia al centro della terra e sia il fine ultimo della creazione. Ora noi non entriamo tanto in questa discussione. Vi presentiamo semplicemente le idee così come vengono proposte. Certamente Michele de Montaigne, grande aristocratico anche lui come Bacon, ma francese, ha un’idea laica dell’uomo. E’ il tema della laicità che si afferma in questo periodo. Su questo volevo portare l’attenzione quando dicevo di fare un passo indietro per entrare in questa atmosfera. Questo ribadire un’opinione laica è forte proprio in un periodo in cui l’autorità ecclesiastica cerca di affermare la sua idea, con la censura, con l’imposizione, con l’inquisizione, con tutti quei metodi che ai grandi intellettuali non possono star bene. Proprio per reazione a questo atteggiamento autoritario da parte della Chiesa, che a sua volta, abbiamo visto nelle lezioni precedenti, era frutto della discussione che era nata con Lutero e della paura che aveva di perdere il controllo della situazione, gli intellettuali con forza ribadiscono le loro opinioni laiche. Al termine di questa serie di ragionamenti Montaigne dice…
 
La presunzione è la nostra malattia naturale e originaria. La più disgraziata e la più fragile di tutte le creature è l'uomo e, tuttavia, la più orgogliosa.
 
Continua poi dicendo che l’uomo, che è l’ultimo, crede di essere il primo. E conclude in questa maniera molto trasparente e laconica…
 
Quando gioco con la mia gatta, chissà se essa passa il suo tempo con me come io faccio con lei.

 
Si diverte a rovesciare i piani di riferimento. Noi siamo abituati a considerarci superiori ai gatti, magari parliamo con la gatta pensando che sia una bestiola che non capisce nulla; e se invece fosse lei a concedermi del tempo suo? Non siamo nemmeno sicuri di questo rapporto gerarchico che abbiamo fissato tra noi e gli animali nell’ambito dell’universo.
Andiamo rapidamente verso la conclusione di questa lezione. Lasciamo stare i testi e facciamo un ragionamento insieme. Siamo in un periodo di Controriforma, con forte censura e inquisizione. La Chiesa lotta contro il sapere, ma il sapere reagisce  cercando di affermare autonomamente i suoi principi, soprattutto contro l’idea aristotelica di sapere e potere considerare tutto senza collegarsi con l’esperienza, addirittura attraverso la citazione del testo di Aristotele, di altra epoca. In questo stesso periodo gli uomini cercano ancora di esprimersi liberamente nel campo delle arti, ma non riescono più ad avere la spinta emotiva del rinascimento, proprio perché questa forte censura ha frenato un poco gli slanci e la fiducia dell’uomo in se stesso e anche sviluppato la paura di incorrere negli strali della Controriforma.
In questo ambito la Chiesa tenta comunque di diffondere le sue idee attraverso il linguaggio più popolare possibile, deve essere compresa dal popolo, contro il luteranesimo. E si affida alle arti figurative. Abbiamo all’inizio del Seicento una forte committenza di opere d’arte. Le grandi chiese barocche vengono affrescate con storie edificanti, che il popolo può capire anche se non è in grado di leggere. Vengono impiegati diversi artisti e tra questi voglio fare cenno soltanto un momento a Caravaggio. Potremmo parlare di tanti, ma Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, è quello che è riuscito, come dicevamo anche nel Cinquecento per Michelangelo, ad utilizzare la commissione dei pontefici per esprimere un suo modo di intendere la realtà. Un esempio. Gli viene indicato l’oggetto sacro da rappresentare, che è la Madonna di Loreto. Dovrebbe parlare di come è apparsa secondo la tradizione. Ebbene, cosa mette in primo piano? Intanto raffigura questa Madonna con un bambino, che sono realistici, una donna comune e un bambino comune, ma poi in primo piano mette di spalle due pellegrini che sono inginocchiati davanti a lei e, ancor più verso colui che guarda il quadro, le piante dei piedi sporche. Questo “sporcare” la tela con le piante dei piedi è il suo realismo, con cui Caravaggio reagisce alla commissione, che è edificante, cioè porterebbe l’artista a sollevare l’uomo dalla terra verso il cielo; lui lo riporta in terra, con l’idea della povertà e della semplicità dei personaggi che vanno a visitare la Madonna. E con questo richiama l’attenzione di tutta la comunità sull’autentica natura della fede, che è il rapporto fra la gente semplice e Dio e non è quello che allo stesso Caravaggio è stato imposto dall’autorità con quella commissione.
Abbiamo cercato di inquadrarvi in questa prima lezione l’ambiente del Seicento, ma mancano ancora tanti riferimenti storicopolitici. Li daremo la prossima volta, quando passeremo anche ad analizzare la figura di Miguel de Cervantes, il grande autore del “Don Chisciotte”. Arrivederci alla prossima lezione.
 
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