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Antologia I Anno - 6^ Lezione




Antologia - 6^ Lezione
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anto 1, 6 Title 1
https://www.youtube.com/watch?v=KHoeVV2fHn8

COMMEDIA, INFERNO: CANTO SESTO, CANTO DECIMO

Ci avviamo verso la situazione del sesto canto dell’ Inferno, canto politico come il sesto del Purgatorio e il sesto del Paradiso, nei quali si tratta il tema del cattivo governo, nella città di Firenze, ln Italia e nel mondo, nell’Europa. Qui compare il personaggio di Ciacco, vissuto nella Firenze di qualche anno prima, uno dei golosi del terzo cerchio.
Ci aiuterà anche oggi, nella lettura di questo canto e poi del decimo dell’ Inferno, Sara Giglio. In questo cerchio c’è un’atmosfera veramente negativa, con una pioggia puzzolente, grandine, neve, altre cose che infastidiscono con il loro cattivo odore…
 
INFERNO, CANTO VI

   Io sono al terzo cerchio, de la piova
etterna, maladetta, fredda e greve;
regola e qualità mai non l’è nova.
   Grandine grossa, acqua tinta e neve
per l’aere tenebroso si riversa;
pute la terra che questo riceve.
   Cerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gole caninamente latra
sovra la gente che quivi è sommersa.
   Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
e ’l ventre largo, e unghiate le mani;
graffia li spirti, ed iscoia ed isquatra.

Soffrono due pene: la pioggia putrida, insistente e le grinfie e le fauci di Cerbero…

   Urlar li fa la pioggia come cani;
de l’un de’ lati fanno a l’altro schermo;
volgonsi spesso i miseri profani.
   Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
le bocche aperse e mostrocci le sanne; (le zanne)
non avea membro che tenesse fermo. (vibrava tutto)
   E ’l duca mio distese le sue spanne,
prese la terra, e con piene le pugna
la gittò dentro a le bramose canne.
   Qual è quel cane ch’abbaiando agogna,
e si racqueta poi che ’l pasto morde,
ché solo a divorarlo intende e pugna,
   cotai si fecer quelle facce lorde
de lo demonio Cerbero, che ’ntrona
l’anime sì, ch’esser vorrebber sorde.

Quindi sottoposte a questa pioggia, sotto le azzannate, le graffiate, e i latrati…

   Noi passavam su per l’ombre che adona
la greve pioggia, e ponavam le piante
sovra lor vanità che par persona.
   Elle giacean per terra tutte quante,
fuor d’una ch’a seder si levò, ratto
ch’ella ci vide passarsi davante.

Anche lui deve lasciar passare Dante, al quale è stata riservata da Dio questa speciale possibilità di andare dove gli altri vivi non possono…Ma mentre stanno procedendo…

(leggono Sara come Ciacco e il professore come Dante)

   «O tu che se’ per questo ’nferno tratto»,
mi disse, «riconoscimi, se sai:
tu fosti, prima ch’io disfatto, fatto».
   E io a lui: «L’angoscia che tu hai
forse ti tira fuor de la mia mente,
sì che non par ch’i’ ti vedessi mai.
   Ma dimmi chi tu se’ che ’n sì dolente
loco se’ messo e hai sì fatta pena,
che, s’altra è maggio, nulla è sì spiacente».
   Ed elli a me: «La tua città, ch’è piena
d’invidia sì che già trabocca il sacco,
seco mi tenne in la vita serena.
   Voi cittadini mi chiamaste Ciacco:
per la dannosa colpa de la gola,
come tu vedi, a la pioggia mi fiacco.
   E io anima trista non son sola,
ché tutte queste a simil pena stanno
per simil colpa». E più non fé parola.

Ha parlato Ciacco. Dice che appartiene alla città di Dante, che è piena d’invidia tanto che il sacco ormai trabocca. E’ il grande tema che avvia questo canto, dell’invidia, della rivalità tra i cittadini. In una città dovrebbero essere tutti uniti e invece Firenze è stata divisa fra Guelfi e Ghibellini e poi  fra Bianchi e Neri…

   Io li rispuosi: «Ciacco, il tuo affanno
mi pesa sì, ch’a lagrimar mi ’nvita;
ma dimmi, se tu sai, a che verranno
   li cittadin de la città partita;
s’alcun v’è giusto; e dimmi la cagione
per che l’ha tanta discordia assalita».

Sì, mi parli di invidia, divisioni della città e appunto voglio sapere se conosci il futuro, se sai a che punto arriverà così spaccata in partiti, in fazioni, e se c’è qualcuno che ha il senso della giustizia in questa città nella quale sembra che si sia perso; e anche se tu sai, potendolo leggere in Dio, quali siano le ragioni dell’odio che vi circola…

   E quelli a me: «Dopo lunga tencione
verranno al sangue, e la parte selvaggia
caccerà l’altra con molta offensione.
   Poi appresso convien che questa caggia
infra tre soli, e che l’altra sormonti
con la forza di tal che testé piaggia.
   Alte terrà lungo tempo le fronti,
tenendo l’altra sotto gravi pesi,
come che di ciò pianga o che n’aonti.
   Giusti son due, e non vi sono intesi;
superbia, invidia e avarizia sono
le tre faville c’hanno i cuori accesi».

Questa è la risposta di Ciacco. Intanto fa una profezia, che dopo una lunga tensione arriveranno al sangue e la parte più selvaggia (la più popolare, quella dei bianchi) caccerà l’altra “con molta offensione”, poi conviene che questa cada entro tre soli (tre anni) e che l’altra vada al potere al posto della precedente con la forza di un tale che in questo momento “piaggia”, cioè si va nascondendo, ma sta tramando. E questo tale che farà vincere i Neri sui Bianchi in Firenze è il papa Bonifacio Ottavo. “Alte terrà lungo tempo le fronti, tenendo l’altra sotto gravi pesi”, cioè la parte bianca che in precedenza l’ha cacciata. E appunto Dante preferisce attraverso le parole di Ciacco  far capire le sofferenze dei Bianchi come lui sotto le angherie di quei Neri che hanno causato il suo esilio. Dunque, sempre l’esilio attraversa come motivo portante la Commedia. Dante sente viva l’ingiustizia sofferta. Perciò si è parlato del fatto che solo due sono giusti ma non sono capiti. Ciacco  vuole dire (due probabilmente è un numero simbolico) che sono pochissimi quelli che a Firenze ragionano; e probabilmente fra questi si colloca lo stesso Dante, mentre gli altri sono tutti attraversati dall’odio e dal livore e non riescono a mantenere l’equilibrio che ci dovrebbe essere nella politica. E’ naturale la passione politica, però non bisogna azzannare, come vediamo fare oggi, aggredire l’avversario. La politica è confronto, non aggressione. Ce lo dice anche Dante. Sono superbia, invidia e avarizia le tre scintille che hanno acceso i cuori, i peccati fondamentali.
Dopo succederanno cose meno importanti. Quello che ci interessa adesso ricordare è che questa è la prima grande profezia dell’esilio. Dante in più riprese fa prevedere per lui dai vari personaggi che incontra quella sciagurata stagione della sua vita. Come hai potuto vedere questa previsione è molto vaga. Dice soltanto che una parte si affermerà sull’altra, che poi sarà cacciata da quella che aveva sottomessa; e quella che prenderà il sopravvento sarà molto dura nei confronti di coloro che allontanerà, che naturalmente sono i Bianchi, con un riferimento soltanto indiretto a Dante. Poi vedremo altre profezie che meglio avvicineranno la circostanza di un esilio proprio riservato a Dante.
Ciacco appartiene a una Firenze che non è ancora divisa come quella del tempo di Dante. Infatti il suo stesso peccato è legato a questo tema. Lui è un goloso che frequentava tutti i banchetti della città, che erano frequenti. E si possono organizzare tante tavolate, in una città divisa? No. Perciò, se c’erano tante occasioni di festa…
SARA: Vuol dire che c’era quell’unione che permetteva la socializzazione…
Quindi c’è nostalgia per la Firenze che non conosceva le divisioni del tempo di Dante.
Procediamo adesso verso il decimo canto, in cui troveremo un altro grande personaggio che implica un riferimento denso e politicamente forte. Sarà il personaggio di Farinata degli Uberti. Dal cerchio dei golosi, che contiene Ciacco, Dante scenderà nel cerchio degli avari e prodighi, nel cerchio degli iracondi  e accidiosi, quelli che sono contenuti nella palude dello Stige (sono immobilizzati: gli iracondi per la legge del contrappasso per contrasto, perché si sono mossi troppo nella vita, nella loro reazione esagerata; gli accidiosi perché si sono mossi poco e per analogia sono bloccati nella palude); poi, superata questa, si sposteranno verso la Città di Dite, fortificata, arriveranno sotto le mura, non sotto veramente, ma nelle vicinanze, poiché si sta scendendo e quindi i merli di questa fortificazione sono quasi all’altezza di Dante e Virgilio. Bisognerà poi superare questi merli per entrare nella città e scendere negli altri cerchi dell’inferno. Però i diavoli, in assetto di guerra, difendono la città dai due che dal loro punto di vista sono gli aggressori, tanto che dovrà intervenire un angelo per bloccarli e consentire loro di entrare. E ci si ritrova su un camminamento che è sull’orlatura delle mura, tra la merlatura che consente di nascondere le armi per la difesa della città. Notano delle buche, chiamiamole così, che sono le tombe degli eretici. Leggiamo…

Riassunto VI Canto
https://divinacommedia.weebly.com/inferno-canto-vi.html
INFERNO, CANTO X

   Ora sen va per un secreto calle,
tra ’l muro de la terra e li martìri,
lo mio maestro, e io dopo le spalle.
   «O virtù somma, che per li empi giri
mi volvi», cominciai, «com’a te piace,
parlami, e sodisfammi a’ miei disiri.
   La gente che per li sepolcri giace
potrebbesi veder? già son levati
tutt’i coperchi, e nessun guardia face».
   E quelli a me: «Tutti saran serrati
quando di Iosafàt qui torneranno
coi corpi che là sù hanno lasciati.
   Suo cimitero da questa parte hanno
con Epicuro tutti suoi seguaci,
che l’anima col corpo morta fanno.

I seguaci di Epicuro, che ritengono che l’anima sia mortale, sono condannati in tombe di fuoco, per la legge del contrappasso per analogia, perché hanno ritenuto che l’anima potesse morire e ora sono costretti a stare in una tomba le stesse anime, per dimostrare per paradosso che l’anima veramente muore come loro credevano…

   Però a la dimanda che mi faci
quinc’entro satisfatto sarà tosto,
e al disio ancor che tu mi taci».

Sarà data una risposta alla tua domanda ma sarà data una risposta anche a quello che tu non mi chiedi. Virgilio legge nella mente di Dante…

   E io: «Buon duca, non tegno riposto
a te mio cuor se non per dicer poco,
e tu m’hai non pur mo a ciò disposto».

Cioè Dante si sente preso un po’ in castagna e dice: sì, non ti ho espressa l’altra domanda, ma perché poco fa (e infatti era successo) mi hai rimproverato perché parlo troppo. Ma all’improvviso si sente una voce, che dovrebbe essere la tua, Sara.. .

   Subitamente questo suono uscìo
d’una de l’arche; però m’accostai,
temendo, un poco più al duca mio.
   Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai?
Vedi là Farinata che s’è dritto:
da la cintola in sù tutto ’l vedrai».

Virgilio è premuroso, quasi appare sottomesso a Farinata, spinge Dante a stare attento perché sia adeguato al personaggio. Vedete che è tutto un bel contrappunto in questo canto, perché Dante poi dimostrerà di volere affrontare a viso aperto Farinata, mai a un livello inferiore. Mentre Virgilio lo indurrebbe quasi a piegarsi, non dico proprio inginocchiarsi, ma riverire questo grandissimo personaggio. Comunque, al di là di tutto, è la conferma che il protagonista che si staglia davanti a Dante è molto importante…

   Io avea già il mio viso nel suo fitto;
ed el s’ergea col petto e con la fronte
com’avesse l’inferno a gran dispitto.

Immaginiamolo: emerge dalla tomba, il petto in fuori, sfida l’inferno intorno a lui come se avesse a dispetto tutto, non gliene importa niente della pena a cui è sottoposto…

   E l’animose man del duca e pronte
mi pinser tra le sepulture a lui,
dicendo: «Le parole tue sien conte».

Mi sospinsero tra le sepolture a lui. Vedete, un atteggiamento farisaico: scegli bene le parole perché il personaggio è importante! Dante ancora non sa chi sia il personaggio che ha di fronte, perciò reagisce ancora poco, ma appena lo saprà…

   Com’io al piè de la sua tomba fui,
guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso,
mi dimandò: «Chi fuor li maggior tui?».
   Io ch’era d’ubidir disideroso,
non gliel celai, ma tutto gliel’apersi;
ond’ei levò le ciglia un poco in suso;
   poi disse: «Fieramente furo avversi
a me e a miei primi e a mia parte,
sì che per due fiate li dispersi».

“Sì che per due fiate li dispersi”. Vedete la sfrontatezza e l’orgoglio con cui Farinata dice che sono stati suoi nemici e ha dovuto sbaragliarli due volte. E’ Farinata degli Uberti, capo della fazione ghibellina. Nel 1248, quando Federico Secondo era imperatore nell’Italia meridionale, e quindi prevaleva la fazione ghibellina, questa aveva cacciato da Firenze i Guelfi, che però, un anno dopo la morte dell’imperatore, nel 1251, vi rientrarono e cominciarono a prendere le loro vendette, fino al punto che nel 1258 cacciarono a loro volta i Ghibellini. E Farinata si alleò con la città di Siena, che sconfisse a Montaperti, nel 1260, Firenze: Siena ghibellina, con i Ghibellini di Firenze, contro i Guelfi che erano rimasti nella città. Quindi Farinata è una sorta di traditore della patria, perché si è alleato con la città rivale. Tanto che ho già spiegato nelle lezioni precedenti che Guittone d’Arezzo si lamentò di questa partecipazione di alcuni cittadini di Firenze alla vittoria contro di lei dell’acerrima nemica, Siena, solo per vendetta nei confronti di quei Guelfi che li avevano cacciati. Ma a un certo punto, quando si sta decidendo di mettere a ferro e fuoco la città e raderla al suolo, Farinata si oppone. Attraversato dal grandissimo amore per la patria, non arriva al punto di distruggerla come avrebbero voluto i senesi…
Dunque si stava dicendo prima che lui per due volte disperse i Guelfi. Ma Dante non si tiene questa battuta di Farinata e gli risponde…

   «S’ei fur cacciati, ei tornar d’ogne parte»,
rispuos’io lui, «l’una e l’altra fiata;
ma i vostri non appreser ben quell’arte».

Farinata non sa quello che è accaduto, muore pochi anni dopo e non sa che nel 1266, con la battaglia di Benevento, la sconfitta di Manfredi da parte dei Guelfi avrebbe provocato il ritorno di questi, che avrebbero fatto la loro vendetta contro la famiglia di Farinata, che nel frattempo era già morto, e contro gli altri Ghibellini. Dante risponde: noi siamo tornati tutte e due le volte ma voi non ci siete riusciti. Perché dopo i fatti di cui parliamo i Ghibellini non sarebbero più riusciti a rientrare in Firenze, che sarebbe rimasta per sempre guelfa e poi si sarebbe divisa in due partiti: i Bianchi e i Neri. Ma poi notiamo un’altra cosa che sarà importante nella seconda parte di questo canto: e cioè la riflessione di Dante sul fatto che Farinata certe cose le vede…
SARA: E altre no.
Prima che questo accada, si verifica un intervallo creato dalla figura di Cavalcante dei Cavalcanti. Situazione che riassumo. Il padre di Guido, qui condannato come eretico, vede Dante solo e chiede come mai il figlio non sia con lui. Perché i due andavano sempre insieme. E Dante, turbato, distratto anche da questo fatto, vorrebbe replicare che Guido non è con lui per puro caso (tra l’altro era appena stato cacciato da Firenze), ma l’altro, vedendo che esita a dare la risposta, pensa che suo figlio sia morto. Dante vorrebbe dire che ha capito male, ma ritorna ad imporsi la voce di Farinata e non fa in tempo. Tra l’altro sappiamo che di lì a pochi mesi Guido sarebbe veramente morto. Ma comunque questo episodio fa da contrappunto perché, mentre Farinata si erge imperioso, superbo dalla sua tomba, Cavalcante è un tipo un po’ più contenuto, mite, premuroso. E il contrasto esalta di più la personalità di Farinata. Superiamo questo momento e andiamo a quando riprende a parlare il grande rivale politico…

   Ma quell’altro magnanimo, a cui posta
restato m’era, non mutò aspetto,
né mosse collo, né piegò sua costa:

Mentre Cavalcanti reagiva anche fisicamente mostrando di essere condizionato da quello che accadeva intorno a lui, Farinata rimane immobile, così come lo aveva lasciato Dante prima di essere interrotto, e, continuando il discorso di prima…

   e sé continuando al primo detto,
«S’elli han quell’arte», disse, «male appresa,
ciò mi tormenta più che questo letto.
   Ma non cinquanta volte fia raccesa
la faccia de la donna che qui regge,
che tu saprai quanto quell’arte pesa.
   E se tu mai nel dolce mondo regge,
dimmi: perché quel popolo è sì empio
incontr’a’ miei in ciascuna sua legge?».

Perché quel popolo è così impietoso contro i miei in ciascun suo provvedimento? Se i miei non hanno appreso, come l’hanno appresa i tuoi, l’arte di tornare due volte nella città di Firenze, questo mi tormenta. Quindi Farinata non sa che i suoi non sono riusciti a rientrare. Ma poi dice: non passeranno cinquanta mesi che tu saprai quanto pesa l’arte del ritorno. Allora lui che non sa quello che è accaduto in questi anni vicini alla sua morte e al momento in cui incontra Dante, sa però quello che accadrà dopo. E dice: da qui a prima che passino quattro anni (perché cinquanta lune sono cinquanta mesi circa, cioè quattro anni) tu saprai quanto pesa quell’arte.  E quindi indirettamente profetizza a Dante l’esilio, con la necessità di prevedere e cercare un ritorno nella città dalla quale sarà stato cacciato. E’ la seconda profezia dell’esilio. Sarà presto chiarito che Farinata vede ciò che è lontano da lui ma non ciò che è vicino. Ha una sorta di presbiopia in questo campo. E si spiega tutto con la giustizia divina. Perché questi peccatori, avendo pensato che l’anima muoia con il corpo, costretti a vedere solo il presente e non il futuro perché non hanno dato mai un futuro alla loro anima, nel giorno del Giudizio universale, quando il futuro per il mondo non ci sarà più, potendo vedere solo quello e non il presente, quando tutto sarà presente,  saranno ridotti a uno stato di pura vegetazione: non potranno vedere e pensare nulla perché quel presente eterno che si verificherà dopo il Giudizio universale sarà per loro buio assoluto..

Riassunto X Canto

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