Antologia - 7^ Lezione
(Cliccare sulle parole in caratteri blu)
anto 1, 7 Title
https://www.youtube.com/watch?v=y9szB2ufkNU
Benvenuti alla settima puntata di Antologia. Continuiamo il nostro percorso con Dante nell’Inferno. L’ultima volta avevamo incontrato la figura di Farinata, nel decimo canto. Ora ci spostiamo verso il tredicesimo canto, passando dal cerchio degli epicurei, degli eretici, al settimo, quello dei violenti. Ci sono tre categorie di violenza, contro gli altri, contro se stessi e contro Dio, nello schema dantesco. Violenti contro gli altri sarebbero gli omicidi, che sono puniti nelle acque di sangue del Flegetonte, per la legge del contrappasso, perché sangue hanno versato e nel sangue si ritrovano nella loro pena. Con gli omicidi ci sono i predoni, perché si agisce contro gli altri nella persona e nelle cose. E analogamente ci sono quelli che sono violenti contro la persona, i suicidi, e nelle cose, gli scialacquatori, che dilapidano le loro sostanze. E nel terzo girone di questi violenti si troveranno, nel sabbione infernale, invece, i violenti contro Dio, divisi in tre categorie: violenti contro Dio, la natura e l’arte. Ma ne riparleremo.
Intanto fermiamoci al secondo girone di questo cerchio, che è quello appunto dei suicidi. Vi si incontra un’atmosfera un po’ strana: una selva oscura, di alberi con rami contorti…
INFERNO, CANTO XIII
Non era ancor di là Nesso arrivato,
quando noi ci mettemmo per un bosco
che da neun sentiero era segnato.
Non fronda verde, ma di color fosco;
non rami schietti, ma nodosi e ’nvolti;
non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco:
non han sì aspri sterpi né sì folti
quelle fiere selvagge che ’n odio hanno
tra Cecina e Corneto i luoghi cólti.
Segue il riferimento classico di questo canto, perché uguali a questi alberi erano quelli che davano i loro nidi alle Arpie nelle Strofadi frequentate dai Troiani…
sappi che se’ nel secondo girone»,
mi cominciò a dire, «e sarai mentre
che tu verrai ne l’orribil sabbione.
Però riguarda ben; sì vederai
cose che torrien fede al mio sermone».
Io sentia d’ogne parte trarre guai,
e non vedea persona che ’l facesse;
per ch’io tutto smarrito m’arrestai.
Cred’io ch’ei credette ch’io credesse
che tante voci uscisser, tra quei bronchi
da gente che per noi si nascondesse.
Però disse ’l maestro: «Se tu tronchi
qualche fraschetta d’una d’este piante,
li pensier c’hai si faran tutti monchi».
Allor porsi la mano un poco avante,
e colsi un ramicel da un gran pruno;
e ’l tronco suo gridò: «Perché mi schiante?».
Da che fatto fu poi di sangue bruno,
ricominciò a dir: «Perché mi scerpi?
non hai tu spirto di pietade alcuno?
Uomini fummo, e or siam fatti sterpi:
ben dovrebb’esser la tua man più pia,
se state fossimo anime di serpi».
Virgilio lo ha invitato a provare con le sue stesse mani che cosa succeda spezzando uno di questi rami ed è venuto fuori del sangue. Evidentemente in questo tronco c’è qualcuno. E Virgilio si rivolge a quest’anima che è nel tronco e dice:
«S’elli avesse potuto creder prima»,rispuose ’l savio mio, «anima lesa,
ciò c’ha veduto pur con la mia rima,
non averebbe in te la man distesa;
ma la cosa incredibile mi fece
indurlo ad ovra ch’a me stesso pesa.
Ma dilli chi tu fosti, sì che ’n vece
d’alcun’ammenda tua fama rinfreschi
nel mondo sù, dove tornar li lece».
In maniera che possa parlare bene di te nel mondo… Evidentemente è un’anima che ha bisogno di qualcuno che parli bene di lei. Leggi Barbara…
E ’l tronco: «Sì col dolce dir m’adeschi,ch’i’ non posso tacere; e voi non gravi
perch’io un poco a ragionar m’inveschi.
Quindi dice: mi attiri a parlare, però mi invischierò in un lungo ragionamento…
Io son colui che tenni ambo le chiavidel cor di Federigo, e che le volsi,
serrando e diserrando, sì soavi,
che dal secreto suo quasi ogn’uom tolsi:
Dice che teneva le chiavi del cuore di Federico in tale maniera che poteva aprire e chiudere le sue decisioni. Si tratta di Federico Secondo di Svevia…
fede portai al glorioso offizio,tanto ch’i’ ne perde’ li sonni e ’ polsi.
Ha sempre prestato fede al suo servizio, ma poi ha perso le vene e i polsi, cioè si allude alla fine tragica di Pier delle Vigne, quello che sta parlando, che morirà, vedremo come…
La meretrice che mai da l’ospiziodi Cesare non torse li occhi putti,
morte comune e de le corti vizio,
infiammò contra me li animi tutti;
e li ’nfiammati infiammar sì Augusto,
che ’ lieti onor tornaro in tristi lutti.
Quella meretrice che non ha mai deviato il suo sguardo dalla corte dell’imperatore, l’invidia, il vizio di tutte le corti, infiammò gli animi di tutti contro di me e gli animi infiammati infiammarono a loro volta Augusto, l’imperatore, in tale maniera che i miei onori, cioè il mio essere il primo consigliere di Federico, si tramutarono in tristi lutti, cioè nella mia condanna. Infatti Pier delle Vigne, ingiustamente accusato di aver tradito…
L’animo mio, per disdegnoso gusto,credendo col morir fuggir disdegno,
ingiusto fece me contra me giusto.
Io che non accettavo l’accusa, poiché sdegnavo l’immagine di traditore, mi uccisi; e nell’uccidermi resi ingiusto me stesso nei confronti di me stesso che ero stato giusto, cioè che non avevo mai tradito il mio signore. Dante qui accoglie la tesi che Pier delle Vigne fosse innocente. Il tema fondamentale di questo canto è la calunnia. Non c’è niente di peggio che sentirsi accusati ingiustamente di aver commesso un fatto, senza prove, soltanto per invidia del proprio ruolo o per altre considerazioni che non contano. Pier delle Vigne è l’emblema di quello che Dante odia di più nella società del suo tempo. In fondo, lo abbiamo già ricordato altre volte, Dante soffre moltissimo l’esilio, ma dell’esilio soffre soprattutto la mortificazione di essere accompagnato dall’accusa di essersi macchiato di qualche colpa: perché lo si accusava, ricordi, di baratteria, cioè di essersi impadronito di danaro pubblico, cosa che Dante non si sarebbe mai sognato di fare, perché era un uomo corretto, onesto e integro. Non sopporta che si possano muovere accuse non fondate nei confronti di una persona e qui parla di chi è arrivato ad uccidersi per questo motivo. E per questo il nostro caro Dante non ammetterebbe mai di essere riletto da qualcuno che usi la sua opera per calunniare qualcun altro…
Dopo aver ricordato soltanto che Pier delle Vigne chiede a Dante di tornare sulla terra a raccontare la verità sulla sua vita, ora ci muoviamo verso il canto diciannovesimo, quello dei simoniaci, i papi, in buona parte. Però dovremmo vedere cosa succede nel frattempo. Intanto nel cerchio dei violenti, dopo i suicidi, abbiamo i violenti contro Dio, i bestemmiatori, contro la natura (per quel tempo), gli omosessuali, i sodomiti e i violenti contro l’arte, gli usurai. Sembrerà strano, ma lo erano, per Dante, perché, prestando danaro agli artisti, che quasi sempre erano squattrinati, come…
BARBARA: come ai nostri tempi…
…come ai nostri tempi, erano i peggiori nemici dell’arte. Essendo usurai, si è violenti contro l’arte, che è figlia della natura che a sua volta è figlia di Dio. Ecco la discendenza: violenti contro Dio i bestemmiatori; contro la natura, creatura di Dio, i sodomiti; e contro l’arte, creatura della creatura di Dio, gli usurai. Questo significa violenza contro le cose di Dio, mentre la violenza contro la persona è la bestemmia.
Poi si passerà nell’ottavo cerchio, quello dei fraudolenti, coloro che ingannano quelli che non si fidano, distribuiti nelle bolge, dieci: seduttori, adulatori, simoniaci, indovini, barattieri, ipocriti, ladri, consiglieri di frode, seminatori di discordie, falsari. Questi sono i dieci tipi di peccatori che hanno ingannato chi non si è fidato di loro. Tra questi, nella terza bolgia, quella dei simoniaci, incontrerà i suoi obiettivi più importanti di questo inferno, che sono i papi, con cui, vedremo, non è tenero. C’è prima un’apostrofe…
INFERNO, CANTO XIX
O Simon mago, o miseri seguaciche le cose di Dio, che di bontate
deon essere spose, e voi rapaci
per oro e per argento avolterate,
or convien che per voi suoni la tromba,
però che ne la terza bolgia state.
Vedete con quale trionfale annuncio Dante ricorda che finalmente si parla dei simoniaci, cioè di quelli che usano il sacro per guadagnare. Ci descrive questa bolgia, nel suo fondo, come tutta bucherellata. Nelle buche, dalle quali sporgono delle gambe, sono i papi…
Fuor de la bocca a ciascun soperchiavad’un peccator li piedi e de le gambe
infino al grosso, e l’altro dentro stava.
Le piante erano a tutti accese intrambe;
per che sì forte guizzavan le giunte,
che spezzate averien ritorte e strambe.
Dimenavano le gambe in una buca infuocata. Per la legge del cotrappasso, nella vita hanno messo il denaro e qui devono mettere se stessi in una tasca, in una borsa…
«Chi è colui, maestro, che si crucciaguizzando più che li altri suoi consorti»,
diss’io, «e cui più roggia fiamma succia?».
Ce n’è uno che sembra essere divorato da una fiamma più viva…
Ed elli a me: «Se tu vuo’ ch’i’ ti portilà giù per quella ripa che più giace,
da lui saprai di sé e de’ suoi torti».
E Dante si mostra appunto pronto ad andare…
Lo buon maestro ancor de la sua ancanon mi dipuose, sì mi giunse al rotto
di quel che si piangeva con la zanca.
Mi portò vicino a quella buca dove c’era qualcuno che si dimenava e si lamentava…
«O qual che se’ che ’l di sù tien di sotto,anima trista come pal commessa»,
comincia’ io a dir, «se puoi, fa motto».
Io stava come ’l frate che confessa
lo perfido assessin, che, poi ch’è fitto,
richiama lui, per che la morte cessa.
Si trovava nella stessa condizione di quel prete che sta piegato sul perfido assassino che si sta confessando per rimandare un momento la morte, perché a quel tempo li si metteva in una buca che poi si riempiva di sabbia. Morivano così, capovolti e soffocati. Quindi tu sei così, Barbara, sei il papa, capovolto, e mi rispondi…
(leggono, Barbara come papa e il professore come Dante)
se’ tu già costì ritto, Bonifazio?
Di parecchi anni mi mentì lo scritto.
Se’ tu sì tosto di quell’aver sazio
per lo qual non temesti tòrre a ’nganno
la bella donna, e poi di farne strazio?».
Tal mi fec’io, quai son color che stanno,
per non intender ciò ch’è lor risposto,
quasi scornati, e risponder non sanno.
Dante rimane meravigliato perché lo ha chiamato Bonifacio. Questa è una buca nella quale vanno a finire tutti i papi simoniaci, uno dopo l’altro, man mano che muoiono. E questo che è, come vedremo dopo, Nicolò Terzo, morto nel 1280, sta lì da venti anni (siamo nel 1300) e pensa che Bonifacio, che morirà nel 1303, sia arrivato un po’ prima…
Allor Virgilio disse: «Dilli tosto:"Non son colui, non son colui che credi"»;
e io rispuosi come a me fu imposto.
Per che lo spirto tutti storse i piedi;
poi, sospirando e con voce di pianto,
mi disse: «Dunque che a me richiedi?
Se di saper ch’i’ sia ti cal cotanto,
che tu abbi però la ripa corsa,
sappi ch’i’ fui vestito del gran manto;
e veramente fui figliuol de l’orsa,
cupido sì per avanzar li orsatti,
che sù l’avere e qui me misi in borsa.
Di sotto al capo mio son li altri tratti
che precedetter me simoneggiando,
per le fessure de la pietra piatti.
Là giù cascherò io altresì quando
verrà colui ch’i’ credea che tu fossi
allor ch’i’ feci ’l sùbito dimando.
Ma più è ’l tempo già che i piè mi cossi
e ch’i’ son stato così sottosopra,
ch’el non starà piantato coi piè rossi:
ché dopo lui verrà di più laida opra
di ver’ ponente, un pastor sanza legge,
tal che convien che lui e me ricuopra.
Novo Iasón sarà, di cui si legge
ne’ Maccabei; e come a quel fu molle
suo re, così fia lui chi Francia regge».
Il papa risponde risentito: Allora perché me lo chiedi? Tanto hai voglia di sapere? Ebbene lo ammetto, sono un papa (si vergogna, Nicolò Terzo, di essere lì). E sono stato figliolo dell’Orsa (era un Orsini), così avido per “avanzare” gli orsacchiotti (cioè per fare avanzare la mia famiglia) - il nepotismo è proprio questo, favorire i propri parenti - che ho messo su gli averi e qui me stesso in una borsa (come già dicevamo) e sotto di me sono infilati gli altri papi che mi hanno preceduto simoneggiando; e lì sotto andrò a finire io quando arriverà quello che io credevo che tu fossi, appunto Bonifacio. Ma è più il tempo che sono stato in questa condizione di quanto non ci starà lui. Lui ha aspettato venti anni e ne avrebbe aspettati altri tre per vedere arrivare Bonifacio; ma questo sarebbe stato nella sua condizione meno tempo di lui, perché molto presto sarebbe arrivato un altro papa a prendere il suo posto e sarebbe stato Clemente Quinto, un simoniaco famoso, di cui dice che si è comportato come Giasone, nei Maccabei, che si è venduto al suo re. Infatti Clemente Quinto aveva ottenuto dal re di Francia la possibilità di essere eletto promettendogli per cinque anni le decime ecclesiastiche, una volta spostata la sede della Chiesa in Avignone, come accadde. E vedete la reazione di Dante…
Io non so s’i’ mi fui qui troppo folle,ch’i’ pur rispuosi lui a questo metro:
«Deh, or mi dì : quanto tesoro volle
Nostro Segnore in prima da san Pietro
ch’ei ponesse le chiavi in sua balìa?
Certo non chiese se non "Viemmi retro".
Né Pier né li altri tolsero a Matia
oro od argento, quando fu sortito
al loco che perdé l’anima ria.
Né Pietro né altri presero danaro da Mattia quando fu nominato al posto di Giuda…
Però ti sta, ché tu se’ ben punito;e guarda ben la mal tolta moneta
ch’esser ti fece contra Carlo ardito.
E se non fosse ch’ancor lo mi vieta
la reverenza delle somme chiavi
che tu tenesti ne la vita lieta,
io userei parole ancor più gravi;
ché la vostra avarizia il mondo attrista,
calcando i buoni e sollevando i pravi.
E naturalmente in questa espressione di Dante c’è anche il risentimento di chi sa di essere la vittima di Bonifacio Ottavo, responsabile del suo esilio…
Di voi pastor s’accorse il Vangelista,quando colei che siede sopra l’acque
puttaneggiar coi regi a lui fu vista;
quella che con le sette teste nacque,
e da le diece corna ebbe argomento,
fin che virtute al suo marito piacque.
E’l’immagine dell’evangelista, della Chiesa che sulle acque (le genti) si prostituisce con i re, nata con le sette teste, che sono i sacramenti, che ha avuto i fondamenti nelle dieci corna, che sono i comandamenti, finché piacque la virtù a suo marito, cioè al pontefice…
Fatto v’avete Dio d’oro e d’argento;e che altro è da voi a l’idolatre,
se non ch’elli uno, e voi ne orate cento?
Che differenza tra voi e gli idolatri, se non che loro adorano un oggetto e voi invece cento, tante monete, tanto danaro? Ora la conclusione, dura, e anche ignara, di Dante…
Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,non la tua conversion, ma quella dote
che da te prese il primo ricco patre!».
Costantino, che cosa hai combinato? - vuole dire Dante - hai donato al papa la terra di Sutri e da lì è nato il potere temporale, l’origine di tutti i mali della Chiesa. E’ diventata interessata alle proprietà, cosa che l’ha guastata. Tu hai creato “il primo ricco patre”: a papa Silvestro, che lo aveva guarito dalla lebbra, per ringraziarlo, appunto, donò l’impero romano d’occidente. Ma la Donazione di Costantino, che Dante credeva vera, è un falso, come sai. Fu dimostrata la falsità di questo documento sul quale la Chiesa fondava il suo potere temporale soltanto molto tempo dopo, nel 1440 da un umanista…
BARBARA: Lorenzo Valla
Brava!
Nel “De falso credita et ementita Costantini donatione”, cioè “Sulla donazione di Costantino, creduta vera e smentita, da me”, Lorenzo Valla dimostrò che era un falso: da umanista, conoscendo l’evoluzione della lingua nei secoli, era riuscito a capire che il latino in cui era redatto quel documento non era del quarto secolo dopo Cristo, epoca di Costantino, ma di quattro secoli dopo, opera appunto della Chiesa di quel tempo, che aveva voluto giustificare la fondatezza del suo potere temporale sostenendo che un imperatore aveva a lei donato una proprietà.
Questo canto che parla dei simoniaci, dei papi, ci offre la possibilità di ritornare su un personaggio che abbiamo abbandonato qualche lezione fa, che aveva combattuto anche contro Bonifacio Ottavo e aveva scritto una famosa lauda della quale sei stata anche la protagonista.
BARBARA: Jacopone da Todi
Brava! Ti ricordi la lauda… con le parole della tua introduzione?
BARBARA: Madonna, ecco la croce, che la gente l’aduce, ove la vera luce dei essere levato…
Fermiamoci qui. Questa è una battuta…
BARBARA: del Nunzio, la figura angelica…
Che annuncia a Maria…
BARBARA: la crocifissione del figlio.
Chiuderemo con questo. In realtà avrei voluto leggervi qualcosa dell’invettiva di Jacopone “O papa Bonifazio”, che scrive dopo la morte del papa, nel 1303. Ve la riassumo. Lui, prigioniero di Bonifacio Ottavo, contro il quale si era mosso insieme con i Colonna, ricorda ora quello che poi diventa l’accusa nei confronti di questo papa che si era macchiato di mille delitti, soprattutto un nepotista. Lo stesso Jacopone in precedenza, con grande realismo, aveva parlato del sacrificio di Gesù e di sua madre, che viene annunciato proprio dal Nunzio, che credo che con una specie di sortilegio introdurrà quella scena…
(Recita Babara)
ennella croc’è stesa;
con un bollon l’ò fesa,
tanto lo ’n cci ò ficcato.
L’altra mano se prende,
ennella croce se stende
e lo dolor s’accende,
ch’è plu multiplicato.
Donna, li pè se prènno
e clavellanse al lenno;
onne iontur’ aprenno,
tutto l’ò sdenodato».
E poi Maria: “eo comenzo el corrotto”…Ci salutiamo qui, ciao Barbara…
(segue il filmato del Pianto della Madonna, recitato da allievi del laboratorio teatrale del liceo)